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Risoluzione sul tema:

“Funzionamento del processo del lavoro e stato degli uffici giudiziari a tale processo preposti. Previsioni relative all'ampliamento di competenza”.

Il Consiglio Superiore della Magistratura, nella seduta del 20 dicembre 1995, ha adottato la deliberazione allegata.

1. In questa sede il Consiglio non intende esprimersi sulla scelta, che il legislatore ha adottato con l'art. 2 della legge 421 del 1992, di devolvere al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, gran parte delle controversie relative ai rapporti di impiego dei dipendenti da pubbliche amministrazioni. Si tratta, come è noto, di una scelta molto contrastata e che appare suscitare perplessità sempre più diffuse. Tali perplessità hanno anche trovato convinte adesioni nel corso del dibattito consiliare, ma il Consiglio ha ritenuto di indirizzare il presente intervento nell'ottica e nella prospettiva della riforma, non sembrando realistico immaginare la possibilità, ora, di un drastico ripensamento da parte del legislatore.

Il Consiglio non può peraltro mancare di segnalare per la terza volta1 - ed ora in termini di pressante urgenza - che una simile riforma richiede la preventiva attuazione di misure normative, ordinamentali e organizzative idonee a renderla concretamente praticabile. Nei tre anni che sono trascorsi, nessuna di queste misure è stata adottata. Ma, in mancanza di esse, una riforma che è stata voluta per accrescere le garanzie di tutela in giudizio dei diritti dei pubblici dipendenti si tradurrebbe in un risultato di segno opposto e cioè nel sostanziale svuotamento della garanzia giurisdizionale per tutti i lavoratori, in ragione della paralisi da ingolfamento cui sarebbe destinata la gran parte degli uffici giudiziari deputati alla trattazione delle controversie di lavoro, ed in particolare quelli di Roma, dove l'impatto della riforma sarà di gran lunga più pesante2.

Da questa constatazione, condivisa sostanzialmente da tutti gli operatori del settore, nasce la richiesta di un intervento immediato di congruo - e cioè non breve - rinvio dell'entrata in vigore della riforma. Un rinvio, peraltro, che non serva soltanto a rimandare ad un domani il problema, ma che sia utilizzato per apprestare gli strumenti idonei a porre la riforma stessa in grado di funzionare.

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2. Recenti rilevazioni3 hanno permesso di accertare che la durata media delle controversie di lavoro presenta indici molto differenziati da ufficio ad ufficio.

Insieme a dati che possono essere definiti ottimi - come i 6-9 mesi delle Preture di Torino, Milano e Firenze - e ad altri che - come quelli delle Preture di Bologna, Piacenza, Ravenna, Rimini, Brescia, Bergamo, Cremona, Caltannissetta, Arezzo, Prato, Napoli, Perugia, Terni, Messina, Frosinone, Viterbo, Salerno, tutti inferiori a 20 mesi - possono essere considerati come relativamente soddisfacenti o comune tollerabili, specialmente in rapporto ai tempi medi della giustizia civile ordinaria - si registrano tempi di definizione veramente eccessivi, come i 48 mesi di Roma, Benevento e Ancona, i 40 mesi di Trieste e Catanzaro, i 32 mesi di Bari, i 36 mesi di Reggio Calabria, Enna e Chieti, i 30 di Genova, Venezia e Rieti e così via.

Tali differenze sono da porsi in collegamento con una molteplicità di fattori, tra i quali assumono valenza determinante il rapporto tra il numero dei magistrati addetti ed il numero delle sopravvenienze, la frequenza degli avvicendamenti dei magistrati ed i tempi delle relative procedure, i caratteri del contenzioso e taluni fattori sociologici che influiscono sull'approccio del foro e dei cittadini alla controversia giudiziaria (si pensi alle differenze che si registrano tra le sedi del nord e quelle del centro e del sud in riferimento alla quota delle controversie che vengono conciliate). Naturalmente una notevole inf luenza può essere attribuita anche alla diversità delle condizioni di lavoro dei magistrati.

Di particolare rilievo, con riferimento ai problemi posti dalla devoluzione al giudice del lavoro delle controversie relative ai rapporti di impiego con pubbliche amministrazioni, è la situazione della Pretura e del Tribunale di Roma, in cui a tempi di definizione intollerabilmente lunghi (48 mesi per la Pretura e 36 per il Tribunale) fa riscontro una produttività dei magistrati - secondo tutti i parametri - di notevole livello quantitativo4, nonostante che le condizioni di lavoro siano del tutto inadeguate (ciascun magistrato deve condividere la stanza con un collega ed ha la disponibilità dell'assistente di udienza solo per due giorni alla settimana, con esclusione delle ore pomeridiane).

E' poi da notare che il contenzioso del lavoro e quello previdenziale presentano, negli ultimi annui, un sensibile tasso di aumento delle sopravvenienze annue, sicché la situazione è destinata a peggiorare in tutti gli uffici giudiziari. E l'esperienza dimostra che il peggioramento del rapporto tra numero di magistrati e numero delle sopravvenienze comporta effetti negativi più che proporzionali.

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3. Al fine di valutare l'impatto che l'entrata in vigore della riforma potrà avere sul funzionamento della giustizia del lavoro, occorre partire dal dato costituito dal numero dei ricorsi in materia di pubblico impiego presentati annualmente davanti ai TAR. Per il 1994 tale numero è di 42.000 (anche in questo campo si è registrato un sensibile tasso di aumento delle sopravvenienze annue). Un dato all'apparenza non eccessivamente allarmante, se lo si rapporta al numero delle cause di lavoro instaurate nello stesso anno davanti ai pretori, che è pari a circa 450.000. Dai 42.000 ricorsi annui al giudice amministrativo debbono inoltre sottrarsi quelle controversie che resteranno di competenza di quel giudice ai sensi dell'art. 68, commi 1 e 2 del d.lgs. n. 21 del 1993.

Si tratta, peraltro, di una mera apparenza. L'esperienza ha infatti dimostrato che il trasferimento al giudice ordinario comporta un vertiginoso aumento del contenzioso (in occasione della riforma che ha riguardato i rapporti di lavoro dei dipendenti delle Ferrovie dello Stato tale aumento è stato di otto volte). I fattori che determinano questo fenomeno sono molteplici: - il ricorso al giudice ordinario è più agevole, sia per la sua maggiore diffusione sul territorio, sia per i minori costi, sia, infine, per il maggior numero di avvocati che difendono davanti alla magistratura ordinaria rispetto a quello dei difensori specializzati nel settore amministrativistico;

- il pretore, quale giudice del lavoro, viene visto dagli interessati, giustamente o meno, come un organo di giustizia maggiormente propenso e maggiormente in grado di far prevalere le situazioni soggettive dei dipendenti sugli interessi dell'amministrazione: a questa convinzione concorrono anche i maggiori poteri di accertamento che il processo civile presenta e la maggior capacità di tale processo di aver riguardo ai contenuti concreti del rapporto sostanziale dedotto in giudizio, rispetto ad un processo, quello davanti al g.a., ancora molto attestato sull'atto e sulle forme; - un maggior ricorso al giudice potrà inoltre derivare dal fenomeno, sottolineato nel parere del Co nsiglio di Stato del 31 agosto 1992 n. 146, della ricorrente "permissività e acquiescenza di diverse amministrazioni nei confronti delle pretese dei propri dipendenti": un fenomeno che potrà trovare argini più deboli - con conseguenti maggiori prospettive di successo per le pretese dei dipendenti - in un processo meno documentale e che si svolge davanti ad un giudice che, per tradizione culturale, è abituato a vedere nel lavoratore la parte più debole del rapporto; - ad accrescere le prospettive di successo dei ricorrenti e a sollecitare

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quindi la moltiplicazione dei ricorsi, concorre la maggiore difficoltà che le amministrazioni incontreranno a fruire di una adeguata e tempestiva difesa da parte dell'Avvocatura dello Stato, a causa della disseminazione dei giudici del lavoro sul territorio; - la stessa complessità delle situazioni giuridiche determinata dal passaggio da un regime pubblicistico ad un regime privatistico è foriera di un espandersi del contenzioso, a sua volta ulteriormente alimentato e complicato dalla vera e propria epidemia di questioni di giurisdizione che la nuova normativa - ed in particolare l'art. 2, comma 1, lettera c) della legge 23 ottobre 1992 n.421, richiamato dall'art. 68, comma 1, del decreto legislativo n. 21 del 1993 - è destinata a provocare; - nel processo davanti al giudice ordinario non è presente quella forma di economia dei giudizi che è invece offerta dalla estensione per così dire erga omnes delle sentenze del giudice amministrativo che annullano atti amministrativi di carattere generale.

Quali che siano le spiegazioni, comunque, il dato dell'esperienza non può essere ignorato. Nell'impossibilità di stime precise, una valutazione di carattere intuitivo ma assolutamente ottimistica induce a pensare che il numero delle controversie che si riverseranno sui pretori del lavoro per effetto della nuova disciplina potrà essere dell'ordine di 150.000 all'anno, pari cioè ad un terzo delle attuali sopravvenienze annue.

4. Non è discutibile che un simile afflusso aggiuntivo di cause determinerebbe il disastro per una struttura già molto affaticata quale è, come si è visto, quella del processo del lavoro. Tale, del resto, è stata l'opinione espressa da questo Consiglio in due precedenti risoluzioni (cfr. All. A e all. B) e dalla totalità dei giudici del lavoro, dei quali il Consiglio ha, in più occasioni, acquisito il parere. Le conseguenze sulle sezioni lavoro della Pretura e del Tribunale di Roma sarebbero poi indicibili, ove si consideri la gravità della situazione attuale di quegli uffici ed il fatto che ad essi sarebbe destinata una quota prevalente delle controversie in questione (sia perché a Roma si trova la maggior parte dei dipendenti pubblici, sia per effetto delle norme sulla competenza per territorio previste dall'art. 413 c.p.c., avendo sede a Roma una buona parte delle pubbliche amministrazioni più importanti).

La prospettiva desta poi grande allarme per le prevedibili ricadute sulla Cassazione, già oberata dal maggior carico di lavoro derivante dalla riforma del

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contenzioso tributario. A questo riguardo deve ancora una volta essere sottolineata l'impossibilità di far conto sullo strumento dell'adeguamento degli organici della cassazione. Oltre limiti ristretti e anelastici, accrescere il numero dei magistrati addetti alla Corte suprema non può che influire negativamente sulla stessa capacità della Corte di svolgere la funzione nomofilattica ad essa affidata.

Alla luce di questi dati, il rinvio dell'entrata in vigore della riforma appare porsi come esigenza assoluta e prioritaria.

Occorre del resto considerare che un intervento urgente sulla data di entrata in vigore è comunque necessario se non per altro per superare le oggettive incertezze interpretative determinate dall'attuale formulazione dell'art. 68, terzo comma (in combinazione con l'art. 72), del d.lgs n. 29 del 1993, che appare far riferimento (ma, al riguardo, ogni dubbio è lecito ed ogni soluzione ha trovato sostenitori) al momento della stipulazione del secondo contratto collettivo (e cioè ad un evento incerto e cronologicamente diverso da settore a settore).

Oltre che a superare le incertezze interpretative che tale disciplina determina - e che, investendo il termine a quo del passaggio da una giurisdizione all'altra di un contenzioso di massa, appaiono difficilmente tollerabili per la funzionalità del sistema - l'intervento normativo dovrebbe essere tale da consentire un limitato ma adeguato aumento degli organici della magistratura da destinare appunto alla trattazione delle controversie di lavoro, sopratutto negli uffici maggiormente interessati dalla riforma. Considerata la stima delle maggiori sopravvenienze che essa è destinata a provocare, l'aumento in parola non dovrebbe essere inferiore a 300-400 unità.

Deve peraltro essere sottolineato che una parte del del Consiglio ritiene non praticabile la strada di un ulteriore aumento degli organici di magistratura, per l'impossibilità di attuarlo senza correre il rischio di uno scadimento dei livelli di professionalità. Il recupero di risorse dovrebbe invece essere perseguito con altri mezzi, ed in particolare con l'istituzione del giudice unico di primo grado, la revisione delle circoscrizioni giudiziarie ed il potenziamento del giudice di pace.

Tutti i commentatori e gli operatori del settore escludono invece la possibilità di far fronte a tale fabbisogno con forme di reclutamento straordinario.

Queste ultime, infatti, si tradurrebbero, in realtà, in forme di reclutamento agevolato e cioè nell'assunzione in magistratura di persone che non avrebbero altrimenti la capacità di superare i normali concorsi. Ma una simile soluzione sarebbe allora

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palesemente contraddittoria con l'esigenza di elevare lo standard professionale del personale di magistratura in generale e in particolare di quello deputato a funzioni specialistiche.

D'altro canto, anche coloro che non ne escludono a priori la praticabilità sottolineano che un aumento del numero degli ingressi concorsuali in magistratura non è risultato che sia agevole produrre in breve tempo. Ciò non solo per la durata dei concorsi - che è forse il problema minore - ma perché la situazione attuale dell'università italiana - ed in particolare delle facoltà di giurisprudenza - non appare in grado di fornire un numero di laureati, in possesso della preparazione necessaria, sensibilmente maggiore di quello che annualmente viene immesso in magistratura, come è ampiamente dimostrato da tutte le relazioni dei Presidenti delle Commissioni di concorso. L'adeguamento degli organici non potrà quindi essere attuato che con molta gradualità, tenendo anche conto del fatto che già vi è da provvedere alla copertura degli attuali vuoti di organico. Ulteriore fattore di rallentamento è poi dato dall'allungamento dei tempi della fase del tirocinio degli uditori giudiziari, che il Consiglio ha già attuato e si appresta a proseguire, allo scopo di soddisfare l' esigenza di elevare la professionalità dell'intervento giudiziario e di compensare le carenze della formazione universitaria.

5. Al fine di rendere più graduale l'impatto della riforma sulla giurisdizione ordinaria del lavoro, apparirebbe opportuno ripristinare la norma transitoria che prevedeva la conservazione della giurisdizione del giudice amministrativo in ordine alle controversie relative a situazioni soggettive perfezionatesi fino al termine della c.d. fase transitoria, alla pari di quanto è stato stabilito dall'art. 1 del d.l. 6 maggio 1994 n. 269, conv. in legge 4 luglio 1994 n.

432, relativo al riparto della giurisdizione per le controversie di lavoro dei dipendenti degli enti pubblici trasformati in enti pubblici economici o in società.

Ciò consentirebbe, oltre alla suddetta maggior gradualità della traslazione del contenzioso, anche il vantaggio di far conoscere al giudice ordinario soltanto di rapporti regolati integralmente su base civilistica, in coerenza con quella che appare la ratio ispiratrice della disciplina transitoria della riforma in esame. E' stato anche suggerito di introdurre talune modifiche alla norme che regolano il procedimento davanti al giudice amministrativo per le controversie del pubblico impiego che quel

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giudice dovrebbe continuare a conoscere in virtù della disciplina transitoria: ma su questo argomento il Consiglio ritiene di non aver titolo per interloquire.

6. Il necessario differimento dell'entrata in vigore della nuova disciplina - che, allo stato, potrebbe prudenzialmente determinarsi in cinque anni - dovrebbe poi essere utilizzato per l'apprestamento degli adeguamenti di personale e di strutture che gli uffici giudiziari addetti alle controversie del lavoro già ora richiedono e che la riforma rende ovviamente ancor più indispensabili.

A questo riguardo, è indispensabile un adeguato incremento del personale di cancelleria - da attuare in termini reali (il che significa senza scorrimenti ex lege da una qualifica all'altra) e concentrandolo esclusivamente sulle qualifiche interessate alla funzione di assistenza del giudice in udienza. Ugualmente necessario è provvedere ad una radicale revisione della disciplina dell'orario di lavoro, tale da consentire in ogni sede l'esercizio pieno della funzione giudiziaria anche nelle ore pomeridiane.

Con riferimento ancora alla Pretura e al Tribunale di Roma appaiono ormai difficilmente comprensibili, sotto ogni punto di vista ed in particolare dal punto di vista dell'interesse generale, i ritardi e le resistenze che si oppongono alla devoluzione integrale ai suddetti uffici giudiziari degli interi blocchi di edifici militari in parte dei quali gli uffici stessi sono attualmente ospitati.

7. Di importanza almeno pari agli interventi di adeguamento del personale e delle strutture si palesano alcuni interventi correttivi, da più parti prospettati, diretti a conferire maggiore razionalità alla riforma e così agevolarne l'attuazione, specialmente nella difficile fase di avvio.

Taluni di questi interventi, peraltro, non sono strettamente collegati alla devoluzione delle controversie in esame al giudice ordinario, ma riguardano in generale la funzionalità del processo del lavoro. La loro immediata adozione è tuttavia quanto mai opportuna, per perseguire risultati di risanamento dell'attuale situazione e rendere così la giurisdizione giuslavoristica più ricettiva nei confronti del prospettato flusso aggiuntivo di controversie.

A. Tra le richieste di modifica riguardanti la specifica disciplina in esame si colloca in posizione di priorità quella che riguarda la definizione delle c.d.

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esclusioni per materia dalla giurisdizione del giudice ordinario, come prevista dall'art. 68, comma 1, del decreto legislativo.

Tale disciplina comporta una rottura del principio della esclusività della giurisdizione per i rapporti di impiego pubblico attuato nel 1923, ma a tale sistema, che corrispondeva ad evidente esigenze di razionalità e di garanzia - sostituisce un sistema quanto mai composito e di difficile decifrabilità, nel quale sono presenti spazi residui di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, spazi riservati alla giurisdizione del giudice ordinario e spazi in cui ritorna la duplicità di tutele giurisdizionali, senza che siano de finiti con nettezza e precisione i problemi di confine e di connessione.

Il primo comma dell'art. 68 del d.lgs. n. 29, infatti, definisce il campo delle esclusioni oggettive mediante richiamo alle materie di cui ai numeri da 1 a 7 dell'art.

2, comma 1, lettera c) della legge 421 del 1992 ed inoltre mediante una elencazione, presumibilmente non tassativa, di materie invece devolute, in ogni caso al giudice ordinario. Il rinvio - per determinare la residua giurisdizione del giudice amministrativo - alle materie che, secondo il citato art. 2, comma 1, rimangono

"regolate con legge, ovvero, sulla base della legge o dei principi da essa posti, con atti normativi o amministrativi" (anziché essere assoggettate alle norme civilistiche e della contrattazione collettiva) appare del tutto incongruo e come tale è stato denunziato dalla maggior parte dei commentatori. In primo luogo è stato osservato che la definizione, necessariamente ampia e generica, di tale materie, una volta che venga utilizzata per il diverso fine di tracciare il riparto delle giurisdizioni, diventa foriera di una condizione di mancanza assoluta di certezze, in un campo, quello, appunto, delle questioni di giurisdizione, nel quale si richiede invece la maggior precisione possibile, al fine di evitare che il compito di rendere giustizia sia paralizzato da inciampi procedurali. Il problema è poi ulteriormente aggravato dalla difficile soluzione dei problemi posti dalla eventuale - ma prevedibilmente ricorrente - connessione tra questioni comprese nel campo dell'esclusione e questioni invece rientranti nella devoluzione al giudice ordinario.

Il sistema adottato appare poi non razionalmente giustificato, in quanto non vi è modo di comprendere perché le materie sottratte alla cognizione del giudice ordinar io debbano essere individuate identificandole meccanicamente con quelle che debbono continuare ad essere regolate con legge o con atti normativi secondari.

In tali materie, infatti, la legge o la normazione secondaria possono ben prevedere

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situazioni di diritto soggettivo in capo ai dipendenti e non vi è motivo alcuno perché di esse non debba conoscere il g.o. e debba invece essere mantenuta una giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Quest'ultima, infatti, nell'otica della riforma, dovrebbe essere conservata soltanto per il controllo giurisdizionale degli atti di esercizio di poteri pubblicistici degli enti e delle amministrazioni datrici di lavoro.

Mentre una riscrittura della normativa appare comunque indispensabile, potrebbe essere utile esaminare l'ipotesi di obliterare del tutto la definizione normativa delle materie escluse dalla devoluzione al giudice ordinario (eliminando il richiamo contenuto nel primo coma dell'art. 68 del d.lgs, 29 all'art. 2, comma 1, della legge 421). Così facendo, troverebbe applicazione anche a questo settore l'indirizzo elaborato ed attuato dalla giurisprudenza, senza eccessive difficoltà, a proposito degli enti pubblici economici, secondo cui a fronte di provvedimenti che costituiscono manifestazione ed esercizio del potere pubblicistico di autorganizzazione e che non incidono direttamente, ma solo indirettamente, sul rapporto individuale di lavoro del singolo dipendente, non sussistono posizioni di diritto soggettivo ma, eventualmente, di interesse legittimo, per la tutela delle quali è competente il giudice amministrativo. Conseguentemente, agli atti di potere di carattere non pubblicistico e che incidono direttamente sul rapporto di lavoro verrebbe riservato il trattamento giuridico e giudiziario proprio degli at ti di potere del privato datore di lavoro (art. 4, comma 1, del d.lgs).

B. Un'altra necessità di modifica riguardante la specifica disciplina in esame concerne la regolazione della competenza per territorio. L'applicabilità dell'art. 413 c.p.c. consente infatti al dipendente della pubblica amministrazione di scegliere tra il pretore del luogo in cui è sorto il rapporto, quello del luogo in cui è la sede centrale dell'amministrazione, e quello del luogo in cui il rapporto si è svolto o si svolge.

Appare sommamente opportuno prevedere come foro esclusivo, per questo genere di controversie, quello del luogo dove si trova la sede di lavoro del dipendente. Ciò per due motivi: il primo è quello di evitare il fenomeno che si è verificato con le controversie dell'ente ferroviario, che hanno registrato un abnorme afflusso alla Pretura di Roma di controversie promosse da dipendenti addetti a sedi periferiche. Il secondo è quello di contribuire - insieme alla ulteriore e più generale

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modifica della competenza territoriale per le controversie di lavoro, di cui si dirà in seguito - a rendere più agevole e tempestiva la difesa delle pubbliche amministrazioni in un processo caratterizzato da preclusioni rigide quale è quello del lavoro.

C. Alla medesima esigenza risponde la proposta di concentrare nelle preture circondariali la cognizione delle controversie di lavoro - con esclusione, quindi delle sezioni distaccate - e di concentrare in sede distrettuale i relativi giudizi di appello. Tale proposta, peraltro, oltre ad essere coerente con la prospettiva di graduale eliminazione delle sedi distaccate, viene avanzata dal Consiglio sopratutto perchè risponde alla pressante esigenza che a conoscere delle controversie di lavoro siano giudici dotati della necessaria specializzazione. La modifica assume oggi, del resto, un carattere di urgente necessità, dopo il notevole aggravio del carico di lavoro dei pretori "promiscui" derivante dalle modifiche alla competenza per valore del pretore in materia civile e dalla disciplina recentemente introdotta dall'art. 7 del d.l. 489 del 1995 in materia di immigrazione.

D. Da più parti viene segnalata la necessità di strumenti deflattivi del contenzioso giuslavoristico incentrati su sistemi di definizione extra giudiziale delle controversie che siano compatibili con il dettato dell'art. 24 Cost.

A questo riguardo, non viene generalmente riposta molta fiducia sulla capacità deflattiva dei tentativi obbligatori di conciliazione, quali quello previsto dall'art. 69 del d.lgs. n. 21. Potrebbe essere utile, a rendere più effettivo l'istituto, una modificazione che configuri il mancato esperimento del tentativo come causa di improcedibilità rilevabile dal giudice con decreto, senza necessità di fissare l'udienza, qualora non sia allegata al ricorso la copia del processo verbale di conciliazione. Ma anche in questa ipotesi - per la quale non sembra che comunque siano opponibili obiezioni di legittimità costituzionale - gli effetti non potranno essere rilevanti, anche in considerazione della scarsissima propensione conciliativa che connota - in parte inevitabilmente - le pubbliche amministrazioni.

Piuttosto, appare da prendere in seria considerazione l'importante suggerimento che è stato formulato da un gruppo di giudici del lavoro, i quali hanno prospettato l'introduzione di un arbitrato obbligatorio (eventualmente ad opera dello stesso collegio deputato ad esperire il tentativo di conciliazione) con lodo

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immediatamente esecutivo, ma pienamente impugnabile davanti al giudice e con effetto integralmente devo lutivo. Dopo la decisione arbitrale, in sostanza, ciascuna delle parti avrebbe la piena possibilità di adire il giudice per far valere le proprie ragioni, dispiegando nel giudizio tutte le proprie deduzioni di merito ed istruttorie senza subire alcuna preclusione collegabile alla precedente procedura arbitrale.

Uno strumento di questo genere - a parere della maggioranza - non sembrerebbe incontrare ostacoli negli art. 24 e 102 della Costituzione. La giurisprudenza della Corte Costituzionale in tema di "giurisdizione condizionata", infatti, ha legittimato questo genere di filtri non preclusivi, allorquando essi appaiano giustificati in ragione della natuara delle parti (Corte cost. sent. n. 116/70, 150/70, 234/74), ovvero quando siano collegati all'interesse e al buon funzionamento della stessa funzione giurisdizionale (Corte cost. 47/64, 116/70, 82/92). In questo caso, inoltre, si tratterebbe di uno strumento rivolto ed idoneo ad accrescere le possibilità di pronta tutela dei diritti del lavoratore, sicché le perplessità circa la compatibilità di tale meccanismo con l'art. 24 dovrebbero ritenersi fuori luogo.

Questa soluzione potrebbe servire a sgomberare i tavoli del giudice del lavoro da tutte quelle controversie che nascono per la necessità di munirsi di un titolo esecutivo. E, a fronte di una decisione, sia pure arbitrale, che accerti o neghi il fondamento della pretesa, il ricorso al giudice sarebbe probabilmente ispirato ad una maggiore prudenza di quanto oggi avviene e tale maggiore prudenza potrebbe, in questo quadro, essere favorita da un orientamento meno paternalistico da parte dei giudici in materia di condanna del soccombente alle spese del processo. D'altro canto, l'attribuzione al medesimo collegio di conciliazione del potere di emettere la decisione arbitrale conferirebbe al tentativo di conciliazione maggiore autorità e maggiore efficacia.

E. Oltre alle misure dirette a deflazionare il numero dei ricorsi al giudice del lavoro, è necessario introdurre anche misure dirette a deflazionare il carico di lavoro giudiziario che ciascun processo comporta. Al riguardo, la riforma del 1973 aveva previsto, oltre al potenziamento dell'efficacia del tentativo di conciliazione, anche le ordinanze interinali di cui all'art. 423, potenzialmente idonee a ridurre il numero dei processi che arrivano alla decisione con sentenza. Questa potenzialità è stata peraltro completamente svuotata dal fatto che per le ordinanze in questione non

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è prevista la pronunzia sulle spese, il che dissuade le parti a domandarne l'applicazione. Una modifica normativa in tal senso potrebbe avere notevole efficacia e si porrebbe in linea con quanto ha previsto la riforma processuale del 1990.

F. Infine, anche nel processo del lavoro sono necessari strumenti più efficaci per scoraggiare l'abuso del processo. Al riguardo viene richiesta una modifica della responsabilità processuale aggravata, che indirizzi i giudici verso una applicazione effettiva ed efficace della condanna alle spese per lite temeraria. Nello stesso senso si pone la richiesta di una modifica del regime delle spese in appello per le cause previdenziali che tenga conto della pronunzia della Corte costituzionale 134/94, ma anche della esigenza di ridimensionare l'abnorme quota di sentenze appellate che si verifica in questo settore e che appare spesso rispondere più agli interessi dei patrocinatori che ad esigenze di giustizia.

G. Con particolare riferimento alla gravissima situazione degli uffici romani, è apparso ad alcuni componenti opportuno segnalare la possibilità di consentire, con apposito intervento legislativo, il ricorso, in via straordinaria e transitoria, alla utilizzazione dei magistrati fuori ruolo che sono addetti a funzioni amministrative, richiedendo agli stessi un impegno molto parziale, ma significativo, per lo smaltimento dell'attuale arretrato che paralizza la sezione lavoro della Pretura e del Tribunale di questa città.

8. Nel ribadire l'assoluta esigenza di un rinvio dell'entrata in vigore della riforma all'esclusivo fine di consentire l'attuazione preventiva delle condizioni che ne consentano il funzionamento, il Consiglio è consapevole del fatto che tale rinvio potrebbe anche dare occasione a richieste di un ripensamento complessivo, dirette al mantenimento della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sul pubblico impiego. Come si detto all'inizio, il presente intervento si muove in un ottica diversa e vuole rappresentare un contributo alla fattibilità della riforma. Ma non può tacersi che se il rinvio potesse rappresentare anche occasione per una più approfondita riflessione, volta ad esplorare strade diverse per l'equiparazione delle tutele giurisdizionali dei lavoratori pubblici e privati (quale ad esempio, la riforma del processo davanti al giudice amministrativo), ciò potrebbe rappresentare non già

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una remora, ma una giustificazione in più per la decisione di differire l'entrata in vigore di una riforma di così grande portata.

1Cfr. risoluzioni del 29 settembre e del 9 giugno 1993, allegate, rispettivamente, sub A e B.

2Al riguardo è sufficiente notare che il numero dei ricorsi in materia di pubblico impiego annualmente presentati davanti al TAR Lazio è mediamente pari a circa un quarto del dato nazionale.

3Delle quali, peraltro, non si è in grado di valutare la precisione. Nella relazio ne sull'amministrazione della giustizia nell'anno 1994, il Procuratore generale presso la Corte suprema di cassazione ha indicato in 512 giorni la durata media dei processi in materia di lavoro per il primo grado e in 1.022 giorni la durata media del secondo grado.

4Secondo i rilevamenti del 1994, ciascun magistrato definisce ogni anno, in media, 800 processi, dei quali 471 con sentenza. Il rendimento è in realtà ancora più alto di quanto non appaia da queste cifre, in quanto le stesse sono state calcolate senza scomputare i magistrati presenti in organico, ma di fatto assenti per aspettative di vario tipo (malattia, maternità ecc.).

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