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Sommario 2010 - 2015: cinque anni per reinvestire sul futuro

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Introduzione 3

“Un Codice di condotta vincolante” 6

per gli Obiettivi di sviluppo del millennio Sergio Marelli

Obiettivi di sviluppo del millennio in vista del 10 United Nations High-level Plenary Meeting on the

Millennium Development Goals Elisabetta Belloni

Summit 2010 sugli MDG: 16

l’occasione per una scelta di coerenza Marta Guglielmetti

Dichiarazioni durante le udienze MDG 20

con la società civile ed il settore privato Aldo Caliari

2015: Cinque anni per costruire un partenariato 23 vincente per lo sviluppo

CIDSE/FOCSIV

EU: Council conclusions on the Millennium Development 62 Goals for the United Nations High-Level Plenary meeting

in New York PRIMO PIANO

DOSSIER

Sommario

2010 - 2015: cinque anni per reinvestire sul futuro

DOCUMENTI

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Introduzione

“Il ritardo nell’implementazione degli Obiettivi di sviluppo del millennio non é dovuto alla loro inattuabilità o a tempi troppo brevi a disposizione, bensì ad impe- gni che non sono stati rispettati, all’inadeguatezza delle risorse, all’incapacità di fo- calizzarsi su quegli obiettivi, alla mancanza di accountability e ad un interessamen- to insufficiente nei confronti dello sviluppo sostenibile. Ciò ha portato all’incapacità di fornire il necessario supporto finanziario, tecnico e di servizi nonché una part- nership adeguata. Come conseguenza di tale deficit, aggravato dalle crisi alimenta- re ed economica globali oltre che dal fallimento di svariati programmi e politiche di sviluppo, il miglioramento delle vite dei più poveri è stato insopportabilmente lento e alcune difficili vittorie sono sul punto di essere totalmente vanificate”.1

Tali parole di critica e preoccupazione provengono dal recente rapporto di Ban Ki-moon Keeping the promise. Il documento del Segretario Generale dell’ONU fa il punto sui risultati raggiunti dalla comunità internazionale ne- gli ultimi dieci anni circa l’implementazione degli Obiettivi di sviluppo del millennio (di seguito MDG o MDGs), ponendo l’accento sulle gravi lacune ancora presenti. Per colmare le quali è stato dunque indetto il Summit delle Nazioni Unite del 20-22 settembre scorsi, volto a richiamare tutti gli attori dello sviluppo alle responsabilità assunte con la Dichiarazione del Millennio del 2000 e a stabilire una nuova e più stringente agenda per il rispetto della scadenza, ormai prossima, del 2015.

Nonostante l’entusiasmo variamente diffusosi a seguito dell’individuazio- ne degli otto Obiettivi nel dicembre 2000, infatti, l’attualità mostra come, a cinque anni dalla data termine per la loro realizzazione, troppo sia rimasto ancora da fare. Le responsabilità e le colpe a riguardo vengono addebitate vi- cendevolmente tra Paesi ricchi e Paesi in via di sviluppo (PVS). Questi ulti- mi si sono impegnati ad attuare i primi sette obiettivi, comprendenti il di- mezzamento della povertà estrema e la lotta alla fame, l’universalizzazione

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1 Ban Ki-moon, Keeping the promise: a forward-looking review to promote an agreed ac- tion agenda to achieve the Millennium Development Goals by 2015, par. 116, http://www.un.org/ga/search/view_doc.asp?symbol=A/64/665

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dell’educazione primaria, la promozione dell’eguaglianza di genere e l’em- powerment delle donne, il miglioramento della salute materno - infantile, la lotta a flagelli quali l’AIDS e la malaria ed uno sviluppo ecologicamente so- stenibile. A fronte di simili necessità, però, è evidente come la mancanza di risorse e l’inconsistenza dell’azione di molti Paesi donatori abbiano minato alla radice gli sforzi profusi in altri settori. Questi ultimi, infatti, si sono im- pegnati a porre in essere l’MDG8 (sviluppare un partenariato globale per lo svi- luppo), vale a dire la previsione di Aiuti Pubblici allo Sviluppo (APS), il so- stegno al commercio, la riduzione del debito, l’accesso ai farmaci essenziali e l’accesso alle nuove tecnologie; a dieci anni di distanza, però, le risorse pro- fuse sono ancora insufficienti e la tendenza non lascia ben sperare per gli an- ni a venire.

Le considerazioni che sugli MDG stessi sono state rese in vista del sum- mit differivano tra loro. Da più parti si è sottolineato come, a dispetto di al- cune mete parziali raggiunte, siano proprio gli MDG così come formulati nel 2000 ad essere poco ambiziosi, a mediare troppo tra volontà politiche con- trastanti, a riferirsi solo agli effetti e non alle cause del sottosviluppo, a non essere dunque bastevoli. Da un altro lato si è imputato il ritardo alle molte- plici crisi intercorse nel frattempo. Infine alcune voci hanno affermato come l’essersi dati degli obiettivi limitati abbia permesso la creazione di un quadro di riferimento più concreto, fondamentale per galvanizzare l’operato dei vari attori nel campo dello sviluppo: una visione più pragmatica, forse, ma che ri- nuncia alla spinta idealista necessaria in momenti ardui come questo. Tali obiettivi possono essere basilari quali punto di partenza, ma è ormai certa la loro insufficienza, a detta sia dei governi dei PVS sia di molte Organizzazioni della società civile ed ONG.

Ed è proprio dal mondo dell’associazionismo e del volontariato per lo svi- luppo che da tempo proviene una spinta di monitoraggio e proposizione atti- va ed incalzante: i rapporti ed i documenti diffusi in vista dell’incontro di New York non hanno fatto sconti sulle responsabilità disattese e hanno pro- posto aggiustamenti chiari e puntuali, necessari se non altro al fine di rag- giungere, nei tempi previsti, quei traguardi sperati e promessi nel 2000. Mete la cui posticipazione ulteriore produrrà, come si fa monito da più parti (non ultimo lo stesso rapporto di Ban Ki-moon), non “solo” il mantenimento di milioni di persone nel sottosviluppo, ma anche un incremento di violenza ed instabilità che, nell’era dell’interdipendenza sempre più marcata, si potreb- bero ripercuotere a livello globale.

Cosa è stato, dunque, delle incitazioni del Segretario Generale ONU?

Cosa è stato prodotto dall’incontro dei Capi di Stato e Governo al Palazzo di Vetro?

Il risultato finale del Summit pare ai più pessimisti (o forse realisti?) non molto più che un buco nell’acqua. Il documento ufficiale finale indica, per ogni MDG, le azioni che gli Stati hanno deciso di intraprendere da qui al 2015. In realtà, però, molte di queste paiono delle semplici riproposizioni del passato, riprese e riaffermate con la classica solennità che caratterizza le riu- nioni “onusiane” di tale livello. I grandi della terra si sono impegnati, tra l’altro, in una nuova iniziativa per la tutela della salute materno - infantile:

40 miliardi di dollari da stanziare in 5 anni. Questo impegno, tuttavia, non fa che aggiungersi ai tanti altri non totalmente mantenuti: basti pensare ai 50 miliardi di dollari annui promessi a Gleneagles nel 2005 per la lotta alla povertà, o ai 22 miliardi di dollari del G8 de L’Aquila da stanziare per la si- curezza alimentare, o ancora a quello 0,7% del Pil per gli APS di cui i Paesi

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ricchi fanno fatica a ricordarsi. Il rischio è dunque che questa nuova propo- sta di stanziamenti non porti, ancora una volta, a nulla di concreto.

Ad occhi più speranzosi si rilevano, nonostante ciò, delle novità, tra cui l’idea di alcuni Capi di Stato di Paesi industrializzati di tassare le transazioni finanziarie (FTT): una richiesta decennale del mondo dell’associazionismo e del volontariato, caldeggiata anche da FOCSIV, che raggiunge finalmente la risonanza internazionale necessaria per un’eventuale futura implementazione.

Basteranno le rinnovate intenzioni a farci recuperare il tempo perduto?

Ci impegneremo davvero per ottenere in cinque anni ciò che non è stato in- teresse dei Paesi più facoltosi conseguire in un decennio? Oppure dovremo assistere, nel 2015, ad un ulteriore posticipo di responsabilità palesemente indifferibili?

Nel presente numero di Volontari e Terzo Mondo analizziamo la situazio- ne dell’implementazione degli MDG all’indomani del Summit delle Nazioni Unite e mentre è ancora in corso l’annuale riunione dell’Assemblea Genera- le. Ne osserviamo risultati e manchevolezze attraverso gli occhi di diversi or- ganismi che lavorano nella cooperazione internazionale, sia non governativi sia istituzionali. In primo piano trovate dunque il punto di vista di Sergio Marelli, Segretario Generale FOCSIV, preoccupato per i ritardi ed i rimpalli di responsabilità tra Paesi del Nord e dei Sud del mondo, nonché per l’esito inconsistente della riunione “onusiana”. Gli fa eco Marta Guglielmetti, Coordinatrice per l’Italia della Campagna del Millennio delle Nazioni Uni- te, evidenziando la potenziale centralità del Summit di New York per la defi- nizione di azioni decise a favore dei più poveri. Aldo Caliari di Center of Concern/CIDSE sottolinea, tra l’altro, l’importanza di introdurre le FTT e ribadisce la speranza che, nonostante tutto, gli MDG siano effettivamente implementati entro il 2015, al fine di riuscire ad affrontare le sfide che segui- ranno tale data. Il Direttore Generale per la Cooperazione allo Sviluppo del Ministero degli Affari Esteri, Elisabetta Belloni, enuclea nel suo contributo l’operato del Governo Italiano e la prospettiva attualmente assunta dall’Ita- lia nell’ambito della cooperazione internazionale e del Summit. Nella sezio- ne Dossier pubblichiamo il documento di posizione di CIDSE/FOCSIV pre- sentato in vista del Vertice sugli MDG, nel quale si enucleano proposte puntuali e concrete per la realizzazione degli Obiettivi nei termini attesi. In- fine, nella parte documenti, inseriamo le Conclusioni del Consiglio Affari Esteri dell’Unione Europea di Lussemburgo (14 giugno 2010) relativo agli Obiettivi di sviluppo del millennio, definite in previsione del meeting ONU appena conclusosi.

FOCSIV - Volontari nel mondo

I N T R O D U Z I O N E

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P R I M O P I A N O

A due terzi dell’arco temporale fissato per il raggiungimento degli Obiet- tivi di Sviluppo del Millennio (MDGs), l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite è stata chiamata ad una scelta di non facile soluzione: mantenere la barra a dritta verso gli otto Obiettivi e, di conseguenza, imporre una svolta decisa alle politiche e prassi sin qui adottate per la loro implementazione, oppure dotarsi di nuovi target e nuovi piani rassegnandosi ad un adattamen- to alle tendenze rilevate e alle scelte miopi ed irresponsabili dei Governi nazionali.

Come spesso accade in simili frangenti, le due scuole di pensiero che si contraddistinguono in seno alla comunità internazionale si misurano a suon di proposte o, molto più spesso, di accuse incrociate tendenti a scaricare su altri la responsabilità degli insuccessi o degli insufficienti progressi ottenuti, mascherando le responsabilità proprie anche quando ben maggiori. Da un la- to si schierano, così, coloro che ritengono già positivi i risultati conseguiti perché ritenuti proporzionati con la congiuntura economica e politica attua- le, dall’altro troviamo i fautori della necessità di una maggiore risolutezza nell’applicazione delle decisioni comunemente assunte in sedi istituzionali.

Queste due scuole di pensiero, che affiliano i diversi soggetti attivi nel cam- po della politica e della diplomazia internazionale, si sono confrontate per tutta la storia degli MDGs sin dalla loro individuazione. Infatti quando nel dicembre dell’anno 2000, tre mesi dopo l’adozione in sede di Assemblea Ge- nerale della Dichiarazione del Millennio, i 189 Stati membri dell’ONU hanno unanimemente adottato gli otto Millennium Development Goals,1 si manife- starono atteggiamenti e giudizi contrapposti ancora oggi alternativamente citati a sostegno e riconoscimento o a detrazione e critica dei progressi com- piuti verso il loro raggiungimento. Nell’impossibilità di citare qui tutte le sfumature e i posizionamenti emersi all’epoca, penso opportuno tracciare i tratti salienti del dibattito mai sopito tra le posizioni più significativamente divergenti.

* Segretario Generale FOCSIV - Volontari nel mondo

“Un Codice di condotta

vincolante” per gli Obiettivi di sviluppo del millennio

Sergio Marelli *

Sud e Nord:

due visioni contrapposte

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1 http://www.undp.org/mdg/basics.shtml

http://www.un.org/millennium/declaration/ares552e.pdf

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Con la maggioranza delle Organizzazioni della società civile e delle ONG al loro fianco, i Governi dei Paesi in Via di Sviluppo (PVS) evidenziarono immediatamente la parzialità e la scarsa ambizione dei target fissati. I conte- nuti del primo degli otto Obiettivi è in tal senso esempio eloquente. Porsi come traguardo il “dimezzamento della povertà estrema e della fame” entro il 2015 rappresentava per essi abdicare alla possibilità ammessa dalle disponibi- lità di risorse umane, tecniche ed economiche di porre fine una volta per tutte a quello che viene considerato come il più grande scandalo persistente all’alba del terzo millennio. In altri termini, veniva non senza ragione sotto- lineato come l’accontentarsi del fatto che “solo” 500 milioni di persone con- tinuassero a non disporre di cibo in quantità e qualità adeguate a scadenza quindicinale sembrava ai Paesi del Sud del mondo – dove il dato ha inciden- za rilevantissima – una mediazione eccessiva. Ammettere ciò in sede decisio- nale e documentale, si sosteneva, è atto alquanto pericoloso data la consape- volezza della reiterata incongruenza tra “fatti e parole” dei Governi e delle Istituzioni in fase di loro implementazione. Una posizione, questa, decisa- mente controtendenza rispetto al plauso e per certi versi all’entusiasmo ma- nifestato dai Paesi donatori, a loro volta sostenuti da qualche realtà non go- vernativa, all’adozione degli MDGs. Essi, infatti, consideravano la Dichiarazione e gli otto Obiettivi una pietra miliare sulla quale fondare e rio- rientare le politiche e le strategie dell’Aiuto Pubblico allo Sviluppo. Ne è prova il fatto che, per molti anni di questa prima decade del nuovo secolo, la letteratura, i documenti e la retorica delle istituzioni traboccano di riferi- menti, citazioni e mistificazioni degli MDGs.

Personalmente devo dire che la mia posizione è sempre stata vicina a quella dei PVS, non tanto e non solo per le motivazioni sopra accennate, quanto perché convinto della fallacità degli MDGs così come stigmatizzati dall’Assemblea Generale. Ad un’analisi meno superficiale ed emotiva, riten- go si possa concordare sul fatto che gli MDGs scontano un peccato originale che fin dalla loro adozione preludeva al loro fallimento. Essi sono stati infatti elaborati riferendosi unicamente a ciò che tutte le teorie dello sviluppo ri- tengono essere “effetti” o “conseguenze” di strutture, meccanismi e politiche distorte e distorsive. Piuttosto che aggredire le “cause”, gli MDGs paventano parziali lenimenti agli effetti di un’ingiustizia strutturale che al contrario la- sciano inalterata. Anche a fronte di un ipotetico pieno raggiungimento, dato definitivamente smentito già dalle statistiche e dalle valutazioni rese pubbli- che in vista del Vertice di settembre, resta più che fondato il dubbio circa la probabile rigenerazione automatica dei medesimi “effetti” dopo il 2015 e am- manta l’adozione degli Obiettivi di filantropismo politico e di mediaticità istituzionale. Tant’è che, nel pieno dell’implementazione del piano di azione connesso con gli MDGs, nulla ha impedito né frenato le speculazioni finan- ziarie operate sulle derrate agricole, portando alla crisi alimentare globale di fine 2007. All’apice del dispiegamento dei suoi effetti sui mercati e sul potere di acquisto delle persone e dei poveri in particolare, tale crisi ha azzerato ogni sforzo sino a lì compiuto con la lotta alla fame nel mondo, facendo addirittura crescere a ritmo di 100 milioni all’anno le persone che la FAO definisce come “affette da malnutrizione cronica”2e che io continuo sempli- cemente a chiamare “affamati”. Questa crisi, anticipata da quella ambientale e climatica e seguita dallo tsunami economico e finanziario di fine 2008, è a sua volta divenuta oggetto di confronto e di dibattito nella comunità

P R I M O P I A N O / Un Codice di condotta vincolante

Gli MDGs sono solo dei palliativi

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2 FAO, Rapporto annuale 2009, http://www.fao.org/docrep/012/i0680e/i0680e.pdf

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Il disimpegno dei Paesi del Nord ...

internazionale. Nel corso delle Conferenze Internazionali indette dalle Na- zioni Unite per affrontarne gli effetti e gli impatti sullo sviluppo3, il confron- to tra le diplomazie del Nord e dei Sud del mondo e i dibattiti in seno alla società civile internazionale hanno portato ad uno stallo che vede oggi le prime arroccate sul richiedere ai PVS una maggior “qualità” e responsabilità nell’utilizzo degli Aiuti, e quelle dei Sud convinte che l’ormai inevitabile fal- limento degli MDGs sia da imputare al disimpegno, peraltro evidente, dei Paesi donatori nel mantenimento delle promesse e dei target definiti soprat- tutto in materia di stanziamento di risorse economiche. Senza dubbio, la sag- gezza e la morigeratezza condurrebbero a distribuire torti e ragioni tra le due parti. Certo è, però, che senza nulla togliere alla necessità di una qualità ac- cresciuta nell’utilizzo degli aiuti – a patto che, come sostenuto dalle ONG sin da tempi remoti e antecedenti alla “scoperta” delle istituzioni, tale impe- gno sia riferito tanto ai PVS quanto ai Donatori – la questione della quantità resta oggi una precondizione determinante. Gli indicatori di qualità si devo- no poter applicare ad un ammontare di risorse adeguato, quindi sicuramente di gran lunga superiore a quello attualmente stanziato, pena l’inutilità o, an- cora peggio, la strumentalità di simili strategie. Lo slogan “piccolo è bello” – già di per se non scevro da ripensamenti – non può essere parafrasato in un istituzionale “poco è bello”: in gioco restano i diritti e la vita di miliardi di persone. Senza un riallineamento con gli impegni assunti in sede di Nazioni Unite, di Commissione Europea e reiterati da G8 e G20, dedicarsi alla “qua- lità” resta un effimero lusso per funzionari e accademici ben retribuiti.

Del resto quello del disimpegno degli Stati donatori del Nord del mondo è uno dei punti maggiormente sottolineati nel Rapporto che il Segretario Generale delle Nazioni Unite ha predisposto in preparazione al Vertice di settembre scorso.4Basato su diversi altri documenti e valutazioni realizzate nel corso degli ultimi due anni circa lo stato di attuazione degli MDGs,5 nonché sui numerosi contributi offerti dalle ONG e dalle organizzazioni di società civile a più riprese consultate nel corso del decennio, esso evidenzia chiaramente come proseguendo con le attuali tendenze gli Obiettivi di Svi- luppo non potranno assolutamente essere raggiunti entro la fissata scadenza del 2015 “… moltiplicando instabilità, violenza …” oltre alle epidemie e malattie.6Un richiamo quanto mai pertinente e del tutto sottovalutato da parte di molti. L’enfasi posta sugli effetti presunti degli MDGs sullo sviluppo

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3 UNCTAD XII, ACCRA, Ghana, 20-25 aprile 2008

International Conference on Financing for Development, DOHA, Qatar, 29 novembre – 2 dicembre 2008

G20 London Summit 2009, 2 aprile 2009

High-level Dialogue on Financing for Development New York 23-24 Marzo 2010 G20 Toronto Summit 2010, 26 giugno 2010

4 “Keeping the Promise. A forward-looking review to promote an agreed action agenda to achieve the MDGs by 2015” - Report of the Secretary-General of the United Nation

5 the Task Force Report on Innovative International Financing for Health (The Consen- sus for Maternal, Newborn and Child Health, 2009), the Secretary-General’s Millen- nium Development Goals Report 2009, the MDG Africa Steering Group Recommenda- tions: Achieving the Millennium Development Goals in Africa (June 2008), the UN Millennium Project (Investing in Development, 2005), Rethinking Poverty: Report on the World Social Situation 2010 (RWSS 2010) and others.

6 “With five years to go to the MDGs target date of 2015, the prospect of falling short of the Goals due to lack of commitment is very real. This would be an unacceptable failu- re, moral and practical. If we fail, the dangers in the world – instability, violence, epide- mic diseases, environmental degradation, runaway population growth – will all be multi- plied.” ( Secretary-General Report cap 1.4)

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dei Paesi poveri, infatti, ha da subito sottovalutato - inconsapevolmente o strumentalmente – quanto a più riprese evidenziato dall’allora Segretario Generale ONU Kofi Annan nei documenti di introduzione dell’argomento agli Stati membri. Il fatto, cioè, che gli Obiettivi avessero anche una loro irri- nunciabilità dal punto di vista della sicurezza e della stabilità globali. Di pari importanza con la diminuzione della povertà e i conseguenti effetti sulle po- polazioni povere, lo spirito della proposta originaria del 2000 ammetteva gli MDGs come traguardi indispensabili a garantire un futuro di convivenza pa- cifica e di prosperità sostenibile anche per gli stessi Paesi donatori. Il mio e nostro impegno profuso per sostenere tale duplicità di intenti e di finalità è stato completamente annullato da una persistente visione di superiorità dai tratti umanitari e assistenziali che ancora oggigiorno pervade le istituzioni dei Paesi ricchi.

Penso di poter dire ormai che le poche chances che rimangono per il rag- giungimento dei diritti fondamentali sottesi agli MDGs entro il 2015 risiedo- no nella volontà dei Governi nazionali di considerarli una priorità di investi- mento svincolando definitivamente lo stanziamento delle risorse necessarie alla loro implementazione dalla logica dettata dalla necessaria riduzione del- la spesa pubblica. L’esperienza sin qui accumulata non ci rende certo ottimi- sti. Il Vertice del 20-22 settembre scorso lascia ancora una volta l’amaro in bocca a tutti coloro che, nella gravità di simili contingenze, sperava in una presa di coscienza concreta, seppur timida, della comunità internazionale. Il documento finale adottato appare come un’edulcorata riproposizione di im- pegni già assunti e per i quali non vengono specificati con chiarezza i limiti temporali di implementazione. Agli esercizi di retorica di alcuni Capi di Sta- to di Paesi del Nord, tra cui la tanto apprezzata proposta del presidente fran- cese Sarkozy di introdurre una tassazione sulle transazioni finanziarie (FTT), non seguono, almeno nell’immediato, riscontri consistenti. I 40 miliardi di dollari ulteriormente stanziati per la salute materno – infantile non serviran- no ad eliminare le cause profonde di tali problemi se non verranno rispettati i precedenti accordi, se non verranno davvero stanziate quelle risorse che i Paesi ricchi sembrano ormai assuefatti a promettere al riproporsi di ogni meeting sullo sviluppo.

L’inversione di tendenza richiesta ai decisori della politica avrebbe potu- to essere indotta o quanto meno spronata dall’adozione, in sede di Assem- blea Generale, di un “codice etico di condotta vincolante”. La “moral sua- sion” esercitata da simili strumenti, unico vero potere esercitabile dalle Nazioni Unite nei confronti della sovranità decisionale degli Stati membri, è una delle proposte più interessanti che ho colto partecipando all’ultima con- sultazione della società civile tenutasi a New York lo scorso 14 e 15 giugno.

Una proposta subito condivisa e supportata dalla FOCSIV e da buona parte delle ONG attive nell’interlocuzione su questi temi e che conta su interes- santi precedenti – come nel caso delle linee guida della FAO in materia di alimentazione e di diritto al cibo – che avrebbero potuto servire da riferi- mento e ispirazione.

All’indomani del Vertice il mondo attende ancora risposte effettive, nel- la speranza che il dubbio circa la realizzazione degli MDGs non si tramuti nella sconsolata certezza della loro inutilità. Se tutto si rivelerà disatteso e vano, non resterà che considerare gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio co- me degli indicatori di tendenza coi quali istruire le valutazioni e le misurazio- ni delle politiche di sviluppo praticate. Al caro prezzo di milioni di vite uma- ne. Ma di questo, presto o tardi, qualcuno dovrà rispondere.

P R I M O P I A N O / Un Codice di condotta vincolante

... e le sue ripercussioni globali

Un summit senza

soluzioni

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Mi auguro che il Vertice sugli Obiettivi del Millennio (MDGs) del pros- simo settembre, a due terzi del percorso verso il 2015, serva soprattutto ad uno scopo. Mi auguro che serva a verificare se, e fino a che punto, la comu- nità internazionale intenda davvero aggiornare la propria agenda. Un’agen- da internazionale che voglia mettere sul serio al primo posto i diritti fonda- mentali delle persone, delle loro comunità di appartenenza e dei rispettivi popoli non può non subire aggiornamenti.

Dalla competizione alla collaborazione, da una visione angusta degli in- teressi nazionali, in un gioco inevitabilmente a somma zero, alla ricerca delle sinergie e delle complementarietà, dalla ragion di stato a quella che potrem- mo ormai definire una ‘ragion di pianeta’. Occorre guardare agli interessi ve- ri del nostro pianeta minacciato, che passano doverosamente per gli interessi dei più piccoli, dei più poveri, dei più fragili.

Credo che, nel loro complesso, le linee di fondo della politica estera ita- liana dal dopoguerra a oggi tendano in questa direzione. Che si tratti di sicu- rezza e stabilità, di cooperazione economica e culturale o di aiuto allo svilup- po, alla nostra politica estera difficilmente può essere negato un saldo ancoraggio ai valori costituzionali di pace e collaborazione internazionale che, di quest’agenda rinnovata, devono costituire il fondamento.

Non è retorica asserire che tale ancoraggio trae la sua forza, in primo luo- go, dalle motivazioni solidaristiche e dall’apertura internazionale che, in va- rio modo, caratterizzano profondamente la nostra società civile, il nostro tes- suto imprenditoriale e direi, in sintesi, la largamente prevalente parte migliore del nostro Paese.

Obiettivi di sviluppo del millennio in vista del

United Nations High-level Plenary Meeting on the

Millennium Development Goals

20-22 settembre 2010, New York

Min. Plen. Elisabetta Belloni *

* D i r e t t o r e G e n e r a l e d e l l a C o o p e r a z i o n e allo Sviluppo - Mini- s t e r o d e g l i A f f a r i Esteri

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1

L’Italia non ha interessi d’impronta neo-coloniale da perseguire; non ha un’economia dominata da grandi multinazionali con proprie agende, spesso confliggenti con quelle professate dagli Stati di riferimento e con gli interessi dei Paesi poveri d’insediamento; non ha un sistema finanziario spericolato e potenzialmente nocivo per quella stabilità economica internazionale che, vedendo gli effetti della recente crisi finanziaria sui Paesi meno avanzati, tut- ti ormai considerano un bene primario, un ‘global public good’ di fondamen- tale importanza per i Paesi in via di sviluppo.

Al contrario, il nostro sistema Paese, per le sue caratteristiche strutturali e per i valori che lo attraversano, è naturalmente propenso alla e proiettato verso la collaborazione ed il co-sviluppo, verso l’aiuto e l’ascolto delle neces- sità altrui, perfettamente compatibili con il perseguimento dei legittimi inte- ressi dei suoi molteplici attori.

Tutti questi attori, abbiamo avuto il privilegio di riunirli per la prima vol- ta alla Farnesina, lo scorso giugno, su iniziativa congiunta della Direzione Generale Cooperazione allo Sviluppo del Ministero degli Esteri e della Dire- zione Rapporti Finanziari Internazionali del Ministero Economia e Finanze.

Regioni ed Enti Locali, ONG, Confindustria, Lega delle Cooperative, Università, Fondazioni bancarie e Casse di Risparmio, Croce Rossa e Prote- zione Civile, insieme alle Amministrazioni dello Stato più coinvolte sui temi dello sviluppo, tutti questi soggetti hanno condiviso l’opportunità di attivare concretamente quel ‘sistema Italia della cooperazione’ che, peraltro, è dal 2009 fra le massime priorità delle Linee guida triennali della Cooperazione.

Dobbiamo lavorare con impegno, sotto l’egida di una visione strategica condivisa e aggiornata dell’aiuto italiano allo sviluppo - come ci ha racco- mandato l’OCSE-DAC lo scorso anno - affinché il consenso, subito genera- to da questa iniziativa, produca i primi frutti quanto prima.

Questo, sebbene in tempi tutt’altro che facili per l’Aiuto Pubblico allo Sviluppo dell’Italia, ritengo possa essere uno dei principali contributi – di coerenza e di maggior efficacia di tutti gli attori italiani della solidarietà e della cooperazione internazionali - che potremo dare al raggiungimento degli MDGs e al successo del Vertice del prossimo settembre, in cui l’Italia sarà rappresentata dal Ministro Frattini.

Vi è da sperare che il documento finale del Vertice, i cui negoziati sono ora in corso a New York, accolga le istanze più aggiornate in materia di svi- luppo e lotta alla povertà e punti a risultati concreti e condivisi di forte slan- cio politico, rifuggendo da sterili contrapposizioni fra donatori e riceventi, come quelle che tuttora si fanno strada in seno al G77.

Gli Obiettivi del Millennio ci danno la rotta da seguire verso il 2015, ma non bastano. Da oggi, e nel prossimo quinquennio, è indispensabile rafforza- re l'attenzione su quei targets; dobbiamo raggiungerli e possiamo farcela, ma la povertà, la morte per fame, le pandemie, l'insufficienza dei sistemi educa- tivi e altri nemici da sconfiggere sono gli stessi MDGs a considerarli in modo parziale, entro la scadenza del 2015.

Forse proprio per questo gli Obiettivi sono raggiungibili, come ci dimo- stra il recente rapporto dell’UNDP: perché sono realistici. Di conseguenza, le responsabilità sono ancora maggiori. Le responsabilità vanno condivise pie- namente da parte della comunità internazionale, questo è il senso degli Obiettivi oggi, a dieci anni dalla loro adozione.

P R I M O P I A N O / Obiettivi di Sviluppo del Millennio

La naturale propensione alla cooperazione internazionale

Gli MDGs

non bastano

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Elisabetta Belloni

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1

Maggiore trasparenza e regolamentazione del sistema finanziario internazionale

La responsabilità dei PVS

In questi anni il mondo e l'economia internazionale sono cambiati profondamente. Negli ultimi mesi, con l'Europa che ha visto messa a repen- taglio la sua stessa sicurezza e stabilità finanziarie, i cambiamenti stanno ac- celerando. Il mondo ricco non può più vivere al di sopra dei propri mezzi e una crescita squilibrata e iniqua, che abbia in una finanza sregolata e opaca il suo propellente, non assicura a nessuno benefici di lunga durata.

La cosa più utile che l’Europa può fare per i Paesi in via di sviluppo è non entrare in recessione e, al contrario, rilanciare la sua crescita su basi aggior- nate come quelle fatte proprie dalla nuova ‘Strategia 2020’. Il migliore con- tributo che i Paesi industrializzati, il G8 e, in particolare, i Paesi con i sistemi finanziari più avanzati e sofisticati da cui la crisi è originata possono dare al raggiungimento degli Obiettivi del Millennio consiste nell’evitare che nuove crisi finanziarie devastanti si verifichino.

Dobbiamo puntare a un sistema finanziario internazionale più trasparen- te e meglio regolato, questa è una delle premesse essenziali per quell’enabling environment, per quell’ambiente propizio alla crescita sostenibile nei PVS, che sempre più è considerato fondamentale per raggiungere gli Obiettivi del Millennio.

L’Italia è impegnata a fondo in questo. A titolo nazionale, come G8, nel G20 e anche nell’OCSE, che sotto la presidenza italiana ha raggiunto risul- tati importanti, a fine maggio, proprio su questi aspetti.

Guardiamo con grande interesse ai tanti punti di piena convergenza che esistono fra le linee che abbiamo adottato come Unione Europea per il Ver- tice di settembre e l’eccellente rapporto che l’UNDP ha elaborato sugli MDGs a inizio giugno.

L’UNDP, Agenzia ONU capofila sugli Obiettivi del Millennio, ci inco- raggia e ci orienta verso quei traguardi, nel suo rapporto, evidenziando i gaps persistenti, ma anche i risultati e i successi conseguiti, soprattutto dove Pae- si partner e Paesi donatori hanno saputo agire insieme, con efficacia, sotto la guida attiva e la responsabilità politica dei primi. Le ricette sono pienamen- te condivisibili. I loro ingredienti, come il rapporto UNDP evidenzia, posso- no essere messi insieme solo da una pluralità di attori che sappiano interagire ed essere reciprocamente responsabili.

È chiaramente sotto gli occhi di tutti, oggi più che mai, l’attualità di quello che si è concordato nel Consenso di Monterrey nel 2002 e che è stato ampiamente confermato e consolidato a Doha nel 2008: la responsabilità primaria per il proprio sviluppo è degli stessi PVS. Verso gli Obiettivi del Millennio i loro sforzi, che devono aumentare e migliorare in molte direzio- ni, vanno meglio assistiti dall'impegno dei donatori, dei Paesi emergenti e di tanti altri attori pubblici e privati.

Tuttavia, le loro strategie nazionali, la qualità delle loro istituzioni e dei loro sistemi fiscali, la mobilitazione delle loro risorse domestiche, la lotta alla corruzione, all’evasione e alla fuga di capitali, questi sono strumenti decisivi per gli Obiettivi del Millennio.

Riprendendo quanto evidenziavo all’inizio di questo mio contributo, è anche in questo senso che lo sviluppo deve diventare parte integrante dell’a- genda politica ed economica mondiale. Questo è stato il valore più profondo del G8 presieduto dall’Italia lo scorso anno. Gli Obiettivi del Millennio non devono essere circoscritti nel perimetro della cooperazione allo sviluppo. In quello della Cooperazione italiana sono certamente protagonisti: ogni nostro

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intervento deve essere specificamente finalizzato a un Obiettivo e, quando l’Obiettivo perseguito si suddivide in più ‘targets’, a uno dei suoi targets settoriali.

Gli MDGs, a mio modo di vedere, dobbiamo sempre più concepirli come uno dei traguardi politicamente prioritari anche delle politiche di pace e di sicurezza, perché negli Stati fragili e in conflitto vive un terzo delle persone al di sotto della soglia di povertà estrema. Ma devono diventare anche le finalità cui rivolgere tante altre politiche che possono e devono facilitare e stimolare la crescita nei PVS, da quelle commerciali a quelle sugli inve- stimenti esteri, dalla riduzione dei costi delle rimesse a quelle che devono ridisegnare l’architettura e la governance finanziaria internazionali. Per tutto questo l’Italia è impegnata attivamente in tutte le sedi internazionali rilevanti.

Bisogna evitare di accrescere le duplicazioni e le confusioni di ruoli, che una nuova governance dello sviluppo dovrebbe, invece, aiutarci a superare.

Senza crescita e investimenti, senza micro, piccole e medie imprese vitali e redditizie, senza vera e democratica ownership, rischiamo che i Paesi più ‘off – track’ non raggiungano gli Obiettivi del Millennio. Non solo questo sareb- be in sé gravemente ingiusto, sarebbe anche un danno serio per la stabilità e la crescita mondiali e quindi anche dei Paesi sviluppati, in un’economia glo- bale sempre più interdipendente.

Quelle che ho cercato di enucleare sono le linee principali che, nell’am- bito delle posizioni adottate dall’Unione Europea - in cui ci riconosciamo e che abbiamo fatto oggetto di consultazione con la Coalizione Italiana per la Lotta alla Povertà (GCAP) - ispireranno la partecipazione italiana al Vertice di settembre. Delle posizioni UE vorrei evidenziare, in particolare, quella re- lativa all’approccio ‘rights – based’ agli Obiettivi del Millennio, introdotta su proposta italiana nelle Conclusioni del Consiglio Sviluppo del 14 giugno, ri- prese dalle Conclusioni del Consiglio Europeo del 17 giugno.

I diritti della persona, in un quadro di governance democratica dei proces- si di sviluppo, quanto più possibile rispettosa del principio di sussidiarietà, devono essere posti al centro delle preoccupazioni e degli impegni di tutti gli attori, in primis da parte degli stessi PVS.

Solo così, anche andando oltre i profili talora burocraticamente ‘numeri- ci’ dei criteri della Dichiarazione di Parigi, lo sviluppo sarà sottratto agli an- damenti contingenti degli interessi di volta in volta dominanti, non necessa- riamente sensibili ai veri bisogni delle popolazioni e alle stesse priorità autentiche delle rispettive strategie di lotta alla povertà e di crescita equa e sostenibile.

Anche con questi contenuti intendiamo favorire il successo del Vertice, consapevoli di come l’impegno italiano, nonostante la grave situazione del nostro aiuto pubblico ‘tradizionale’, goda di un consenso largamente ‘biparti- san’, come attestano anche gli ottimi risultati prodotti dal Comitato Obietti- vi del Millennio della Commissione Esteri della Camera dei Deputati.

Se non si rilancia la causa dello sviluppo - in un’ottica aggiornata e non divisiva né tantomeno sterilmente polemica, capace di renderla davvero centrale nell’agenda internazionale - si rischia una battuta d’arresto nella corsa verso un concreto ed effettivo miglioramento delle condizioni di vita nei Paesi più poveri. Anzi, il rischio è una perdita del terreno faticosamente conquistato negli scorsi anni nella lotta alla povertà.

Gli MDGs come traguardi per la pace e la sicurezza mondiali

L’approccio

“rights-based”

Rilanciare lo sviluppo

P R I M O P I A N O / Obiettivi di Sviluppo del Millennio

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Elisabetta Belloni

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La Cooperazione Italiana e l’attenzione verso gli MDGs

La necessità di una ownership democratica

nei PVS

La Cooperazione italiana, qualora disponesse delle necessarie risorse umane e finanziarie - sebbene necessariamente contenute per l’urgenza di ri- durre la spesa pubblica - e di alcuni imprescindibili aggiornamenti normativi, potrebbe avere un ruolo di perno e di catalizzatore nell’azione di sistema, ne- cessaria affinché il nostro Paese concorra con efficacia al raggiungimento de- gli Obiettivi del Millennio anche sul terreno. È il ‘livello Paese’, infatti, che sempre più appare come quello decisivo per la cosiddetta ‘development ef- fectiveness’, l’efficacia per lo sviluppo di tutte le attività ed i flussi finanziari che ad esso sono direttamente o indirettamente connessi.

Gli Obiettivi, fissati nel 2000 dall’Assemblea Generale dell’ONU, ispira- no le politiche di cooperazione italiane, di fatto, sin dagli anni Novanta. La Cooperazione italiana, dotata sin dal 1999 di specifiche linee guida per la lotta alla povertà, che stiamo adesso aggiornando con un’ampia consultazio- ne esterna, si presenta ancora oggi fortemente motivata e orientata verso gli MDGs. Destiniamo gran parte del nostro Aiuto Pubblico allo Sviluppo (APS) al raggiungimento del primo e più generale degli otto Obiettivi, la lotta contro la povertà e la fame, premessa essenziale per poter conseguire e superare tutti gli altri che, d’altronde, sono fra loro strettamente intercon- nessi. Con l’iniziativa del Vertice G8 de L’Aquila sulla sicurezza alimentare (AFSI), proseguita dalla Presidenza canadese di quest’anno, l’Italia ha dato un contributo importante alla stessa razionalizzazione e maggior efficacia del- l’impegno mondiale per la food security. Nel settore agricolo, del resto, anche la peer review dell’OCSE-DAC del 2009 ci ha riconosciuto una leadership in- ternazionale, corroborata dalla stretta collaborazione con il polo romano del- le Nazioni Unite.

Prestiamo grande attenzione alle tematiche di genere. Prova ne sono la Conferenza sull’empowerment femminile lanciata nel 2007, su iniziativa ita- liana, in Africa Occidentale, con i suoi seguiti, e la prossima adozione di ag- giornate Linee guida in materia. Dall’educazione all’ambiente, dalla salute alla governance allo sviluppo della micro e piccola imprenditoria, l’impegno italiano, pur a fronte di una netta riduzione delle risorse finanziarie, rimane convinto e pro-attivo.

Siamo tuttavia consapevoli che occorre unire le forze, mobilitarle tutte verso gli Obiettivi. Solo un dialogo e un confronto costanti con i PVS, non- ché un‘azione concertata e meglio coordinata fra Paesi donatori, Organizza- zioni Internazionali, settore privato e società civile possono accelerare il rag- giungimento degli Obiettivi del Millennio.

È soprattutto indispensabile fare in modo che siano i PVS a far sentire la loro voce, perché sono i veri padroni del loro futuro, cui spetta tracciare il sentiero della loro crescita, all’insegna di una ownership che vogliamo sempre meglio qualificare come democratica affinché il suo carattere inclusivo e par- tecipativo non abbia possibilità di ‘marcia indietro’.

L’Africa e i PVS devono essere considerati a pieno titolo come soggetti politici, non più come beneficiari degli aiuti. È l’approccio che il Ministero degli Esteri ha già messo in campo a Roma, in occasione della Riunione G8 dei Ministri dello Sviluppo dello scorso anno, organizzata dalla mia Direzio- ne Generale. Lì abbiamo discusso, per la prima volta in ambito G8, insieme ad un’ampia e qualificata rappresentanza dell’Unione Africana e della NEPAD (New Partnership for Africa’s Development). Siamo convinti che l’A- frica sia la chiave di volta per far uscire dal sottosviluppo gran parte di quel miliardo di persone che vive oggi in condizioni di povertà estrema, per que- sto le Linee guida triennali della Cooperazione italiana le danno assoluta

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priorità, sia sul versante bilaterale, sia per quanto riguarda il canale multi- bilaterale.

Oggi le strategie della Cooperazione italiana tengono conto dei principa- li orientamenti internazionali in materia di sviluppo. La parola d’ordine è di- ventata “efficacia” degli aiuti. Il processo della “aid effectiveness” che si è af- fermato a Parigi nel 2005 e consolidato ad Accra lo scorso anno, cominciò del resto con la Dichiarazione di Roma sull’armonizzazione fra donatori nel 2000.

Sosteniamo con convinzione l’attuazione dell’agenda dell’efficacia e i suoi principi, oltre e più che per i suoi tecnicismi talora da rivedere, per l’im- pulso che sta dando, dall’approvazione del primo “Piano programmatico per l’efficacia degli aiuti” della Cooperazione italiana nel luglio 2009, al rinno- vamento di concezioni e metodi del nostro fare sviluppo.

Siamo convinti che uno strumento più efficace e più trasparente di coo- perazione pubblica, parte integrante della politica internazionale del Paese gestita dal Ministero degli Esteri, sia anche al servizio della proiezione del- l’intero “sistema Italia” nel mondo, in una delle sue dimensioni eticamente più alte.

Inoltre, uno strumento aggiornato, moderno e migliore - su cui, però, si decida d’investire fosse anche il minimo indispensabile ad agire, nella ma- niera rinnovata in cui intendiamo farlo - è certamente al servizio della sicu- rezza delle nostre città e dei nostri quartieri, rispetto alla pressione migratoria clandestina e ai rischi criminali che spesso la accompagnano.

Il “nuovo corso” dello sviluppo, che promuoviamo e con il quale la Coo- perazione italiana sta cercando di sintonizzarsi operativamente, ha profonda- mente inciso anche sugli Obiettivi di Sviluppo del Millennio. Nati come obiettivi “quantitativi”, sono oggi il trait d’union fra qualità e quantità del- l’aiuto e dei finanziamenti per lo sviluppo in generale.

Oggi coerenza, complementarietà e coordinamento sono concetti indi- spensabili per uno sviluppo concreto ed efficace, per quella ‘development ef- fectiveness’ che, nella nostra visione sempre più condivisa a livello interna- zionale, dovrà prendere il posto, dopo il IV Foro di Seoul del 2011 e verso il traguardo del 2015, di una ‘aid effectiveness’ diventata ormai troppo parziale.

Anche in questo rinnovato scenario, gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio continueranno a rappresentare l’asse portante di tutte le nostre iniziative.

Coerenza, complementarietà

e coordinamento

P R I M O P I A N O / Obiettivi di Sviluppo del Millennio

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Nel 2000, adottando la Dichiarazione del Millennio, 189 Capi di Stato e di Governo si impegnarono ad eliminare la povertà estrema. La solita dichia- razione di intenti da riporre in qualche cassetto e dimenticare? No. Per i fir- matari nel 2000 si trattava di un vero impegno. Per questo accanto alla di- chiarazione è stato stilato un dettagliato piano di azione. Sono stati fissati obiettivi precisi: gli otto Obiettivi del Millennio. Sono state decise le re- sponsabilità reciproche dei Paesi più poveri e dei Paesi più ricchi, tra cui l’I- talia; sono stati decisi tempi e indicatori intermedi per monitorare i progres- si. E infine, ma non meno importante, è stato definito l’approccio: la partnership tra Paesi ricchi e Paesi poveri dovrà basarsi sul rispetto della tito- larità (ownership) dei secondi nel definire le priorità e le strategie di svilup- po nei propri Paesi.

Nel gioco di responsabilità reciproche, i Paesi in via di sviluppo si sono quindi impegnati a raggiungere i primi 7 Obiettivi. I Paesi ricchi si sono im- pegnati a raggiungere l’Obiettivo 8 che stabilisce un “partenariato globale per lo sviluppo” e impegna i Paesi ricchi a raggiungere lo 0,7% del loro PIL in Aiuto Pubblico allo Sviluppo, a migliorare l’efficacia dell’aiuto (in coe- renza con quanto definito negli anni successivi con la Dichiarazione di Parigi e il Piano d’Azione di Accra) e a stabilire delle regole commerciali più eque e rispettose delle economie dei Paesi più poveri.

A dieci anni dalla firma, possiamo affermare che la Dichiarazione del Millennio abbia davvero avuto una sorte diversa rispetto a molti documenti solenni dimenticati o inefficaci? Il piano di azione e la strategia elaborata nel 2000 dai Capi di Stato e di Governo membri delle Nazioni Unite sta funzio- nando? A che punto siamo verso il raggiungimento degli Obiettivi del Mil- lennio? E soprattutto: abbiamo rispettato gli impegni presi verso i più poveri fra i poveri, coloro che sono costretti a vivere in condizioni disumane e che si vedono quotidianamente negati i propri diritti fondamentali?

Per rispondere a queste domande, il prossimo settembre si terrà a New York un importante Summit delle Nazioni Unite proprio sugli Obiettivi del Millennio. Tutti i Capi di Stato e di Governo saranno chiamati a fare il pun- to sui risultati fino ad oggi raggiunti e a definire nuove strategie per accelera- re il processo di riduzione della povertà estrema nel mondo.

Summit 2010 sugli MDG:

l’occasione per una scelta di coerenza

Marta Guglielmetti *

* Coordinatrice della Campagna del Millennio delle Nazioni Unite

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In preparazione al Summit sono già stati diffusi alcuni dati su cui è bene iniziare a riflettere. Il rapporto delle Nazioni Unite sugli Obiettivi del Mil- lennio uscito lo scorso giugno mostra infatti come negli ultimi 10 anni si sia- no registrati risultati senza precedenti nella lotta contro la povertà e come gli Obiettivi del Millennio siano diventati il framework internazionale per la definizione delle politiche di sviluppo, ma mostra altresì come ci siano ritar- di inaccettabili nel raggiungimento di alcuni degli obiettivi intermedi fissati, soprattutto in alcune regioni del mondo come l’Africa Sub - Sahariana. Nel- la lettura dei dati globali, infatti, dobbiamo sempre tenere presente che quando è possibile verificare tali dati con quelli diversificati regione per re- gione si registrano delle differenze a volte davvero consistenti.

Analizzando i dati a disposizione a livello globale, vediamo ad esempio come il primo obiettivo sia a buon punto e come le previsioni dicano che nel 2015 si arriverà effettivamente a dimezzare la percentuale di persone che vi- vono sotto la soglia della povertà estrema. Si tratta di un risultato innegabile ma solo parziale. Rimane infatti inaccettabile pensare che, nonostante ciò, nel 2015 avremo ancora circa 900 milioni di persone che vivono sotto la so- glia della povertà estrema. Rimarrà ancora della strada da percorrere, ma questi risultati ci indicano chiaramente come la via sia quella giusta. Un al- tro esempio positivo è rappresentato dal secondo obiettivo: raggiungere l’i- struzione universale primaria. Progressi davvero sorprendenti sono stati com- piuti anche dai Paesi più poveri tra i poveri nell’Africa Sub - Sahariana.

Ma i dati ci mettono di fronte anche ad un’altra realtà. Inaccettabile e paradossale. Infatti mentre alcuni dei Paesi più poveri hanno raggiunto gli obiettivi intermedi, paradossalmente, il campanello d’allarme ci arriva dai Paesi ricchi, tra cui alcuni membri dell’Unione Europea e in particolare dal- l’Italia. Sono Paesi ancora molto indietro nel mantenere le promesse e gli obblighi presi dinnanzi alla comunità internazionale in nome dei loro citta- dini. E questo meccanismo perverso rischia di penalizzare proprio i Paesi po- veri più virtuosi. Infatti là dove si sono registrati risultati positivi davvero sorprendenti è il meccanismo della partnership globale che ha funzionato.

Ovvero, si tratta sì di Paesi che hanno dimostrato di lottare contro la corru- zione e di attuare un impegno concreto in termini di uso corretto delle risor- se e di politiche mirate e finalizzate a garantire un reale accesso ai servizi di base, lottare contro malattie e virus come l’Aids, assicurare ai bambini e alle bambine l’istruzione primaria, ma si tratta anche di Paesi che hanno ricevuto un adeguato sostegno internazionale in coerenza con gli impegni presi e con la strategia delineata nella Dichiarazione del Millennio e dai documenti da essa discesi. E non parliamo di Cina e India, ma di Paesi come il Mozambico, il Rwanda, la Tanzania, dove una forte volontà politica è riuscita a sfidare le situazioni più drammatiche e complesse. Là dove questo meccanismo di part- nership viene a incepparsi, i progressi si bloccano. Gli Obiettivi del Millen- nio possono essere raggiunti, ma solo se ciascuno farà la sua parte rispettando gli impegni.

È vero, siamo in una situazione politica ed economica molto diversa da quella che ha fatto da cornice alla storica Dichiarazione del 2000. La crisi economica e finanziaria, la crisi alimentare e la crisi ambientale peseranno come macigni sul Summit di settembre. La nuova compagine geopolitica, dove alcuni dei Paesi emergenti stanno assumendo un peso mai visto prima nel contesto politico ed economico mondiale, ha già dimostrato durante i la- vori preparatori al Summit e i negoziati per la stesura delle bozze di dichiara- zione finale come il facile schema Paesi poveri / Paesi ricchi verrà messo for- temente in discussione. I Paesi donatori, i Paesi cosiddetti ricchi stanno

P R I M O P I A N O / Summit 2010 sugli MDG

Risultati incoraggianti e ritardi inaccettabili

I ritardi dei Paesi del Nord

L’alibi della crisi

economico-

finanziaria

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L’Italia e l’APS

vivendo una profonda crisi, non solo economica. Negli ultimi anni all’inter- no del mondo della cooperazione allo sviluppo è stata coniata un’espressione davvero emblematica: “donor fatigue”, la “fatica dei Paesi donatori (ricchi)”.

Una fatica che si manifesta prima ancora che nella mancanza di fondi da de- stinare per mantenere gli impegni internazionali, in una difficoltà politica nel ridisegnare il proprio ruolo internazionale in uno scenario che muta.

Tutti noi possiamo capire questa difficoltà, possiamo persino sentirla, ma non possiamo accettarla come giustificazione per non adempiere alle proprie responsabilità. Infatti quello che non muta in questo scenario sono le condi- zioni di quel miliardo di persone che continuano a soffrire la fame. Uno sce- nario ingiusto ed inaccettabile quanto pericoloso per il nostro stesso equili- brio. Troppo spesso i Capi di Stato e di Governo dei Paesi sviluppati hanno sottovalutato negli ultimi anni il fatto che le conseguenze della povertà in Paesi che ci possono sembrare lontani hanno ed avranno conseguenze anche su di noi.

Inoltre, mentre sarebbe davvero irresponsabile non considerare il nuovo scenario politico ed economico nella ridefinizione delle politiche di svilup- po, sarebbe altrettanto miope non considerare come i ritardi nel raggiungi- mento degli obiettivi intermedi verso il 2015 rischino di incidere ancora più negativamente sui Paesi più poveri proprio in conseguenza della medesima crisi. La crisi economica e finanziaria, la crisi alimentare e la crisi ambientale che stiamo vivendo stanno infatti ulteriormente aggravando la situazione delle economie fragili dei più poveri e rappresentano una seria minaccia per i Paesi in via di sviluppo e per il futuro di tutti noi, rischiando di compromet- tere i risultati fino ad oggi raggiunti nella lotta contro la povertà. Si calcola che negli ultimi 2 anni più di 60 milioni di persone siano già ricadute nella trappola della povertà estrema. Secondo l’ILO/OIL i tassi di disoccupazione continueranno a crescere velocemente fin oltre il 2011 e si stima che più di oltre 200 milioni di lavoratori saranno gettati nella povertà più estrema, so- prattutto nei Paesi in via di sviluppo anche a causa dell’assenza di reti di pro- tezione sociale. Secondo la Banca Mondiale, dal 2010 al 2050 serviranno tra i 75 e i 100 miliardi di dollari all'anno in più rispetto agli impegni già presi per sconfiggere la povertà, per garantire un adeguato e sostenibile adatta- mento ai cambiamenti climatici. Un costo aggiuntivo che la comunità inter- nazionale dovrà affrontare per permettere ai Paesi più poveri di raggiungere gli obiettivi prefissati per la lotta alla povertà e per garantire un futuro al pianeta.

L’Italia purtroppo è tra i Paesi ricchi meno virtuosi, uno di quelli che me- no sta ottemperando agli impegni presi per il raggiungimento degli Obiettivi del Millennio. Solo due esempi: l’Italia si è impegnata a destinare lo 0,7%

del proprio Prodotto Interno Lordo (PIL) all’Aiuto Pubblico allo Sviluppo (APS) entro il 2015. Secondo gli obiettivi intermedi fissati dovremmo aver già superato lo 0,51% e invece, secondo stime basate sui dati oggi a disposi- zione, raggiungeremo nel 2010 circa lo 0,10%. Un altro esempio: nel 2005, durante il G8, l’Italia si è impegnata a sostenere lo sviluppo del continente africano con diverse azioni. A 4 anni di distanza, l’Italia ha raggiunto solo il 3% di quanto promesso.

In conclusione, la strategia e l’approccio che caratterizzano gli Obiettivi del Millennio hanno dimostrato negli ultimi 10 anni un grande potenziale che non va sprecato ma sostenuto e adattato ai nuovi scenari mondiali. Gli Obiettivi rappresentano bisogni e diritti che ciascun essere umano dovrebbe avere garantiti. Non rispettare gli impegni presi per raggiungerli sarebbe, Marta Guglielmetti

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oltre che ingiusto, miope. Non garantire le risorse che servono oggi per rag- giungere gli Obiettivi del Millennio entro il 2015 ci costerà molto di più in futuro per fronteggiare le conseguenze di un mondo sempre più povero così come l’aggravarsi delle crisi ambientale.

Raggiungere gli obiettivi è compito di tutti noi, con modalità e responsa- bilità differenti. La responsabilità prima è certamente dei Governi. I cittadi- ni, la società civile e ciascun membro della società non possono però solo demandare. È anche nostra responsabilità dimostrare ai Governi che ritenia- mo le politiche di cooperazione allo sviluppo una priorità politica irremovi- bile. E sono già tanti i cittadini in Italia che la pensano in questo modo. Lo scorso ottobre sono stati oltre 800.000 (1 italiano ogni 70!) i cittadini italia- ni che hanno aderito in soli 3 giorni alla mobilitazione mondiale contro la povertà “Stand Up Take Action” per gli Obiettivi del Millennio sostenuta all’unisono da centinaia di organizzazioni della società civile italiane. E sono più di 20 milioni le persone che sono state raggiunte dagli organi di informa- zioni che hanno sostenuto la mobilitazione insieme a tantissime altre realtà del settore privato.

Auspichiamo che i Governi sappiano ascoltare e rispettare il volere dei propri cittadini in occasione del Summit delle Nazioni Unite per gli Obietti- vi del Millennio che si terrà a New York dal 20 al 22 Settembre prossimo.

Non possiamo più permetterci di sprecare tempo e risorse preziose.

P R I M O P I A N O / Summit 2010 sugli MDG

Una responsabilità

condivisa

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Sig. Presidente,

parlo oggi a nome di CIDSE, una rete di Agenzie cattoliche per lo svi- luppo (14 delle quali in Europa e due in Nord America).

Desideriamo esprimere il nostro allarme per l'assenza di riferimenti ai di- ritti umani ed al diritto allo sviluppo nel documento finale. Ironia vuole che, se leggessimo il documento finale del Finanziamento allo sviluppo - una con- ferenza a carattere finanziario - vi troveremmo più accenni ai diritti umani.

Vi sono citati “i diritti umani, compreso il diritto allo sviluppo”, “la parità di genere come diritto umano” e così via. Ci saremmo aspettati che, in una conferenza sugli MDG, i diritti umani fossero più presenti.

Nella realtà, non è sempre stato così. La Dichiarazione del Millennio contiene cenni ai diritti umani poi rimossi in fase di identificazione degli Obiettivi.

Sentiamo dire dai governi che i diritti umani portano a divisioni, politi- cizzazioni e che si prestano ad essere manipolati.

Non dovrebbe essere così, però. Se ben affrontati, i diritti umani forni- scono una piattaforma unificatrice che catalizza gli sforzi di tutti i governi.

Molte delle trasformazioni strutturali che gli MDG richiedono non si verifi- cheranno a seguito di un mandato tecnocratico volto al raggiungimento di alcuni obiettivi, bensì grazie alla trasparenza, la responsabilità e la presa di coscienza che può scatenare un approccio basato sui diritti umani.

Durante il pranzo alcuni di noi hanno seguito una discussione sul Lavoro Dignitoso; questo, a mio parere, conferma il punto. Nessun governo vuole avere a che fare con la disoccupazione, nessun governo vince le elezioni con la disoccupazione. Il buon senso, quindi, esige che vi sia un forte incentivo per i governi a cooperare per raggiungere la piena occupazione ed il lavoro dignitoso. Penso che lo stesso sia vero per molti dei diritti umani inclusi nel- la Dichiarazione universale.

Dobbiamo anche rivedere le fonti di finanziamento per gli MDG.

Dichiarazioni durante le udienze MDG con la società civile ed il settore privato

Aldo Caliari *

* C e n t e r o f C o n c e r n / C I D S E

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La situazione degli aiuti è deprimente, non possiamo aspettarci molto in termini di aumenti nel prossimo futuro. Per questo, dobbiamo essere disposti a pensare fuori dagli schemi.

Dobbiamo usare ogni strumento a nostra disposizione e mobilitare ogni singolo centesimo per finanziare gli MDG. E dobbiamo farlo in questo sum- mit, MDG + 10, non più tardi.

Le tasse sulle transazioni finanziarie (FTT) sono uno degli strumenti at- tualmente in fase di discussione. Auspico che l'ONU parlerà con maggiore chiarezza durante questo dibattito.

Già emerge un certo consenso sulla loro fattibilità. Un paio di mesi fa gli esperti tecnici del FMI hanno concluso che le FTT sono realizzabili. È ora di fare il passo successivo: metterle in atto. Questo è il luogo giusto, l'istituzione giusta, per raggiungere un accordo politico come questo.

Al summit sugli MDG i leaders dovrebbero giungere ad un’intesa globale per realizzare le FTT, i cui proventi sarebbero usati per finanziare lo sviluppo, compresi gli MDG, e per contrastare i cambiamenti climatici – di certo, una base sociale. Questi fondi devono essere addizionali rispetto all'ODA/APS.

Crediamo, inoltre, che l'ONU dovrebbe svolgere un ruolo chiave nello stabilire la destinazione dei proventi delle FTT, la loro governance.

Allo stesso modo, i Diritti speciali di prelievo sono uno strumento le cui possibilità non sono ancora sfruttate al massimo.

Per realizzare tale potenziale sono necessarie assegnazioni più grandi, ma queste dovrebbero essere anche accompagnate da riforme in svariate aree: ri- partizione, tassi di interesse, composizione del paniere, liquidità, trasferibilità ed uso.

Sia le FTT sia i Diritti speciali di prelievo offrono, inoltre, importanti vantaggi aggiuntivi. Se attuati in maniera adeguata, potrebbero contribuire a stabilizzare i mercati finanziari ed i tassi di scambio.

Riguardo al commercio, vorremmo far rilevare alcune questioni in merito agli obiettivi commerciali contenuti nell’MDG8. Negli anni che hanno pre- ceduto la crisi abbiamo assistito ad un boom del commercio, i Paesi in via di sviluppo hanno ottenuto i risultati migliori dagli anni Sessanta, ma ciò ha comportato scarsi benefici per i finanziamenti allo sviluppo. E quando è esplosa la crisi, scarsi benefici per la stabilità finanziaria.

Molto di quel commercio non era diversificato, era di scarso valore ag- giunto e non legato alle catene locali di produzione.

Pertanto il maggiore accesso al mercato, come chiesto dall’MDG8, non è il punto cruciale. Infatti, siamo di fronte ad una situazione in cui la domanda dei mercati chiave, i Paesi che erano i maggiori consumatori, è destinata a restare depressa per molti anni.

C'è bisogno di ricreare il legame tra commercio e finanziamenti per lo sviluppo. Al centro dei nostri sforzi dovrebbe esserci l'obiettivo di rendere possibili le politiche fiscali, monetarie, d'investimento, d'aiuto e di gestione del debito che possono ristabilire quel collegamento.

Con la tassazione sarebbe possibile ottenere entrate importanti. Il summit potrebbe dichiarare che determinate imprese debbano riferire delle proprie attività finanziarie, compresi gli utili e gli oneri fiscali, Paese per Paese.

P R I M O P I A N O / Dichiarazioni durante le udienze MDG

Nuove fonti di finanziamento

Il commercio e

il finanziamento

per lo sviluppo

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La questione del debito

“L’incontro d’emergenza”

Ciò ridurrebbe in maniera significativa le possibilità di transfer pricing – una relazione recente dichiarava che i Paesi in via di sviluppo hanno perso circa 100 miliardi di dollari di entrate fiscali a causa del transfer pricing.

Deve essere resa pubblica, presso tutte le giurisdizioni, la proprietà bene- ficiaria di ogni compagnia, fondo e fondazione – anche questo è un punto sul quale il summit potrebbe trovare un accordo.

Il Comitato ONU di esperti sulla collaborazione internazionale in mate- ria fiscale dovrebbe essere promosso a Comitato intergovernativo, permet- tendo così ai Paesi in via di sviluppo di inserire le questioni legate allo svi- luppo anche nelle discussioni in materia fiscale.

Riguardo al debito, molti Paesi si sono ritrovati pesantemente indebitati a seguito della crisi finanziaria. Le perdite di entrate pubbliche e la necessità di aumentare la spesa pubblica per l'azione anticongiunturale sono stati fattori decisivi.

Oggi il 37% dei Paesi a basso reddito soffrono di debt distress o sono ad al- to rischio di incorrervi. Ciò non è accettabile in questo momento e dopo tanti anni di iniziative per la cancellazione del debito. Lo scorso anno abbia- mo assistito ad una riforma del Debt Sustainability Framework. Non, però, con lo scopo di affrontare le carenze nella misurazione, bensì per occultare il fat- to che i livelli del debito dei Paesi in via di sviluppo stanno crescendo a rit- mo allarmante. Dovremmo tornare ad un'idea chiave nella struttura degli MDG: il principio guida per stabilire la sostenibilità del debito – quindi, la necessità di cancellare il debito dei Paesi – dovrebbe essere la determinazio- ne dei costi degli MDG e non la mera capacità di restituire i prestiti.

Abbiamo anche bisogno di una struttura vincolante, indipendente e chiara per arbitrare i crediti sovrani, che sia sviluppata con le agenzie competenti e che venga adottata a livello internazionale.

La Conferenza mondiale sulla crisi dello scorso anno ha registrato l'opi- nione comune, secondo la quale le strutture esistenti non saranno in grado di farcela. Le crisi di Grecia e Islanda hanno dimostrato che l'assenza di mec- canismi di ristrutturazione fattibili non è un problema solo dei Paesi poveri.

Nel 2015 scopriremo forse che questa istituzione, essenziale per ogni econo- mia di mercato, è ancora assente su scala globale? Spero di no.

Infine, desidero mettere in rilievo questo: non vogliamo abbandonare la speranza di raggiungere gli MDG. A dispetto di quanto possiamo essere lontani dal traguardo, crediamo ancora di potercela fare e non permettere- mo ai governi di allontanarsi da questo standard.

Tuttavia, se non realizzeremo gli obiettivi, non possiamo permetterci di arrivare al 2015 senza un piano per affrontare cosa ci aspetta dopo.

Pertanto, è necessario migliorare i paragrafi 51-53 della bozza del do- cumento finale. Essi devono esigere un incontro d'emergenza nel 2013.

Questo incontro potrebbe convocare l'ECOSOC o l'assemblea generale, oppure entrambi, per valutare la situazione e decidere un programma post- 2015.

Anche se gli MDG saranno raggiunti, non sarà sbagliato avere a dispo- sizione tale rete di sicurezza. Ricordiamo sempre che gli MDG non sono che un traguardo minimo nella battaglia per assicurare i diritti umani a tutti.

Aldo Caliari

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