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Avv. Calogero Lo Giudice

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TAGETE 2-2007 Anno XIII

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LA SURROGA DELL’INAIL DOPO IL CODICE DELLE ASSICURAZIONI PRIVATE

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Avv. Calogero Lo Giudice**

L’APPARENTE RIPROPOSIZIONE DELLA “QUESTIONE INAIL”

La norma del codice delle assicurazioni private (Decreto Legislativo 7 settembre 2005 n.209) che specificamente si occupa del “diritto di surroga dell’assicuratore sociale” è l’art.142, il quale ripete sostanzialmente il contenuto del precedente art. 28 della L.

24/12/1969 n.990, eliminando il primo comma.

La stessa aggiunta dell’ultimo alinea non pare avere introdotto una innovazione:

sembra, piuttosto, una esplicita conferma del principio risalente alla sentenza n. 319 del 6/6/1989 della Corte costituzionale.

* Articolo di Calogero Lo Giudice pubblicato il 3/4/2006 sul sito www.altalex.com

** Avvocato dell'Inail Sede di Pisa

ABSTRACT

the author analyzes the different ways the INAIL (the national insurance workers’ company) can have the money back from the insurance company of what it pays at first to victims of work accidents.

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La conseguenza più immediata potrebbe ritenersi quella della riaffermazione della divisibilità delle voci di danno, in modo da continuare a ripartire, secondo la medesima logica, il quantum risarcitorio tra INAIL e lavoratore danneggiato.

Se così fosse, si riproporrebbe la “questione Inail”, analoga a quella sorta allorché divenne diritto vivente l’autonoma risarcibilità del danno biologico e che si perpetuò con il danno morale, e che, attualmente, resisterebbe con il riconoscimento dei “nuovi danni” alla persona: come dire che il tempo si è fermato e che nessuna evoluzione è possibile riscontrare dal punto di vista giurisprudenziale e, oggi, normativo.

La verità è che “tutto è rimasto come prima”, nell’apparente contenuto confermativo dell’art.142 del D. Lgs. n.209, “perché tutto mutasse”, contrariamente alla gattopardesca convinzione che i rinnovamenti non toccano la sostanza delle cose.

Potrebbe soggiungersi che anche la formulazione dell’art. 2059 c.c. non è cambiata nel tempo, ma nessuno ignora la nuova portata della norma, a seguito delle pronunce n.

8827/2003 e n.8828/2003 della Cassazione e n.233/2003 della Corte costituzionale.

Proprio questo mutamento, d’altra parte, insieme alla recente configurazione del

“danno biologico” ad opera del D. Lgs. n.209/2005, hanno avuto innegabili ripercussioni sul “danno biologico INAIL” e sulla rivalsa dell’Ente di assicurazione sociale.

Dagli anni ottanta, ne è passata di acqua sotto i ponti: una “piena” in particolare, s’è avuta nella primavera del 2003 (con le ricordate sentenze della Cassazione n.8827 e

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n.8828 del 31/5/2003), dopo lo scioglimento dei ghiacci che per un lungo inverno hanno irrigidito l’art.2059 c.c.

La Corte costituzionale nella famosa decisione n.184/1986 diede, infatti, una interpretazione assai restrittiva del danno non patrimoniale ex art.2059 c.c., lasciando fuori dallo stesso il danno biologico; nel 2003 alitò, insieme alla Corte di Cassazione, sull’esanime art. 2059 c.c. , rinvigorendolo.

Il percorso che ha condotto ad una nuova interpretazione del danno non patrimoniale, ed in particolare alla “onnicomprensività” del “danno non patrimoniale di tipo biologico”, è stato diffusamente esaminato in un precedente articolo (“La svolta del codice delle assicurazioni private in tema di danno non patrimoniale” in Altalex.com del 7/3/2006) al quale si rinvia, aggiungendo semplicemente che questa stessa logica -

frutto del cammino compiuto negli anni dalla giurisprudenza - segue sostanzialmente, oggi, la Suprema Corte (Sez. III, 18/11/2005 n.24451) parlando di

“pluridimensionalità del danno biologico” nelle sue varie “componenti” o “sottovoci storiche”.

Quel che importa, qui, è scongiurare, in base ad una interpretazione evolutiva della normativa - apparentemente per nulla innovativa - il riproporsi della “questione INAIL”.

I RIFLESSI SULLA RIVALSA DELL’INAIL DELLA SVOLTA GIURISPRUDENZIALE E NORMATIVA IN TEMA DI DANNO NON PATRIMONIALE

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Se (come spiegato nell’articolo appena richiamato) il danno non patrimoniale biologico ex D. Lgs. n.209/2005 è unitario ed onnicomprensivo, potrebbe essere facile cogliere i riflessi in ordine alla rivalsa dell’Inail. S’impone, tuttavia, una più puntuale chiarificazione.

In ordine al danno morale soggettivo, tanto la Corte di Cassazione (Sez. III, 20/6/1992 n.7577) che la Corte costituzionale (17/2/1994 n.37) ragionavano nei seguenti termini:

se il danno morale ex art. 2059 c.c. non è coperto dalla specifica garanzia assicurativa, ad esso non può essere esteso il diritto di surroga e di regresso dell’Inail.

Fintantoché fulcro della tutela garantita dall’Inail è stato il danno alla “attitudine al lavoro”, riguardato come pregiudizio di natura sostanzialmente patrimoniale, l’esclusione dalla rivalsa di ogni componente non patrimoniale rientrava nella logica del sistema.

Adesso (con l’entrata in vigore del D. Lgs. n.38/2000) che fulcro della tutela INAIL è il danno biologico, il cui equivalente civilistico è il “danno non patrimoniale biologico”, questo (ai sensi del D. Lgs. n.209/2005) è onnicomprensivo di ogni altro pregiudizio non patrimoniale (dinamico-emozionale) e, dunque, tanto della “sofferenza” per la subita menomazione che dei riflessi negativi che la lesione della integrità psicofisica comporta sul piano della “esistenza” della persona..

Potrebbe obiettarsi che il danno biologico è inteso dal D. Lgs. n.38/2000 “in senso stretto”, come “malattia”.

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Anche a non voler ritenere ormai superata la temporaneità della definizione dell’art.13, I°c., D. Lgs. n.38/2000, non v’è dubbio che non si tratta di danni ontologicamente differenti (il danno biologico INAIL e quello civilistico), bensì di forme di tutela diverse:

indennitaria in campo previdenziale, risarcitoria e tendenzialmente integrale, nell’ambito della ordinaria responsabilità civile.

Nella antecedente tripartizione del danno, valida all’epoca di entrata in vigore del D.

Lgs. n.38/2000 (ossia danno patrimoniale, danno morale, danno biologico), il danno biologico non trovava collocazione nell’art. 2059 c.c., per cui poteva anche sostenersi la estraneità e la disomogeneità rispetto al danno morale soggettivo.

Il percorso che ha portato alla sistemazione del danno biologico nell’area prima riservata al danno morale soggettivo, non può non ripercuotersi sull’interpretazione del danno biologico previdenziale, da intendere, pertanto, nella nuova evolutiva accezione di danno alla “persona” (al “valore uomo”), non connotato da rilevanza economica.

L’introdotto sistema risarcitorio bipolare (quale risulta dalle citate sentenze del 2003 della Cassazione e della Corte costituzionale) e lo stesso riconoscimento del danno biologico da parte del D. Lgs. n.38/2000, impongono di interpretare il danno biologico come danno non patrimoniale tout court, in presenza di una lesione all’integrità psicofisica della persona.

Sempre per quanto concerne il danno morale soggettivo – comunque inscindibile dal danno non patrimoniale biologico civilistico – potrebbe anche opporsi che, dato il

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suo carattere generalmente transeunte, potrebbe, semmai, afferire al danno biologico temporaneo, non indennizzato dall’Inail.

Può rispondersi, sia che (come osservato da Cass. n.8827/2003) “alcuni tipi di patemi d’animo hanno un’intrinseca attitudine ad essere ineluttabilmente permanenti”, sia più efficacemente che, ammesso che sia possibile scindere fra titoli di danno, sicuramente non è possibile operare una separazione, nella determinazione del quantum risarcitorio in ambito civilistico (costituente il limite esterno della rivalsa dell’Inail), all’interno dello stesso titolo di danno (non patrimoniale biologico).

Tanto più che la definizione contenuta nel D. Lgs. n.209/2005, stabilisce che per

“danno biologico” si intende “la lesione temporanea o permanente all’integrità psicofisica della persona”, per cui il concetto civilistico, ai fini della rivalsa dell’Inail (se non altro a seguito di infortunio in itinere/incidente stradale), include tanto il danno temporaneo che quello permanente.

Riferendoci, poi, ai “nuovi danni” non patrimoniali, inglobati nella componente

“esistenziale” del danno biologico (quali conseguenze della menomazione “rispetto a tutte le attività, le situazioni e i rapporti in cui la persona esplica sé stessa nella propria vita: non soltanto, quindi, con riferimento alla sfera produttiva, ma anche con riferimento alla sfera spirituale, culturale, affettiva, sociale, sportiva e ad ogni altro ambito e modo in cui il soggetto svolge la sua personalità”, come precisato da Corte cost. n.356/1991), la tabella INAIL delle menomazioni è comprensiva degli “aspetti dinamico-relazionali” (art. 13, c.2, lett. a, D. Lgs. n.38/2000) che, oggi, possono anche

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denominarsi “dinamico-esistenziali” e che, nella sostanza, sono gli stessi esplicitamente menzionati nella definizione di danno biologico ex D. Lgs. n.209/2005 (artt. 138 e 139).

Questi profili, in un sistema indennitario -ovviamente- non possono che riguardare l’incidenza su quelle attività comuni a tutti (dell’uomo medio), mentre nel sistema risarcitorio si estendono alla “personalizzazione” del danno, alla considerazione delle particolari condizioni del soggetto leso.

Ciò non toglie, però, che gli aspetti dinamico-esistenziali costituiscano una inseparabile componente del danno biologico e della sua valutazione globale e che, pertanto, siano oggetto di rivalsa da parte dell’Inail, non potendosi scindere componenti dello stesso titolo di danno.

L’obiezione secondo cui la “personalizzazione” è estranea alla copertura INAIL, è superabile sol che si consideri il particolare tipo di tutela, intesa a garantire quella

“tempestiva ed automatica riparazione del danno che la disciplina comune non è in grado di apprestare”. Un conto è il tipo di tutela ( più o meno ampia), altro l’ ”essenza” del pregiudizio biologico (che, invece, è omogenea).

In definitiva, se il danno non patrimoniale biologico civilistico riguarda e comprende, tanto la diminuzione del bene primario dell’integrità psico-fisica in sé e per sé considerata (c.d. “dimensione psichica e fisica, a prova scientifica”), quanto tutte le particolari condizioni soggettive del danneggiato, sia interiori, di tipo emozionale, che esplicative della sua personalità in ogni ambito dell’esistenza e, se il danno non

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patrimoniale biologico deve ritenersi - come è stato sempre ritenuto - un unicum inscindibile (Cass. Sez. III, 27/8/1999 n.8998), considerato e caratterizzato dalla sua globalità, sarà questo che rappresenterà il limite (esterno) della rivalsa dell’Inail, e non - certamente e logicamente - solo una frazione del danno non patrimoniale biologico.

Il concetto di danno biologico come mera “patologia” obbiettivamente accertabile non trova più riscontro né logico, né normativo a seguito del nuovo codice delle assicurazioni private, come del resto, non lo trovava già nella logica unitaria del danno non patrimoniale, comunque espressa dalle c.d. sentenze gemelle della Cassazione del 2003, né nella originaria costruzione della figura del danno alla salute, comprensiva dell’aspetto statico e del profilo dinamico (Cass. III, n.24451/2005).

Se il concetto di danno biologico è unico, tanto in ambito previdenziale che civilistico (essendo differente solamente il tipo di tutela), dalla rivalsa dell’Istituto non possono tenersi fuori “componenti” (“sottovoci storiche”) proprie del danno non patrimoniale biologico civilistico.

LA LIMITAZIONE ALLA RIVALSA DELL’INAIL DI CUI ALL’ULTIMO COMMA DELL’ART.142 D. LGS. N.209/2005

Quanto appena detto intorno all’unitario danno non patrimoniale biologico, potrebbe trovare una secca smentita, con riferimento alla rivalsa dell’Inail, nell’ultimo comma dell’art. 142 del D. Lgs. n.209/2005, ove è stabilito che “In ogni caso l’ente gestore

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dell’assicurazione sociale non può esercitare l’azione surrogatoria con pregiudizio del diritto dell’assistito al risarcimento dei danni alla persona non altrimenti risarciti”.

In altre parole, tale disposizione potrebbe far propendere per la scindibilità di talune voci del danno non patrimoniale, (in particolare, danno biologico temporaneo, danno morale soggettivo, danno c.d. esistenziale o “personalizazione” del danno biologico), in modo da sottrarle alla rivalsa dell’Inail e riconoscerle, prioritariamente, a favore del danneggiato.

In tal modo, il codice delle assicurazioni private, piuttosto che risolvere, lascerebbe aperta la “questione INAIL”, anzi la rimarcherebbe.

Tale conclusione, non solo è inaccettabile, ma contrasta con l’evoluzione del sistema tanto risarcitorio che indennitario.

Per intendere ed applicare correttamente la specifica limitazione all’azione surrogatoria dell’INAIL, bisogna muovere dalle affermazioni contenute nella sentenza n.319 del 6/6/1989 della Corte costituzionale, da cui la disposizione dell’art.142 u.c. è tratta.

Va subito evidenziato, tuttavia, che all’epoca della pronuncia della Corte costituzionale valeva la tripartizione del danno risarcibile, in danno patrimoniale, danno biologico, danno morale, costituente ognuno un genus diverso dall’altro.

L’Inail, dal canto suo, indennizzava, non il danno alla persona in sé considerata (danno biologico, corrispondente al danno non patrimoniale biologico civilistico), ma il danno alla “attitudine al lavoro”, costituente un danno di natura sostanzialmente patrimoniale (Corte cost. n.356/1991).

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Era ovvio allora che la “prelazione o prededuzione” in favore dell’ente gestore dell’assicurazione sociale, su quanto dovuto dall’assicuratore della responsabilità civile, si risolveva, in caso di insufficienza del massimale, in un “esproprio” del diritto del lavoratore danneggiato all’integrale risarcimento del danno alla persona, costituzionalmente rilevante.

Il ragionamento svolto dalla Corte costituzionale era il seguente: le ragioni della surroga non possono prevalere e pregiudicare valori costituzionalmente garantiti della persona, per cui, in caso di incapienza del massimale, occorre, anzitutto, che il lavoratore veda integralmente e prioritariamente ristorati i danni alla “integrità personale”, configurata come “fondamentale diritto dell’individuo”.

Se, in caso di insufficienza del massimale, avesse prevalso l’interesse al recupero di quanto erogato da parte dell’ente gestore di assicurazione sociale, il lavoratore danneggiato avrebbe visto pregiudicato il suo diritto al pieno ristoro dei danni alla persona subiti.

Di qui la pronuncia di illegittimità costituzionale dell’art.28 L. n.990/1969.

La disciplina dettata dall’art. 142 (in particolare il 2° comma) ripropone le cautele per garantire il rimborso delle prestazioni a favore degli enti gestori di assicurazione sociale.

Rimane, quindi, la “regola” dell’accantonamento, da parte della impresa di assicurazione, “di una somma idonea a coprire il credito dell’ente per le prestazioni erogate o da erogare”, così anteponendosi la pretesa al rimborso dell’Istituto per le assicurazioni sociali al diritto al risarcimento del danneggiato-assistito.

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Di norma, pertanto, non si potrà procedere alla liquidazione del danno, se non avendo prima provveduto al detto “accantonamento”, secondo il meccanismo dettato dall’art.142, a salvaguardia delle ragioni della rivalsa, già individuate (Cass.

11/8/1988 n.4928; Corte cost. n.356/1991) “sia nell’esigenza di evitare che un sinistro divenga occasione di lucro per chi lo subisce, pur quando il ristoro spetti a duplice e diverso titolo e da parte di soggetti diversi, sia nell’esigenza di diminuire i costi della garanzia assicurativa, attraverso la reintegrazione del patrimonio dell’assicuratore sociale”.

Secondo la giurisprudenza (Cass. Sez. III, 17/1/2003 n.604) l’obbligo dell’accantonamento sussiste sia in caso di liquidazione stragiudiziale del danno, sia in caso di controversia giudiziaria sul punto.

Pertanto, anche di fronte alla condanna al pagamento in favore del danneggiato, l’assicurazione non potrà sottrarsi agli adempimenti previsti dalle legge, e non potrà opporre all’Inail di avere eseguito il pagamento al danneggiato, in forza di sentenza provvisoriamente esecutiva, dopo la comunicazione da parte dell’Ente di volersi avvalere del diritto di surroga per il credito da prestazioni erogate o erogande.

Precisa la S.C. (Cass. 15/4/1998 n.3806; 13/5/1982 n.3017; 3/7/1978 n.3291) che la surroga - come del resto si ricava dalla lettera dell’art. 142, c. 3, D. Lgs.

n.209/2005 che riproduce l’art.28 c. 4, L. n.990/1969 - è operante non solo dopo l’effettiva corresponsione della prestazione, ma dal momento in cui l’Inail dichiara

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alla impresa di assicurazione di avere ammesso l’infortunato all’indennizzo, con ciò preavvertendolo di voler esercitare la rivalsa.

Per effetto di questa manifestazione di volontà di surroga, sorge per l’assicuratore della r.c.a. l’obbligo di accantonamento delle somme in favore dell’Inail e il danneggiato perde il diritto di vedersi liquidato, in via definitiva, la corrispondente somma (Cass. III, n.604/2003).

Nell’ipotesi in cui il massimale sia sufficiente, continuano a prevalere le ragioni creditorie dell’Inail, il quale agirà direttamente nei confronti dell’assicuratore del responsabile, entro il limite dell’ammontare del risarcimento dovuto al danneggiato.

Questi avrà diritto, non a pre-deduzione di voci di danno, attesa l’omogeneità tra la tutela garantita dall’Inail ai sensi del D. Lgs. n.38/2000 e quella risarcitoria prevista dal D. Lgs. n.209/2005, bensì al “differenziale”, inteso in senso quantitativo, una volta cioè raffrontato l’ammontare civilistico del danno e l’importo delle prestazioni previdenziali.

In tal modo, si eviterà che l’assistito possa ottenere una maggiorazione del risarcimento del danno effettivo, in relazione a quanto dall’ente stesso già erogato.

Nel caso, per contro, di insufficienza del massimale, diviene attuale il conflitto tra l’interesse del danneggiato all’integrale risarcimento e l’interesse dell’Inail all’integrale recupero di quanto erogato.

Avendo la Corte costituzionale affermato la preminenza dell’interesse del danneggiato inteso alla tutela della “persona”, nella ipotesi di insufficienza del massimale, non si opererà più alcuno scorporo all’interno dell’unitario danno non patrimoniale biologico

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civilistico al fine del prioritario ed esclusivo riconoscimento di voci di danno a favore del soggetto leso, ma prevarrà, comunque, nei confronti della impresa di assicurazione, il diritto del danneggiato all’integrale risarcimento dei danni alla persona, rispetto alle ragioni dell’Inail.

In poche parole, il danneggiato percepirà la differenza rispetto all’importo delle prestazioni INAIL, fino a conseguire il risarcimento integrale.

L’Inail, per parte sua, non vedrà rimborsato, per intero, dalla impresa di assicurazione il costo dell’infortunio, attesa l’insufficienza del massimale (che non può ripercuotersi a svantaggio del danneggiato) e sopporterà il rischio dell’insolvenza del danneggiante.

In definitiva, la limitazione al diritto di surroga dell’Inail è posta dall’art. 142 a garanzia dell’integrale risarcimento del danno alla persona subito dal danneggiato, secondo la logica della sentenza n. 319/1989 della Corte costituzionale, e non già per scindere componenti del medesimo titolo di danno (“danno non patrimoniale biologico”), come accadeva all’epoca in cui nacque la “questione Inail”.

All’interno dell’ampia ed unitaria categoria del danno non patrimoniale esistono, infatti, non generi o titoli di danno diversi, bensì “voci”, componenti omogenee dello stesso inscindibile danno (Cass. I, 4/10/2005 n.19354).

Nel caso, poi, - previsto dall’art. 140 D. Lgs. n.209/2005 - in cui vi siano più soggetti danneggiati e venga superato il massimale, nella quota “indifferenziata” di spettanza del proprio assistito, l’Inail potrà esercitare la surroga, solo dopo che sia stata

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soddisfatta la “proporzionale” pretesa risarcitoria del danneggiato, sempre considerando quanto già percepito dall’Ente previdenziale.

Ciò in ossequio al principio secondo cui al danneggiato deve garantirsi il risarcimento - in tal caso ridotto per effetto della ripartizione in proporzione - ma non più.

E’ chiaro che, in questa ipotesi di “pluralità di danneggiati e supero del massimale”, non può l’impresa di assicurazione, al fine di dedurre l’incapienza del massimale, opporre ai danneggiati l’avvenuto previo integrale accantonamento a favore dell’Inail, ai sensi dell’art. 142, secondo comma.

IL LIMITE ALLA SURROGA DELL’INAIL EX ART.1916 C.C.

Il ragionamento valido, ove sussista il limite del massimale, non può essere svolto, evidentemente, per l’altra ipotesi di surroga, ossia quella contemplata dall’art.1916 c.c.

Mentre nel caso dell’art. 142 D. Lgs. n.209/2005, l’Inail può esperire l’azione surrogatoria direttamente nei confronti della impresa di assicurazione per il rimborso delle prestazioni, entro il doppio limite dell’ammontare del risarcimento dovuto al danneggiato e del massimale assicurato, nel caso dell’art. 1916 c.c. vale solo il limite dell’ammontare civilistico del danno.

L’art. 1916 c.c. regola l’azione nei confronti del danneggiante (e non nei confronti dell’assicuratore) e non stabilisce limitazioni di responsabilità, in pregiudizio del

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danneggiato, permettendo la condanna del soggetto responsabile per l’intero ammontare dei danni subiti dal danneggiato e dagli enti di assicurazione sociale.

La Corte costituzionale era intervenuta, più volte, (18/7/1991 n.356; 27/12/1991 n.485; 17/2/1994 n.37) per impedire l’esproprio a favore dell’Inail e a danno del lavoratore, del risarcimento dei pregiudizi non coperti dall’assicurazione sociale, sostenendo che questa riguardava (allora) unicamente i riflessi che la menomazione psicofisica aveva sull’attitudine al lavoro.

Erano esclusi, dunque, dall’ambito della surroga quelle poste di danno spettanti al danneggiato, nei confronti del terzo e che erano estranee alla copertura assicurativa (danno biologico, danno morale).

Una volta introdotta nell’assicurazione Inail la tutela della persona in sé considerata, mediante il riconoscimento dell’indennizzo per il danno biologico, torna ad essere operante il principio secondo cui, quando l’Inail agisce in surroga ai sensi dell’art.1916 c.c. (o in regresso ai sensi dell’art.11 D.P.R. n.1124/1965) per il recupero di quanto corrisposto all’assistito, l’unico limite quantitativo va individuato nell’ammontare complessivo del risarcimento dovuto dal terzo (o dal datore di lavoro) responsabile, senza che sia possibile distinguere tra le varie componenti del danno subito dall’assicurato.

Se ciò che la Corte costituzionale intendeva, allora, evitare era che, a causa delle modalità di esercizio dell’azione recuperatoria da parte dell’Inail, l’infortunato non vedesse ristorati integralmente i danni alla persona subiti, adesso, che il lavoratore

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danneggiato ottiene dall’Inail, sia pure attraverso una tutela di tipo indennitario, la copertura del rischio della menomazione dell’integrità psico-fisica della persona, prodottasi nello svolgimento e a causa delle sue mansioni, il pericolo da evitare è un altro , e cioè che si verifichi una indebita locupletazione.

Dal momento che il danno alla persona è, da un lato, indennizzato dall’Inail (mentre prima non lo era) e, dall’altro, risarcito, come (unitario ed onnicomprensivo) danno non patrimoniale biologico, dalla nuova normativa dettata dal D. Lgs. n.209/2005, e dal momento che vi è omogeneità tra titoli indennitari e risarcitori (secondo l’ormai legislativamente accolta configurazione bipolare che esclude “generi” di danno diversi dal patrimoniale e dal non patrimoniale), ciò che va garantito è l’integrale ristoro del danno, e non la maggiorazione del risarcimento, essendo funzione, ma anche limite del risarcimento - giova ribadire - la riparazione del pregiudizio effettivamente subito e non più.

Già secondo Corte cost. n.134 del 22/6/1971, il lavoratore ha diritto all’integrale risarcimento ed a questo soltanto: il favor verso il lavoratore ha consentito di addossare in ogni caso all’Inail le prestazioni previdenziali, ma queste assumono semplicemente carattere di “anticipazione rispetto all’obbligo risarcitorio del responsabile”, perché il risarcimento deve essere corrispondente al danno effettivamente subito, senza mai poter divenire fonte di lucro per il danneggiato, secondo quanto risulta anche dall’art.1910 c.c.

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Per la Corte, se è vero che nella specie risultano due pretese, nei confronti dell’Inail e del responsabile, ciò è disposto a favore del lavoratore infortunato, al quale si vuole garantire in ogni caso (anche quando il risarcimento ritardi o non possa ottenersi per esclusiva colpa del lavoratore) il diritto alle prestazioni previdenziali.

Se si cumulassero queste con il risarcimento, in conseguenza del medesimo evento lesivo, si determinerebbe un indebito arricchimento del lavoratore infortunato.

Il principio in parola, d’altra parte, è enunciato dall’art. 10, c.6 e 7 del D.P.R.

n.1124/1965, secondo cui non si fa luogo a risarcimento per gli infortuni sul lavoro, quando il giudice riconosca che esso non ascende a somma maggiore dell’indennità liquidata dall’Inail e che, ove si faccia luogo a risarcimento, questo è dovuto solo per la parte che eccede l’importo delle indennità erogate dall’Inail.

IL RAFFRONTO TRA IL COMPLESSIVO AMMONTARE DEL RISARCIMENTO E L’IMPORTO TOTALE DELLE PRESTAZIONI INAIL

Come detto, a parte l’ipotesi della surroga nei confronti della impresa di assicurazione, soggetta anche al limite del massimale assicurato, il diritto di rivalsa dell’Inail, in generale, incontra (oltre, naturalmente, al limite dell’importo delle prestazioni erogate) quello dell’ammontare del risarcimento dovuto al danneggiato, nell’ambito della ordinaria responsabilità civile.

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Ciò significa che una volta quantificato il danno civilisticamente risarcibile, l’Inail ha diritto di rivalsa nei limiti del costo dell’infortunio.

Il diritto di surroga dell’Inail, una volta esercitato, delimita, altresì, la pretesa risarcitoria che il danneggiato può azionare nei confronti del danneggiante, facendogli perdere addirittura la legittimazione ad agire in via risarcitoria fino alla concorrenza dell’indennità corrisposta dall’assicuratore sociale (Cass. Sez. III, 17/1/2003 n.604).

Al lavoratore infortunato, dunque, spetta il risarcimento solo nella misura differenziale derivante dal raffronto tra l’ammontare complessivo del risarcimento e quello delle indennità liquidate dall’Inail in dipendenza dell’infortunio, al fine di evitare una ingiustificata locupletazione (risarcimento + indennità).

Tale danno differenziale, quindi, deve essere determinato sottraendo dall’importo del danno complessivo (liquidato dal Giudice secondo i principi ed i criteri civilistici) quello delle prestazioni erogate dall’Inail, tenendo conto dei rispettivi valori come attualizzati alla data della decisione (Cass. Sez. III, 25/5/2004 n.10035;

12/12/1996 n.11073).

Inoltre, per costante giurisprudenza, in sede di rivalsa, l’Inail può pretendere il rimborso tanto dei ratei già versati che il valore capitalizzato delle prestazioni future : ciò in applicazione degli artt. 10 e 11 DPR n. 1124/1965, costituenti affermazione di un principio di carattere generale (Cass. n.6013/1985; 24/6/1993 n.6996;

25/11/2002 n.16563).

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Nell’ipotesi, poi, di concorso di colpa dell’infortunato, il diritto dell’Inail che ha corrisposto le prestazioni, non è limitato alla quota di indennità proporzionale al grado di colpa del terzo responsabile, ma si estende all’intero ammontare delle indennità corrisposte, sempre e soltanto entro i limiti delle somme effettivamente dovute dall’autore del danno. In altre parole, il concorso di colpa comporta la riduzione del risarcimento globale, ma non della somma pretesa in via di surroga (Cass. 11/2/1988 n.1488; 17/1/1992 n.524).

La regola del raffronto tra il complessivo ammontare del risarcimento e l’importo totale delle prestazioni INAIL vale anche nel caso in cui il risarcimento sia limitato al danno non patrimoniale (per difetto, nella concreta fattispecie, di un pregiudizio di natura patrimoniale), mentre l’Inail, dal canto suo, abbia erogato l’indennizzo in rendita (per menomazioni di grado pari o superiore al 16%), come tale comprensivo sia del danno non patrimoniale biologico che delle “conseguenze patrimoniali”.

L’opinione esposta in altro articolo (“I limiti della rivalsa dell’Inail” in Altalex.com 15/2/2005) sembra trovare adesso un più vasto consenso, una volta che ci si è resi

conto che, non di convincimento soggettivo si tratta, bensì di ragionamento

“matematico”, seguendo il quale, da un canto, viene riconosciuto, per intero, il

“diritto” di surroga dell’assicuratore sociale, dall’altro, viene pure integralmente ristorato il danno del lavoratore, evitando nel contempo una ingiustificata locupletazione, per il maggior “differenziale” che il soggetto leso verrebbe, in concreto, a percepire.

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Ogni contraria opinione porterebbe a disattendere il “principio indennitario”.

La “prova del nove” è data, comunque, dall’esame del seguente caso pratico.

L’Inail, avendo accertato, nella concreta fattispecie, un grado di menomazione del 29% (di danno alla integrità psicofisica) ha riconosciuto a favore dell’infortunato Rossi, oltre alla temporanea , una rendita di € 37.125,94 di cui € 19.805,58 per danno biologico ed € 17.320,36 per le “conseguenze patrimoniali”.

Nell’ambito della ordinaria responsabilità civile, il danno biologico del sig. Rossi è stato valutato nel 25%.

Considerando, per quanto concerne il calcolo civilistico del danno, il solo pregiudizio di natura biologica (in quanto sufficiente a coprire per intero il costo Inail dell’infortunio pari ad € 41.916,35 ), è risultato, in applicazione delle tabelle del locale Tribunale, una liquidazione di € 52.925,00 (tenuto conto, ovviamente, dell’età del danneggiato).

Orbene, scindendo il danno biologico Inail (€ 19.805,58) dalla quota per le

“conseguenze patrimoniali” (€ 17.320,36) e non applicando la regola del raffronto tra il complessivo ammontare del risarcimento e l’importo totale delle prestazioni INAIL, l’Istituto recupererebbe, non l’intero costo dell’infortunio (rientrante nell’ammontare civilistico del danno), bensì solamente € 19.805,58 oltre, naturalmente, temporanea e spese.

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Il sig. Rossi, dal canto suo, percepirebbe le prestazioni, per intero, dall’Inail (tra cui € 37.125,94 per la rendita ex art.13, c.2 del D. Leg.vo 38/2000), oltre al risarcimento del biologico “differenziale” di € 33.119,42 (€ 52.925,00 - € 19.805,58).

In definitiva, il sig. Rossi, per l’invalidità permanente, derivante dallo stesso evento, percepirebbe € 37.125,94 (dall’Inail) + € 33.119,42 (dal responsabile civile): in totale € 70.245,36 a fronte di un danno civilistico per invalidità permanente di € 52.925,00 lucrando così € 17.320,36.

Per contro se, come si ritiene più corretto, il diritto di rivalsa dell’Inail deve estendersi

“fino alla concorrenza dell’ammontare delle prestazioni”, l’Istituto recupererà l’intero importo della rendita erogata al sig. Rossi (€ 37.125,94), oltre naturalmente temporanea e spese, ed il sig. Rossi, dal canto suo, percepirà € 37.125,94 dall’Inail, più € 15.799,06 dal responsabile civile (che ripartisce il risarcimento della invalidità permanente, pari ad € 52.925,00 corrispondendo € 37.125,94 all’Inail per la rivalsa, ed € 15.799,06 al sig. Rossi).

In tal modo, l’Inail recupererà l’intero costo dell’infortunio e il lavoratore danneggiato otterrà l’integrale risarcimento (€ 37.125,94 + € 15.799,06 = € 52.925,00).

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