• Non ci sono risultati.

LA CITTADINANZA TRA IMPERO STATI NAZIONALI ED EUROPA

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "LA CITTADINANZA TRA IMPERO STATI NAZIONALI ED EUROPA"

Copied!
20
0
0

Testo completo

(1)

«L’ERMA»

La cittadinanza tr a Impero , Stati nazionali ed Europa

QVAESTIO

3

Ricerche di Diritto e Scienze dell’Antichità tra passato e presente QVAESTIO 3

«L’ERMA» di BRETSCHNEIDER

LA CITTADINANZA TRA IMPERO STATI NAZIONALI ED EUROPA

Studi promossi per il MDCCC anniversario della constitutio Antoniniana

QVAESTIO

Mentre mi appresto all’interpretazione delle leggi antiche, ho ri- tenuto che in primo luogo occorresse necessariamente fare delle ricerche dagli inizi dell’Urbe, non perché io voglia fare verbosi commentarî, ma poiché in ogni cosa avverto essere perfetto solo ciò che consta di ognuna delle sue parti: e di certo in ogni cosa il principio è la parte essenziale.

L’imperatore Giustiniano faceva inserire queste parole del giurista Gaio, vissuto all’epoca di Adriano, all’interno del primo libro dei Digesta (1, 2, 1), la grandiosa opera di compilazione della giurisprudenza romana da lui fortemen- te voluta e pubblicata nel 533 d.C. Si tratta delle parole at- traverso cui è definitivamente fissato il principio dell’appar- tenenza della storia al sistema del diritto e questo principio per esplicita volontà dell’imperatore è definito valido, così come l’intero contenuto della sua attività normativa, in ogni tempo, cioè anche per il futuro. La storia, dunque, appartiene al diritto e quindi a sua volta il diritto non può fare a meno della storia: in questo risiede l’importanza degli studi di dirit- to romano ed in generale degli studi sui diritti antichi.

Sulla base di questo insegnamento, Qvaestio intende proporsi al pubblico esaltando il rapporto tra storia e diritto ed anzi rendendolo il proprio tratto distintivo, realizzando inoltre studi monografici o collettanei in grado di affronta- re i temi prescelti secondo tutte le prospettive, sia antiche che moderne, evidenziando linee di continuità o discon- tinuità all’interno della materia di volta in volta studiata.

Dunque, grazie ad un Comitato Scientifico composto non solo da giuristi, sia antichisti che positivi, ma anche da ar- cheologi e storici, non soltanto l’approccio strettamente storico-giuridico, che rimane la base di partenza iniziale ed essenziale, ma anche ad esempio quello topografico, epi- grafico o numismatico. Non solo, inoltre, il confronto con la storia antica ma anche, quando il tema di ricerca lo ri- chieda, con quella medioevale, moderna e contemporanea per evidenziare le linee di continuità o discontinuità tra gli ordinamenti antichi e quelli moderni, giungendo in moltis- simi casi alla nostra contemporaneità.

Enrico Silverio

In copertina: Particolare dal rilievo costantiniano illustrante la battaglia di Ponte Milvio. Roma, Arco di Costantino.

QVAESTIO

Ricerche di Diritto e Scienze dell’Antichità tra passato e presente

1 Maurilio Felici, Profili storico-giuridici del pluralismo cittadino in Roma antica. 2013.

3 AA. VV., La cittadinanza tra impero, stati nazionali ed Europa. Studi promossi per il MDCCC anniversario della constitutio Antoniniana.

Volumi in preparazione:

2 Enrico Silverio, Securitas Perpetua. Linee di sviluppo delle strutture di sicurezza in Roma antica tra giurisdi- zione e amministrazione.

4 AA. VV., Impero e Cristianesimo. Studi promossi per il MDCC anniversario costantiniano.

5 Enrico Silverio - Anna Maria Liberati, Servizi se- greti in Roma antica. Informazioni e sicurezza dagli initia Urbis all’impero universale (II ed. rivista ed ampliata).

Il volume comprende saggi ideati e raccolti in occasione del XVIII centenario dell’Editto di Caracalla, organizzati in cinque parti secondo un percorso cronolo- gico e pubblicati solo ora per circostanze indipendenti dai curatori. La prima parte dell’opera analizza lo strutturarsi della condizione del civis nell’età monarchica e repubblicana, illustrando il ritenuto favor con il quale essa sarebbe stata accordata, mentre la seconda parte si sofferma sull’età imperiale occupandosi del rapporto tra cittadinanza, centro e periferia in rapporto alla Dacia ed alla sua romaniz- zazione – concetto la cui generale validità deve essere ribadita con forza contro recenti interpretazioni figlie dell’ideologia post-bellica –, al significato delle emis- sioni monetali nelle province imperiali e naturalmente alla luce della constitutio Antoniniana.

La terza parte dell’opera esamina i particolari riflessi sulla cittadinanza della

“caduta” della pars Occidentis e del sorgere di nuovi spiriti identitarî nonché le tra- sformazioni dell’idea di nazione e di civitas nell’Europa dei fragili equilibri tra ’600 e ’700, giungendo ad occuparsi dei delicati concetti degli status personali nell’Italia d’età napoleonica. La quarta parte è invece dedicata all’analisi degli interventi le- gislativi e dottrinali in tema di mutamento della nozione di cittadinanza in Italia durante gli anni del Regime fascista. La quinta ed ultima parte analizza il rapporto tra cittadinanza ed “estraneità” sotto il profilo penalistico nel diritto interno italia- no nonché il rapporto tra cittadinanza nazionale e cittadinanza europea.

L’opera non venne progettata nel quadro dell’ancor recente dibattito politico italiano sullo ius soli. È fortemente auspicabile che in una materia tanto importan- te l’interesse politico e la pur essenziale difesa dei diritti umani cedano il posto ad una serena ed informata riflessione. Per questo il tentativo di una sintesi storico- giuridica sul rapporto tra cittadinanza, Impero – cioè realtà sovrannazionale – e Stati nazionali in quell’Europa da cui ha avuto origine il mondo moderno appare oggi sempre più utile.

LA CITTADINANZA TRA IMPERO ...

ISBN 978-88-913-0861-0

a cura di:

Mihai Bărbulescu, Maurilio Felici ed Enrico Silverio

a cura di M. Bărbulescu - M. Felici - E. Silverio

Copertina Quaestio 3.indd 1 10/07/2018 17.54.50

(2)

Ricerche di Diritto e Scienze dell’Antichità tra passato e presente

Collana diretta da Enrico Silverio

QVAESTIO

3

«L’ERMA» di BRETSCHNEIDER

(3)

Comitato Scientifico

Sorin Alămoreanu (Cluj-Napoca) Cristiana Arditi di Castelvetere (Roma)

Silvana Balbi de Caro (Roma) Mihai Bărbulescu (Cluj-Napoca)

Giovanni Brizzi (Bologna) Giovanni Cipollone (Roma) Ivan Di Stefano Manzella (Viterbo)

Maurilio Felici (Palermo) Philippe Fleury (Caen) Natale Fusaro (Roma) Giuseppina Pisani Sartorio (Roma)

Maria Teresa Trapasso (Roma)

(4)

«L’ERMA» di BRETSCHNEIDER

LA CITTADINANzA TRA IMPERO, STATI NAzIONALI ED EuROPA

QVAESTIO 3

Studi promossi per il MDCCC anniversario della constitutio Antoniniana

a cura di:

Mihai Bărbulescu, Maurilio Felici ed Enrico Silverio

(5)

La cittadinanza tra Impero, Stati nazionali ed Europa

Studi promossi per il MDCCC anniversario della constitutio Antoniniana a cura di Mihai Bărbulescu, Maurilio Felici ed Enrico Silverio

QVAESTIO

Ricerche di Diritto e Scienze dell’Antichità tra passato e presente 3

Progetto grafico

«L’ERMA» di BRETSCHNEIDER

© Copyright 2017 by «L’ERMA» di BRETSCHNEIDER – ROMA Via Cassiodoro, 11 - 00193 Roma

http://www.lerma.it ~ lerma@lerma.it Tutti i diritti riservati. è vietata la riproduzione di testi e illustrazioni senza il permesso scritto dell’Editore.

La Collana adotta un sistema di Peer-Review

La cittadinanza tra Impero, Stati nazionali ed Europa. Studi promossi per il MDCCC anniversario della constitutio Antoniniana - Roma : «L’ERMA» di BRETSCHNEIDER, 2017. – X + 332 p., ill. ; 24 cm. (Qvaestio ; 3)

ISBN 978-88-913-0861-0 (brossura) ISBN 978-88-913-1342-3 (PDF)

CDD 340.54 1. Diritto romano

(6)

SOMMARIO

p. VII » IX

» 3 » 33 » 61

» 75

» 87 » 137 » 157

» 171 Enrico Silverio, Prefazione . . . .

Maurilio Felici – Mihai Bărbulescu, Introduzione . . . .

I Parte: Essere civis: dall’età arcaica alla fine della repubblica

Cap. 1: Manuela zelaschi, L’Asylum di Romolo . . . . Cap. 2: Maria Pia Baccari, Civitas amplianda e favor libertatis . . . . Cap. 3: Maurilio Felici, Aspetti dell’‘espansione municipale’ romana

all’indomani della guerra latina . . . .

II Parte: La cittadinanza tra principato e dominato

Cap. 1: Radu Ardevan, Cittadinanza e romanizzazione. La Dacia romana . . . Cap. 2: Giovanni Lobrano, La constitutio Antoniniana de civitate peregrinis

danda del 212 d.C. Il problema giuridico attuale di ri-comprendere scientificamente la cittadinanza per ri-costituirla istituzionalmente . . . . Cap. 3: Dario Calomino, Identità civica e autonomia locale: il ruolo

politico-culturale della moneta nelle province romane imperiali . . . . Cap. 4: Federica Tamburello, Romani e barbari: rapporti commerciali e

culturali oltre i confini dell’impero . . . .

III Parte: Nazionalità, territorio e cittadinanza.

Cap. 1: Carlo Gamba, La dissoluzione dell’impero d’Occidente e l’insorgere di nuove nationes . . . .

(7)

Cap. 2: Maria Teresa Napoli, Oltre Westfalia: nazione cittadinanza nel Droit des Gens di Emer de Vattel . . . . Cap. 3: Carlo Bersani, Cittadini / sudditi. Aspetti di un’esperienza europea nel XVII secolo . . . . Cap. 4: Paolo Alvazzi del Frate, Persona et res publica en Italie à l’époque

napoléonienne . . . .

IV Parte: Dall’Europa delle Nazioni all’Europa dei totalitarismi

Cap. 1: Emilio Gentile, La cittadinanza nel regime totalitario fascista . . . . Cap. 2: Giordano Ferri, La cittadinanza e la personalità dello Stato nel

regime fascista . . . .

V Parte: La cittadinanza tra Stato nazionale ed Europa

Cap. 1: Maria Teresa Trapasso, Questioni relative all’integrazione.

“Relativismo culturale” e profili di carattere penale . . . . Cap. 2: Maria Irene Papa, La cittadinanza dell’unione Europea. Prospettive di sviluppo . . . .

» 207 » 247 » 263

» 271 » 281

» 299 » 311

VI

(8)

VII PREFAzIONE

La decisione di dare vita alla Collana editoriale che ha poi assunto il nome di QVAE- STIO è stata quasi coincidente con la ricorrenza del MDCCC anniversario della con- stitutio Antoniniana, l’editto con cui l’imperatore Caracalla nel 212 d.C. concesse la cittadinanza romana a quasi tutti gli abitanti di stato libero viventi nell’Impero.

In un Impero che si presenta quale universale ed in cui “romano” identifica il con- quistatore e colui che ha più diritti rispetto ad altri, l’imperatore decide di annullare ogni differenza tra conquistatori e conquistati, tra dominatori e sudditi: dal 212 d.C.

nel mondo romano ci saranno quasi solo Romani, tanto che il termine “straniero”

assumerà altri e diversi significati.

Oggi, in un’Europa che dalla metà del XX secolo è interessata da grandi fenomeni migratori; che, di recente, è minacciata da un universalismo che si presenta come a lei programmaticamente ostile; nella quale la stessa cittadinanza europea stenta a trova- re una sua concreta dimensione rispetto alla cittadinanza nazionale, la ricorrenza del MDCCC anniversario dell’editto di Caracalla si carica di significati non solo puramen- te storici e diventa così l’occasione di rinnovate riflessioni sulla nozione e sul ruolo della cittadinanza nella realtà concreta ed attuale.

Tuttavia l’Europa odierna è il risultato del confronto tra diverse realtà e fenomeni storici, ciascuno con la sua idea di cittadino o di suddito e da essi non si può prescin- dere se si vuole riflettere seriamente e serenamente sul ruolo e sulla funzione della cittadinanza oggi. Si tratta del confronto e dello scontro tra totalitarismi e regimi de- mocratici, prima ancora di quello tra regimi liberali ed assoluti, per giungere a ritroso sino alla nascita degli Stati nazionali sulla dissoluzione di quanto restava dell’ordina- mento imperiale di derivazione romana.

L’anniversario si prestava quindi ottimamente alla realizzazione del genere di studi giuridici e storici che la Collana intende realizzare ed infatti QVAESTIO, sino dai pri- mi giorni dell’anno 2012, quando ancora aveva la denominazione di Studia Juridica.

Nuova serie, ha promosso la redazione di un organico insieme di contributi inediti che confluissero in questo volume dedicato all’analisi dei diversi aspetti della cittadinanza in Europa nel percorso storico che dall’Impero, cioè da Roma e dal medioevo, condu- ce agli Stati nazionali ed infine all’unione Europea.

L’argomento del volume intende dunque essere l’evoluzione storica della cittadi- nanza in rapporto alle forme di organizzazione politica succedutesi in Europa, che in varia misura ne determinano non solo le vicende ed in particolare i casi e le forme di acquisizione e perdita, ma anche naturalmente il contenuto in termini di diritti, sino a giungere all’attuale situazione.

Quest’ultima, a sua volta, può definirsi in divenire sia rispetto al contenuto, all’ef- fettività ed alle prospettive di sviluppo della cittadinanza europea che riguardo alle

(9)

VIII

Enrico Silverio

proposte di modifica delle legislazioni nazionali in materia, oggetto in Italia ed in tempi ancora recenti anche di interventi di alte cariche dello Stato.

Di fronte a tutto questo, lo scopo del volume è allora quello di colmare un vuoto.

Si tratta cioè di illustrare in un’unica opera in che modo da un sistema che favoriva l’allargamento universale della cittadinanza sino ad eclissare la comune nozione di

“straniero”, si giunga alla negazione di questo sistema nell’ambito degli Stati nazio- nali; quali sfide questi ultimi debbano oggi sostenere sia a fronte di flussi migratori e di fenomeni di espansione tendenzialmente universalistica da lungo tempo assenti, che a fronte dell’esistenza dell’unica realtà istituzionale in grado, pur a sua volta tra numerose difficoltà, di proporsi come sovrannazionale e fondante di un’identità di più vasta portata, cioè l’unione Europea.

un considerevole lasso di tempo separa la stesura delle parole di cui sopra e dei contributi che compongono il volume dalla pubblicazione del volume stesso.

Nel mezzo si pone la grave crisi economica mondiale, che non ha mancato di inte- ressare anche il campo dell’editoria.

A fronte di quanto accaduto in questi anni, proprio la palesata supremazia dell’eco- nomico sul politico deve indurre, sulla scorta della stessa tradizione politico-giuridica romana, in primo luogo ad una decisiva riaffermazione della dimensione politica su quella dell’economia.

Solo recuperando un senso del politico dotato di concretezza e di buon senso come quello romano problemi quali l’allargamento della cittadinanza nazionale po- tranno essere affrontati in modo finalmente scevro da premesse ideologiche che sono le stesse che hanno dato corso alla crisi economica che sta attanagliando questo inizio di secolo: il globalismo, il cosmopolitismo e la pretesa di tutto omologare ed unifor- mare in vista di un’astratta e propagandata idea di bene che è in realtà la peggiore delle distopie.

Enrico Silverio

(10)

IX INTRODuzIONE

Vedono infine la luce, dopo un processo di lunga incubazione e con uno sforzo deci- sivo da parte dell’Editore, saggi pensati e raccolti in occasione del XVIII centenario dell’Editto di Caracalla, organizzati in cinque parti, secondo un percorso cronologico che ha coinvolto, accanto a studiosi già affermati, la presenza preziosa di più giovani ricercatori.

Così, nella prima parte, prendendo il via dallo strutturarsi della condizione del civis nell’età monarchica, l’epoca repubblicana è attraversata con il suo vario articolarsi della cittadinanza, diffusa tra le diverse realtà urbane, mostrando il favor con il quale essa è accordata (saggi di Manuela zelaschi, Maria Pia Baccari, Maurilio Felici); il pe- riodo imperiale, oggetto della seconda parte del volume, è quindi interpretato nel suo svolgersi tra centro e provincia, alla luce di aspetti legati alla straordinaria esperienza di romanizzazione della Dacia, al significato delle emissioni monetali nelle province imperiali e naturalmente alla luce della concessione della Constitutio Antoniniana da cui muove, in effetti, l’intera iniziativa editoriale (studi di Radu Ardevan, Giovanni Lobrano, Dario Calomino, Federica Tamburello).

Nei quattro capitoli della terza parte sono esaminati i particolari riflessi della “ca- duta” della pars Occidentis per il sorgere di nuovi spiriti identitarii, le trasformazioni dell’idea di nazione e di civitas nell’Europa dei fragili equilibri tra ’600 e ’700, fino a toccare delicati concetti degli status personali nell’Italia d’età napoleonica (contributi di Carlo Gamba, Maria Teresa Napoli, Carlo Bersani, Paolo Alvazzi del Frate).

La quarta parte è dedicata all’analisi degli interventi legislativi e dottrinali in tema di mutamento della nozione di cittadinanza in Italia durante gli anni del regime fasci- sta (studi di Emilio Gentile e di Giordano Ferri).

Chiudono il volume le prospettive sull’attualità recente, sotto il profilo penalisti- co nel diritto interno italiano nonché sotto quello dell’integrazione europea relativa- mente a questioni declinate attorno al nodo della cittadinanza (saggi di Maria Teresa Trapasso e di Maria Irene Papa).

Le sollecitazioni di carattere giuridico che hanno indotto qualche anno fa a conce- pire l’opera che ora si presenta non erano certo aliene dalle istanze della società civile e non sorprende quindi che, nell’apprezzabile lasso di tempo intercorso tra allora ed il momento attuale, esse non abbiano smesso di esercitare il proprio ruolo. In effetti, i fermenti di cui erano ricche hanno semmai suscitato e favorito, magari in modo disordinato, anche il dibattito politico su temi strettamente collegati, come per il caso eclatante dello ius soli (a volte ora erroneamente ricondotto al diritto romano), che, seppur non specificamente sviluppato, trova nel volume significative ed esplicite an- ticipazioni tra le pagine dedicate al diritto dell’età moderna. Del resto, la visione dei Romani sullo ius civitatis è scolpita nell’organizzazione gaiana del discorso d’apertura

(11)

Maurilio Felici - Mihai Bărbulescu

X

delle Institutiones, in base al quale, per regola ordinaria, si era cittadini se figli legittimi di un cittadino, o figli naturali di una cittadina. una regola che però non dice tutto e che va letta nell’insieme del primo commentario del manuale gaiano, con riguar- do alle indicazioni relative all’acquisto della cittadinanza in rapporto ad esempio alla condizione dei Latini o avendo riguardo ai meccanismi delle varie tipologie di manu- missiones dei servi.

Solo in questo modo può ancora destare meraviglia, ai nostri occhi, il celebre bra- no della lettera indirizzata agli abitanti di Larissa da Filippo V il Macedone a metà del III sec. a.C. Grazie a tale fonte affiora una delle differenze tra Romani e Greci, a causa delle modalità e della generosità con la quale i primi concedevano la cittadinanza ai popoli vinti e addirittura agli schiavi. Anche questo è uno dei passaggi-chiave per in- tendere il senso della più volte sbandierata tendenza all’apertura del diritto romano.

una tendenza verso l’alterità eventualmente non solo relativa alle persone, ma anche nei confronti delle divinità. una parte del procedimento della complessa dichiara- zione di guerra, che i Romani ebbero sempre lo scrupolo di intraprendere contro i popoli avverso i quali intendessero compiere operazioni belliche, la evocatio, continua ad offrire una testimonianza in tal senso. E l’asilo e la protezione che, nell’ipotesi, si offrivano ai culti di divinità straniere, può allora leggersi in una con le considerazioni di Polibio sulla religiosità del popolo romano e sul legame che ebbe con il suo succes- so: oltre la constatazione, in effetti comune, per la quale il collante della città antica è la religione, e con riferimenti che accennano alla permeabilità della stessa.

Rimangono qui sullo sfondo tutta una serie di nodi problematici, appartenenti al “vocabolario della cittadinanza”, quali l’intricata relazione etimologica tra hostis e hospes, o i nessi tra il segno civis ed il temine civitas che, a livello lessicale, inclinano per un diverso “rapporto di priorità” della cittadinanza nel mondo greco, dove infatti è pòlis a precedere polìtes. Le fonti, in proposito, mostrano, nell’ambito di una non co- mune insistenza terminologica, tutta la specificità romana dell’idea politica e sociale di civis e di civitas: esemplare, da questo punto di vista, la lezione ciceroniana della pro Balbo, in virtù della quale può emergere nitida la relazione tra il singolo e la comunità, cui il singolo è legato e che ne garantisce la posizione di “soggetto di diritto”.

I forti e variegati sentimenti di auto-riconoscimento, comuni nella società romana d’età classica, mostrano infatti come lo ius civitatis fosse anzitutto un problema di partecipazione, che a lungo percorse la strada di una certa quale volontaristica auto- assimilazione. Sotto questo aspetto, con la Constitutio Antoniniana si sarebbe com- piuto, a tempo debito, quel salto la cui importanza appare a noi oggi maggiore del ricordo stesso che ne conservarono gli antichi e le cui istanze furono invece recupera- te a partire dall’età intermedia: esse non smettono, piegate alle esigenze dell’oggi, di alimentare il dibattito scientifico e, per certi profili, la lotta stessa per la cittadinanza.

Maurilio Felici - Mihai Bărbulescu

(12)

I Parte

Essere civis: dall’età arcaica alla fine della repubblica

(13)
(14)

3 Manuela Zelaschi

L’ASYLUM DI ROMOLO

1. Romulus… asylum aperit (Liv., 1, 8, 4-6)

La versione di Livio dell’asilo romuleo è la più esaustiva e meglio conosciuta presso gli studiosi.

Da un punto di vista temporale, lo storico, colloca la fondazione dell’asilo in un mo- mento successivo alla nascita della città: crescebat interim urbs munitionibus alia atque alia adpetendo loca (Liv., 1, 8,4)1.

Sotto il profilo spaziale, invece, Livio sostiene trattarsi del luogo ancora visibile, cin- to da una siepe, fra i due boschi sacri e cioè, con ragionevole certezza, fra le due cime boscose del Campidoglio: locum qui nunc saeptus descendentibus inter duos lucos est (Liv., 1, 8,5)2.

Le mura della città, quindi, vennero estese al di là dell’originario confine, più in attesa della futura popolazione che in relazione all’effettivo numero degli abitanti: cum in spem magis futurae multitudinis quam ad id quod tum hominum erat munirent (Liv., 1, 8, 4).

L’origine dell’asilo, dunque, è da ricercarsi nella necessità di non rendere vano l’au- mento della città, quest’ultimo inteso dal duplice punto di vista spaziale e demografico:

deinde, ne vana urbis magnitudo esset…(Romulus) asylum aperit (Liv., 1, 8, 5).

La promessa di impunità sottesa al concetto di asilo, è costituire, dunque, un ulterio- re fattore di aumento del popolo3, al prezzo di costituire un’attrattiva per una moltitu- dine indistinta di uomini senza distinzione tra liberi e schiavi: eo, ex finitimis populis turba omnis, sine discrimine liber an servus esset (Liv., 1, 8, 6)4.

1 Sul concetto di crescita dell’urbs: Baccari 1995, pp. 759 ss.; 1996, p. 57; Felici 2013, pp. 51 ss.

2 Gamauf 1999, pp. 177 e ss.;. Michelet 1847, p. 7: “The city commences as an asylum, vetus urbes conden- tium consilium-a profoun,upon which the situation of alla the elder twons of antiquity eloquently comments.

The citadel and the aristocracy at the summit of a mountain; below, the asylum and the people. Such is the asylum of Romulus between the two summits of the Capitolium (intermontium)”.

3 Sul concetto di populus: Baccari 1996, p. 57.

4 Cfr. G. Franciosi 1995, p. 209, secondo il quale: “La tradizione su Romolo che accoglie gli immigrati, siano essi liberi o schiavi, il racconto di Dionigi [2,16] che attribuisce allo stesso re la norma per cui i maschi adulti delle città vinte non dovevano essere ridotti in schiavitù e il prevalere del parere di Tito Larcio rispetto a quello di Spu- rio Cassio [6, 19,4; 6, 20,5] sul trattamento da riservare ai Latini vinti lasciano trasparire il ricordo dell’insussisten- za di una diffusa pratica schiavistica per l’età più antica. D’altra parte quando Dionigi parla di casi di riduzione in schiavitù dei popoli vinti per l’età monarchica indica episodi relativi proprio all’età dei tiranni etruschi: i casi degli

(15)

Manuela zelaschi

4

Tuttavia, proprio quella multitudo, grazie all’”intraprendenza” (avida novarum re- rum)5 ed alla guida di un abile capo6, costituì primum magnitudinem roboris della nascen- te civitas7.

All’apertura dell’asilo, pertanto, concorsero non solo il fattore oggettivo (crescebat urbs), ma anche quello soggettivo costituito dalla volontà di un personaggio (deinde, ne vana urbis magnitudo esset… Romulus asylum aperit)8.

L’esaltazione di Livio di quella obscuram atque humilem multitudinem natam è evidente nella parole dei legati inviati da Romolo ai Sabini ex consilio patrum9.

La notizia di un’ambasceria pacifica mandata per ottenere societatem conubiumque, viene, inserita al fine di attenuare la violenza di Romolo, poiché: nusquam benigne legatio audita est; adeo simul spernebant, simul tantam in medio crescentem molem sibi ac posteris suis metuebant. Ac plerisque rogitantibus dimissi, ecquod feminis quoque asylum aperuissent; id enim denum compar conubium fore (Liv., 1, 9, 2).

Anzi, lo stesso Romolo garantiva alle Sabine rapite non solo l’affetto dei mariti10 (sae- pe ex iniuria postmodum gratiam; Liv., 1, 9, 5), ma anche possesso dei beni e figli nonché della cittadinanza (illas tamen matrimonio in societate fortunarum omnium civitatisque et, quo nihil carius humano generi sit, liberum fore; Liv., 1, 9, 14).

Apiolani [3, 49,3] e dei Cornicolani [3, 50,6] riguardano il primo Tarquinio, quello di Suessa Pomezia [6, 50,4] è attribuito a Tarquinio il Superbo. In tal senso il riferimento dello storico greco risulta estremamente significativo per una caratterizzazione ‘etrusca’ della più antica schiavitù in Roma”.

5 Cfr. Rollin 1845, par. 1, pp. 346 ss. afferma che: “un des caractères dominans du pueple Romain, a été d’être belliquoeux, entreprenant, conquèrant, de se consacrer tout à la profession des armes, et de préférer à tout la gloire qui revieent des exploits guerriers. Romulus, son fondateur, semble lui avoir inspiré ce ca- ractère” …; Idem 1767-1769, cap. 1, ove l’Autore specifica: “un second moyen dont se servit Romulus pour accroître Rome fut d’y ouvrir un asyle à tous ceux qui voudroient venir s’y étabilir, de quelque état & de quelque condition qu’ils fussent. Il espéroit, par cet artifice, augmenter la puissance romaine, et diminuer les forces de ses voisins”.

6 Cfr. Rollin 1767-1769, Preface: “Qu’etoit Rome dans ses commencements, sonon un amas confus de pâtres, d’avanturiers, d’hommes obscurs & inconnus qie la mauvais était de leurs affaires ou l’amour de la nouveauté avoient réuins esemble dans l’étroite enciente d’une ville pauvre et méprisée?”; su Rollin, Ferté 1902.

7 Sul concetto dinamico di primum magnitudinem roboris: Michelet, 1833, pp. 36 ss., infra.

8 Cfr. Lantella 1979, p. 15: “L’aumento della civitas (che qui intenderei soprattutto in senso di “aumento demografico”), ha suggerito a Romolo di disporre come ha fatto”; a proposito dell’ “aumento demografico”, cfr.

Idem 1990, pp. 46 ss.

9 Sul punto, vd. De Sanctis 1907, V.II, p. 214, nota 25; cfr., inoltre, il pensiero di J. B. Bossuet 1926, III, VII, p.

393: secondo il quale: “Le fond d’un Romain, pour ainsi parler, était l’amour de sa liberté ed de sa patrie. une de ces choses lui faisat aimer l’autre; car, parce qu’il aimait sa liberté, il aimait asussi sa patrie comme une mère qui le nuorrissait dans sentiments également généreux et libres. Sous ce nom liberté, les Romains se figuraient, avec les Grecs, un état ou personne ne fût sujet que de la loi, et où la loi fût plus puissante que les hommes”.

10 I quali sarebbero stati ancora più affettuosi in quanto si sarebbero sforzati di mitigare la sofferenza della lontananza dei genitori e della patria; gli animi femminili dunque furono piegati sia dalle parole di Romolo che dalle blandizie dei mariti, che addussero a giustificazione dell’accaduto, la passione amorosa: eoque melioribus usuras viris, quod adnisurus pro se quisque sit ut, cum suam vicem functus officio sit, parentium etiam patriaeque expletat desiderium (Liv., 1, 9,5); alle parole di Romolo, poi, si aggiungevano anche le blandizie degli stessi rapitori, i quali giustificavano il gesto con l’amore: accedebant blanditiae virorum factum purgantium cupiditate atque amore, quae maxime ad muliebre ingenium efficaces preces sunt (Liv., 1, 9,6); in argomento Michelet 1847, p. 7: “The Sabines only follone their ravishers on compulsino, but, become Roman matrons, they refuse to return to the paternal mansion, disarm their fathers and their husbands, and unite theme in one city”.

(16)

L’Asylum di Romolo

5 L’humilis origo, infatti, non vale a sminuire la vis Romana poiché tutte le città nascono dal basso, ma solo quelle che incontrano la virtù e il favore degli dei acquistano potenza e fama: urbes quoque, ut cetera, ex infimo nasci; dein quas suas virtus ac dii iuvenit, magnas opes sibi magnumque nomen facere; satis scire origini Romanae et deos adfuisse et non defuturam virtutem (Liv., 1, 9, 3).

Non occorre, quindi, fare come gli antichi fondatori delle città, i quali, pur avendo attirato presso di loro gente umile e di origini oscure, avevano finto, poi, che la loro discendenza fosse nata dalla terra: adicendae multitudinis causa vetere consilio condentium urbes, qui obscuram atque humilem conciendo ad se multitudinem natam e terra sibi prolem ementiebantur (Liv., 1, 8, 5)11.

L’episodio del ratto, dunque, riportato da Livio immediatamente dopo il racconto della nascita dell’asilo, non solo funge da chiarimento del carattere della turba omnis, ma risulta strettamente connesso al primo istituto anche sotto il profilo finalistico-causale.

Infatti, come l’asilo nacque non solo allo scopo di accrescere, ma anche di conser- vare l’urbis magnitudo, allo stesso modo, raccolta la multitudo, quella grandezza (iam res

11 Si tratta di un riferimento a quanti, per primi i Greci, ricorsero allo stesso espediente, ma inventarono, poi, talune ipotesi bizzarre, quali ad esempio la inverosimile leggenda di Cadmo, il mitico fondatore di Tebe, diffusissima sia nel mondo romano che greco. La tradizione vuole infatti che quest’ultimo avesse fatto scatu- rire dal suolo i primi abitanti della città, seminando i denti del serpente della Fonte Claustralia; ad esempio, secondo Hyg., Fab., 178:..Cadmus cum erraret, Delphos deuenit; ibi responsum accepit ut a pastoribus bouem emeret qui lunae signum in latere haberet, eumque ante se ageret; ubi decubuisset, ibi fatum esse eum oppidum condere et ibi regnare/ Cadmus sorte audita cum imperata perfecisset et aquam quaereret, ad fontem Castalium uenit, quem draco Martis filius custodiebat. Qui cum socios Cadmi interfecisset a Cadmo lapide est interfectus, dentesque eius Minerua monstrante sparsit et arauit, unde Spartae sunt enati/ qui inter se pugnarunt. Ex quibus quinque superfuerunt, id est Chthonius Vadeus Hyperenor Pelorus et Echion. Ex boue autem quem secutus fuerat Boeotia est appellata; similmente, Ps.-Apollod. Bibl. 3, 4,1-2: Kaédmov deè a\poqanou%san qaéyav, Thleéfassan, u|poè Qrçkw%n xenisqeÌv, h&lqen ei\v Delfouèv perÍ th%v Eu\rwéphv punqanoémenov. o| deè qeoèv ei&pe perÍ meèn Eu\rwéphv mhè polupragmonei%n, crh%sqai deè kaqodhg§% boi^, kaÌ poélin ktÌzein e"nqa a!n peés° kamou%sa, toiou%ton labwèn crhsmoèn diaè Fwkeéwn e\poreuée- to, ei&ta boi' suntucwèn e\n toi%v Pelaégontov boukolÌoiv tauét° katoépisqhn ei$peto h| deè diexiou%sa BoiwtÌan e\klÌqh, poéliv e"nqa vu%v ei\si Qh%bai, peémpei tinaèv tw%n meq e|autou% lhyomeénouv a\poè th&v AreÌav krhénhv u£dwr: frourw%n deè thèn krhénhn draékwn, o£n e\x àAreov ei&pon tinev gegoneénai, touèv pleÌonav tw%n pemfqeéntwn dieéfqeiren. a\ganakthésav deè Kaédmov kteÌnei toèn draékonta, kaÌ th%v \Aqhna%v u|poqemeénhv touèv o\doéntav au\tou speÌrei. Touétwn deè spareéntwn a\neéteilan e\k gh%v a"ndrev e"noploi, ou£v e\kaélesan Sartouév. Sul punto Dench 2004, pp. 93 ss. e, in particolare, p. 98: “Livy’s allusion to the myth of the Athenians as the earth-born progeny of Erechtheus/Erichthonios takes us to the heart of modern debates about how ‘closed’ the Athenian citizen- ship, and Athenian society more generally, really were in the fifth and fourth centuries… There have been recent suggestions that connections between the myth of Erechtheus/Erichthonios he earth-born progenitor of Athenians, the idea of the Athenian citizenship as based on blood descent, and democratic egalitarianism have been overplayed, and that there was a consideratile glide between the categories of citizens and non- citizens. Most notably, we need to distinguish between the ideology of fifth century Athens on the one hand, and its reception in the later Republican and early imperial Roman world on the other: the distance between the two is in itself interesting. In brief, the notions of both the ‘purity’ of Athenian descent and the restricted- ness of her citizenship are much repeated in the Roman reception of her history, although it should be em- phasized that `pure’ descent is frequently argued to be peculiarly compatible with both Athenian hospitality to refugees and/or foreigners and with attual naturalization of outsiders within her citizenship. It might be observed that, especially in early imperial receptions of Athens, not only is Athens being held up as a measure, or counterpoint, for Rome, but Rome has (most often implicitly) become a measure, or counterpoint, for Athens. In other words, it would seem that the motif of naturalization of outsiders has a significance that is

(17)

Manuela zelaschi

6

rather different from its ‘meaning’ within a fifth- and fourth-century bc Athenian context”; fondamentale, al riguardo, Crifò 2000, pp. 25 ss.

12 Dello stesso avviso, Flor., Epit., 1, 1, 9, secondo cui: res erat unius aetatis populus virorum. Itaque matrimonia a finitimis petita quia non impetrabantur, manu capta sunt; Aug., Civ., 1, 34: Romulus et Remus asylum constituisse perhi- bentur, quo quisquis confugeret ab omni noxa liber esset, augere quaerentes creandae multitudinem ciuitatis.

13 Liv., 1, 9, 1.

14 Cfr. Liv., 1, 8, 5.

15 Rollin 1726-1728, § 1, p. 346, presenta il valore romano come conseguenza della configurazione che aveva condotto Romolo a riunire intorno a se, grazie all’asilo, un assemblamento di gente audace, determinata e fero- ce; l’autore evita tuttavia, di utilizzare i termini “voleurs” o “brigands”, impiegati, invece, da Bossuet, dall’abate di Vertot e da Dacier: “un des caractères dominans du peuple Romain, a été d’être belliqueux, entreprenant, conquèrant, de se consacrer tout entier à la profession des armes, et de préférer à tout la gloire qui revient des ex- ploits guerriers. Romulus, son fondateur, semble lui avoir inspiré ce caractère. Ce Prince, endurci dès son enfance par les pénibles excercices de la chasse, et accoutumé à se battre contre les voleurs; obligé ensuite de défendre les franchises de l’asile qu’il avoit ouvert; n’ayant pour sujects de son nouveau royaume qu’un assemblage de gens hardis, déterminés, féroces, qui n’espéroient de sûreté pour leurs personnes que par la force, et qui ne possédant rien ne pouvoient trouver de subsistance, qu’à la pointe de l’épée: ce Prince, dis-je, s’accoutuma à avoir toujours les armes à la main, et il passa son règne à faire successivement la guerre aux Sabins, aux Fidénates, aux Véiens, et à tous les peuples voisins”; cfr., il pensiero di Rousseau 1753, IV, p. 971, nt., secondo il quale: “C’est celui de la fondation de Rome faite par une troupe de bandits, dont les descendans devinrent en peu de générations le plus vertueux peuple qui ait jamais existé”.

16 Tuttavia, Dacier 1811, vol. VIII, in-4°, tende ad accentuare le distanze col proporre un forte indurimento delle formulazioni di Plutarco; lo studioso afferma, infatti, a proposito della considerazione plutarchiana circa la asserita mancanza di certezze intorno a chi ed al perché fosse stato dato a Roma questo grande nome (Toè meéga th%v Rwémhv o"noma kaÍ doéx° diaè paéntwn a\nqrwépwn kecwrhkoèv a\f o$tou kaÌ di h£n ai\tÌan t°% poélei geégonen, ou\c w|moloéghtai paraè toi%v suggeafeu%sin; Plut. Rom,1,1), che “Les historiens ne s’accordent, ni sur le sujet qui fit donner à la ville de Rome ce grand nom, dont la gloire est respandüe dans tout le monde, ni sur celuy qui le donna”; commenta, inoltre, Dacier: “Voilà quel est le sort d’une ville qui a esté appellée, non-seulement Reine de l’univers, mais Déesse; son origine est si incertaine, qu’on ne sçaurait accorder les Auteurs qui en ont parlé.

Cette obscurité vient premierement de ce que ses premiers habitants furent un assemblage de brigans, d’esclaves fugitif, & de miserables bannis, tous de differents langage, qui songeoient bien moins à escrire des histoires &

Romana adeo erat valida) non sarebbe durata che lo spazio di una generazione, data la mancanza di donne e di societatem conubiumque con i vicini: sed penuria mulierum hominis aetatem duratura magnitudo erat, quippe quibus nec domi spes prolis nec cum finitimis conubia essent (Liv., 1, 9, 1)12.

Anche nel caso del ratto, dunque, è ravvisabile la convergenza di un fattore sogget- tivo (la giusta reazione alla superbia patrum per via del rifiuto ad homines cum hominibus sanguinem miscere) e di quello oggettivo costituito dalla mancanza di conubium con vici- nas gentes (nec cum finitimis conubia essent)13.

Precisando, infine, che non solo i Romani, ma che tutti i popoli hanno umili origini e che l’asserita crudeltà dei Romani costituì, invece, reazione ad un’offesa ingiusta, Livio può ben affermare che attraverso questa multitudo già era evidente il primo seme della urbis magnitudo14: idque primum ad coeptam magnitudinem roboris fuit, e, ancora: iam res Romana adeo erat valida (Liv., 1, 9, 1)15.

2. |Ieroén Qeou% |AsulaÍou (Plut., Rom. 5, 9, 3)

L’interpretazione proposta da Livio trova conferma ulteriore ad opera di Plutarco16.

(18)

L’Asylum di Romolo

7 In ‘Rwmuélov,invero, lo storiografo sottolinea con luce ancor più viva il carattere con- temporaneamente “humble, farouche et obscur”17 delle origini romane.

Per prima cosa, dunque, si ha cura di collocare temporalmente il santuario in un pe- riodo anteriore alla morte di Remo18.

I due fratelli, infatti, raccolto presso di se un gran numero di schiavi e di fuggiaschi, restituirono il regno ad Amulio ed alla madre gli onori che le spettavano19, decidendo di

des annales qu’a piller leurs voisins”; inoltre, secondo De Beaufort, 1866, p. 178: “Tite-Live fait un portrait peu différent des premiers sujets de Romulus”.

17 Touchefeu 1997, p. 5; osserva, inoltre, Dench 2004, pp. 227-228: “One important theme that has recurred in very different intellectual and political contexts has been that of the `race mixture’ of the Roman empire.

Judgements about ‘race mixture’ have played a significane role in explanations of both the success’ and ‘decline’

or ‘fall’ of Rome: this is not a matter of `identity politics’, but of the very destiny of Rome, a paradigm that was perceived to have great bearing on the natures and futures of the worlds within which and about which these authors were writing. Interest in the physical health of the collettive body of Rome, and in its mixed ethnic and cultura) parentage, with consequences for the character of the western inheritors of the classical world both predates and runs in parallel to the emergence of the specific `science’ of race in the early nineteenth century, with its biologica) typology of racial superiority”.

18 Plutarco racconta, infatti, che Romolo e Remo, avevano già raccolto presso di sè un gran numero di povera gente e di schiavi, diffondendo principi ed idee di ardita rivolta: sunh%gon deè kaÍ prosedeéconto pollouèv deè douèlouv, qraésouv a\postatikou% kaÍ fronhématov a\rcaèv e\ndidoéntev (Plut. Rom., 7, 1); anche in occasione di una lite insorta fra i pastori di Numitore e quelli di Amulio, per avere, i primi, preso e portato via del bestiame a questi, ove i due fratelli, che mal tolleraronno l’affronto, colpirono e misero in fuga i prepotenti, recuperando gran parte della preda, incuranti dell’ira di Numitore: genomeénhv deè tinov proèv touèv Nomhétorov boukoélouv toi%v

AmoulÌou diaforaèv kaÍ boskhmaéton e\laésewv, ou\k a\nascoémenoi sugkoéptousi meèn au\touèv kaÍ treépontai, a\

poteémnontai deè th%v leÌav sugchén,) Aganaktou%ntov deè tou% Nomhétorov w\ligwéroun (Plut. Rom. 1, 5, 3); cfr. Liv.

(1, 5, 3): Huic deditis ludicro cum sollemne notum esset insidiatos ob iram praedae amissae latrones, cum Romulus vi se defendisset, Remum cepisse, captum regi Amulio tradidisse, ultro accusantes. Crimini maxime dabant in Numitoris agros ab iis impetum fieri; inde eos collecta iuvenum manu hostilem in modum praedas agere. Sic Numitori ad supplicium Remus deditur. Iam inde ab initio Faustulo spes fuerat regiam stirpem apud se educari; nam et eitos iussu regis infantes sciebat et tempus quo ipse eos sustulisset ad id ipsum congruere; sed rem immaturam nisi aut per occasionem aut per necessitatem aperiri noluerat. Necessitas prior venit: ita metu subactus Romulo rem aperit. Forte et Numitori cum in custodia Remum ha- beret audissetque geminos esse fratres, comparando et aetatem eorum et ipsam minime seruilem indolem, tetigerat animum memoria nepotum; sciscitandoque eodem pervenit ut haud procul esset quin Remum agnosceret. Ita undique regi dolus necti- tur. Romulus non cum globo iuvenum nec enim erat ad vim apertam par sed aliis alio itinere iussis certo tempore ad regiam venire pastoribus ad regem impetum facit; et a domo Numitoris alia comparata manu adiuuat Remus. Ita regem obtruncat;

sebbene i due autori riportino con i medesimi toni l’accaduto, inasprisce, come visto, la tradizione di Plutarco, introducendo, pertanto, differenze, in realtà non presenti nel testo, Dacier 1694, §7: “Aprés cette expedition, ils attirerent & receurent dans leur corps tous les vagabonds qui n’avoient ni feu ni lieu, & tous les esclaves, à qui ils donnerent occasion de se mutiner & de se revolter contre leurs maistres. Mais pendant que Romulus estoit oc- cupé à un sacrifice, car il estoit homme Religeux & fort versé dans l’art des augures, les bergers de Numitor, ayant recontré Remus mal accompagné, se jetterent sur lui”; nota, infatti, Touchefeu 1997, p. 13: “(Plutarque)…notait pour sa part: <prosedeéconto pollouèv meèn a\poérouv, pollouèv deè doulouv>, soit, littéralement: <ils accueillirent beaucoup de gens sans ressource et beaucop d’escalves>. Nous avons entendu André Dacier écrire: <ils receur- ent dans leur corps tous les vagabonds qui n’avoient ni feu ni lieu, & tous les esclaves>”.

19 Sul punto, Plutarco riporta la versione della fondazione della città pubblicata per i Greci da Diocle di Pe- pareto, seguita, per molti punti, dalla più celebre tradizione di Fabio Pittore, secondo cui la successione dei re di Alba, discendenti di Enea, era toccata a due fratelli, Numitore ed Amulio; quest’ultimo scelse le ricchezze, ed al primo, quindi, spettÌ il regno. Tuttavia, Amulio, acquistando attraverso l’opulenza una maggiore potenza del fratello, riuscÌ a sottrarre a questi il regno e, per evitare che dalla figlia di lui, Rea Silvia (due, al proposito, sono i nomi riportati dalla tradizione: “Rea Silvia”, il più comune e probabilmente il più antico il cui significato potrebbe essere ricondotto a “la troiana” riportato da Liv., 1, 3; “Ila”, invece, usato anche negli Annales di Ennio)

(19)

Manuela zelaschi

8

fondare la città nei luoghi in cui originariamente erano stati allevati: poèlin e\n oi/v cwrÍoiv e\x a\rch%v e\netraéfhsan ktÍsantev, Plut., Rom. 9, 1 pr.)20.

Quindi, appena fondata la città di Roma, costruirono un tempio che fosse il rifugio per i fuggitivi e che essi chiamarono il tempio del dio Asilo: “epeita th%v poélewv thèn prwéthn i$drusin lambanouéshv, i|eroén ti fuéximon toi%v a\fistameénoiv kataskeuaésantev, o£

Qeou% |AsulaÍou proshgoéreuon (Plut., Rom. 9, 3 pr.).

Anche secondo Plutarco, dunque, la ragione dell’istituzione dell’asilo, è da ricercarsi nella necessità di popolare la città in poco tempo, giacché le prime case non erano più di mille: w$ste plhqu%sai tacuè thèn poélin: e\peÌ taév ge prwétav e|stÍav leégousi tw%n cilÍwn mhè pleÍonav geneésqai (Plut., Rom. 9, 3).

In quel luogo, pertanto, tutti trovarono un rifugio: i servi, perciò, non sarebbero stati restituiti ai loro padroni, né i creditori e gli assassini sarebbero stati consegnati alla giustizia (e\deéconto paéntav, ou"te despoétaiv dou%lon ou"te qh%ta crhéstaiv ou%t | a"rkousin a\

ndrofoénon e\kdidoéntev)21.

potessero nascere dei discendenti, la fece sacerdotessa di Vesta. Rea Silvia, tuttavia, rimase incinta e, di nascosto da Amulio, diede alla luce due gemelli, i quali furono nascosti dal servo Faustolo in una cesta e deposti vicino alla riva del fiume. Vennero così allattati da una lupa ed allevati da Faustolo, il porcaro di Amulio, finchè furono scoperti. I i due fratelli, decisero, quindi, di allontanarsi da Alba, poiché in essa né avrebbero potuto governare né desideravano assumere il potere essendo vivo il loro nonno (‘AmoulÌou de. a\poqanoéntov kaÍ tw%n pragmaé katastaéntwn, àAlbhn meèn ou"t a"rcein e\bouélonto tou% mhtropaérov zw%ntov; Plut., Rom. 9 pr.).

20 Da un lato, pertanto, la fondazione della città è vista da Plutarco come l’alternativa al distacco ed alla dispersione degli a\postatw%n pollw%n h\qtroismeénwn proév au\touév dall’altro, il proposito di fondare la città nel luogo natio, viene qualificato come il motivo più nobile della decisione dei fratelli: au$th gaèr eu\prepestaéth tw%n ai\tiw%n e\stin (Plutarco, ibidem); cfr. Liv., 1, 6, 3 ss., secondo cui: ita Numitori Albana re permissa Romulum Remumque cupido cepit in iis locis ubi eiti ubique educati erant urbis condendae. Et supererat multitudo Albanorum Latinorumque; ad id pastores quoue accesserant, qui omnes facile spem facerent paruam Albam, parvum Lavinium prae ea urbe quae condere- tur fore. Intervenit deinde his cogitationibus avitum malum, regni cupido, atque inde foedum certamen coortum a satis miti principio. Quoniam gemini essent nec aetatis verecundia discrimen facere posset, ut di quorum tutelae ea loca essent auguriis legerent qui nomen novae urbi daret, qui conditam imperio regeret, Palatium Romulus, Remus Aventinum ad inaugurandum templa capiunt.

21 Discordano, sul punto, le versioni di Dacier 1694 e di Rollin 1767-1769; il primo, infatti, così traduce, Plut.Rom. 9, 3: “Après cela dés que leur ville eut commencé à prendre sa premiere forme, ils ouvrirent un refuge à tous venants, & e l’appellerent le Temple du Dieu Asyle. Tout le monde y estoit bien reçeu, on ne rendoit, ni l’esclave à son maitre, ni le debiteur à son creancier, ni le meurtier à son Juge, & l’on soustenoit qu’Apollon luy-mesme avoit autorisé ce lieu de franchise par un oracle formel”; commenta, invece Rollin “Un second mojen dont se servit Romulus pour accroître Rome fut d’y ouvrir un asyle à tous ceux qui voudroient venir s’y ètabilir, de quelque état & de quelque condi- tion qu’ils fussent. Il espèroit, par cet artifice, augmenter la puissance romaine, et diminuer les forces de ses voisins. En effet, il s’y réfugia une infinité de gens des villes voisines, qui cherchoient à se soustraire ou à la duretè de leur maître, ou à la persécution de leurs créanciers, ou aux poursuites de la Justice que le crèdit de leurs ennemis rendoit suspecte; ou qui étoient attirés simplement par la nouveauté & le changement, & qui ne croyent point pouvoir trouver ailleurs de retraire plus sûre, ni plus convenable à leur état; d’autant plus que Romulus fesoit à ces nouveaux hôtes l’accueil le plus gracieux et le plus obligeant”; anche, in tal caso, pertanto, Rollin evita qualsiasi notazione che possa suscitare sospetto o disapprovazione; infatti, se per Dacier, attraverso l’espediente dell’asilo, “ne rendoit, ni l’esclave à son maitre, ni le debitour à son creancier, ni le meurtrier à son Juge”, secondo Rollin, invece, da un lato l’asilo costituì solo uno dei due mezzi di cui si servÌ Romolo per accrescere Roma (il primo, infatti, fu costituito dall’imposizione dell’obbligo ai cittadini di allevare tutti i loro figli maschi e le loro figlie maggiori), dall’altro, poi, lo schiavo fugge dalla “dureté” del suo padrone, il debitore, invece dalle “persécutions” del suo creditore e non esistono più, infine, gli assassini, ma solo uomini vittime di incriminazioni giudiziarie che li rendevano “le crédit de leurs ennemis rendoit suspecte[s]”.

(20)

L’Asylum di Romolo

9 un diritto di asilo generale, infatti, era stato loro confermato dall’oracolo di Delfi: a\llaè manteuémati puqocrhést§ pa%si bebaiou%n thèn a\sulÍan faéskontev (Plut., Rom. 9, 3).

Non vi è alcuna differenza sostanziale, dunque, tra le vicende narrate; le aggiunte di particolari più o meno dettagliati, sembrano attenere, piuttosto, alle peculiarità stilisti- che proprie dei due storici.

Nel dettaglio, infatti, con riguardo alle precisazioni spazio-temporali, nonché teleolo- giche operate da Plutarco, pare potersi segnalare che la pregnanza della scelta di fondare la città proprio nel luogo in cui ai due gemelli la lupa avesse dato loro il petto22 ( |Entau%qa dhè toi%v breéfesi keimeénoiv thén te luékainan i|storou%si qhlazomeénen;Plut., Rom. 4, 2 pr.), assume una valenza assorbente, rispetto alla più precisa ubicazione dell’asilo fornita da Livio (inter duos lucos).

Manca, infatti, in Plutarco, un puntuale riferimento alla dislocazione dell’asilo giac- ché esso stesso deve ritenersi incluso nelle più ampie considerazioni formulate intorno alla potenza crescente della città di Roma, di cui costituisce, dunque, principium e indice rivelatore.

Vengono aggiunti, invece, il conforto della protezione dell’oracolo di Delfi, quasi a compensare il generico riferimento alla tutela accordata da un non meglio identificato Qeou% |AsulaÍou nonché la menzione di un ratto antecedente a quello delle Sabine23 e perpetrato, invece, ma pur sempre dia\naégkhn, nei confronti delle donne di Alba.

22 Plutarco racconta, infatti, che il servo Faustolo, ordinato da Amulio di gettare i due gemelli nel fiume, si impietosÌ vedendo le acque gonfie ed impetuose e depose, pertanto, la cesta lungo le rive del fiume, allontanan- dosi: o| Amouéliov fobeqeÌv, e\keéleusen au\touèv u|phreéthn laboénta r|i%yai. Tou%ton e"nioi Faustuélon o\nomaéze- sqai leégousin, oi| d ou\ tou%ton, a\llaè toèn a\neloémenon. Enqeémenov ou&n ei\v skaéfhn ta breéfh, kateébh meèn e\pÌ toèn potamoèn w|v r|iywn, i\dwèn deè katioénta poll§% r|euémati kaÍ tracunoémenon e"deise proselqei%n, e\gguèv deè th%v o"cqhv kataqeév a\phllaésseto (Plut., Rom. 3, 5); fu cosÌ che, aumentando la piena del fiume, l’acqua prese e sollevÌ dolcemente la cesta e la portÌ in un punto moderatamente piano, detto, ai tempi di Plutarco Cermalo, ma, ancor più anticamente Germano, da cui è derivato, per converso l’appellativo di “germani” riferito ai due fratelli: Tou%

deè potamou% katakluézontov h| plhémmura thèn skaéfhn u|polabou%sa kaÍ metewrÌsasa prçéwv kathénegken ei\v cwrÌon e\pieikw%v malqakoén, o£ nu%n Kermaloèn kalou%si, paélai deè Germanoén, w|v e"oiken, o$ti kaÍ touèv a\delfouèv germanouèv o\nomaézousin (Plut. Rom. 3, 6). Si trovava lÌ vicino un fico, che chiamavano Ruminale, o da Romolo, come i più ritengono, o perché vi facevano la siesta per via della sua ombra, le bestie “ruminanti”, o soprattutto, per l’allattamento dei due piccini, poiché gli antichi chiamavano “ruma” la mammella e Rumina, invece, era il nome dato ad una dea che ritengono abbia cura dell’allevamento dei bambini: a lei sacrificano senza vino e sopra le sue vittime versano libagioni di latte: &Hn deè plhsÌon e\rineoév o\n |Rwminaélion e\kaéloun, h!v diaè toèn Rwmuélon, w|v oi| polloÌ nomÌzousin h! diaè toè taè mhrukwémena tw%n qremmaéton e\kei% diaè thèn skiaèn e\ndiaézein, h! maélista diaè toèn tw%n brefw%n qhlasmoén, o£ti thén qhlhèn r|ou%man w\nomaézon oi| palaioÌ, kaÌ qeoén tina th%v e\ktrofh%v tw%n nepÌwn e\

pimelei%sqai dokou%san o\nomaéqousi |Roumi%nan kaÌ quéousin au\t°% nhfaélia, kaÌ gaéla toi%v i|eroi%v e\pispeéndousin (Plut., Rom. 14, 1).

23 Quanto al ratto delle Sabine, Plutarco riporta l’opinione di quanti sostennero che Romolo, per sua natura amante della guerra, era stato indotto a tal gesto da alcuni oracoli, secondo cui era destina che Roma sarebbe divenuta grandissima alimentandosi e crescendo attraverso le guerre: kaÌ leégousi meèn e"nioi toèn Rwmuélon au\toèn t°% fuései filopoélemon o"nta, kaÌ pepeismeénon e"k tinwn a"ra logÌwn o$ti thèn Rwémhn peéprwtai poleémoiv trefomeénhn kaÌ au\xomeénhn geneésqai megÌsthn (Plut., Rom. 14, 1); i fautori di tale tesi, informa lo storico, affermano che le donne rapite non furono molte, ma solo trenta, proprio perché si aveva più bisogno di guerre che di matrimoni: ou\deè gaèr pollaév, a\llaè triaékonta moénav parqeénouv labei%n au\toén, a$te dhè poleémou ma%llon h" gaémwn deoémenon (ibidem); lo storico, tuttavia, afferma che sia assai più verosimile che, essendosi la città subito riempita di stranieri, dei quali solo un’esigua minoranza aveva moglie, col

Riferimenti

Documenti correlati

Representation of neuronal TRPML1 (a) under physiological conditions in which, after Ca 2+ release through the channel, a Ca 2+ -dependent activation of TFEB (Transcription factor

Questioni trasver- sali che investono il ruolo della disciplina all’interno della cultura contem- poranea, il ruolo dell’Università e della formazione universitaria con i suoi numeri,

We present the development of a model-based stiffness- mimicking adaptive impedance controller for adjusting the dynamic properties of a master device to increase accuracy in a

Using a recent comparison exercise, we have illustrated that since stringent scenarios can be simulated only by the models that are more optimistic (in terms of

Effect of two sous-vide cooking methods on fatty acid composition and oxidative stability of longissimus thoracis muscle from pigs receiving a diet containing or not

[r]

randomly, the chosen and modified artefact is no longer an object of contemplation: it cannot be identified as an ordinary object, to the point that there is no aesthetic emotion

Le 8 competenze (macro-competenze), tutte declinate al singolare e delineate in modo prima sintetico e poi dettaglia- to, sono: 1) competenza alfabetica fun- zionale, 2)