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2015: Cinque anni per costruire un partenariato vincente per lo sviluppo

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2015:

Cinque anni per costruire un partenariato vincente

per lo sviluppo

29 2010

COLLANA

STRUMENTI

DI LAVORO

(2)

A cura di Sergio Marelli

Segretario Generale FOCSIV – Volontari nel mondo

Impaginazione, editing e correzione bozze: Damiano Sabuzi Giuliani e Valentina Brogna (Ufficio Promozione e Pubblicazioni FOCSIV – Volontari nel mondo)

promozione@focsiv.it

2015: cinque anni per costruire un partenariato vincente per lo sviluppo 1

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Premessa

A dieci anni dalle “Magnifiche sorti e progressive” preconizzate dalla Dichiarazione del Millennio (documento adottato dall’Assemblea Generale dell’ONU nel settembre 2000) nonché dall’adozione unanime, da parte degli allora 189 Stati membri, degli otto Obiettivi di sviluppo del millennio (MDG), la comunità internazionale si trova a fare il punto della situazione circa l’effettiva implementazione degli impegni presi.

Secondo le statistiche e le stime rese in vista del summit mondiale del 20-22 settembre p.v., proseguendo con le attuali tendenze la scadenza del 2015, assunta all’epoca quale limite temporale per la piena realizzazione degli MDG, appare ampiamente disattesa. È quanto evidenzia lo stesso Ban Ki-moon nel recente rapporto Keeping the promise, affermando come la necessità di accelerare l’attuazione degli MDG sia ormai un’emergenza e non più solo un’urgenza.

A livello internazionale, le diplomazie del Nord e dei Sud del mondo si imputano alternativamente le responsabilità del ritardo, che tende ormai ad assumere le dimensioni del fallimento: da un lato il palese disimpegno dei Paesi donatori del Nord, i quali lesinano gli aiuti arrivando, salvo rare eccezioni, ben lungi da quel previsto 0,7% del PIL che dovrebbe essere rubricato, entro il 2015, alla voce Aiuti Pubblici allo Sviluppo (APS); dall’altro l’irresponsabilità e l’incapacità dei Paesi in via di sviluppo (PVS) ad utilizzare fruttuosamente gli aiuti concessi. Scarsa quantità di risorse, dunque, contrapposta a scarsa qualità nell’usufruire di tali risorse: in altre parole, difficoltà di utilizzo di risorse di per sé già esigue.

A monte del disaccordo, due visioni divergenti non cessano da anni di confliggere. La prima sostiene la rilevanza dei traguardi sin qui raggiunti, considerata la congiuntura economica e politica mondiale, plaudendo con entusiasmo alla proclamazione degli otto MDG, che considera, insieme alla Dichiarazione del Millennio, una pietra miliare per le strategie di APS. La seconda (alla quale sono affiliati i governi dei PVS ma anche numerose Organizzazioni della società civile ed Organizzazioni non governative) è invece da sempre insoddisfatta non solo dei risultati attualmente conseguiti, ma degli obiettivi stessi che la comunità internazionale si diede nel 2000: non solo, dunque, gli impegni assunti e le scadenze per implementarli non vengono rispettati, ma gli MDG stessi appaiono insufficienti a garantire lo sviluppo dei Paesi dei Sud del mondo. Si tratta di obiettivi parziali, che pongono come condizione di base la rinuncia all’aiuto ad uno sviluppo pieno e definitivo: dei target, dunque, manchevoli di ambizione; delle mete limitate in quanto elaborate già in partenza allo scopo di lenire in parte gli effetti di meccanismi e politiche distorte, piuttosto che rispondere alle cause strutturali del sottosviluppo. Un esempio fra tutti è dato dal primo degli MDG: “dimezzare la povertà estrema e la fame” entro il 2015 significa infatti ammettere e accettare che, a fronte della disponibilità delle risorse umane, tecniche ed economiche necessarie per porre termine a questo flagello, l’umanità “si accontenti” per il 2015 di lasciare “solo” 500 milioni di persone senza cibo in quantità e qualità adeguate. Accettare un obiettivo così limitato espone già in partenza a rischi ancora maggiori, ben conoscendo l’annosa discrepanza che intercorre tra le assunzioni di impegni da parte dei governi e delle istituzioni e la loro effettiva implementazione.

La comunità internazionale si è trovata negli ultimi anni in una situazione di crisi molteplici. Da un lato la crisi ambientale e climatica; da un altro la crisi alimentare globale del 2007, portata dalle speculazioni finanziarie operate sulle derrate alimentari che il piano di azione per gli MDG non ha contribuito a frenare (crisi che ha prodotto l’aumento delle persone affamate al ritmo di 100 milioni all’anno, con il sostanziale azzeramento degli sforzi sino ad allora compiuti); infine la crisi finanziaria ed economica di fine 2008. In una simile congiuntura, il dibattito tra PVS e Paesi donatori in seno alle Conferenze Internazionali debitamente indette dall’ONU è giunto ad uno stallo, ad una contrapposizione difficile da sanare. Torti e ragioni possono attribuirsi ad entrambe le parti, non nascondendo la necessità di un’accresciuta attenzione al tipo e ai modi di utilizzo degli APS, purché, come da tempo sottolineano le ONG, questo impegno sia osservato sia dai PVS che dai Paesi donatori. Tuttavia appare innegabile la necessità sottostante di una congrua quantità di risorse, pena l’inutilità o, ancora peggio, la strumentalità

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mediatica degli aiuti stessi: è insomma di fondamentale importanza che i Paesi del Nord del mondo si allineino agli impegni presi e più volte reiterati in sede di Nazioni Unite, Commissione Europea, G8 e G20. In assenza di ciò, come avverte l’attuale Segretario Generale dell’ONU, violenza, epidemie e malattie si moltiplicheranno, minando altresì la sicurezza e la stabilità globali. Già Kofi Annan aveva più volte evidenziato come gli MDG fossero dei traguardi indispensabili per garantire una convivenza pacifica e una prosperità sostenibile, a vantaggio dunque non solo dei PVS ma anche dei Paesi donatori stessi. Questi ultimi paiono però sordi a simili moniti, riproducendo persistentemente la ben nota visione di superiorità dai tratti umanitari ed assistenzialistici.

L’Assemblea Generale si trova dunque ora a dover compiere una scelta tra due strade opposte: decidere di velocizzare l’implementazione degli MDG, imponendo una svolta risoluta alle politiche e alle prassi da tenersi, oppure adattarsi alle tendenze irresponsabili sin qui espresse dai Paesi donatori, rassegnandosi ad una realizzazione limitata degli obiettivi del millennio. Vi sono ormai poche chances di vedere una piena realizzazione, entro i tempi stabiliti, degli otto MDG; queste risiedono irrimediabilmente nella volontà dei governi nazionali di considerarli come una priorità di investimento, affrancando le risorse necessarie alla loro attuazione dalle recenti logiche di riduzione della spesa pubblica. L’Assemblea Generale potrebbe concorrere ad un’epocale inversione di tendenza attraverso l’adozione di un “codice etico di condotta vincolante”: questa la proposta condivisa dalla FOCSIV e da numerose ONG incontratesi nell’ultima consultazione della società civile a New York il 14 e 15 giugno scorsi. Si tratta, con tutta probabilità, dell’ultima possibilità per la comunità internazionale di ottenere i risultati immaginati nel 2000; se tutto ciò dovesse essere disatteso, non resterà che considerare gli MDG come dei meri indicatori di tendenza sui quali istruire le valutazioni e le misurazioni delle politiche di sviluppo praticate.

Al caro prezzo, però, di milioni di vite umane.

Sergio Marelli Segretario Generale FOCSIV – Volontari nel mondo

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2015: cinque anni per costruire un partenariato vincente per lo sviluppo 4 Indice

LISTA DEGLI ACRONIMI

INTRODUZIONE pagina 6

I. RISPONDERE ALLA CRISI CLIMATICA pagina 8

1. Ambizioni limitate per il taglio delle emissioni di gas serra 2. Finanziamenti all’azione per il clima

II. RISPOSTA ALLA CRISI ALIMENTARE pagina 13

1. Investimenti troppo scarsi nell’agricoltura e nello sviluppo agricolo effettuati negli ultimi decenni da parte dei Paesi donatori e dei governi dei Paesi in via di sviluppo

2. Politiche commerciali internazionali 3. Competizione per l’uso della terra

4. Speculazione eccessiva nei mercati dei beni agricoli 5. Politiche dei donatori

III. RISPOSTA ALLA CRISI FINANZIARIA ED ECONOMICA pagina 22 1. Affrontare la fuga di capitali e l’evasione fiscale

2. Necessità di una revisione strutturale dell’Aiuto pubblico allo sviluppo

3. Le tasse sulle transazioni finanziarie devono contrastare la debolezza del sistema globale e generare risorse per lo sviluppo

4. Debito

5. Riforma della governance delle istituzioni finanziarie internazionali: ci sono alcuni sviluppi positivi, ma sono necessari sforzi ancora maggiori

IV. IL PROSSIMO PASSO: UNA STRUTTURA COERENTE DI IMPEGNO E

RESPONSABILITÀ pagina 38

CONCLUSIONI pagina 40

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LISTA DEGLI ACRONIMI

CFA Comprehensive Framework for Action: Quadro complessivo d'azione CFA

CFS Committee on Food Security (UN): Comitato sulla sicurezza alimentare CFS (ONU)

DAC Development Assistance Committee (OECD): Comitato di aiuto allo sviluppo DAC (OCSE) ECOSOC Economic and Social Council of the United Nations: Consiglio economico e sociale delle Nazioni

Unite ECOSOC

ESC Economic, Social and Cultural (rights): diritti economici, sociali e culturali EU European Union: Unione europea (Ue)

FAO Food and Agricultural Organisation (UN): Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura (ONU)

FATF Financial Action Task Force (OECD): Gruppo di azione finanziaria GAFI (OCSE) FTT Financial Transaction Taxes: tassa sulle transazioni finanziarie FTT

GDP Gross Domestic Product: prodotto interno lordo (Pil)

GDPRD Global Donor Platform for Rural Development: Piattaforma globale dei donatori per lo sviluppo rurale GDPRD

GHG Greenhouse gas: gas serra

GNI Gross National Income: reddito nazionale lordo (RNL)

HIPC Heavily-Indebted Poor Countries initiative: iniziativa per i paesi poveri fortemente indebitati (HIPC)

HRIA Human Rights Impact Assessments: valutazioni d'impatto sui diritti umani HRIA

IAASTD International Assessment of Agricultural Science and Technology for Development: valutazione internazionale delle scienze e tecnologie agricole al servizio dello sviluppo IAASTD

ICARRD International Conference on Agrarian Reform and Rural Development

IDA International Development Association: Agenzia internazionale per lo sviluppo: International Development Association IDA

IFIs International Financial Institutions: istituzioni finanziarie internazionali IFI

IFPRI International Food Policy Research Institute: Istituto internazionale di ricerca sulle politiche alimentari IFPRI

ILO International Labour Organisation: Organizzazione internazionale del lavoro ILO IMF International Monetary Fund: Fondo monetario internazionale (FMI)

LDCs Least Developed Countries: paesi meno sviluppati

MDB Multilateral Development Banks: Banche multilaterali di sviluppo

MDG UN Millennium Development Goals: Obiettivi di sviluppo del millennio (ONU) MDRI Multilateral Debt Relief Initiative: Iniziativa multilaterale per la cancellazione del debito ODA Official Development Assistance: Aiuto Pubblico allo Sviluppo (APS)

OECD Organisation for Economic Cooperation and Development: Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico OCSE

SAP Structural Adjustment Programmes: programmi di aggiustamento strutturale SAP SDRs Special Drawing Rights: Diritti speciali di prelievo DSP/SDR

UN United Nations: Nazioni Unite

UNFCCC United Nations Framework Convention on Climate Change: Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici UNFCCC

UN HLTF High Level Task Force (on the food crisis): Task force ad alto livello delle Nazioni Unite sulla crisi alimentare

WTO World Trade Organisation: Organizzazione mondiale del commercio OMC/WTO

2015: cinque anni per costruire un partenariato vincente per lo sviluppo

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INTRODUZIONE

Nel 2000 i leaders mondiali hanno sottoscritto un impegno storico per conseguire il raggiungimento di una serie di obiettivi globali con lo scopo di abbattere la povertà entro il 2015: gli Obiettivi di sviluppo del millennio delle Nazioni Unite (MDG). Questi obiettivi costituiscono da allora un importante quadro di riferimento per la risposta internazionale alla povertà nel mondo in via di sviluppo. Benché lontani dall'essere completi (v. Riquadro 1), si sono dimostrati utili per galvanizzare l'azione nei confronti di uno sviluppo sostenibile e nella battaglia contro la povertà. Fino ad ora, però, i progressi fatti verso gli MDG sono eterogenei.

A cinque anni dalla scadenza del 2015 la comunità internazionale si riunirà a settembre in un summit delle Nazioni Unite per esaminare i progressi degli MDG. Si tratta di un'opportunità importantissima per approvare un pacchetto di stimolo quanto mai necessario per gli MDG. La manovra di salvataggio contro la povertà, fondamentale per raggiungere gli obiettivi, non sarà possibile senza un impegno sostanziale ad agire e ad aumentare i finanziamenti.

Lo sfondo per il summit di revisione è costituito dalle implicazioni delle molteplici crisi che la comunità internazionale sta affrontando. Gli effetti della crisi alimentare, finanziaria ed economica, così come dei cambiamenti climatici, colpiscono soprattutto le persone che vivono in condizioni di povertà nei Paesi in via di sviluppo – crisi alle quali hanno contribuito in minima o nessuna parte. La crisi economica ha ostacolato i paesi poveri nella mobilitazione delle risorse economiche e negli sforzi per rispettare gli impegni di sviluppo.

D'altro canto, la crisi economica ha avuto effetti assai diversi su Paesi come Cina, India e Brasile in confronto a quelli subiti da Europa, USA e Giappone. Ciò ha comportato uno spostamento negli assi geopolitici di influenza e dei centri decisionali, facendo sì che il rapporto classico nord-sud per la cooperazione allo sviluppo ceda sempre di più il passo alla cooperazione sud-sud. Per continuare ad essere credibili come partner per lo sviluppo, i Paesi donatori tradizionali devono realizzare gli impegni presi da lungo tempo, in attesa che le economie emergenti del sud del mondo si assumano la loro parte di responsabilità nei confronti dello sviluppo mondiale.

La convergenza di questi fattori pone in esame ora più che mai la fattibilità, la sostenibilità e l'equità degli approcci attuali. Si riafferma il bisogno di costruire una reale collaborazione globale per lo sviluppo, come affermato nell’ MDG8. CIDSE/FOCSIV considera una vera collaborazione come un rapporto stabilito volontariamente “in un clima cooperativo e solidale” al fine di superare “le divisioni ideologiche, spingendo alla ricerca di ciò che unisce al di là di quanto divide”1.

I seguenti elementi sono centrali per la creazione di una genuina collaborazione allo sviluppo:

‐ responsabilità reciproca: le parti in causa destinano risorse specifiche alla collaborazione. Tutte le risorse sono considerate di pari valore per il raggiungimento dello scopo comune. Le parti coinvolte sono responsabili per risorse destinate alla collaborazione;

‐ sussidiarietà: i risultati di politiche e/o azioni derivanti dalla collaborazione sono sviluppate nel dialogo con coloro che avranno un ruolo chiave nella loro attuazione;

‐ trasparenza: ogni azione, decisione e risorsa dedicata alla collaborazione è trasparente per tutte le parti coinvolte ed è influenzata dalla collaborazione.

1 Pontificio consiglio della giustizia e della pace, Compendio della dottrina sociale della Chiesa. [N.d.T.: per la traduzione di questa e di ulteriori citazioni di documenti ufficiali della Chiesa ci si rifà alle versioni italiane pubblicate sul sito www.vatican.va]

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La convergenza di questi fattori pone in esame ora più che mai la fattibilità, la sostenibilità e l'equità degli approcci attuali. Riafferma il bisogno di costruire una vera collaborazione per lo sviluppo. In preparazione del summit del 2010, il Segretario Generale delle Nazioni Unite ha pubblicato un rapporto, Keeping the Promise, nel quale si sottolinea la necessità fondamentale di agire: “il bisogno di accelerare la realizzazione degli impegni presi con l’ MDG8 ha raggiunto ormai proporzioni di emergenza, anziché essere semplicemente una questione urgente”2.

CIDSE/FOCSIV riconosce quattro considerazioni importanti presenti nel rapporto del Segretario Generale:

1. anche se le “vittorie rapide” potrebbero contribuire alla realizzazione degli MDG, uno sviluppo sostenibile è possibile solo grazie alle riforme del sistema;

2. per migliorare i progressi verso gli MDG bisogna affrontare le sfide trasversali, come i cambiamenti climatici, l'insicurezza alimentare e la debolezza dell'attuale sistema finanziario ed economico;

3. è necessario un approccio basato sui diritti per raggiungere gli MDG e per mantenere i successi ottenuti. Tale approccio richiede, quindi, la consultazione e la partecipazione, così come la mutua responsabilità, di tutte le parti coinvolte;

Riquadro 1 – Le debolezze della struttura di riferimento degli MDG

• Mancato riconoscimento dei principi fondamentali dei diritti umani ed assenza di una risposta strutturale all'ineguaglianza ed alla distribuzione del potere.

• Attenzione ai risultati quantitativi a discapito delle misure qualitative; nessun riguardo per i processi di sviluppo che migliorano la partecipazione e la proprietà.

• Approccio riduzionista ad una visione globale per lo sviluppo.

Numerosi concetti ed azioni che non calzavano all'interno di questi otto obiettivi sono stati quindi eliminati dall'agenda dei governi.

• Ambizione limitata; il dimezzamento della povertà assoluta implica che miliardi di persone resteranno nella povertà più abietta e pone l'interrogativo di chi debba essere beneficiato e chi no.

• Assenza di proprietà degli MDG per molti governi e la società civile del sud del mondo.

4. gli MDG dovrebbero essere visti attraverso la lente di genere. Le donne e le bambine sopportano il peso maggiore di povertà, fame e malattie. Le donne hanno anche un ruolo chiave come fautrici del cambiamento. È necessario riconoscere tutto ciò, ammettendo la necessità del rafforzamento delle donne ed i benefici che esso apporta allo sviluppo.

Questi punti dovrebbero essere appoggiati dai governi durante il summit di revisione e servire come base per le strategie di sviluppo, al fine di ottenere un progresso equo e sostenibile.

Integrare un approccio basato sui diritti, attento al genere e sistematico è cruciale per il raggiungimento degli MDG e CIDSE/FOCSIV ha criticato il mancato inserimento di questi principi fondamentali all'interno della struttura degli MDG.

Per CIDSE/FOCSIV, un approccio basato sui diritti, attento al genere e di sistema costituisce l'essenza dell'Obiettivo

8. La mancata inclusione di questa prospettiva negli indicatori dell’ MDG8 è una grave carenza della struttura generale.

Il presente documento identifica gli impegni e i vuoti nell'azione in aree politiche chiave che solo in minima parte sono presenti nell’ MDG8. I cambiamenti climatici e la crisi alimentare, finanziaria ed economica hanno rivelato lacune fondamentali nelle politiche presenti in aree che formano la collaborazione globale per lo sviluppo. Il documento affronta, pertanto, tali questioni dal punto di vista di queste sfide. Facciamo appello ai leaders del mondo affinché concludano il summit con un piano d'azione chiaro che affronti tali aree politiche, affinché sia creata, come promesso, una reale collaborazione globale per lo sviluppo entro il 2015.

2 Keeping the promise: a forward-looking review to promote an agreed action agenda to achieve the Millennium Development Goals by2015, A/64/665, 12 feb. 2010, p. 24.

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I. RISPONDERE ALLA CRISI CLIMATICA

Benché gli MDG abbiano riconosciuto nel 2000 la necessità di assicurare la sostenibilità ambientale e di proteggere la biodiversità, è solo negli anni successivi che la comunità internazionale ha ammesso l'urgenza di un'azione di contrasto nei confronti del riscaldamento globale. I cambiamenti climatici sono un problema a livello mondiale ed è necessario un livello senza precedenti di collaborazione e solidarietà internazionali per rispondere alle sue sfide, con i singoli Paesi che agiscano secondo le proprie responsabilità e possibilità.

Gli attuali cambiamenti climatici sono soprattutto il risultato della crescita dei Paesi sviluppati, basata sui combustibili fossili. Le popolazioni dei Paesi in via di sviluppo, pur avendo contribuito in minima parte al problema, sono state le prime ad essere colpite, però. La Commissione ONU sulla condizione della donna ha sottolineato, nel 2008, che sono le donne, tradizionalmente responsabili per l'organizzazione dei bisogni primari della famiglia – pur avendo difficoltà ad accedere alle risorse ed ai processi decisionali – ad essere colpite in maniera spropositata dai cambiamenti climatici.

I Paesi sviluppati hanno l'obbligo storico e morale di guidare la lotta alla crisi climatica. Anche grazie alle loro maggiori possibilità finanziarie e tecnologiche essi sono nella posizione migliore per attuare le riduzioni tanto urgenti delle emissioni e per sostenere i Paesi in via di sviluppo, affinché siano in grado di adattarsi agli effetti dei cambiamenti climatici e di sviluppare la sostenibilità. Al contrario, nel corso degli attuali negoziati intesi a trovare un nuovo accordo globale sui mutamenti climatici, assistiamo a tentativi di accollare la responsabilità di agire nei confronti del clima ai Paesi in via di sviluppo.

1. Ambizioni limitate per il taglio delle emissioni di gas serra

Il Panel intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC) ha dichiarato esplicitamente, nel suo quarto rapporto di valutazione nel 2007, che sono necessarie significative riduzioni globali di emissioni se la comunità internazionale vuole evitare gli effetti peggiori dei cambiamenti climatici3. In base a prove scientifiche, contenere i futuri aumenti della temperatura globale ben al di sotto di 2°C richiederà, con un ragionevole grado di sicurezza, un impegno complessivo da parte dei Paesi sviluppati a ridurre le emissioni di gas serra di oltre il 40% entro il 2020 in base ai livelli del 19904. Gli scienziati hanno chiarito, inoltre, che per restare al di sotto di un innalzamento di 2°C i maggiori emettitori di gas serra tra i Paesi in via di sviluppo dovranno ridurre le proprie emissioni future – un punto sul quale battono con insistenza i Paesi sviluppati.

In base allo strumento legale costituito dalla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC 1992), tutti i Paesi si sono impegnati a raggiungere una stabilizzazione delle concentrazioni di gas serra nell'atmosfera ad un livello che dovrebbe evitare una pericolosa interferenza antropogenica nel sistema climatico entro un lasso temporale sufficiente affinché gli ecosistemi si adattino in maniera naturale ai cambiamenti climatici, la produzione di cibo non sia in pericolo e lo sviluppo economico possa procedere in maniera sostenibile5. All'interno dell'UNFCCC, del Protocollo di Kyoto (1997) e del Piano di azione di Bali (2007), i Paesi sviluppati hanno accettato di guidare l'azione per ottenere le riduzioni di emissioni necessarie; sempre con il Protocollo di Kyoto, la maggior parte dei Paesi sviluppati si è assunta obiettivi legali e con scadenze precise per attuare tali riduzioni.

3 Climate Change 2007, quarto rapporto di valutazione del Panel intergovernativo sui cambiamenti climatici sul Gruppo di lavoro, III Mitigazione, riquadro 13.7. State of the World 2009, Into a Warming world; A Safe Landing for the Climate, cap. 2, consultabile presso

http://www.worldwatch.org/sow09.

4 Ibid.

5 UNFCCC, art. 2.

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Uno dei successi rivendicati dal summit sul clima a Copenhagen nel 2009 è l'associazione, o accettazione, da parte di 133 paesi, che rappresentano l'86,2% delle emissioni globali (nel momento in cui si scrive), dell'Accordo di Copenhagen e del suo impegno a limitare il futuro innalzamento delle temperature di superficie al di sotto dei 2°C6. Si tratta di una ripetizione dell'impegno preso dai paesi del G8 nel 2009 e di un altro assunto dall'Ue nel 20077. Nonostante ciò, Norvegia e Giappone sono gli unici due Paesi avanzati ad essersi assunti impegni per la riduzione che riflettono il livello che i Paesi industrializzati dovranno raggiungere entro il 2020. Di recente il Canada ha trasformato il suo già esiguo obiettivo del 3% di riduzione delle emissioni entro il 2020 in un aumento dello 0,25%8. Tutto ciò avviene a prescindere dal fatto che la crisi economica attuale ha reso le riduzioni di emissioni più facili e meno costose. Inoltre, numerosi Paesi sviluppati continuano a rimandare l'inasprimento delle norme di controllo per i propri impegni: se tale situazione non sarà affrontata in maniera adeguata, si rischia il grave indebolimento dell'integrità ambientale di ogni sistema politico futuro.

Tavola 1 – Impegni assunti da determinati Paesi sviluppati all'interno dell'Accordo di Copenhagen9

Paese Riduzioni delle emissioni promesse entro il 2020 in base ai livelli del 1990

Ue -20% unilaterale, -30% subordinato alle azioni globali Svizzera -20% unilaterale, -30% subordinato alle azioni globali USA -3,67%

Canada +0,25%

Australia -3,89% unilaterale, -24,1% subordinato alle azioni globali Nuova Zelanda -10% unilaterale, -20% subordinato alle azioni globali Giappone -25% subordinato alle azioni globali

Norvegia -30%, -40% subordinato alle azioni globali

Gli attuali impegni per le riduzioni risulterebbero in un ulteriore riscaldamento globale tra +2.8 e +4.3°C.10 Un aumento di 2°C causerebbe già una minore sicurezza alimentare, a causa della ridotta produzione di cereali che colpirebbe soprattutto i piccoli coltivatori del sud del mondo. Decine di milioni di persone rischiano, inoltre, di essere esposte ad un maggior stress idrico, malnutrizione e malattie, i cui effetti peggiori verrebbero sofferti dai continenti del Sud11.

I Paesi industrializzati hanno fallito, finora, nel loro ruolo di guida – cui sono legati moralmente e legalmente – non impegnandosi a ridurre le emissioni ai livelli ed alla velocità richiesti dalla scienza;

pertanto, il loro tentativo di far ricadere la responsabilità per la riduzione delle emissioni sui Paesi in via di sviluppo, all'interno di un nuovo accordo sui cambiamenti climatici, non può che essere in malafede.

Un possibile passo avanti risiede nel dibattito riaperto nell'Ue, dopo una comunicazione della Commissione europea del maggio 2009, su un impegno unilaterale a tagliare le emissioni del 30%. Un punto importante evidenziato dalla comunicazione è che un obiettivo più alto di riduzione da parte dell'Ue presenta molteplici benefici, anche economici. Pur essendo molto al di sotto del 40% necessario per i Paesi sviluppati al fine di evitare gli effetti peggiori dei cambiamenti climatici, il passaggio, nel 2010, ad un -30% incondizionato contribuirebbe a dimostrare la serietà dell'impegno europeo nella guerra climatica.

6 http://www.usclimatenetwork.org/policy/copenhagen-accord-commitments.

7 Incontro tra i ministri europei per l'ambiente, febbraio 2007.

http://www.consilium.europa.eu/uedocs/cms_data/docs/pressdata/en/envir/92864.pdf.

8 http://carbonforesight.blogspot.com/2010/02/pssssttcanada-sets-17-carbon-emission.html.

9 http://www.usclimatenetwork.org/policy/copenhagen-accord-commitments.

10 http://www.climateactiontracker.org.

11 Climate Change 2007, Summary for Policymakers, tavola SPM 2.

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2. Finanziamenti all'azione per il clima

I cambiamenti climatici pesano in particolare sulle popolazioni dei Paesi in via di sviluppo. Le nuove sfide devono essere affrontate con risorse addizionali, se vogliamo che la lotta contro i mutamenti climatici e l'eliminazione della povertà si rafforzino, anziché indebolirsi, a vicenda.

L'UNFCCC, il Protocollo di Kyoto ed il Piano di azione di Bali esigono che i Paesi sviluppati forniscano a quelli in via di sviluppo risorse finanziarie aggiuntive per affrontare i cambiamenti climatici12. Gli impegni assunti fino ad ora all'interno dell'UNFCCC e di altri fora non sono ai livelli sperati o necessari. Inoltre, i livelli di deposito e spesa sono ben al di sotto di tali impegni. In totale, il divario tra i 18.719,90 milioni di dollari promessi ed i 2.001,95 versati negli ultimi 10 anni è di 16.717,95 milioni13.

Al summit di Copenhagen sul clima (2009), i Paesi donatori hanno promesso di mobilitare fino a 30 miliardi di dollari in un nuovo finanziamento fast-start addizionale per il periodo 2010-2012 e 100 miliardi di dollari all'anno, provenienti da fonti pubbliche, private ed innovative entro il 2012 per le azioni di contrasto ai cambiamenti climatici nei Paesi in via di sviluppo14. Ciò è molto lontano dalle richieste dei Paesi in via di sviluppo e dai 200 o più miliardi di dollari che si stima saranno necessari per il finanziamento a lungo termine entro il 202015. Inoltre, benché i Paesi donatori continuino a sottolineare il ruolo che il mercato del carbonio avrà nel fornire sostegno finanziario ai Paesi in via di sviluppo, i prezzi bassi del carbonio che risulterebbero dagli attuali obiettivi limitati di riduzione delle emissioni minano gravemente queste asserzioni.

Va rilevato che il concetto di finanziamenti nuovi ed aggiuntivi alla lotta contro i cambiamenti climatici non ha ancora una definizione comune. Per essere realmente addizionali e per non danneggiare gli impegni già esistenti per gli MDG, i finanziamenti per il clima devono essere aggiunti agli impegni APS, come, ad es., il traguardo dello 0,7% dell'RNL. L'ambiguità che ancora circonda il termine consente a molti Paesi donatori di dichiarare qualsiasi finanziamento in cima all'attuale flusso di aiuti come nuovo ed aggiuntivo. Tutti i segnali lasciano intendere che la maggior parte dei Paesi donatori intende saccheggiare i bilanci per l'APS e/o rimaneggiare impegni passati per onorare quelli presi per i finanziamenti fast-start16.

Esiste quindi il pericolo che ben poco denaro sarà nuovo o aggiuntivo rispetto agli impegni assunti, per soddisfare il bisogno urgente di adattamento e per creare le capacità essenziali per prepararsi ad un adattamento accelerato e ad uno sviluppo a basse emissioni di carbonio l'anno prossimo nei Paesi in via di sviluppo. Ciò non promette nulla di buono neppure per i finanziamenti addizionali a lungo termine.

Per fare un esempio, il programma statunitense sul clima è fermo in Senato, mentre le disposizioni per il sostegno ai Paesi in via di sviluppo sono ancora più indietro.

I cambiamenti climatici minacciano il raggiungimento degli MDG in generale; allo stesso tempo, il compimento degli MDG avrebbe un impatto significativo sulla lotta ai mutamenti climatici17. Da qui la

12 UNFCCC, art. 4.3.

13 http://www.climatefundsupdate.org/graphs-statistics.

14 Accordo di Copenhagen, 2.CP.15.

15 Banca Mondiale 2009, Climate Finance Post-Copenhagen. The $100bn questions, nota Oxfam, maggio 2010; The Global Report of the Economics of Adaptation to Climate Change Study, Washington DC; http://climatenetwork.org/climate-change-

basics/CAN_FAB_Essentials.pdf

16 Opinioni delle ONG sull'attuazione dei finanziamenti fast start dell'Ue, giugno 2010.

http://www.cidse.org/uploadedFiles/Publications/Publication_repository/20100604_Preliminary%20Report%20on%20EU%20Fast%20S tart%20Finance%20NGO%20Comment%20and%20Analysis.pdf.

17 The MDG Path to a Climate Change Solution. End Poverty Campaign 2015. http://www.slideshare.net/endpoverty2015/the-mdg-path- to-a-climate-change-solution.

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necessità sia di garantire il progresso effettivo verso il completamento degli MDG sia di garantire che l'eliminazione della povertà ed il diritto allo sviluppo siano al centro del futuro accordo globale.

CIDSE/FOCSIV raccomanda:

i. La comunità internazionale deve raggiungere un accordo equo, ambizioso e vincolante all'interno dell'ONU, che rispetti e protegga il diritto allo sviluppo delle popolazioni nei Paesi in via di sviluppo.

Tale accordo dovrebbe comprendere:

• disposizioni che mantengano l'aumento della temperatura globale ben al di sotto di 2°C, con un impegno dei Paesi sviluppati a ridurre le emissioni di gas serra del 40% entro il 2020 in base ai livelli del 1990, ammettendo la loro responsabilità storica nei confronti della comunità internazionale;

• l'Ue dovrebbe mettersi alla guida, impegnandosi, durante il suo Consiglio straordinario di settembre 2010, a ridurre le proprie emissioni del 30%. Sarebbe un primo passo verso l'obiettivo del 40% e oltre entro il 2020;

• gli obiettivi di riduzione delle emissioni dovrebbero essere vincolanti, includere un solido meccanismo di conformità e regole di controllo che evitino ogni scappatoia che possa minare l'integrità ambientale degli obiettivi stessi;

• l’erogazione, da parte dei Paesi industrializzati, di finanziamenti adeguati, nuovi ed aggiuntivi (rispetto agli impegni APS), prevedibili, sicuri ed accessibili; condivisione di tecnologia e di costruzione di capacità – tutto in modo misurabile, controllabile e verificabile – per sostenere e rendere possibili gli sforzi di mitigazione e adattamento nei Paesi in via di sviluppo;

• meccanismi innovativi di finanziamento per assicurare risorse affidabili ed aggiuntive per l'azione contro il clima, che possano essere accresciute in base alle necessità future. Dovrebbero avere priorità i meccanismi che includono il costo del danno ambientale di beni e servizi, realizzando così un doppio dividendo che scoraggi le azioni inquinanti.

ii. I futuri bisogni di finanziamento

Il settore privato può e dovrebbe avere un ruolo nella generazione di finanziamenti per l'azione contro il clima, ma saranno necessari anche fondi pubblici adeguati e più elevati dei 100 miliardi di dollari attualmente in discussione che dovrebbero provenire da più fonti, affinché ci siano gli investimenti e i finanziamenti privati siano fatti non solo quando sono remunerativi, ma anche quando sono necessari.

Il bisogno di finanziamenti per il clima aumenterà inevitabilmente in futuro, quindi le fonti finanziarie concordate dovrebbero consentire aumenti proporzionali quando necessario. I finanziamenti fast-start tra il 2010 ed il 2012 dovrebbero sostenere le azioni più urgenti di cui necessitano i Paesi in via di sviluppo e costruire le capacità per azioni ulteriori all'interno di un nuovo accordo globale sul clima.

Dovrebbero, inoltre, porre le basi per un finanziamento coordinato ed a lungo termine che possa essere controllato, riferito e verificato, oltre a fornire le pratiche migliori e le raccomandazioni per impegni futuri. Per facilitare tutto ciò, i Paesi donatori dovrebbero riferire, in modo esauriente, sulle fonti, le aree di spesa, la distribuzione geografica, i canali di finanziamento e le risorse del bilancio per i rispettivi impegni di finanziamenti fast-start.

L'Ue ha promesso coordinamento e trasparenza nei suoi finanziamenti fast-start e questa è una cosa positiva, ma dovrà dimostrarsi affidabile durante la conferenza di Cancun e non solo; gli altri Paesi donatori dovrebbero seguire questo esempio.

2015: cinque anni per costruire un partenariato vincente per lo sviluppo 11

(13)

iii. Gli approcci incentrati sul genere e su uno sviluppo sostenibile devono essere integrati nell'azione di contrasto ai cambiamenti climatici

I gruppi più vulnerabili agli effetti dei mutamenti climatici devono essere coinvolti nella pianificazione, attuazione e controllo, per far sì che l'azione per il clima sia efficace, appropriata e a beneficio dei poveri. Le donne sono le agenti chiave del cambiamento, dotate delle conoscenze e delle capacità cruciali per realizzare le strategie di adattamento e mitigazione. Dovrebbe essere posta particolare attenzione affinché possano partecipare alla formulazione ed alla messa in atto delle strategie per affrontare i cambiamenti climatici.

La Valutazione internazionale delle scienze e tecnologie agricole al servizio dello sviluppo (rapporto IAASTD)18 fornisce prove esaustive sull'importanza che l'agricoltura su piccola scala e sostenibile può avere nell'unire le strategie di adattamento e mitigazione alla sicurezza alimentare e per la riduzione della povertà nei Paesi in via di sviluppo, dove l'agricoltura fornisce sostentamento alla maggior parte dei poveri. L'attenzione all'agricoltura sostenibile per l'ambiente e su piccola scala dev'essere un elemento chiave sia nella risposta alla crisi alimentare sia nella formazione di stili di vita resistenti nei Paesi in via di sviluppo.

18 V. per esempio Valutazione internazionale delle scienze e tecnologie agricole al servizio dello sviluppo, Sintesi dei rapporti globali e regionali, 2008.

http://www.agassessment.org/reports/IAASTD/EN/Agriculture%20at%20a%20Crossroads_Synthesis%20Report%20(English).pdf. 2015: cinque anni per costruire un partenariato vincente per lo sviluppo 12

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II. RISPOSTA ALLA CRISI ALIMENTARE

Tra il 2005 e il 2009 il numero di persone in condizione di fame cronica è cresciuto drasticamente da 850 milioni a 1,02 miliardi. Questa crisi non può essere attribuibile alla carenza di scorte alimentari.

Infatti il 2008 ha registrato un raccolto di grano da record di 2,28 tonnellate metriche19. Tuttavia, con l'aumento dei prezzi nel 2007 e nel 2008, il prezzo dei beni alimentari importati è salito alle stelle. Allo stesso tempo, gli scarsi investimenti in agricoltura, le politiche di liberalizzazione e privatizzazione e le pratiche di commercio iniquo degli ultimi decenni hanno impoverito a tal punto i sistemi di produzione nei Paesi in via di sviluppo che centinaia di milioni di persone di sono ritrovate senza i mezzi per accedere al cibo necessario. I consumatori poveri sono stati le vittime principali e sono scesi in strada a protestare in molti Paesi, mentre la situazione era destinata a peggiorare ancora per via degli effetti della crisi finanziaria ed economica.

I prezzi sono calati dopo il picco del 2008, ma restano più alti della media del 2006. La comunità internazionale è ben lontana dal suo impegno di garantire il diritto all'alimentazione per tutti e dal raggiungere l’MDG1. Purtroppo il rapporto del Segretario Generale per il summit di revisione sugli MDG non comprende un'analisi delle cause della crisi dei prezzi alimentari. È una grave mancanza, poiché le cause della crisi legate al sistema devono essere tenute in considerazione per proporre una qualsiasi risposta politica, se si vuole che la fame sia sradicata.

Le origini della crisi alimentare vanno oltre le aree incluse nell’MDG1:

1. Investimenti troppo scarsi nell'agricoltura e nello sviluppo agricolo effettuati negli ultimi decenni da parte dei Paesi donatori e dei governi dei Paesi in via di sviluppo

L'APS per lo sviluppo rurale è sceso da circa il 20% negli anni Ottanta a circa il 4% del 2006. Questo, assieme alla mancanza di investimenti da parte dei governi dei Paesi in via di sviluppo nel medesimo settore, ha contribuito ad una diminuzione significativa della capacità produttiva e dei mercati locali nei Paesi in via di sviluppo. Di conseguenza, quando i prezzi delle importazioni sono aumentati nel 2007- 2008, le comunità sono divenute vulnerabili. Resta da vedere se gli impegni presi durante il G8 a L'Aquila saranno rispettati, quanto denaro sarà addizionale e quanto sarà solo mascherato come nuovi aiuti. Tuttavia è chiaro che ciò non basterà a rimediare ai danni di decenni di trascuratezza del settore agricolo e rurale e che è necessario un notevole aumento negli investimenti, sia da parte dei Paesi donatori sia da parte dei governi dei Paesi in via di sviluppo, per costruire capacità produttive.

2. Politiche commerciali internazionali

Le errate politiche commerciali internazionali sono uno dei fattori strutturali principali dietro la crisi alimentare. All'inizio degli anni Ottanta i Paesi in via di sviluppo sono stati costretti ad aprire i propri mercati nell'ambito dei programmi di aggiustamento strutturale (SAP) imposti dal FMI e dalla Banca Mondiale. La pressione è aumentata con l'accordo agricolo del WTO del 1995. Queste politiche hanno reso i Paesi in via di sviluppo più vulnerabili agli aumenti dei prezzi delle importazioni e hanno contribuito all'emarginazione, e talvolta alla violazione del diritto all'alimentazione, dei piccoli proprietari20. Un altro risultato è stata la minore produzione interna di beni alimentari ed una maggiore dipendenza dalle importazioni. Quando i prezzi dei prodotti importati è esploso nel 2007-2008, i Paesi dipendenti dalle importazioni non sono più riusciti ad assicurare la propria sicurezza alimentare.

19 FAO 2009b: More people than ever are victims of hunger, nota preparatoria, giugno 2009:

http://www.fao.org/fileadmin/user_upload/newsroom/docs/Press%20release%20june-en.pdf.

20 Paasch, A. (ed.), F. Garbers, e T. Hirsch 2007, Trade Policies and Hunger. The impact of trade liberalization on the Right to Food of rice farming communities in Ghana, Honduras and Indonesia. Ginevra: EAA.

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(15)

In assenza di un accordo all'interno del WTO, nella cosiddetta Conferenza di Doha sullo sviluppo, i Paesi avanzati ed i blocchi hanno cercato accordi commerciali bilaterali con i Paesi in via di sviluppo, accordi guidati da interessi particolari ancora più delle proposte nei negoziati del WTO. I Paesi in via di sviluppo sono stati costretti ad aprire ulteriormente i mercati ad importazioni, investimenti e servizi per le imprese dei Paesi industrializzati. La proprietà intellettuale di sementi e farmaci da parte delle compagnie è stata fortemente difesa dai governi, che volevano difendere i profitti delle proprie imprese a spese dei bisogni basilari delle popolazioni nei Paesi in via di sviluppo. In questa situazione è stato seriamente compromesso lo spazio politico a disposizione dei Paesi in via di sviluppo per assicurare i diritti umani ai poveri, in particolare il diritto all'alimentazione. Il rifiuto dell'Ue di riformare in maniera adeguata le proprie politiche agricole e di impedire l'esportazione di prodotti agricoli al di sotto dei prezzi di produzione rappresenta un grande ostacolo per i Paesi in via di sviluppo.

3. Competizione per l'uso della terra

La distribuzione iniqua della terra e delle altre risorse naturali è una delle cause principali della fame e della povertà nelle zone rurali dei Paesi in via di sviluppo. In tali aree sono più che mai urgenti riforme agrarie estese. Le linee guida FAO sul diritto all'alimentazione raccomandano le riforme agrarie in quanto strumento importante per combattere la fame. Queste, però, sono ostacolate dai proprietari terrieri – a volte con l'uso della forza in risposta all'attivismo delle popolazioni senza terra – e trascurate da governi e parlamenti influenzati dalle élites terriere. Inoltre, organizzazioni internazionali come la Banca Mondiale promuovono un modello di riforma agraria basato sui meccanismi di mercato. Tali programmi si sono dimostrati inefficaci nella redistribuzione delle terre ai poveri e nel difenderne il diritto alle terre dei loro antenati contro gli investitori.

Le espropriazioni violente o gli spostamenti delle comunità rurali povere – popolazioni indigene, allevatori e piccoli coltivatori – dalle loro terre a favore di grandi progetti infrastrutturali, come nei settori minerario, turistico ed energetico – o per monocolture volte alle esportazioni non sono una novità. Il problema si è però aggravato in maniera drammatica negli ultimi anni, soprattutto in Africa, a causa degli investimenti stranieri nell'affitto o nell'acquisizione delle terre. Si è calcolato che, tra il 2005 e il 2009, tra i 22 ed i 50 milioni di ettari in Africa, Asia ed America Latina siano passati agli investitori21. Numerosi rapporti segnalano comunità rurali povere, ad es. in Kenya, Mozambico e Filippine, private dell'accesso alla terra, oltre a svariate riforme agrarie in corso che minano la sovranità e la sicurezza alimentare nazionali.

4. Speculazione eccessiva nei mercati dei beni agricoli

Negli ultimi tre anni il mondo ha assistito a fluttuazioni di prezzo oltraggiose nei mercati internazionali dei prodotti agricoli, che hanno aggravato l'insicurezza alimentare e contribuito all'esplosione dei prezzi degli alimenti nel 2008. Benché le fluttuazioni di prezzo siano causate da vari fattori, ad es., gli effetti di ricaduta delle politiche per gestire le crisi di altri settori dell'economia globale (finanzia, energia, clima), anche le speculazioni finanziarie nei mercati delle materie prime hanno contribuito notevolmente a questa volatilità. Nonostante il G8 e numerose altre piattaforme internazionali abbiano più volte sottolineato la necessità di stabilizzare i mercati alimentari globali, non sono ancora state formulate proposte chiare.

5. Politiche dei donatori

I donatori tendono a finanziare soluzioni rapide, contribuendo, ad esempio, con semi e fertilizzanti.

Alcune iniziative che incoraggiano la diffusione di modelli globali per l'intensificazione agricola, basati su contributi esterni, vanno considerate con cautela, poiché non tengono in considerazione le questioni

21 Grain 2009, Land Grabbing and the Global Food Crisis; BMZ 2008, Großflächige Landkäufe und -pachten in Entwicklungsländern.

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legate alla natura complessa della disponibilità e dell'accesso al cibo nei Paesi in via di sviluppo. Tali fallimenti sottolineano il bisogno di rivedere i sistemi alimentari mondiali e la loro governance, se si vuole raggiungere una vera collaborazione globale per lo sviluppo.

A seguito dell'esplosione dei prezzi nel 2008 sono state fatte numerose dichiarazioni politiche e sono state prese iniziative in svariati fora, come il G8, all'interno della FAO e dell'ONU. La Tavola 2, a seguire, fornisce una panoramica di alcune tra queste iniziative, dei loro obiettivi, impegni finanziari e del loro stato attuale.

Tavola 2 – Panoramica delle iniziative dei donatori in risposta alla crisi alimentare

Iniziativa Scopo/obiettivo Fondi promessi Stato attuale

Una collaborazione globale per la sicurezza alimentare

e la nutrizione, promossa dall'Ue e

dal G8 nel 2008 e appoggiata in ambito

ONU, compreso il summit FAO sull'alimentazione

del 2009.

Proposto uno sforzo tra più partecipanti per migliorare l'efficacia della lotta contro

la fame a livello locale e mondiale, che abbia una base politica, scientifica e

finanziaria.

Nessuno. Non chiaro.

Task force di alto livello delle Nazioni

Unite sulla crisi alimentare (UNHLTF), creata

nel 2008 dal Segretario Generale

ONU, con il suo Quadro complessivo

d'azione o CFA.

Promuovere una risposta unificata delle Nazioni Unite alla crisi alimentare; il CFA

propone opzioni politiche per l'ONU, le Istituzioni di Bretton Woods (IBW) ed

altri in risposta alla crisi.

Nessuno. In fase di revisione nel 2010.

Riforma del Comitato ONU per

la sicurezza alimentare, 2009.

Fornire un coordinamento a livello globale, nazionale e regionale;

promuovere la convergenza e la trasparenza politiche; sviluppare una

struttura strategica globale per la sicurezza alimentare e la nutrizione;

facilitare sostegno, consulenza e condivisione delle pratiche migliori con e

tra Paesi e/o regioni22.

Nessuno. In fase di attuazione.

EU Food Facility,

2009 Un fondo per finanziare l'attuazione di progetti a breve-medio termine per alleviare gli effetti della crisi alimentare.

Gli obiettivi primari sono:

1) incoraggiare la produzione agricola in determinati paesi e regioni;

2) sostenere le reti di sicurezza per mitigare gli effetti negativi dell'instabilità dei prezzi

alimentari sulle popolazioni locali, e

1 miliardo di euro per il periodo 2009-

2011.

Ciò dovrebbe comprendere 760

milioni di denaro nuovo, ma nella

realtà oltre 240 milioni saranno

Prima fase di attuazione.

22 Reform of the Committee on Food Security, versione finale, ottobre 2009.

http://www.fao.org/fileadmin/templates/cfs/Docs0910/ReformDoc/CFS_2009_2_Rev_2_E_K7197.pdf.

23 AAA CSOs Monitoring Report, Food Facility Study 2010.

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Iniziativa Scopo/obiettivo Fondi promessi Stato attuale 3) rafforzare le capacità produttive e la

governance del settore agricolo, oltre a migliorare la sostenibilità degli interventi.

sottratti ai bilanci per lo sviluppo23. Iniziativa del G8 a

L’Aquila per la sicurezza alimentare

globale, 2009.

Catalizzare fondi aggiuntivi intorno a strategie nazionali, accrescere la produzione alimentare, migliorare l'accesso al cibo, far sì che i piccoli coltivatori possano avere tecnologie,

contributi, credito e mercati.

20 miliardi di

dollari per tre anni. Al momento non chiaro. Incaricati del

controllo, IFPRI, UN-HLTF, Banca

Mondiale e la piattaforma globale

dei donatori per lo sviluppo rurale

(GDPRD).

Programma globale e multi-donatore per

l'agricoltura e la sicurezza alimentare

(GAFSP), 2010.

− migliorare la produttività agricola;

− collegare gli agricoltori ai mercati;

− ridurre i rischi e la vulnerabilità appoggiando una protezione sociale

legata al cibo;

− promuovere stili di vita rurali non legati alle fattorie;

− assistenza tecnica, costruzione di istituzioni e capacità.

Al momento gli impegni complessivi ammontano a 900 milioni di dollari da

erogare in tre anni.

Prima fase di proposte.

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(18)

Tutti professano di volersi impegnare per alleviare gli effetti sulle comunità colpite dall'aumento dei prezzi degli alimenti e per trovare soluzioni a lungo termine. In effetti, è possibile individuare alcuni sviluppi positivi nel dibattito politico scaturito dalla crisi nel 2007- 2008 – ad es. il rinnovato riconoscimento dell'importanza di investire nell'agricoltura nei Paesi in via di sviluppo, assieme ad una maggiore attenzione verso i piccoli coltivatori.

Riquadro 2 – Una nuova cornice politica dell'Ue per la sicurezza alimentare

A maggio 2010 l'Ue ha adottato una nuova struttura politica per la sicurezza alimentare, incaricando la Commissione di proporre un piano di attuazione entro la fine del 2010.

CIDSE/FOCSIV ha accolto con favore tale struttura; essa include numerosi orientamenti politici nuovi che vanno nella direzione delle raccomandazioni di cui sopra. Questi comprendono il riconoscimento del ruolo che ha il diritto all'alimentazione nelle strategie di sicurezza alimentare, il bisogno di approcci sostenibili a livello ambientale, ricerca guidata dalla domanda e la necessità di aumentare gli utili dei piccoli produttori. La struttura riconosce, inoltre, un ruolo importante al Comitato delle Nazioni Unite sulla sicurezza alimentare in una nuova governance alimentare mondiale.

La vera prova di questa nuova struttura, però, sarà la sua fase di realizzazione, nella quale saranno cruciali l'impegno volto ad assicurare finanziamenti costanti e in aumento (v. le raccomandazioni sugli investimenti sostenibili) e la capacità di tenere sotto controllo l'Ue per gli effetti delle sue politiche in altre aree della medesima struttura, comprese le politiche agricole e commerciali.

Tuttavia, le iniziative politiche e finanziarie sono ancora ben lontane dall'affrontare in modo adeguato le cause alla radice dell'insicurezza alimentare. Le politiche attuate dai donatori, poi imposte aggressivamente per mezzo delle istituzioni globali nel corso degli ultimi decenni, hanno contribuito ad un sistema alimentare vulnerabile. Ora devono svolgere un ruolo chiave nella promozione di un nuovo sistema alimentare

mondiale che sia equo e sostenibile. Il summit di revisione degli MDG sarà un momento cruciale per annunciare nuovi e più chiari impegni.

CIDSE/FOCSIV raccomanda:

i. Aumentare considerevolmente l'APS e assegnarlo all'agricoltura ed allo sviluppo rurale

I governi donatori dovrebbero impegnarsi ad eguagliare l'impegno assunto a Maputo nel 2003 dai Paesi africani – destinare cioè il 10% dei rispettivi bilanci annuali all'agricoltura ed allo sviluppo rurale – assegnando almeno il 10% dei propri bilanci APS all'agricoltura nei prossimi cinque anni. Altrettanto importante è la qualità degli aiuti e dove e in cosa vengono investiti.

ii. Includere il diritto all'alimentazione come linea guida per la formulazione di politiche

Le dichiarazioni politiche fatte a seguito della crisi alimentare hanno ribadito l'impegno della comunità internazionale a realizzare il diritto all'alimentazione. Tuttavia, se ciò non diverrà la base per le risposte nazionali ed internazionali, non avverranno mai i cambiamenti nelle politiche mondiali e negli interventi per lo sviluppo necessari a raggiungere questo diritto fondamentale.

Il diritto all'alimentazione è legalmente vincolante, anche se le linee guida per la sua attuazione sono ancora volontarie. Assegna la responsabilità ai governi e consente azioni esecutive nel caso i diritti fossero minati. Il diritto all'alimentazione non impone ai governi politiche agricole od alimentari specifiche, bensì fornisce una cornice utile per guidarli nelle azioni per aumentare la sicurezza alimentare nei rispettivi Paesi, grazie ad una varietà di cambiamenti e programmi politici. Fa sì che tutti coloro che sono coinvolti in progetti e programmi, in particolare le donne, che sono la maggioranza dei piccoli produttori e fautrici di cambiamenti, siano coinvolti nell'analisi e nella progettazione. Si tratta di una questione di responsabilità e legittimità, ma è anche necessario per assicurare una progettazione ed un’esecuzione corrette ed efficaci degli stessi progetti e programmi.

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(19)

iii. Riforma del commercio e delle politiche agricole

• Stabilire regole commerciali che si basino sul rispetto dei diritti umani. Prima di concludere accordi bilaterali o multilaterali, gli Stati dovrebbero sottoporsi ad estese valutazioni d'impatto sui diritti umani (HRIA). Devono accertarsi che tali accordi non limitino lo spazio politico nazionale per realizzare il diritto all'alimentazione e gli altri diritti umani. Gli accordi commerciali dovrebbero contenere clausole sui diritti umani che costringano a rinegoziare le condizioni che compromettono gli obblighi degli Stati nei confronti dei diritti umani;

• basare i negoziati e l'attuazione degli accordi commerciali sui principi di partecipazione, trasparenza, responsabilità e sulla garanzia di accedere a risarcimenti legali efficaci;

• riformare l'articolo 24 del WTO che richiede la “reciprocità” di impegni negli accordi bilaterali, impedendo un trattamento differente e più efficace nei confronti dei Paesi in via di sviluppo;

• l'Ue dovrebbe riformare la sua strategia globale, che mira unicamente all'ampliamento dell'accesso ai mercati per le imprese europee, trascurando gli obblighi dei propri Stati membri nei confronti degli MDG e dei diritti umani;

• assicurare l'accesso facile ad un meccanismo speciale di salvaguardia in tutti gli accordi commerciali stipulati con Paesi in via di sviluppo;

• riformare le politiche agricole nei Paesi OCSE, per porre termine alle esportazioni dei beni agricoli al di sotto dei costi di produzione. L'Ue deve terminare immediatamente tutti i sussidi alle esportazioni e senza rendere ciò condizionale per la conclusione della Conferenza di Doha. Tutti i sussidi agricoli nazionali dovrebbero rispettare severi standard ecologici e non dovrebbero mai condurre alla distruzione dei mercati locali esteri o consentire all'industria agraria di controllare i mercati globali;

• frenare le pratiche di dumping private che si disfano dei sottoprodotti delle catene alimentari o mirano a conquistare il monopolio regionale vendendo all'estero al di sotto dei costi di produzione a nord.

iv. Sostenere una struttura politica che dia potere ai piccoli agricoltori

Gli investimenti nello sviluppo agricolo e rurale nei Paesi in via di sviluppo dovrebbero sostenere una struttura in grado di affrontare i numerosi fattori che limitano l'accesso dei piccoli coltivatori – donne e uomini, le famiglie guidate da donne ed i lavoratori senza terra – ad un'alimentazione adeguata e a buon prezzo, così come la loro capacità di raggiungere uno stile di vita decente per se stessi e per le loro famiglie. Ciò farà sì che i piccoli coltivatori possano beneficiare dei prezzi più alti degli alimenti, anziché subirne gli effetti. A questo proposito le linee guida FAO sul diritto all'alimentazione forniscono una serie ampia ed articolata di raccomandazioni per i governi dei Paesi in via di sviluppo e per i donatori.

Alcune aree importanti da affrontare sono:

• sostegno allo sviluppo sostenibile per l'ambiente e la società;

• accesso alle terre fertili ed all'acqua per i piccoli coltivatori, comprese le donne e, in particolare, gli agricoltori privi di mezzi;

• sostegno per coloro che vivono nelle zone rurali povere, affinché possano accedere ai servizi di consulenza, formazione e finanziari, compreso il credito;

• assicurare la partecipazione dei piccoli coltivatori e dei loro rappresentanti alla formulazione di politiche per lo sviluppo agricolo ed alle strategie di modernizzazione;

• appoggio al rafforzamento dei coltivatori a tutti i livelli, ad es. creando o potenziando le loro organizzazioni, le associazioni dei produttori, le cooperative, oltre al miglioramento delle contrattazioni collettive nelle catene di valore agricole;

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(20)

• investimento nella ricerca e nello sviluppo a favore dei poveri, così come nella protezione e nel miglioramento partecipativo delle varietà di sementi locali, basato sul totale riconoscimento dei diritti dei coltivatori per quanto riguarda i semi, compresa una legislazione sui generis;

• sviluppo delle infrastrutture di conservazione e trasporto, di sistemi appropriati di partecipazione azionaria, con un riguardo particolare alle banche delle sementi decentralizzate e controllate localmente;

• accesso migliore per i piccoli coltivatori ai mercati, con la priorità ai mercati locali e regionali, in modo da evitare standard di prodotti e marketing che siano discriminatori per i piccoli coltivatori poveri;

• creazione di istituzioni e politiche per la competizione nei mercati locali e regionali.

v. Proteggere la biodiversità degli ecosistemi agricoli

Le politiche agricole, commerciali e di sviluppo dei Paesi avanzati dovrebbero promuovere la biodiversità degli ecosistemi agricoli, sia interni sia esteri. Le attuali politiche, invece, promuovono da tempo le monocolture, che hanno ridotto la biodiversità, inaridito terreni e paesaggi e minato le pratiche dell'agro-ecologia. È fondamentale aumentare la produttività, soprattutto nell'Africa Sub-Sahariana, ciò deve essere perseguito promuovendo un'agricoltura diversificata e sostenibile.

Il rapporto IAASTD del 200824 dimostra in maniera significativa come un’ agricoltura che rispetta la biodiversità su piccola scala possa assicurare una maggiore sicurezza alimentare e ridurre la povertà nei Paesi in via di sviluppo; tuttavia, rimane ampiamente ignorata dalla politica mondiale. La comunità internazionale dovrebbe appoggiare le scoperte e le raccomandazioni presenti nel rapporto IAASTD e dovrebbe, almeno:

• sostenere le pratiche agricole basate sui sistemi agro-ecologici locali che comprendono l'uso di terreni misti. Tali sistemi gestiscono meglio gli equilibri biologici, mantenendo sotto controllo insetti, erbe infestanti e l'erosione del terreno;

• rifiutare l'imposizione di un singolo modello per la modernizzazione agricola globale. In tutto il mondo esistono numerosissimi sistemi agricoli diversi, ognuno con la propria ecologia, logica, difficoltà e potenziale per ulteriori sviluppi. In base a questa diversità, è necessario cercare opzioni differenti per stimolare lo sviluppo sostenibile;

• promuovere il finanziamento pubblico per la ricerca agricola, in particolare a sud. Questa ricerca dovrebbe essere guidata dai coltivatori, rafforzare i piccoli agricoltori, fare attenzione alle questioni di genere e promuovere soluzioni favorevoli ai poveri.

vi. Fermare l'esproprio delle terre e sostenere le politiche di riforma agraria

I governi nazionali e la comunità internazionale dovrebbero fare tutto il possibile per porre fine all'esproprio delle terre e per difendere il diritto alla terra delle popolazioni vulnerabili; inoltre, dovrebbero:

• sostenere nei Paesi in via di sviluppo riforme della proprietà terriera che rendano possibile la distribuzione di terreni arabili a chi non ha terre, ai piccoli agricoltori, alle popolazioni indigene e ad altri gruppi emarginati, e che proteggano i tradizionali diritti alla terra di fronte alle pressioni degli investitori;

• rendere pienamente trasparenti i negoziati ed i contratti, le valutazioni d'impatto sui diritti umani (HRIA) ed i meccanismi di reclamo obbligatori per ogni acquisizione di terreni su larga scala. Nessun trasferimento terriero di vaste proporzioni dovrebbe essere possibile senza queste misure e senza il consenso libero, informato e a priori delle comunità coinvolte;

sostenere lo sviluppo delle linee guida FAO sulla corretta governance del possesso di terreni e risorse naturali. Queste linee guida dovrebbero adottare un approccio basato sui diritti umani, secondo le istruzioni della FAO stessa sul diritto all'alimentazione, oltre a includere le raccomandazioni della

24 http://www.agassessment.org.

2015: cinque anni per costruire un partenariato vincente per lo sviluppo 19

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Conferenza internazionale sulla riforma agraria e lo sviluppo rurale (ICARRD). Le direttive per le terre dovranno scaturire da un processo partecipativo democratico ed essere appoggiate, infine, da un rinnovato Comitato sulla sicurezza alimentare delle Nazioni Unite (CFS);

• far sì che il Codice di condotta sugli investimenti agricoli, sviluppato al momento dalla Banca Mondiale, escluda la questione della terra e delle risorse naturali. Quest'ultima dovrebbe, invece, essere inclusa nel processo parallelo delle sopra citate linee guida della FAO;

• controllare le pratiche delle imprese basate (registrate) nei loro territori secondo le convenzioni ILO e le attuali linee guida e codici di condotta, in particolare il codice OCSE per le multinazionali.

vii. Stabilizzare i prezzi dei beni alimentari, frenare la speculazione e fornire ai bisognosi accesso al cibo

• Si dovrebbe eliminare, o almeno severamente regolamentare, la speculazione finanziaria (compresi i fondi speculativi o hedge funds) nella borsa dei beni alimentari;

• rilanciare il mantenimento di riserve strategiche di cibo, a livello mondiale, regionale, nazionale o locale, sia in termini materiali sia in termini virtuali, per controbilanciare le oscillazioni eccessive. Si dovrebbero sviluppare regole internazionali per coordinare i programmi di partecipazione azionaria per la sicurezza alimentare;

• è necessario rivedere le regole del WTO e le condizioni delle SAP sulla partecipazione azionaria pubblica a scopo di sicurezza alimentare, affinché non si concentrino più solo sul controllo dei prezzi e i sussidi, ma comprendano un approccio più ampio ad agricoltura e commercio.

viii. Formare una governance per l'alimentazione che sia mondiale, efficace, coerente ed inclusiva Benché la crisi alimentare abbia generato un ampio consenso intorno alla necessità di una nuova governance alimentare mondiale, come visto nella Tavola 2, il quadro generale presenta numerosi processi politici ed iniziative di finanziamento paralleli. È urgente la creazione di una governance mondiale efficiente per la sicurezza alimentare, l'agricoltura e l'alimentazione – con effettiva coordinazione e coerenza tra processi politici e gestionali – al fine di creare una genuina collaborazione per lo sviluppo e riportare il mondo sulla strada giusta verso la realizzazione dello MDG1.

Il Comitato sulla sicurezza alimentare ONU (CFS) è stato riformato per consentirvi una partecipazione più ampia ed è aperto ad una forte collaborazione da parte della società civile, comprese le persone più colpite dalla sicurezza alimentare. Il CFS ha il mandato di promuovere il coordinamento mondiale, la convergenza politica, la trasparenza, e di sviluppare una struttura globale strategica per la sicurezza alimentare e la nutrizione. Costituisce un pilastro politico e legittimo per una nuova architettura di governance alimentare mondiale. Non è ancora chiaro se i governi, in particolare quelli donatori, faranno sì che il Comitato abbia il sostegno politico e finanziario necessario per svolgere il proprio mandato in maniera autorevole ed efficace. Né l'iniziativa formulata al G8 di L’Aquila né il Programma globale per l'agricoltura e la sicurezza alimentare della Banca Mondiale fanno riferimento al CFS, mentre esso è ancora privo di risorse significative per svolgere i propri compiti. Esiste il serio rischio che i processi dotati del sostegno economico e delle direttive politiche da parte dei Paesi donatori calpestino le nuove politiche che emergeranno dal più rappresentativo e scientifico CFS25.

È necessario superare questi problemi:

• i governi devono riconoscere il Comitato sulla sicurezza alimentare dell'ONU come l'ente internazionale principale per definire le nuove strategie contro la fame e per l'assegnazione delle risorse.

I donatori devono fornirgli il sostegno politico e finanziario necessario a svolgere il suo mandato;

25 Kolmans e Paasch 2010.

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