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Psicologia e tecniche di comunicazione Elementi di finanza comportamentale

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Lezione 30 / 04 / 2013

Psicologia e tecniche di comunicazione

Elementi di finanza comportamentale

Luca Martinetti Osculati

Corso Istituzionale AIPB (Associazione Italiana Private Banking)

“Neo Private Banker: una prima formazione tecnico-relazionale”

Il cliente private domanda servizi d'investimento attraverso i quali intende soddisfare le proprie attese di rendimento.

Tali attese di rendimento sono sostanzialmente frutto di percezioni che si formano nella sfera cognitiva dell'investitore individuale e tale processo di generazione di percezioni assume, nell'ambito della finanza comportamentale, la denominazione di euristiche.

In particolare, si tratta di un processo che, come in seguito dettagliato, rispecchia una rappresentazione abbreviata della realtà che, di conseguenza, viene semplificata.

Così accade che, spesso, il rendimento atteso viene a identificarsi o nel tasso privo di rischio, o nel tasso d'inflazione oppure ancora nella somma tra i due. In altri casi, si identifica in un numero che il cliente ha in mente (che può riguardare ad esempio il livello di spese che deve sostenere per mantenere il proprio tenore di vita).

Date le oggettive difficoltà di interpretare oggi cosa si intenda per “risk free”, di interpretare come effettivamente misurare il tasso di inflazione, data la necessità, quasi sempre, di riportare a livelli più realistici i “numeri” che i clienti hanno in mente, si pone con evidenza la necessità di trovare un modo di correggere le percezioni di cui sopra.

Se quanto sopra sintetizzato può rappresentare l'espressione di ciò che accade - a livello percettivo-cognitivo - dal lato della domanda, proviamo a vedere come stanno le cose dal lato dell'offerta, ovvero come chi offre soluzioni d'investimento per soddisfare le esigenze di rendimento atteso interpreta il concetto stesso di rendimento atteso.

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Questa interpretazione è essenzialmente figlia di una ormai consolidata consapevolezza in base alla quale il punto di vista neoclassico basato sul CAPM (Capital Asset Pricing Model) e sull'efficienza dei mercati necessiti di essere rivisitata e riproposta.

Ricordiamo brevemente che il punto di vista neoclassico era basato su ipotesi particolarmente restrittive quali: l'esistenza di un solo fattore di rischio, identificabile nella sensibilità degli

asset ai movimenti del mercato azionario (il beta per intenderci); rendimenti attesi costanti nel tempo; l'esistenza della sola media e della sola varianza dei rendimenti degli asset; l'assenza di attriti nei mercati; l'efficienza dei mercati accompagnata alla razionalità degli investitori.

Nella realtà, tuttavia, le cose non stanno proprio così: la realtà è molto più complessa di quanto non emerga dal ritratto che si ricava dalle ipotesi restrittive del modello del CAPM.

Per rimodulare quindi un sistema di offerta che sia più coerente con quanto la realtà evidenzi è necessario prendere atto che: esistono molteplici fattori di rischio; i premi al rischio variano nel tempo; sussiste un sistema di preferenze anche per l'asimmetria e liquidità; la domanda e l'offerta incidono sui prezzi degli asset; i mercati possono anche essere inefficienti, per effetto congiunto o distinto dell'irrazionalità degli investitori e degli attriti di mercato.

Ora, si può presumere che:

 dal lato della domanda, il rendimento atteso di un asset può essere rappresentato dalla variazione positiva futura del suo prezzo (“compro perchè è basso”)

 dal lato dell'offerta, il rendimento atteso di un asset può essere rappresentato dalla remunerazione sia per la durata sia per l'assunzione del rischio

Considerando che l'equilibrio di mercato è là dove domanda e offerta si incontrano, l'equilibrio nel mercato finanziario è là dove il prezzo di un asset eguaglia il suo futuro payoff scontato atteso.

Quindi, in condizioni di equilibrio, i tassi in base ai quali si scontano i cash flow futuri attesi (OFFERTA) coincidono con i rendimenti attesi che si possono prevedere razionalmente (DOMANDA).

Il punto debole di questo impianto concettuale è che, pur mantenendo validità generale (perché comunque la finanza si basa sul concetto inattaccabile che il valore attuale di un qualsiasi

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investimento è pari ai flussi di cassa futuri scontati ad un determinato tasso), nello specifico tuttavia necessita una rivisitazione e una riproposizione proprio in virtù di quegli elementi sopra delineati, i quali forniscono una rappresentazione più realistica delle condizioni di mercato.

In concreto, ciò significa prendere atto che i tassi di sconto possono essere variabili nel corso del tempo: questa presa d'atto porta a scontare i flussi di cassa futuri non più al tasso di sconto ma, in un contesto più incerto e ove i rendimenti attesi variano nel tempo, devono essere scontati al c.d.

Stochastic Discount Factor (SDF), Fattore di Sconto Stocastico. L'SDF amplia la determinazione del prezzo di qualsiasi attività finanziaria, in quanto riassume le conclusioni dei teoremi fondamentali dell'asset pricing (per un'analisi di dettaglio, si vedano i lavori di Hansen, Campbell e Cochrane).

Ciò comporta anche prendere atto che, allora, si può anche essere disposti ad accettare rendimenti attesi, quindi tassi di sconto, quindi premi al rischio più bassi per quegli asset che tendono ad andare bene in tempi brutti (v. bund tedeschi nel 2011 ad esempio).

Prendere atto di questo significa rendere evidente un legame tra i processi percettivi-cognitivi che portano gli individui a formare le proprie aspettative di rendimento e i meccanismi della finanza di determinazione quantitativa degli stessi rendimenti attesi.

Prendere atto di questo significa, in altri termini, che finanza comportamentale e finanza quantitativa possono convivere.

Infatti, come ben spiega Anti Ilmanen nel suo libro “Rendimenti Attesi – Investire sfruttando i premi al rischio offerti dai mercati finanziari”, “i tempi brutti sono periodi nei quali l'utilità marginale degli investitori è alta, ovvero quando un dollaro in più nelle loro tasche appare particolarmente prezioso”.

Tassi negativi di crescita del consumo, condizioni recessive, crisi finanziarie, turbolenze finanziarie ed economiche sono tutte possibili rappresentazioni di ciò che si può intendere con l'espressione

“tempi brutti”.

E' proprio questa molteplicità di fattori che possono definire i tempi brutti la quale, quindi, comporta la necessità di impiegare modelli multifattoriali per la determinazione dei rendimenti attesi. I modelli

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basati su più fattori di rischio che si sono imposti, soprattutto per la determinazione dei rendimenti attesi dei titoli azionari, sono stati: il CAPM Intertemporale, l'Arbitrage Pricing Theory e il modello empirico a tre fattori di Fama-French (i tre fattori sono: beta del mercato, value, dimensione).

I fattori che hanno una base teorica particolarmente solida sono: la crescita dei consumi aggregati, la crescita degli investimenti, la crescita del reddito da lavoro e il rischio idiosincratico del posto di lavoro.

Focalizzando per un attimo l'attenzione a questi ultimi due fattori, comincia farsi strada e a rendersi evidente qualche primo elemento concettuale di finanza comportamentale, in particolare il concetto per cui “quando gli investitori sono prossimi al livello di sussistenza, qualsiasi perdita è meno sopportabile” (Antti Ilmane, Rendimenti Attesi – Investire sfruttando i premi al roischio offerti dai mercati finanziari, Egea, 2012). In altri termini, l'avversione al rischio aumenta quando aumenta la sensazione del rischio di povertà, del rischio di perdere il proprio tenore di vita.

E si badi bene che, in fondo, l'avversione al rischio è insita nel c.d. homo oeconomicus, che non è altro che un normale individuo che odia le perdite molto di più di quanto ami i guadagni; è un individuo che, nella maggior parte dei casi, non accetterebbe mai il gioco della monetina, ovvero quello per cui si vincono 2 Euro se esce testa e si perde 1 Euro se esce croce: sebbene il rendimento atteso di questo gioco sia di +0,50 Eur, la maggior parte degli individui cui tale gioco viene sottoposto non lo accetta in quanto è avvertita una maggior disutilità da una perdita di 1 Eur rispetto all'utilità derivante dalla vincita di 2 Eur.

Ma il problema è che la “risk aversion” non è costante ma varia: in funzione di che cosa ? Campbell e Cochrane in un importante paper del 1999 dal titolo “By force of habit” modellano il concetto di WDRA, ossia Wealth Dependent Risk Aversion.

Basandosi sul concetto di adattamento o assuefazione, Campbell e Cochrane identificano il livello di sussistenza come media ponderata del consumo del passato. L'idea è che maggiore è il surplus di consumo, maggiore è l'utilità risultante ma man mano che questo surplus si assottiglia, l'avversione al rischio aumenta. Le abitudini si possono quindi considerare come un livello di sussistenza variabile nel tempo, il che porta inevitabilmente a non poter ignorare la variabilità nel tempo delle propensioni al rischio. E il cambiamento delle propensioni al rischio si riflette nei premi al rischio richiesti.

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Il cambiamento delle propensioni può anche avere una correlazione con il grado di completezza delle informazioni, dato che il cambiamento delle propensioni può anche derivare da comportamenti irrazionali. Uno studio del 2002 di Brave e Heaton compara la completezza/incompletezza delle informazioni disponibili per gli investitori con la razionalità/irrazionalità nei comportamenti: in caso di informazioni maggiormente complete, diminuisce la probabilità che si verifichino situazioni anomale derivanti dalla irrazionalità.

L'irrazionalità nei comportamenti o, meglio, le cause che la determinano rappresentano, in prima battuta, il campo di studio della finanza comportamentale.

Più nello specifico, la finanza comportamentale è un campo di studio sì relativamente nuovo, ma in rapida espansione che ha lo scopo di fornire spiegazioni su come gli individui prendono decisioni in materia economica e finanziaria. E' un campo di studio che combina teorie di psicologia cognitiva con teorie più convenzionali di economia e finanza.

L'inclusione, quindi, della finanza comportamentale come ambito di analisi dei mercati finanziari da un lato e come bacino da cui attingere per correggere le percezioni di rischio espresse dagli investitori individuali dall'altro, trova la sua importanza nel fatto che essa si basa su due primarie considerazioni:

1) l'irrazionalità di alcuni investitori, i cui comportamenti irrazionali – derivanti da distorsioni cognitive – influiscono sull'andamenti dei prezzi degli strumenti finanziari

2) la presenza di diversi limiti all'arbitraggio preclude il controbilanciamento, da parte di arbitraggisti razionali, dell'impatto sui prezzi degli strumenti finanziari causato proprio dagli investitori razionali

Una considerazione, prima di proseguire, è a mio avviso doverosa: la finanza comportamentale non sostituisce, e non deve sostituire, la finanza quantitativa ma la finanza quantitativa pura da sola non basta a spiegare e a determinare i pattern dei prezzi e dei rendimenti degli strumenti finanziari.

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Siamo oggi, forse, ad un punto in cui appare conclamato il ruolo di complementarietà che la finanza comportamentale può avere rispetto alla finanza quantitativa pura.

Se infatti si osservano gli ultimi 15 anni di storia dei mercati finanziari e si combina l'evoluzione finanziaria che ha portato sul mercato numerose nuove alternative di investimento con i forti salti di discontinuità dovuti a crisi e bolle speculative (LTCM e crisi valute asiatiche '98, bolla internet 2000, 11 Settembre 2001, mutui suprime 2007-2008, debito sovrano “periferico“ dell'area Euro dal 2010), si può evincere come quanto complesso sia divenuto l'approccio di valutazione e stima di un investimento e del suo rendimento atteso.

Questa complessità richiede agli investitori individuali e ai “professionals” un modo di pensare multidimensionale.

Proprio la crisi del LTCM nel 1998 può considerarsi un importante esempio di come trovi conferma la teoria dei limiti all'arbitraggio così come è stata proposta da Shleifer e Vishny nel loro articolo del 1997 intitolato “The Limits of Arbitrage” (Journal of Finance , Marzo 1997).

Se andiamo più a fondo nell'osservazione di questi ultimi 15 anni di storia dei mercati finanziari, possiamo notare come la complessità che si è evidenziata possa portare facilmente l'investitore individuale a comportamenti irrazionali.

Consideriamo ad esempio il mercato del debito; fino a qualche tempo fa era semplicemente considerato composto da titoli di Stato e obbligazioni societarie e, quindi, percepito come un mercato facilmente comprensibile; esaminiamo oggi la composizione di questo mercato: vi troviamo debito governativo di serie “A”, debito governativo cosiddetto periferico, debito emergente - governativo e societario - obbligazioni societarie investment grade, non investment grade, junk bonds (senza contare le obbligazioni convertibili, le governative inflation linked, i perpetui, i subordinati Tier 1, Tier 2, obbligazioni step-up, tasso fisso, tasso variabile, etc). Un mercato considerato semplice e privo di rischio è diventato un mercato complesso senza (forse) più il concetto di risk-free ma con diversi comparti, ognuno con una sua fonte di premio al rischio.

Ecco un esempio di come questa complessità possa portare ad un comportamento specularmente irrazionale: mi è capitato che un cliente mi chiamasse in un fine settimana di Novembre 2011 (in pieno rialzo dello spread BTP/Bund) per dirmi di voler convertire tutta la liquidità aziendale nel BTP – dati gli elevati rendimenti offerti - e che lo stesso cliente mi chiamasse il lunedì per dirmi che

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voleva valutare quanto il suo portafoglio personale fosse investito fuori dall'Euro perché voleva evitare il rischio di break-up dell'Euro.

L'irrazionalità di certi comportamenti mette in discussione il paradigma-chiave rappresentato dalla teoria delle aspettative razionali. Diventa quindi forse più realistico ipotizzare che gli investitori apprendano, razionalmente, le lezioni derivanti dalle evoluzioni delle strutture economiche e questo processo di adattamento/apprendimento potrebbe spiegare aspettative manifestamente distorte (errori di previsione evitabili) presenti nei dati empirici.

Uno dei fattori principali che spiega tali distorsioni cognitive, che si identificano in distorsioni di giudizio, è rappresentato dalle c.d. euristiche, di cui abbiamo fatto cenno all'inizio.

Le euristiche non sono altro che rappresentazioni semplificate della realtà, che prendono forma in conseguenza del fatto che l'essere umano dispone di limitate capacità in relaziona a: attenzione, ricordi ed elaborazione delle informazioni. Questo limite di risorse cognitive viene superato attraverso regole empiriche o scorciatoie mentali attraverso le quali andiamo a selezionare dei sottoinsiemi di informazioni disponibili che riteniamo come le più rilevanti.

Queste scorciatoie sono quindi come delle ancore, come per esempio i prezzi dei titoli e degli indici più vicini nel tempo: è per questo che molto spesso si sente parlare di soglie psicologiche.

Le distorsioni legate all'attenzione e alla memoria sono quelle che ci portano a ricordare con maggior probabilità le informazioni che ci colpiscono di più emotivamente o più recenti e questo tipo di inclinazioni determina una distorsione dei nostri giudizi su probabilità e frequenza.

La rappresentatività è un tipo di distorsione che nasce da un'eccessiva fiducia su stereotipi, trascurando quindi una più razionale analisi probabilistica: si giudica cioè la probabilità di un esito sulla base di quanto tale esito sia analogo allo stereotipo, ignorando la dimensione del campione e stimando erroneamente la frequenza di un evento in una popolazione rilevante. Congetturare che un'anziana signora che porta gli occhiali sia una bibliotecaria perché può essere analoga a tale stereotipo, ignora del tutto l'informazione di base, ovvero la relativa scarsità di bibliotecari nella popolazione.

Ma c'è un'ulteriore conseguenza della rappresentatività: può accadere che gli individui identifichino un trend in una serie casuale di esiti, inducendo un'estrapolazione quando questa non ha nessuna

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giustificazione (se 10 lanci di monetina danno come esito testa, la propbabilità che all'11° lancio esca testa rimane del 50%).

Qui il ruolo del private banker assume rilevanza notevole, in quanto una maggior preparazione e conoscenza dei meccanismi probabilistici possono aiutare sensibilmente il cliente a correggere le proprie percezioni.

Vi sono poi le distorsioni legate al conservatorismo, che può essere definito come la tendenza delle persone a dare poca importanza a nuove evidenze, nuove informazioni, nuove notizie quando aggiornano quelle precedenti. Si tratta, in altri termini, della difficoltà a staccarsi da quei punti di riferimento, quelle ancore che costituiscono la base di partenza su cui costruiscono appunto le proprie previsioni e aspettative.

Una posizione rilevante è, infine, assunta dalle distorsioni dovute all'autoinganno, prima fra tutte la distorsione legata all'eccesso di sicurezza. La dannosità dell'eccesso di sicurezza si rivela nel fatto che l'expertise incrementa il nostro senso di sicurezza più della nostra capacità di fare previsioni.

Ad esempio, gli investitori che soffrono di eccesso di sicurezza tendono dare troppo peso a ricerche e informazioni che producono e reperiscono da sé e, nel contempo, attribuiscono minore importanza alle informazioni pubblicamente accessibili. Non solo, ma la dannosità dell'eccesso di sicurezza si identifica anche nel fatto che attribuire eccessiva importanza alle proprie esperienze potrebbe dar vita ad un rafforzamento dei pattern osservati, dando luogo ad un'altra tipologia di distorsione, l'eccesso di ottimismo, che comporta semplicemente una sottovalutazione della casualità (consiglierei in proposito la lettura del libro di Taleb, Giocati dal Caso) e una sottostima dei rischi. Ricordiamoci peraltro che l'irrazionalità nei comportamenti si è quasi sempre manifestata proprio quando i rischi sono stati sottostimati (euforia) o quando i rischi sono stati).sovrastimati (panico).

Di qui discendono tre ulteriori distorsioni: l'autoattribuzione distorta, la distorsione della conferma, la distorsione del senno di poi.

L'autoattribuzione distorta porta gli individui ad attribuire i risultati positivi alle proprie competenze a abilità e quelli negativi alla sfortuna legata alle circostanze esterne. Il che alimenta l'eccesso di sicurezza in caso di successo e preclude l'apprendimento in caso di insuccesso.

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La distorsione della conferma fa sì che gli individui ricerchino o pongano prevalentemente attenzione alle informazioni, alle ricerche e alle evidenze che sostengano le proprie opinioni e views.

La distorsione del senno di poi è subdola perché attribuisce l'inevitabilità ad eventi passati, e anche a quelli che hanno colto maggiormente di sorpresa (“era evidente che il mercato sarebbe crollato”). La pericolosità di questa distorsione sta nel fatto che essa genera l'illusione che il futuro appaia più prevedibile di quanto invece non potrà mai essere. E allora scatta anche l'effetto rammarico, ovvero l'illusione che delusioni subite in passato si sarebbero potute evitare.

Da quanti abbiamo fin qui esplorato emerge quindi un processo attraverso il quale gli individui si formano convinzioni o credenze ed esprimono giudizi, assegnano valori, o utilità, ai possibili esiti.

L'attribuzione delle probabilità non è altro che la combinazione tra convinzioni e valori per prendere decisioni.

Questo processo non riflette altro che il sistema di preferenze utilizzato dagli individui per prendere decisioni.

Secondo la teoria tradizionale, l'individuo sceglie il gioco (o l'opportunità) avente l'utilità attesa maggiore. L'utilità attesa è dato dal valore associato all'esito moltiplicato per la probabilità che a quell'esito viene associata. Fatto sta che i riscontri empirici hanno dimostrato deviazioni sostanziali da tale modello razionale, portando così alla formulazione di teorie alternative.

Tra queste, la più importante sul piano comportamentale è la Prospect Theory (PT).

La PT è stata elaborata nel 1979 da Daniel Kahmeman e Amos Tversky e definisce in sostanza un modello di preferenze che è in grado di definire più correttamente lo scostamento delle scelte effettive dal modello più razionale dell'utilità attesa; in altri termini: cosa fanno davvero gli individui vs. cosa dovrebero fare gli individui razionali.

La PT giunge alle seguenti principali conclusioni:

1) alle persone interessano maggiormente le variazioni della ricchezza (ovvero guadagni/perdite) che non la ricchezza complessiva

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2) le persone sono avverse alla perdita e possono ricercare il rischio quando si trovano di fronte alla possibilità di incorrere in una perdita

3) le persone attribuiscono un peso eccessivo agli eventi che hanno una bassa probabilità di verificarsi

Per capire in concreto come funziona la PT, si considerino 2 esperimenti sul comportamento effettuati da Kahneman e Tversky:

1. Si supponga che all'individuo X vengano pagati $ 1'000 per partecipare ad un gioco che gli offra le seguenti ulteriori scelte:

1a. un guadagno sicuro di $ 500

1b. una probabilità pari al 50% di vincere $ 1'000 e una del 50% di vincere $ 0

2. Si supponga che all'individuo X vengano pagati $ 2'000 per partecipare ad un gioco che gli offra le seguenti ulteriori scelte:

2a. una perdita sicura di $ 500

2b. una probabilità pari al 50% di perdere $ 1'000 e una del 50% di perdere $ 0

Le strategie tipicamente scelte sono la 1a, la quale rappresenta una scelta di certezza, e la 2b, la quale invece riflette una scelta di ricerca del rischio.

Analizzando meglio le caratteristiche psicologiche e cognitive di queste scelte, si può desumere come:

− nel caso della strategia 1a, si evidenzia un comportamento di avversione al rischio in un contesto in cui sono previsti solo guadagni

− nel caso della strategia 2b, si evidenzia un comportamento di ricerca del rischio in un contesto in cui ci si trova davanti alla possibilità di una perdita

Analizziamo ora i 2 esperimenti dal punto di vista esclusivamente statistico, ovvero individuando i guadagni attesi da ciascuna delle 4 strategie:

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1a: P(+$ 500) = 1 (100%); quindi il guadagno atteso è pari a:

+$ 1'000 + (+$ 500 x 1) = +$ 1'500

1b: P(+$ 1'000) = 0,5 (50%) e P ($ 0) = 50%; quindi il guadagno atteso è pari a:

+$ 1'000 + ($ 1'000 x 0,5) + ($ 0) = +$ 1'500

2a: P(-$ 500) = 1; quindi il guadagno atteso è pari a:

+$ 2'000 + (- $ 500 x 1) = +$ 1'500

2b: P(-$ 1'000) = 0,5 e P($ 0) = 0,5; quindi il guadagno atteso è pari a:

$ 2'000 + (-$ 1'000 x 0,5) + ($ 0 x 0,5) = +$ 1'500

Si evince chiaramente come il guadagno atteso sia identico per tutte e 4 le strategie proposte.

Perché però vengono generalmente escluse la 1b e la 2a ?

Questi i principali motivi: in primis si sottovaluta, anzi si ignora, l'equità probabilistica;

secondariamente, laddove la perdita o la non vincita sono palesemente dichiarate, si evidenzia l'esistenza dell'avversione alla perdita perché, psicologicamente, le perdite assumono una valenza più rilevante dei guadagni anche se di pari entità; inoltre, il bonus iniziale ($ 1'000 nella strategia 1 e $ 2'000 nella strategia 2) viene cognitivamente trattato separatamente rispetto agli esiti guadagno/perdita successivi.

Quest'ultimo è un punto assolutamente non irrilevante in quanto la teoria dell'utilità attesa, che presuppone la razionalità delle scelte individuali, vorrebbe che il profilo guadagno/perdite venisse comparato con l'intera ricchezza; invece, le scelte più frequente compiute, lo sono in un'ottica di ragionamento isolato che, ad esempio, considera la perdita nel suo valore assoluto e proprio nella sua valenza ontologica e psicologica di perdita. Ragionando invece in termini probabilistici e in ottica comparativa, si restringerebbe di molto il “bulk” di esiti rifiutati. Resta pur vero il fatto che, come numerose ricerche dimostrano, la sofferenza procurata da una perdita è pari a 2,5 volte la soddisfazione generata da un guadagno.

Di conseguenza, non resta che ipotizzare che il ragionamento isolato, denominato anche framing ristretto, trovi una sua spiegazione proprio nelle limitazioni delle nostre risorse cognitive; in fondo,

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considerare ogni operazione, ogni esito, ogni strategia come un qualcosa a sé stante risulta più facile, più naturale, più rapido, se non anche più istintivo.

Il che, tuttavia, genera un ulteriore complessità in quanto da una parte da questo ragionare a compartimenti stagni non solo consegue il rischio di attribuire un peso eccessivo alla probabilità di verificarsi di un esito considerato appunto in un'ottica di framing ristretto ma consegue anche il rischio di sottovalutare e/o ignorare gli effetti delle correlazioni che possono sussistere tra vari esiti o tra determinate categorie di asset, quando ci si focalizza in misura eccessiva sugli specifici rischi di un solo asset.

Ora, un aspetto rilevante del framing è la selezione di un punto di riferimento, inteso come parametro di base per fare confronti. Kahnemann e Tversky fanno notare come lo status quo possa rappresentare un punto di riferimento naturale.

Calando questa osservazione nell'ambito degli investimenti, si può considerare il prezzo d'acquisto come punto di riferimento in base al quale poi misurare guadagni/perdite. E di qui consegue il c.d.

disposition effect, che si riferisce alla tendenza da parte degli investitori a non vendere titoli in perdita, nella speranza che ritornino al prezzo originario di acquisto. Bisognerebbe a tal proposito ricordarsi che i titoli non sanno che sono posseduti, e tanto meno a quale prezzo d'acquisto...

Se invece il punto di riferimento dovesse coincidere con un livello di ricchezza atteso (il numero che il cliente ha in mente di cui abbiamo parlato all'inizio) che diverge dallo status quo, allora è proprio tale divergenza negativa che porta al fatto di non rassegnarsi ancora a variazioni della ricchezza, il che rende quindi probabile che un individuo che non si è ancora messo il cuore in pace con le perdite realizzate accetti rischi che per lui sarebbero normalmente inammissibili.

C'è tuttavia anche il rovescio della medaglia, che è rappresentato dal c.d. house money effect, che rappresenta la tendenza a ridurre l'avversione alle perdite e ad essere maggiormente disponibili ad assumere rischi quando si sta guadagnando. In altri termini: le perdite si accettano più facilmente se possono essere mentalmente sommate a guadagni precedenti.

Ciò, si badi bene, non contrasta con la PT in quanto quest'ultima considera strategie ed esiti presi singolarmente; diverso è il caso di sequenze di strategie ed esiti, in cui le preferenze per il rischio

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dipendono da quanto guadagni/perdite precedenti influiscono sull'avversione alla perdita nel corso del tempo.

Si tratta quindi di un'avversione dinamica, come giusto che sia e che, in quanto tale, trova una sua coerenza sia con la teoria della WDRA sia con l'ipotesi dei premi al rischio variabili nel tempo.

Prendere consapevolezza di queste euristiche, prendere consapevolezza della eccessiva rigidità delle ipotesi su cui si basava la teoria neoclassica significa passare da una visione di singolo fattore di rischio, di rendimenti attesi costanti nel tempo, di media e varianza dei rendimenti, di efficienza dei mercati, di mercati senza attriti, di razionalità degli investitori ad una visione di molteplicità di fattori di rischio, di premi al rischio variabili nel tempo, di misure di rischio più allargate e più ampie, di mercati temporaneamente inefficienti a seguito degli attriti nei mercati stessi e della irrazionalità degli investitori.

Questi sono tutti aspetti di un punto di vista più realistico: laddove c'è più volatilità e maggior ampiezza di oscillazioni, è più naturale lo stato d'ansia che può portare l’homo oeconomicus a compiere scelte di pancia più che di testa.

Ripercorrere la strada maestra tracciata dall'homo oeconomicus nei secoli passati, rinnovare il proprio punto di vista dal quale guardare e vivere i mercati finanziari e il mondo degli investimenti, restituire a sé stessi l'importanza della propria sfera personale, familiare, professionale cercando di valutare continuamente quanto questa sia coerente con le proprie strategie d'investimento, capire che, nella labilità dei punti di riferimento che oggi viviamo e sperimentiamo in ambito economico e finanziario, la ricerca di protezione dai rischi ha la stessa importanza della ricerca di opportunità di rendimento e che, quindi, anche il concetto stesso di diversificazione assume connotati completamente diversi rispetto a come siamo stati abituati costituiscono tutti insieme, con l'aiuto della comprensione delle euristiche, un solido sistema di criteri e principi per correggere le percezioni di rischio che i clienti-investitori possono esprimere.

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