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Sommario (ma non troppo) - Judicium

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M

ICHELE

A

NGELO

L

UPOI

Sommario (ma non troppo)

SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. I presupposti processuali del rito sommario. – 3. L’atto introduttivo. – 4. La posizione del convenuto. – 5. La “prima udienza sommaria”. – 6. La verifica circa il carattere “sommario” dell’istruttoria. – 7.

L’istruzione sommaria. – 8. L’appello. – 9. Conclusioni.

1. - La legge n. 69 del 18 giugno 2009 ha introdotto nell’ordinamento giuridico italiano un nuovo modello processuale, denominato procedimento sommario di cognizione. Si tratta di un’innovazione per certi versi paradossale, considerato che la stessa legge n. 69 contiene, all’art. 54, una legge delega per la c.d. semplificazione dei riti, proprio in considerazione dell’eccessivo numero di procedimenti oggi applicabili nelle più disparate materie. D’altra parte, il senso di smarrimento si smorza, considerando che proprio il procedimento sommario viene indicato dal legislatore delegante come uno dei tre modelli di riferimento in cui, nell’emananda legislazione delegata, dovrebbe confluire l’attuale congerie di riti. E’, quindi, evidente l’investimento del legislatore nel nuovo istituto. In particolare, nella legge delega, si prevede che siano ricondotti al procedimento sommario qui in esame i procedimenti “in cui sono prevalenti caratteri di semplificazione della trattazione o dell’istruzione della causa”. Tale disposizione è fondamentale per apprezzare le caratteristiche e la ratio ispiratrice del nuovo modello procedimentale, la cui “sommarietà”, concepita con riferimento alla rapida definizione delle controversie, viene espressamente collegata alla possibilità per il giudice di uscire dalle rigidità e dagli schemi previsti per il procedimento ordinario di cognizione. Il legislatore, in sostanza, ha preso atto che le controversie non sono tutte uguali e che i ritmi e la scansioni previste dagli artt. 163 ss. c. p. c. possono essere inutilmente “ingombranti” per quelle più

“semplici”, in relazione alle quali è opportuno prevedere modalità meno rigide di istruzione e decisione (1).

In altre parole, con il nuovo procedimento sommario, il legislatore ha introdotto un inedito elemento di flessibilità nell’ordinamento procedurale italiano, superando la (tradizionale) applicazione inflessibile delle norme del codice di rito rispetto alle cause per cui tali “ordinarie” sovrastrutture risultino pletoriche (2). Così facendo, il legislatore si è avvicinato all’esperienza di altri ordinamenti stranieri, in cui da tempo si sono introdotti meccanismi per adattare gli schemi processuali alla minore o maggiore complessità della singola lite. In realtà, però, le più recenti esperienze estere, come quella inglese o francese (3), si sono mosse sul piano della cooperazione e della

1) Cfr. anche ARIETA, Il rito “semplificato” di cognizione, in www.judicium.it, p. 1.

2) Sull’applicazione dell’idea di elasticità da parte del legislatore, BIAVATI, Appunti introduttivi sul nuovo processo a cognizione semplificata, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2010, p. 188; CARRATTA, Nuovo procedimento sommario di cognizione e presupposto dell’“istruzione sommaria”: prime applicazioni, in Giur. it., 2010, p. 905.

3) Su cui CANELLA, Gli accordi processuali francesi volti alla “regolamentazione collettiva” del processo civile, in Riv. trim.

dir. proc. civ., 2010, p. 549.

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collaborazione, nella fase introduttiva della lite, tra parti e giudice, inserendo elementi di negozialità nelle dinamiche processuali e configurando, dopo la proposizione della domanda con modalità unitarie, la possibilità di sviluppare l’iter procedimentale secondo itinerari diversi, a seconda delle caratteristiche delle singole fattispecie. Il più timido legislatore italiano, dal canto suo, ha preferito varare un nuovo modello procedimentale con funzione alternativa e non sostitutiva rispetto a quello ordinario (4). Sta, infatti, all’attore scegliere il rito, in base alle caratteristiche della fattispecie e ad una valutazione prognostica circa l’idoneità della lite ad essere istruita in via sommaria, nel senso che si andrà a delineare nelle prossime pagine. L’attore, peraltro, non ha un “diritto” al modello procedimentale prescelto: la decisione finale spetta, infatti, al giudice, il quale si esprimerà sullo sviluppo dell’istruttoria nel corso della prima udienza (art. 702 ter, commi 4° e 5°, c. p. c.). Il convenuto, dal canto suo, non può sottrarsi al procedimento sommario se non facendo valere in giudizio difese tali da indurre il giudice a ritenere opportuna una istruzione non sommaria (5): e proprio perché il convenuto non interessato ad una sollecita decisione della lite cercherà di

“complicare” il più possibile l’espletanda attività istruttoria, il giudice dovrà evitare di lasciarsi impressionare da comparse di risposta sovraccariche di richieste irrilevanti o inammissibili, disponendo con troppa facilità il passaggio al rito ordinario (6). D’altro canto, mentre la conversione dal rito sommario a quell’ordinario è sempre possibile, il cammino inverso non è stato previsto dal legislatore, come pure si sarebbe potuto (7): un approccio più limitato (e per certi versi inadeguato) rispetto alle recenti esperienze straniere, ma che la legge delega sulla semplificazione dei riti avalla e anzi rende più rigido, senza possibilità di prevedere, per il prossimo futuro, soluzioni più coraggiose.

D’altro canto, l’effettiva applicazione del procedimento sommario presenta l’inedita caratteristica (per l’ordinamento italiano) di non essere predeterminabile a priori (8). In effetti, la scelta del giudice verso l’istruzione sommaria giunge a dipendere non tanto e non solo dal contenuto dell’atto introduttivo del giudizio, quanto anche dalle difese fatte valere dal convenuto, con una notevole serie di “variabili” (più o meno preventivabili dalle parti) in merito alla maggiore o minore complessità della lite ai fini qui rilevanti. In altre parole, la scelta del rito sommario da parte del ricorrente sarà di norma operata senza alcuna effettiva certezza in merito all’evoluzione futura del procedimento. E poiché tale evoluzione dipende da una valutazione discrezionale (ed insindacabile)

4) BRIGUGLIO, Le novità sul processo ordinario di cognizione nell’ultima, ennesima riforma in materia di giustizia civile, in Giust. civ., 2009, II, p. 260; DITTRICH, Il nuovo procedimento sommario di cognizione, in Riv. dir. proc., 2009, p. 1582. V.

pure VOLPINO, Il procedimento sommario di cognizione, in Nuova giur. civ. comm., 2010, II, p. 54.

5) Per osservazioni critiche, cfr. CAPONI, in La riforma della giustizia civile, a cura di Balena, Caponi, Chizzini, Menchini, Torino, 2010, p. 198.

6) Su questo aspetto v. pure BIAVATI, op. cit., p. 189.

7) BIAVATI, op. cit., p. 195, peraltro, ritiene che il rito sommario introduca un “vero e proprio case management italiano”. V. anche le osservazioni di BINA, Il procedimento sommario di cognizione, in Riv. dir. proc., 2010, p. 121, che osserva che, a differenza da altri modelli europei, qui il giudice è privo di potere d’ufficio e di indicazioni circa i criteri utili ad orientare la sua discrezione. Cfr. pure MINARDI, Il processo sommario di cognizione. Seconda lettura, in www.altalex.it, p. 2.

8) Cfr. anche BIAVATI, op. cit., p. 188.

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(9) del giudicante, sussiste una notevole imprevedibilità in merito al destino di un ricorso proposto ai sensi dell’art. 702 bis c. p. c., potendosi facilmente prevedere discrasie applicative da un ufficio giudiziario all’altro e financo tra singoli giudici dello stesso ufficio. Emerge qui, d’altra parte, uno dei principali limiti del nuovo modello: per potere costituire una valida ed efficace alternativa al procedimento ordinario, il rito sommario deve contare su un terreno di coltura propizio, in termini di organizzazione ed efficienza degli uffici e di disponibilità dei giudici a non affossarlo. Qui più che altrove, il “fattore umano” assume rilievo fondamentale per decretare il successo o il fallimento di un’innovazione legislativa. Al riguardo, le prime esperienze applicative danno conto di uno scenario a due velocità: da un lato, uffici giudiziari in cui, grazie anche all’entusiasmo di singoli magistrati, il rito sommario ha già portato a decisione un certo numero di cause (anche di valore tutt’altro che bagatellare), riuscendo a soddisfare, nell’arco di un pugno di mesi, esigenze di tutela che, con il rito ordinario, ancora si troverebbero impantanate nella fase di scambio delle memorie previste dall’art.

183, comma 6 c. p. c.; dall’altro lato, si assiste al triste scenario di uffici giudiziari in cui l’udienza prevista dall’art. 702 ter c. p. c. è fissata a distanza di molti mesi (se non anni) dal deposito del ricorso, ciò che, nei fatti, determina la sostanziale abrogazione per via pretoria della novità legislativa (10).

La dottrina che per prima si è occupata del nuovo istituto si è profusamente confrontata in merito alla sua natura, con particolare attenzione proprio alla nozione di “sommarietà” utilizzata dal legislatore in questo contesto. Al riguardo, a distanza di alcuni mesi dall’entrata in vigore della legge n. 69, alla luce delle prime esperienze applicative, sembra ormai essersi cristallizzata una linea interpretativa ampiamente maggioritaria. Anche prima di analizzare nel dettaglio il significato del termine “sommario” in questo contesto, si può anticipare che, per opinione diffusa, al nuovo rito si riconosce funzione decisoria e lo si ritiene idoneo ad essere annoverato nell’ambito della tutela dichiarativa dei diritti (11). Per la grande maggioranza degli interpreti, deve essere ammesso per ogni tipo di domanda di cognizione (e, dunque, accertamento mero, condanna e costitutiva) (12), essendo rimasta minoritaria la tesi per cui esso avrebbe potuto essere utilizzato solo per le controversie aventi ad oggetto il pagamento di somme di denaro (13). In effetti, le prime pronunce documentano

9) Così anche ACIERNO, Il nuovo procedimento sommario: le prime questioni applicative, in Corr. giur., 2010, p. 510.

10) In effetti, da parte della magistratura si registrano accenti critici nei confronti del nuovo modello procedimentale: v.

ad esempio GIORDANO, Procedimento sommario di cognizione, in Il processo civile competitivo, a cura da Didone, Torino, 2010, p. 746 ss.

11) MENCHINI, L’ultima “idea” del legislatore per accelerare i tempi della tutela dichiarativa dei diritti: il processo sommario di cognizione, in Corr. giur., 2009, p. 1025; CARRATTA, op. cit., p. 902.

12) LUISO, Il procedimento sommario di cognizione, in www.judicium.it, p. 1; BIAVATI, op. cit., p. 191; MENCHINI, op. cit., p.

1026; CAPONI, Un nuovo modello di trattazione a cognizione piena: il procedimento sommario ex art. 792-bis c. p. c., p.

2;GIORDANO, Procedimento sommario cit., p. 717 ne parla in termini di ambito di applicazione “atipico”; Trib. Modena, 18 gennaio 2010, ord., in Foro it., 2010, I, c. 1015; BOVE, Il procedimento sommario di cognizione di cui agli articoli 702- bis ss. c. p. c., in www.judicium.it, p. 1; DITTRICH, op. cit., p. 1586; Protocollo sul procedimento sommario di cognizione predisposto dall’Osservatorio sulla giustizia civile del Tribunale di Roma del 4 febbraio 2010.

13) ASPRELLA, Procedimento sommario di cognizione e pronuncia della sentenza nel rito del lavoro, in La riforma del processo civile dal 2005 al 2009, a cura di Asprella, Giordano, in Giust. civ., Suppl. n. 6 del 2009, p. 144.

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una notevole “flessibilità” di questo strumento processuale, utilizzato, ad esempio, per fare valere azioni revocatorie (14), di risoluzione di un contratto per inadempimento (15), di nullità di un ordine di investimento (16), di rilascio di un immobile occupato sine titulo (17), così come domande per accertare la legittimità dell’esclusione di una socia da una cooperativa (con conseguente decadenza della socia in questione dall’assegnazione dell’immobile sociale e condanna al rilascio dello stesso) (18) ovvero l’avvenuto recesso di un socio da una società (19).

I principali dubbi rispetto all’ambito applicativo del rito sommario riguardano però la possibilità di utilizzarlo rispetto a controversie altrimenti soggette a procedimenti di cognizione diversi da quello ordinario. L’impressione di chi scrive è che il legislatore non si sia neppure prospettato tale ipotesi, dando per scontato che il rito che andava ad introdurre dovesse operare in alternativa (e per decongestionare) il rito di cognizione ordinario. Ciò non toglie che l’interprete si debba comunque porre il problema e cercare di dare ad esso una soluzione compatibile con il sistema. Dirò subito, peraltro, che mi trovo in sintonia con quella parte della dottrina che si è espressa in senso contrario all’ammissibilità del procedimento sommario per le controversie assoggettate ad un rito speciale (20). Altri interpreti, però, hanno espresso posizioni diversificate a seconda del modello procedimentale considerato. Rispetto al rito del lavoro (e, conseguentemente, al rito locatizio), in particolare, sembra al momento maggioritaria la tesi dell’incompatibilità, che può posare su dati sia testuali che strutturali. A dire il vero, i primi, pur avendo un certo peso, non sono forse invincibili: in primo luogo, si fa notare che nell’ambito dell’art. 702 ter c. p. c. si fa riferimento solo ad elementi del modello della cognizione ordinaria (come l’udienza ex art. 183 c. p. c. che il giudice deve fissare in caso di “conversione” del rito) (21); inoltre, alcuni aspetti caratteristici del rito ex artt. 409 ss. c. p.

14) Trib. Mondovì, 12 novembre 2009, ord., in Giur. it., 2010, p. 899; Trib. Prato, 10 novembre 2009, ord., in Foro. it., 2009, I, c. 3505.

15) Trib. Varese, 18-12-09, ord.; Trib. Cagliari, 6 novembre 2009, ord., in Giur. mer., 2010, p. 409, con riferimento alla risoluzione di diritto di un contratto di compravendita.

16) Trib. Ferrara, 28 gennaio 2010, ord.; in materia anche Trib. Ancona, 9 aprile 2010, ord.

17) Trib. Taranto, 2 marzo 2010, ord., in www.ilcaso.it.

18) Trib. Torino, 11 febbraio 2010, ord., in www.lexform.it.

19) Trib. Busto Arsizio, 8 febbraio 2010, ord., in www.lexform.it.

20) Cfr. LUISO, op. cit.; MENCHINI, op. cit., p. 1026; CAPONI, in La riforma della giustizia civile cit., p. 198; ARIETA, op. cit., p.

3;GIORDANO, Procedimento sommario cit., p. 720: Protocollo valore prassi di Verona sul procedimento sommario di cognizione, reperibile all’indirizzo www.valoreprassi.it.

21) Cfr. OLIVIERI, Il processo sommario di cognizione (primissime brevi note), in www.judicium.it; DITTRICH, op. cit., p.

1585 ss.; DALFINO, Sull’inapplicabilità del nuovo procedimento sommario di cognizione alle cause di lavoro, in Foro it., 2009, V, c. 392. Contra, Trib. Napoli, 25 maggio 2010, ord., in www.lexform.it; Trib. Lamezia Terme, 12 marzo 2010, ivi, per cui l’indicazione dell’art. 183 c. p. c. “non ha un significato selettivo dell’utilizzabilità del rito sommario ma deve essere interpretato quale riconoscimento del passaggio da un rito all’altro, in difetto dei presupposti del rito sommario”.

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c. (in primis, il tentativo obbligatorio di conciliazione da tenersi in prima udienza) (22) appaiono difficilmente adattabili al modello dell’udienza sommaria disciplinata dall’art. 702 ter c. p. c. (23).

Più pregnanti, peraltro, sono le considerazioni di carattere strutturale. In primo luogo, il contenuto degli atti introduttivi del procedimento sommario corrisponde, in sostanza, a quello della citazione e della comparsa di costituzione del processo di cognizione ordinario (24). Inoltre, si mette in rilievo che l’art. 54 della legge n. 69 del 2009, nel fissare i principi-guida per il legislatore delegato alla

“semplificazione dei riti”, configura una netta alternativa funzionale tra rito sommario e rito del lavoro (25): d’altro canto, come non si è mancato di mettere in rilievo, tale ultimo modello procedurale è già di per sé improntato alla “concentrazione, immediatezza e oralità” (26), con la possibilità (almeno teorica) di definizione della lite in un’unica udienza (27). A fronte di una dottrina molto divisa sul punto (28), anche la prima esperienza applicativa si sta esprimendo in senso ambivalente. A favore dell’incompatibilità, ad esempio, si è espresso il Tribunale di Modena (29) e su tale posizione si è apertamente schierato il Protocollo sul procedimento sommario di cognizione del 4 febbraio 2010 predisposto dall’Osservatorio sulla giustizia civile del Tribunale di Roma (30).

Su posizioni opposte si sono, invece, collocati il Tribunale di Napoli (31) e quello di Lamezia Terme (32). L’incertezza, insomma, regna sovrana.

22) Tentativo comunque necessario, ove si ritenesse possibile instaurare una causa rientrante nell’ambito dell’art. 409 c. p. c. con le forme del rito sommario: OLIVIERI, op. cit.

23) Cfr. Trib. Modena, 18 gennaio 2010 cit.

24) DALFINO, op. cit., c. 394.

25) DIDONE, Il nuovo procedimento sommario di cognizione: collocazione sistematica, disciplina e prime applicazioni pretorie, in Giur. mer., 2010, p. 414; FERRI, Il procedimento sommario di cognizione, in Riv. dir. proc., 2010, p. 94.

Contrari pure BOVE, op. cit., p. 2; VOLPINO, op. cit., , p. 55. Per una critica a questa argomentazione, ACIERNO, op. cit., p.

504; Trib. Napoli, 25 maggio 2010 cit.

26) LOMBARDI, E’ arrivato il nuovo procedimento sommario di cognizione generale, p. 1 ss.

27) Sul punto cfr. DALFINO, op. cit., c. 395. Non è convinto da tale argomentazione Trib. Lamezia Terme, 12 marzo 2010 cit.

28) A favore della compatibilità, ad esempio, CAPPONI, Note sul procedimento sommario di cognizione (art. 702-bis e segg. c. p. c.), in www.judicium.it, p. 5; BIAVATI, op. cit., p. 191; BINA, op. cit., p. 122; ACIERNO, op. cit., p. 504 ss.

29) Trib. Modena, 18 gennaio 2010 cit.

30) Più cauto, invece, il Protocollo sul procedimento sommario di cognizione dell’8 giugno 2010 predisposto dall’Osservatorio sulla giustizia civile del Tribunale di Bologna, ove si ritengono necessari ulteriori approfondimenti sulla questione.

31) Trib. Napoli, 25 maggio 2010 cit.

32) Trib. Lamezia Terme, 12 marzo 2010 cit.

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Allo stesso modo, incertezza di posizioni si registra rispetto ad altri modelli procedimentali. La maggioranza degli interpreti, ad esempio, si è orientata a favore della possibilità di utilizzare il rito sommario per proporre opposizione all’esecuzione (33), in particolare dopo che la legge n. 69 del 2009 ha reintrodotto l’appellabilità delle sentenze pronunciate ai sensi dell’art. 616 c. p. c. (34).

Proprio l’inappellabilità del provvedimento reso all’esito del giudizio, per converso, porta la maggioranza dei commentatori a soluzione opposta per l’opposizione agli atti esecutivi (35). La posizione più controversa, però, è forse quella che riguarda la possibilità di proporre, con le forme del rito sommario, un’opposizione a decreto ingiuntivo (36). Le maggiori perplessità, al riguardo, derivano dalla funzione “cautelare” che caratterizza la fase introduttiva del procedimento di opposizione e che non appaiono agevolmente traslabili nel contesto dell’udienza “sommaria”

disciplinata dall’art. 702 ter c. p. c. In questo contesto, peraltro, non si può che consigliare la massima prudenza, dal momento che la scelta del rito sommario per una controversia soggetta ad un modello procedurale incompatibile potrebbe essere sanzionata, come si vedrà, con l’inammissibilità del ricorso, cui conseguirebbe la definitività del decreto ingiuntivo opposto.

Sicuramente da condividere, infine, appare l’orientamento maggioritario secondo il quale, con le forme del procedimento sommario, può darsi inizio ad un giudizio di merito a seguito della pronuncia di un provvedimento cautelare ante causam (37).

In un contesto così frammentato (38), i protocolli redatti a livello locale da giudici e avvocati (39) e gli ordini di servizio emessi dai presidenti di alcuni tribunali (40) forniscono agli operatori preziose

33) GIORDANO, Procedimento sommario cit., p. 720; OLIVIERI, op. cit.; Protocollo del Tribunale di Roma. Contra, però, l’analogo Protocollo Tribunale di Bologna, per la presenza della fase cautelare proposta congiuntamente alla domanda di merito; BINA, op. cit., p. 122; Protocollo di Verona cit. TOMMASEO, Il procedimento sommario di cognzione, in La previdenza forense, 2009, fasc. 2, p. 126, prospetta una compatibilità con il rito sommario solo per le opposizioni preesecutive.

34) DIDONE, op. cit., p. 415.

35) DIDONE, op. cit., p. 416; LOMBARDI, op. cit., p. 6; BINA, op. cit., p. 122; Protocollo del Tribunale di Roma cit.; Protocollo del Tribunale di Bologna cit.

36) Favorevoli, nonostante l’impossibilità di utilizzare, col rito sommario, la dimidiazione automatica dei termini prevista dall’art. 645, comma 2°, c. p. c., DIDONE, op. cit., p. 414; DITTRICH, op. cit., p. 1586;GIORDANO, Procedimento sommario cit., p. 720. Contra, invece, CAPPONI, op. cit., p. 5; Protocollo del Tribunale di Roma cit.; Protocollo di Verona cit. Cfr. pure ACIERNO, op. cit., p. 505; ARIETA, op. cit., p. 3.

37) DITTRICH, op. cit., p. 1586; Protocollo sul procedimento sommario dell’Osservatorio sulla giustizia civile del Tribunale di Roma cit.; FERRI, op. cit., , p. 95; ACIERNO, op. cit., p. 505; Protocollo di Verona cit. Contra, invece, CAPPONI, op. cit., p.

5, per cui il procedimento sommario non potrebbe essere utilizzato laddove abbia già avuto luogo una fase del processo in forme sommarie.

38) Anche alla luce della notevole quantità di riti e modelli processuali messi a disposizione dall’ordinamento. Ad esempio, ACIERNO, op. cit., p. 503, esclude che il rito sommario possa essere utilizzato per proporre un’azione collettiva ai sensi del d. legisl. n. 206 del 2005; l’a., p. 505, ritiene pure incompatibile il rito sommario con la convalida di licenza e di sfratto, coi procedimenti possessori e con l’azione disciplinata dall’art. 152 del d. legisl. n. 196 del 2003 (codice in

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indicazioni. Poiché, peraltro, tali documenti hanno contenuti anche molto diversi tra loro, il rischio è di avere, sul territorio nazionale, un’applicazione del rito sommario “a macchia di leopardo”.

2. - I presupposti generali di proponibilità e procedibilità del rito sommario sono i medesimi del processo ordinario. In effetti, gli artt. 702 bis ss. c. p. c. si limitano a prospettare due soli presupposti speciali per l’utilizzabilità del nuovo rimedio.

In primo luogo, la controversia deve rientrare nell’ambito della competenza per materia e valore del tribunale ed essere sottoposta alla decisione da parte del giudice monocratico. Considerato che il novero delle liti collegiali ai sensi dell’art. 50 bis c. p. c. è residuale rispetto a quelle sottoposte alla decisione monocratica, il potenziale ambito applicativo del rito sommario è amplissimo. Tutti gli interpreti, peraltro, escludono dall’operatività delle norme qui in esame le cause che il giudice monocratico di tribunale conosce come giudice di secondo grado: a tali liti, infatti, si applica la normativa sul processo d’appello, considerata incompatibile con quella del rito sommario (41).

E’, invece, esclusa l’ammissibilità del procedimento nelle cause di competenza del giudice di pace (42), per le quali, in effetti, il codice di rito già prevede un iter processuale più rapido di quello ordinario (43). Parimenti, il legislatore ha escluso la possibilità di azionare il rito sommario avanti alla corte d’appello (44): scelta forse inevitabile ma che, se possibile, rende ancora più evidente materia di protezione dei dati personali), esprimendosi invece per la compatibilità con l’azione antidiscriminazione di cui all’art. 44 d. legisl. n. 286 del 1998.

39) Ad esempio, per il Protocollo del Tribunale di Bologna cit., il rito sommario è incompatibile con il procedimento locatizio (di contrario avviso, invece, Trib. Napoli, 25 maggio 2010 cit.), di impugnazione delle delibere condominiali ai sensi dell’art. 1137 c. c., di impugnazione delle delibere societarie ex art. 2378 c. c., nonché con quello relativo alla depenalizzazione (legge n. 689 del 1981) e agli alloggi ERP (legge n. 1035 del 1972). Cfr. anche i Protocolli di Verona e di Roma cit.

40) V. ad esempio quelli di Genova e Bologna, su cui MONDINI, I provvedimenti dei presidenti dei Tribunale di Genova e di Bologna per la prima applicazione del procedimento sommario di cognizione, in Corr. giur., 2010, p. 517 ss.

41) LUISO, op. cit.; Trib. Modena, 18 gennaio 2010 cit.; FERRI, op. cit., p. 93.

42) DITTRICH, op. cit., p. 1585, si chiede quale sia la decisione da adottare per il caso in cui si proponga un ricorso sommario avanti al giudice di pace. Premesso che tale ipotesi (così come quella, ancora più fantasiosa, della proposizione di un ricorso sommario avanti alla corte d’appello) appare di scuola, si possono ipotizzare diverse soluzioni. In primo luogo, il giudice di pace potrebbe immediatamente dichiarare inammissibile il ricorso, senza neppure fissare l’udienza di comparizione delle parti avanti a sé, a fronte della palese impossibilità di azionare in tale sede il rito societario. In caso di fissazione dell’udienza, invece, al giudice di pace si porrebbero due alternative:

disporre il mutamento di rito (come propone DITTRICH, op. cit., p. 1585), come sarebbe ragionevole, in un’ottica non formalistica, oppure dichiarare inammissibile il ricorso, come probabilmente impone il dato letterale dell’art. 702 ter c.

p. c. (che, per l’ipotesi di presentazione del ricorso fuori dai casi contemplati dall’art. 702 bis prevede appunto la pronuncia di inammissibilità).

43) Trib. Modena, 18 gennaio 2010 cit.; DITTRICH, op. cit., p. 1585. V. però le osservazioni di VOLPINO, op. cit., , p. 56.

44) Trib. Modena, 18 gennaio 2010 cit.

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l’intollerabile durata dei procedimenti d’impugnazione avanti alla maggior parte delle corti d’appello del nostro paese.

L’altro presupposto speciale di applicazione del rito qui in esame è rappresentato dalla possibilità di istruire la causa in modo “sommario”.

Com’è noto, il termine “sommario” nell’ordinamento processuale italiano assume connotazioni e significati diversi a seconda dell’ambito di riferimento. Non ho l’ambizione in questo scritto di entrare nei dettagli di un dibattito che, da decenni, attraversa la nostra dottrina processualista, senza peraltro addivenire a risultati universalmente condivisi. D’altro canto, mi sembra che, nel contesto che ci interessa qui, dopo i dubbi della prima ora, dottrina e giurisprudenza si siano compattate intorno ad una nozione condivisa di “sommarietà”, non riconducibile a quelle in precedenza conosciute.

In effetti, il precedente storico più recente dell’istituto qui in esame è rappresentato, almeno sul piano terminologico, dal procedimento sommario “commerciale”, disciplinato dall’art. 19 del decreto legislativo n. 5 del 2003 (45), in cui si prevedeva la pronuncia di un’ordinanza non destinata a passare in cosa giudicata (se non impugnata in appello), a condizione che il giudice ritenesse sussistenti i fatti costitutivi della domanda e manifestamente infondata la contestazione del convenuto. La formulazione delle norme introdotte dalla legge n. 69 del 2009, peraltro, fa chiaramente capire che il nuovo procedimento sommario “generale” non ha nulla da spartire con il (peraltro poco fortunato e ormai abrogato) predecessore (46). Per quanto riguarda la qualità della cognizione che il giudice del rito sommario è chiamato a compiere, infatti, le nuove norme non fanno mai riferimento a standard di probabilità, possibilità, verosimiglianza (47), manifesta (in)fondatezza di domande o difese (48), difetto di contestazione da parte del convenuto (49). Né la

45) Su cui v., tra gli altri, TISCINI, I provvedimenti decisori senza accertamento, Torino, 2009, p. 74 ss.; AYTANO, Costituzionalità del rito societario abbreviato, in Riv. dir. proc., 2008, p. 267; BRIGUGLIO, Il rito sommario di cognizione nel nuovo processo societario, in www.judicium.it; CANALE, Il procedimento sommario e quello abbreviato: problemi e prospettive, ivi; CAPONI, La tutela sommaria nel processo societario in prospettiva europea, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2004, p. 1359; CECCHELLA, Il référé italiano nella riforma delle società, in Riv. dir. proc., 2003, p. 1130; DELLA PIETRA, Il procedimento sommario societario: molti dubbi e qualche certezza, in Corr. giur., 2005, p. 577; DI COLA, Brevi note sull’istruttoria del procedimento sommario societario, in Giur. it., 2006, 113; LICCI, Vizi e virtù del procedimento sommario societario, in Giust. civ., 2009, p. 1958; MENCHINI, Il giudizio sommario per le controversie societarie, finanziarie e bancarie, in www.judicium.it; VOLPINO, Cognizione e decisione nel procedimento sommario societario, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2007, p. 67; SALETTI, Il procedimento sommario nelle controversie societarie, in Riv. dir. proc., 2003, p. 467.

46) Ed in effetti la dottrina esclude che vi siano punti di contatto tra i due procedimenti “sommari”: cfr. DITTRICH, Il nuovo procedimento sommario cit., p. 1582; GIORDANO, Procedimento sommario cit., p. 717; CAPONI, La riforma della giustizia civile cit., p. 202; VOLPINO, Il procedimento sommario cit., p. 53.

47) Cfr. Trib. Taranto, 2 marzo 2010 cit.; TOMMASEO, op. cit., p. 126. V. però MENCHINI, L’ultima “idea” del legislatore cit., p. 1031.

48) V. Protocollo del Tribunale di Bologna cit.; MENCHINI, op. cit., p. 1030; CAPONI, op. ult. cit., p. 202. In senso difforme v. peraltro LUISO, Il procedimento sommario cit., per cui anche in questo contesto si dovrebbe avere riferimento alla manifesta fondatezza \ infondatezza della domanda (ovvero alla manifesta infondatezza \ fondatezza delle difese del convenuto).

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proponibilità del ricorso è condizionata alla disponibilità di particolari risultanze probatorie. Si può così escludere che si prospetti qui una nozione di “sommarietà” con riferimento all’incompletezza, parzialità o superficialità della cognizione (50).

Neppure deve indurre in equivoci la (poco felice) collocazione del nuovo modello procedimentale tra i provvedimenti d’urgenza e la tutela possessoria (51): senza alcun dubbio, infatti, il rito sommario non ha, come suo presupposto, l’urgenza del provvedere (52), così che se ne può escludere qualsiasi connotazione cautelare.

In altre parole, nulla nella lettera e nella ratio delle nuove norme induce a ritenere che la qualità della cognizione (intesa come approfondimento dell’accertamento dei fatti da parte del giudice) in questo rito abbia connotazione diverse e per così dire “riduttive” rispetto a quella del processo ordinario: conclusione questa che esce confermata dalla previsione dell’art. 702 quater c. p. c., per cui l’ordinanza emessa dal giudice all’esito del procedimento, se non “appellata”, acquisisce l’autorità della cosa giudicata sostanziale ex art. 2909 c. c., nonché dal rilievo che i primi atti delle parti (ricorso e comparsa di costituzione) devono essere tendenzialmente completi (come e più che nel rito ordinario) (53). In conclusione, si può aderire all’opinione della maggioranza degli interpreti per cui quello qui in esame è un procedimento a cognizione piena ed esaustiva (54), esattamente come quello disciplinato dagli artt. 163 ss. c. p. c.

Ma se il rito disciplinato dagli art. 702 bis c. p. c. è da considerare un equivalente funzionale della tutela di cognizione ordinaria, resta il problema di capire il significato della sua qualificazione come

“sommario”. Al riguardo, appare significativo il disposto dell’art. 54, comma 4, lett. b), n. 2 della legge n. 69 del 2009, che prevede l’assoggettamento a tale modello processuale delle cause in cui siano “prevalenti caratteri di semplificazione della trattazione o dell’istruzione della causa”. Da tale norma si desume come il legislatore del 2009 abbia inteso introdurre un rito alternativo “di

49) CAPONI, op. cit., p. 202.

50) V. anche ARIETA, op. cit., p. 2, per cui il rito in tema si colloca al di fuori del sistema delle tutele sommarie non cautelari.

51) V. pure BINA, op. cit., p. 117, per cui la collocazione del nuovo istituto “appare poco felice”.

52) Cfr. BOVE, op. cit., p. 6; CAPPONI, Note sul procedimento sommario cit., p. 3; CAPONI, op. cit., p. 202.

53) Cfr. anche BIAVATI, Appunti introduttivi cit., p. 189; ARIETA, op. cit., p. 3.

54) In questo senso, ad esempio, il Protocollo del Tribunale di Roma cit.; TOMMASEO, op. cit., p. 126; CAPONI, op. cit., p.

206; LOMBARDI, op. cit., p. 4; VOLPINO, Il procedimento sommario cit., p. 54; BREGGIA, Il rito sommario, una scommessa da accettare, p. 1; BIAVATI, op. cit., p. 190. Per Trib. Taranto, 2 marzo 2010 cit., la sommarietà delle forme non riguarda il contenuto dell’accertamento posto a base della decisione, che deve tendere alla verifica della fondatezza delle allegazioni di parte in termini di verità processuale e non già di mera verosimiglianza. Per CARRATTA, Nuovo procedimento sommario di cognizione e presupposto dell’“istruzione sommaria”: prime applicazioni, in Giur. it., 2010, p. 903 ss., peraltro, ci si trova qui di fronte all’utilizzazione di un procedimento a cognizione sommaria (ovvero deformalizzato) per giungere ad un accertamento non a sua volta sommario o superficiale. L’a. giunge quindi a qualificare quello qui analizzato come un processo sommario, in quanto la relativa decisione è ottenuta all’esito di un procedimento in cui manca la predeterminazione legislativa delle forme e dei termini. Per l’a., in definitiva, p. 904, “la trattazione deformalizzata altro non significa che cognizione non piena e dunque sommaria”.

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cognizione semplificata” (55), in cui, cioè, l’iter procedimentale sfugge alle rigidità e alle scansioni prefissate del rito ordinario, nell’ottica di pervenire in tempi più rapidi ad una decisione che abbia però la stessa efficacia ed autorità della sentenza pronunciata secondo tale modello ordinario. Si tratta, insomma, di una nozione inedita di “sommarietà”, intesa come “deformalizzazione” del procedimento in ragione della “semplicità” della controversia (56). Non vi è, peraltro, unità di opinioni in merito al significato da attribuire al termine “semplice” in questo contesto. Alcuni si riferiscono, ad esempio, all’“oggetto” non complesso (57) o “strutturalmente semplice” (58) della causa ovvero alla possibilità di risolvere casi anche oggettivamente “complessi” con la decisione di una questione di diritto (59). A me, però, non sembra che, in questo contesto, venga in rilievo tanto la semplicità “oggettiva” della causa ovvero delle questioni giuridiche in essa sollevate. Si fa qui riferimento, piuttosto, alla semplicità della lite sul piano dell’attività istruttoria, ossia degli accertamenti fattuali che il giudice deve compiere per verificare la (in)fondatezza della domanda attorea (60): in effetti, l’art. 702 ter c. p. c. fa riferimento proprio alla “non sommarietà”

dell’istruttoria di causa come parametro di riferimento al fine del passaggio al rito ordinario. Quello appena tratteggiato, peraltro, è un punto di vista ampiamente condiviso in dottrina e in giurisprudenza (61). Nelle prime pronunce, infatti, si fa appunto riferimento alla deformalizzazione ed alla rapidità dell’attività istruttoria per compiere i necessari accertamenti di fatto (62). In altre parole, si deve ritenere che il procedimento sommario possa essere utilizzato anche per decidere cause complesse sul piano giuridico (63) o nelle quali siano articolate più domande connesse: gli elementi fattuali della fattispecie, però, devono essere incontroversi o comunque suscettibili di essere verificati sulla base di un’istruttoria da qualificare “sommaria” in quanto “non complessa” e destinata ad esaurirsi con un limitato numero di attività.

55) Trib. Varese, 18 novembre 2009, ord., in Giur. mer., 2010, p. 406; ARIETA, op. cit., p. 2; per il Protocollo del Tribunale di Bologna cit., il termine “sommario” non si traduce in limitazioni probatorie in ordine alla tipologia del mezzo ma si riferisce soltanto all’organizzazione del processo. Cfr. CAPONI, op. cit., p. 206; VOLPINO, op. cit., p. 53.

56) V. il Protocollo di Verona cit.

57) Trib. Varese, 18 novembre 2009 cit.; BOVE, op. cit., p. 6, parla di “semplicità della causa”.

58) DITTRICH, op. cit., p. 1584.

59) Trib. Varese, 18 novembre 2009 cit.; CAPPONI, op. cit., p. 3 ammette l’uso del procedimento sommario anche rispetto ad un processo ad oggetto complesso per la vicenda dedotta o per la causa petendi.

60) V. pure BIAVATI, op. cit., p. 189; CARRATTA, op. cit., p. 903.

61) Cfr. tra gli altri BOVE, op. cit., p. 6; LOMBARDI, op. cit., p. 4; Protocollo del Tribunale di Roma cit.

62) Cfr. ad esempio Trib. Mondovì, 12 novembre 2009 cit.; Trib. Torino, 11 febbraio 2010 cit.

63) Così pure Trib. Lamezia Terme, 12 marzo 2010 cit., per cui “non è la complessità delle questioni poste, sul piano teleologico, ad inibire la decisione con il rito sommario bensì, sul piano meramente strumentale, la formazione della prova, ancora in divenire, rispetto alle tesi difensive propugnate, le quali devono risultare scoperte di supporto dimostrativo ed esigenti detto supporto”. V. però la difforme opinione di ACIERNO, op. cit., p. 510.

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Quanto precede, ovviamente, non risolve tutte le questioni. Anzi, in ultima analisi, proprio la nozione di “sommarietà” qui proposta mette in evidenza il fondamentale problema applicativo delle nuove norme: cioè l’impossibilità di pretederminare in via generale e astratta il “quantum” di attività istruttoria qualificabile come “non complessa” o, per converso, la soglia superata la quale tale attività cessi di essere “semplice”. Al riguardo, gli interpreti stanno cercando di dare indicazioni di massima più o meno generiche, ma è evidente che la possibilità di istruire e decidere la causa con le forme del rito sommario sia rimessa alla discrezione del giudice, in base alle caratteristiche della fattispecie concreta ovvero alle esigenze contingenti dello stesso giudicante (le quali non necessariamente saranno collegate all’effettiva complessità o semplicità della fattispecie). Si afferma, così, che l’attività istruttoria debba esaurirsi in un’unica udienza o in poche udienze tra loro ravvicinate (64) ovvero che la fase istruttoria debba essere concentrabile in tempi ristretti (65): di là da queste formulazioni di massima, però, resta impossibile determinare a priori un numero di udienze superato il quale l’istruttoria cessi di essere “semplice” ovvero quantificare la soglia massima di attività compatibile con la natura “sommaria” dell’istruttoria. Da un lato dello spettro, nessun problema si porrà (in linea di massima) per le cause documentali o per quelle che abbiano avuto una precedente istruttoria (come nel caso di previa assunzione di un accertamento tecnico, ai sensi degli artt. 696 e 696 bis c. p. c.) o, ancora, per quelle bisognose di un unico mezzo di prova (66).

All’estremità opposta, è altrettanto evidente che saranno destinate alla conversione del rito le cause in cui sia richiesta una pluralità di mezzi istruttori (67) ovvero quelle suscettibili di definizione con sentenze parziali o bisognose di mezzi di prova sequenziali (68). Tra questi due estremi, d’altro canto, si trova un “zona grigia”, dai confini non facilmente tratteggiabili, rispetto alla quale si afferma, ad esempio, che può ritenersi sommaria anche un’istruttoria basata su una pluralità di mezzi di prova interdipendenti (69), essendo, peraltro, pacificamente ammessa la possibilità di utilizzare in questo contesto anche prove costituende (70), con l’escussione, ad esempio, di un numero esiguo di

64) GIORDANO, Il procedimento sommario di cognizione, in Giur. mer., 2009, p. 1217. V. anche CONSOLO, LUISO, Assestamenti funzionali per l’effettività piena del procedimento sommario di cognizione: una prima conclusione, in Corr. giur., 2010, p. 520.

65) Trib. Taranto, 2 marzo 2010 cit.

66) Cfr. anche il Protocollo del Tribunale di Bologna cit.

67) Per una fattispecie, Trib. Sant’Angelo dei Lombardi, 20 novembre 2009, ord., in Foro it., 2010, I, c. 1648, ove si evidenzia la necessità di un’istruttoria non sommaria rispetto ad una causa in cui era stata articolata una serie articolata di mezzi istruttori (prove orali, c.t.u., perizia fonica, acquisizione di documentazione bancarie e di scritture private).

68) Cfr. Protocollo sul procedimento sommario di cognizione predisposto dall’Osservatorio sulla giustizia civile del Tribunale di Bologna cit.

69) Protocollo del Tribunale di Bologna cit.

70) Così, pare, DIDONE, op. cit., p. 420. V. anche BIAVATI, op. cit., , p. 190; Protocollo Valore Prassi cit., punto 21. Cfr. Trib.

Taranto, 2 marzo 2010 cit., per cui dev’essere senz’altro consentita l’assunzione di prove di tipo diverso da quelle documentali, altrimenti non avrebbe senso la disposizione dell’art. 702 ter c. p. c. che permette al giudice di procedere nel modo più opportuno agli atti di istruzione rilevanti in relazione all’oggetto del provvedimento richiesto.

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testi su limitate circostanze di fatto (71) ovvero di un interrogatorio formale (72). Appare invece incompatibile con il rito sommario la proposizione di una querela di falso (73), mentre le opinioni si dividono rispetto all’istanza di verificazione di una scrittura privata (74). Neppure l’esperimento di accertamenti peritali appare di per sé in contrasto con la natura sommaria dell’istruttoria nel contesto che ci riguarda (75), almeno purchè si tratti di verifiche “semplici” e che possano essere compiute in tempi ridotti (76).

3. - Ai sensi dell’art. 702 bis, comma 1°, c. p. c., la domanda introduttiva si propone con ricorso. Si tratta, però, del ricorso più simile ad un atto di citazione che il nostro ordinamento processuale conosca: in effetti, l’unico elemento mancante, rispetto alla lista dell’art. 163 c. p. c., è l’indicazione dell’udienza, che ovviamente viene fissata dal giudice. A pena di nullità, invece, si richiede anche l’avvertimento al convenuto circa le decadenze in cui incorre in caso di costituzione tardiva. Si può, anzi, affermare che l’onere di allegazione a carico dell’attore sia più pesante in questo contesto che non in quello ordinario. Qui, infatti, pur non essendo richiesto a pena di nullità, l’attore dovrà premurarsi di formulare in modo tendenzialmente esaustivo le proprie (eventuali) richieste istruttorie: da un lato, infatti, sarà interesse del ricorrente dimostrare al giudice che la causa effettivamente si presta ad un’istruttoria sommaria (anche) in considerazione del numero ridotto di mezzi probatori di cui si chiede l’ammissione (77); dall’altro, in base all’interpretazione che sta prevalendo, le parti, dopo la prima udienza (salva l’ipotesi della conversione del rito), decadono dalla possibilità di formulare nuove richieste di prova, restando così vincolate da quanto già dedotto nei rispettivi atti introduttivi e nel corso della prima udienza stessa. Il ricorrente, dunque, in caso di

71) Trib. Bologna, 29 ottobre 2009, ord., in Foro it., 2010, I, c. 1648, che converte il rito sul presupposto della necessità di un’istruzione probatoria approfondita. V. anche BREGGIA, op. cit., p. 3; ACIERNO, op. cit., p. 511.

72) BREGGIA, op. cit., p. 3.

73) Così Protocollo del Tribunale di Bologna cit.

74) Secondo il Protocollo del Tribunale di Bologna cit., in questo caso, la compatibilità con l’istruttoria sommaria andrebbe verificata caso per caso.

75) V. anche RICCI,G.F., La riforma del processo civile. Legge 18 giugno 2009, n. 69, Torino, 2009, p. 110; BREGGIA, op.

cit., p. 3; Trib. Sant’Angelo dei Lombardi, 11 maggio 2010, ord., in www.dirittoeprocesso.it. Diversa l’opinione di ACIERNO, op. cit., p. 515, per cui l’esigenza di procedere ad un accertamento tecnico sarebbe “tendenzialmente incompatibile con la scelta del procedimento sommario”:

76) Cfr. Trib. Brescia, 10 febbraio 2010, ord., www.ilcaso.it; Trib. Taranto, 2 marzo 2010 cit.; Protocollo valore prassi cit.

parla di c.t.u. “ridotta nei tempi e semplificata nei contenuti”. Per un esempio sulle tecniche per contrarre i tempi di una perizia, v. Trib. Sant’Angelo dei Lombardi, 11 maggio 2010 cit.

77) In questo senso anche LOMBARDI, op. cit., p. 4, per la quale: “sull’attore (…) grava l’onere di predisporre il materiale probatorio prima dell’inizio della controversia in modo da indurre il giudice ad una valutazione positiva circa l’iter da lui prescelto”.

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mancata indicazione di mezzi di prova nel proprio ricorso, corre il rischio che il giudice, alla prima udienza, piuttosto che convertire il rito, si limiti a respingere la domanda in quanto infondata (78).

Per il resto, appaiono applicabili le norme generali del codice di rito, ad esempio per quanto riguarda la competenza territoriale e la necessità del patrocinio di un difensore (79). Ai sensi del riformato art.

39 c. p. c., la lite si riterrà pendente dal momento del deposito del ricorso in cancelleria.

Il ricorso, inoltre, è trascrivibile in tutti i casi in cui la legge prevede la possibilità di trascrivere la domanda giudiziale (80). Non è però possibile effettuare tale trascrizione a prescindere dall’avvenuta notifica del ricorso alla controparte, ai sensi dell’art. 2658 c. c. (81), ciò che costituisce un oggettivo disincentivo all’utilizzazione del rito sommario in certe tipologie di controversie (82).

A seguito del deposito del ricorso, si forma il fascicolo d’ufficio e il presidente del tribunale nomina un giudice per la trattazione del procedimento, il quale, a sua volta, fissa con decreto l’udienza di comparizione delle parti avanti a sé (83).

A differenza da altri modelli procedurali, non è previsto qui il termine massimo entro il quale debba essere fissata l’udienza, nonostante fosse stata avanzata una proposta in tal senso nel corso dei lavori

78) In tale ipotesi, infatti, semplicemente non vi è attività istruttoria da svolgere e dunque la decisione può essere presa allo stato degli atti: cfr. Trib. Busto Arsizio, 8 febbraio 2010 cit., per cui le lacune probatorie esistenti ab origine non possono essere colmate disponendo la trattazione della causa con il rito ordinario. Tale passaggio, infatti, si giustifica solo quando sia necessitato dalle difese delle parti e non a causa di una carenza probatoria ab initio del ricorso. Secondo il tribunale lombardo, infatti, il rito sommario non può essere considerato un pre-processo, finalizzato a verificare la sufficienza degli elementi di prova messi a disposizione del ricorrente, che in questo modo si garantirebbe una chance in più.

79) DITTRICH, op. cit., p. 1590; VOLPINO, op. cit., p. 58.

80) Cfr. al riguardo Trib. Milano, 23 febbraio 2010, NRG 11037\2009, che osserva che gli articoli 2652 e 2653 c. c., in tema di trascrizione di domande giudiziali relative a questioni elencate nelle norme stesse, non stabiliscono alcuna limitazione circa la forma dell’atto contenente la domanda da trascrivere: non si vede dunque alcun ostacolo alla trascrizione nel caso in cui la domanda giudiziale sia contenuta in ricorso anziché in atto di citazione.

81) Cfr. Trib. Milano, 23 febbraio 2010 cit., per cui il convenuto deve essere informato dell’instaurazione del giudizio e, quindi, dell’eventuale trascrizione e così messo in condizione di attivarsi per le contromisure del caso. Il tribunale osserva che, da questo punto di vista, il procedimento sommario è penalizzante per il ricorrente, ma ritiene non ingiusta tale disparità di trattamento: i privati, infatti, sono liberi di orientarsi, a seconda delle strategie concrete, per uno strumento più svelto quanto a forme e procedure oppure optare per il tradizionale atto di citazione. V. anche VOLPINO, op. cit., p. 59.

82) V. pure ARIETA, op. cit., p. 4.

83) Il Protocollo del Tribunale di Bologna cit., nell’ottica di ridurre il carico di lavoro degli uffici (e dunque venire incontro alle esigenze di celerità dei ricorrenti), prevede che, al momento del deposito del ricorso, il ricorrente alleghi lo schema di decreto di fissazione dell’udienza allegato al protocollo e tante copie del ricorso quante sono le parti, con in calce il testo del decreto. La cancelleria, inoltre, comunica immediatamente l’importo delle marche da depositare al momento del ritiro delle copie col decreto compilato dal giudice designato.

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preparatori (84). Si tratta di una scelta non condivisibile: anche se si sarebbe trattato di un termine ordinatorio, la sua mancanza in qualche modo legittima pratiche poco virtuose in alcuni fori, in cui, a quanto pare, le udienze ex art. 702 bis c. p. c. sono fissate a distanza di un numero eccessivo di mesi dal deposito del ricorso (85).

Nel proprio decreto, inoltre, il giudice deve assegnare al convenuto il termine per la costituzione in giudizio, stabilito dall’art. 702 bis, comma 3° c. p. c., in non oltre 10 giorni prima dell’udienza:

l’avvertimento formulato dall’attore nel ricorso è riferito proprio alle decadenze processuali collegate al decorso di tale termine.

Il ricorso ed il pedissequo decreto di fissazione dell’udienza vanno notificati al convenuto (a cura del ricorrente) (86) almeno trenta giorni prima della scadenza del termine di costituzione. In altre parole, il termine minimo di comparizione previsto dalla legge è di quaranta giorni tra la consegna dell’atto al convenuto e la data della prima udienza. La concessione di un termine minore prospetta un’ipotesi di nullità del ricorso, le cui conseguenze negative ricadono sul convenuto anche se dipendono da un provvedimento del giudice. In questo contesto, peraltro, si ritiene non applicabile l’istituto della dimidiazione dei termini (87).

Un’ulteriore anomalia del modello procedimentale in esame è che il termine di comparizione è unico, senza distinzioni in base al luogo (in Italia o all’estero) in cui l’atto introduttivo debba essere notificato al convenuto (88).

I timori espressi da molti interpreti circa la decurtazione dei tempi di difesa del convenuto (con possibili abusi dello strumento processuale da parte di ricorrenti maliziosi) sembrano non avere trovato riscontro nella prima esperienza applicativa, in cui le udienze tendono ad essere fissate nel rispetto (almeno) dei termini ordinari di comparizione (se non con dilazioni ancora più lunghe…).

D’altro canto, quello stabilito dalla legge è un termine minimo e nulla esclude che il giudice possa fissare un termine anche maggiore per la notifica del ricorso al resistente (89); anzi, proprio per evitare abusi, è opportuno che il giudice, tanto più lontano nel tempo fissi l’udienza di comparizione, tanto prima debba prevedere la scadenza del termine per la notifica del ricorso al convenuto (90).

84) V. MACAGNO, Il processo sommario di cognizione. Brevi note, in Giur. mer., 2009, p. 3048. Ritiene opportuna tale omissione ACIERNO, op. cit., p. 506.

85) Sotto questo profilo, assume rilevanza l’esperienza dei tribunali di Bologna e Genova, i cui presidenti hanno emesso ordini di servizio in cui si indica in tre mesi il termine entro il quale deve essere fissata la prima udienza. Lo stesso termine (almeno in via indicativa) è previsto dal Protocollo del Tribunale di Bologna cit. L’analogo Protocollo del Tribunale di Roma cit., dal canto suo, specifica che l’udienza va fissata tra i 60 e i 90 giorni dal deposito del ricorso e che, ove appaia probabile o possibile la conversione del rito, si devono concedere i termini dell’art. 163 bis c. p. c. Tra i 50 e i 90 giorni è invece il termine tendenziale indicato dal Protocollo Valore Prassi cit.

86) V. anche GIORDANO, Procedimento sommario cit., p. 724.

87) DITTRICH, op. cit., p. 1592.

88) DITTRICH, op. cit., p. 1591.

89) Cfr. pure VOLPINO, op. cit., p. 60.

90) In questo senso anche il Protocollo di Verona cit., punto 11; ARIETA, op. cit., p. 4.

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4. - Il convenuto, dal canto suo, ha l’onere di costituirsi nella cancelleria del giudice adito almeno dieci giorni prima dell’udienza, depositando apposita comparsa di risposta. Le preclusioni in cui incorre in caso di inosservanza di tale termine (e la modalità di proposizione della domanda riconvenzionale) sono le stesse previste per il processo ordinario.

Rispetto alle deduzioni istruttorie, valgono qui le medesime considerazioni fatte nel paragrafo precedente, con riferimento al contenuto del ricorso introduttivo: a rigore, la relativa indicazione non è prevista a pena di nullità, ma sarà nell’interesse del convenuto esplicitare tutte le proprie richieste probatorie per cercare di influenzare la decisione del giudice nel senso della conversione il rito, nonché per evitare di incorrere in decadenze: come meglio si vedrà, infatti, qualora il procedimento proseguisse con le forme sommarie, ogni nuova istanza istruttoria, dopo la prima udienza, verrebbe ritenuta inammissibile.

Il convenuto può anche chiedere la chiamata di un terzo in causa, con le medesime modalità previste per il rito ordinario. Invero, l’art. 702 bis, comma 5°, c. p. c. fa riferimento alla sola chiamata del terzo in garanzia, senza menzionare il terzo a cui si ritenga la causa comune. Tutta la dottrina ritiene che si tratti di un lapsus del legislatore e che, dunque, anche in questo contesto debbano trovare applicazione tutte le ipotesi previste dall’art. 106 c. p. c. (91). La prima giurisprudenza, peraltro, ha adottato un approccio restrittivo: il Tribunale di Genova (92), infatti, sul rilievo che il legislatore abbia inteso introdurre un procedimento di rapida definizione, non ha autorizzato la chiamata in causa di un terzo indicato dal convenuto come responsabile esclusivo del danno lamentato dal ricorrente (c.d. laudatio actoris). Il protocollo sul procedimento sommario di cognizione predisposto dall’Osservatorio sulla giustizia civile del Tribunale di Roma, dal canto suo, afferma che la chiamata in causa del terzo debba essere ammessa in tutti i casi di comunanza della causa previsti dall’art. 106 c. p. c. Anche qui, dunque, si profila un grave contrasto interpretativo.

L’impressione di chi scrive è che non si possa dare per scontato che il legislatore non fosse consapevole delle implicazioni derivanti da una così precisa (e riduttiva) formulazione dell’art. 702 bis c. p. c. per quanto attiene la chiamata del terzo. Certo, soprattutto negli ultimi anni, la qualità della tecnica normativa in ambito processuale è notevolmente peggiorata, ma non sembra possibile adottare un canone ermeneutico che, dando per scontato la “dimenticanza” del legislatore, legga nelle norme ciò che le norme non dicono (e probabilmente non hanno inteso dire…). A ben vedere, è verosimile che il legislatore abbia considerato la chiamata del terzo cui la causa è comune come una fonte di (superflua) “complicazione” della causa e che, dunque, la si sia voluta escludere, nell’ottica di limitare le ipotesi di conversione del rito. L’approccio non è di per sé inaccettabile, ma sconta i limiti di tutte le scelte rigide ed inflessibili: meglio sarebbe stato lasciare valutare al giudice, caso per caso, se autorizzare o meno la chiamata del terzo, dichiarando inammissibili le richieste manifestamente formulate a meri fini dilatori, esercitando i poteri discrezionali oggi ammessi in via generale dalla Cassazione in questo ambito (93).

91) RICCI,G.F., op. cit., p. 105; LUISO, op. cit.,; OLIVIERI, op. cit.; VOLPINO, op. cit., , p. 61; DIDONE, op. cit., p. 418; BOVE, op.

cit., p. 3; ARIETA, op. cit., , p. 5; LOMBARDI, op. cit., p. 3; ACIERNO, op. cit., p. 508. DITTRICH, op. cit., p. 1594, peraltro, propone una soluzione intermedia, per cui la chiamata del terzo per comunanza di cause potrebbe avvenire in udienza, con possibilità per il giudice di ammetterla o non.

92) Trib. Genova, 16 gennaio 2010, ord., in Foro it., 2010, I, c. 1648.

93) V. Cass., sez. un., 23 febbraio 2010, n. 4309, in www.ilcaso.it.

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