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Academic year: 2021

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P

RESUPPOSTI DEL NOSTRO

S

TUDIO ED

O

BIETTIVI

I dati della letteratura suggeriscono che, in risposta ad un danno tissutale, cellule progenitrici possano essere reclutate dal comparto midollare e migrare fino all’organo sede del danno e a tale livello transdifferenziare in cellule mature del tessuto ospite con un meccanismo mediato da citochine (interleuchine), chemochine (SDF-1α, Stromal Cell Derived Factor) e fattori di crescita (VEGF, Vascular Endothelial Growth Factor, TNF-a, Tumor Necrosis Factor). In particolare, il fattore chemo-attrattante SDF-1 (Stromal Cell Derived Factor 1 ) sembra essere uno dei principali mediatori del reclutamento delle EPCs e la quantità rilasciata dal midollo sembra essere direttamente proporzionale al danno.

In questo contesto ci siamo proposti di:

1. Analizzare le alterazioni del numero delle EPCs circolanti in soggetti con divers i gradi di alterazione glucidica;

2. Valutare la relazione tra le alterazioni quantitative del numero delle EPCs circolant i ed i livelli di molecole coinvolte nei meccanismi della loro regolazione (SDF-1 , TNF- );

3. Verificare il ruolo di alcuni polimorfismi genici nella regolazione dei livelli delle EPCs studiando le varianti alleliche di alcuni geni candidati;

4. Esplorare il ruolo delle concentrazioni plasmatiche di SDF-1 (e del polimorfismo

G801A di SDF-1 ) e delle concentrazioni plasmatiche di TNF- (e della variante G308A di

TNF- ) nella modulazione delle EPCs.

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MATERIALI E METODI

Pazienti

Il nostro studio è stato eseguito su 78 soggetti con diverso grado di alterazioni del metabolismo glucidico, ai quali è stato fatto un questionario per escludere altre patologie che avrebbero potuto interferire nelle analisi di nostro interesse.

I soggetti studiati sono stati suddivisi in:

1. 26 soggetti normoglicemici (NGT), suddivisi in funzione della familiarità di primo grado per il diabete di tipo 2 in 13 soggetti normoglicemici con familiarità e 13 soggetti normoglicemici senza familiarità;

2. 34 soggetti con alterata glicemia a digiuno (IFG) e/o ridotta tolleranza glucidica (IGT) (IGR, Impaired glucose Regulation);

3. 18 soggetti con diabete tipo 2 (Naive T2D);

Tutti i soggetti selezionati sono stati individuati nell’ambito di una più ampia attività di screening e prevenzione del diabete nella popolazione a rischio (circa 900 individui) in atto presso la nostra unità di ricerca.

Metodi

Dopo un prelievo di sangue a digiuno per determinare parametri ematochimici, markers d’infiammazione, determinazioni genetiche, citofluorimetriche ed immunoenzimatiche di molecole oggetto dello studio quali ICAM, VCAM, TNF- e IL- 6, tutti i soggetti sono stati sottoposti a carico orale di glucosio, OGTT (Oral Glucose Tolerance Test). Sono stati eseguiti, quindi, prelievi ad intervalli di tempo stabiliti, a 30, 60, 90, 120 e 180 minuti dalla somministrazione del carico di gluco sio.

La glicemia è stata misurata con il Glucose Analyzer Beckman (Fullerton, CA, Stati Uniti) che sfrutta il principio della glucosio ossidasi.

L’emoglobina glicata (HbA1c) è stata misurata mediante cromatografia liquida ad alta pressione, HPLC (Diamat, Bio-Rad Labs, Richmond, CA). La creatinina è stata misurata con metodica standard basata sulla reazione di Jaffè. La pressione arteriosa è stata determinata per tre volte ad intervalli di 3 minuti con uno strumento automatico, l’OMRON-950 CP (Healthcare Europe, Hoofddorp, Netherlands), dopo 10 minuti di riposo in posizione seduta.

La media delle tre determinazioni è stata usata per definire i valori pressori dei singoli

individui.

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L’indice di massa corporea (Body Mass Index, BMI), è stato calcolato come peso di un soggetto, espresso in kg, diviso il quadrato della sua statura espressa in metri (Kg/m

2

).

Colesterolo totale, colesterolo HDL e trigliceridi sono stati misurati con metodica enzimatica (Boehringer-Mannheim). Il colesterolo LDL è stato calcolato con la formula di Friedewald.

L’albumina urinaria, le apoliporoteine (Apo A-1 e Apo-B), la proteina C reattiva ultra sensibile sono state misurate con metodo nefelometrico (Behring Nephelometer Analyzer II, Marburg, Germania), La determinazione del fibrinogeno e di SAA si basa sul metodo di Clauss (Instrumentation Laboratory Company-Lexington, MA, Stati Uniti). La determinazione quantitativa di -GT è stata effettuata mediante con analizzatori Konelab.

Quantizzazione delle cellule progenitrici endoteliali me diante analisi citofluorimetrica

Il dosaggio delle EPCs è stato eseguito utilizzando la citometria a flusso (CFM) o citofluorimetria, una tecnica analitica quantitativa capace di valutare diversi parametri fenotipico/funzionali di una popolazione cellulare.

L’analisi di tipo citometrico viene effettuata su singole cellule messe in sospensione, misurandone le caratteristiche fisiche e/o biochimiche all’interno di un flusso laminare che interseca una sorgente di eccitazione. Il citometro di flusso è composto da una sorgente d’eccitazione, un sistema fluidico, un sistema ottico, un sistema elettronico (rilevazione e conversione A/D) ed un elaboratore (software, analisi dei dati).

Nella maggior parte degli strumenti viene usato un laser a ioni Argon, di potenza va riabile, impostato sulla lunghezza d’onda che consente una efficiente misura dei parametri fisici e può eccitare contemporaneamente diversi fluorocromi.

Il principio su cui si fonda l’analisi CFM è quello della focalizzazione idrodinamica (figura 18).

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Figura 18. Focalizzazione idrodinamica

In pratica, le cellule in sospensione scorrono in singola fila attraverso un fascio luminoso dove esse riflettono/rifrangono la luce ed emettono fluorescenza che viene raccolta, filtrata e convertita ad un valore digitale che viene inviato al computer; vengono prodotti anche due segnali di scatter: FSC, Forward Scatter e SSC, Side Scatter (figura 19 ) la cui combinazione permette di ottenere un particolare diagramma di dispersione, il citogramma nel quale si possono evidenziare fino a 5 o 6 differenti popolazioni cellulari, in base alle sole caratteristiche fisiche.

Il Forward Scatter è più sensibile alle dimensioni (circonferenza) ed alle proprietà di superficie delle particelle (ad es. rugosità/irregolarità di membrana) rispetto al Side Scatter che, invece, è molto sensibile alla granularità interna delle cellule (forma del nucleo irregolare e densità di granuli interni) essendo proporzionale alla capacità di una particella di produrre luce riflessa, determinata quantitativamente dalle superfici interne al citoplasma, granuli e nucleo e fornisce una indicazione circa la morfologia delle particelle del campione.

Grazie all’emissione di fluorescenza da parte di fluorocromi legati alla superficie della cellula è possibile misurare antigeni specifici. I fluorocromi più utilizzati sono FITC (Fluoresceina IsoTioCianato) e PE (FicoEritrina).

Uno degli aspetti più significativi delle citofluorimetria è rappresentato dall’analisi

multiparametrica ottenibile grazie alla possibilità di eseguire una separazione elettronica,

gating, o fisica, sorting delle subpopolazioni cellulari.

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Figura 19. Principio di citofluorimetria a flusso

DOSAGGIO EPCs

La quantificazione delle EPCs è stata effettuata su campioni di sangue periferico prelevato in

EDTA e trattato con anticorpi monoclonali marcati verso CD34 (anti CD34-FITC) (Becton-

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Dickinson Biosciences) e KDR (anti KDR-PE) (R&D Systems, Wiesbaden-Nordenstadt, Germany). Il CD34 coniugato alla FITC è stato utilizzato come marcatore di cellule progenitrici ematopoietiche ed il KDR, recettore delle cellule endoteliali, coniugato alla PE è stato utilizzato come marcatore endoteliale.

Il campione ematico viene prelevato a digiuno e processato entro 1-2 ore dal prelievo.

In breve, sono stati incubati 100 l di sangue periferico con 10 l di anticorpo monoclonale anti-CD34 e 10 l di anticorpo monoclonale anti-KDR per 30 minuti a 4°C. Dopo la marcatura del campione, è stata eseguita la lisi dei globuli rossi aggiungendo 1 ml di lisante a base di cloruro di ammonio (NH

4

Cl). Successivamente, il campione contenente il lisante, è stato incubato per 10 minuti a 4°C. Si è quindi proceduto con l’acquisizione citofluorimetrica di almeno 5x10

5

eventi con lo scopo di identificare le cellule che co-esprimono i marcatori sopracitati. La conferma del conteggio delle CD34

+

circolanti è stata effettuata con un metodo citofluorimetrico a singola piattaforma comunemente indicato come metodo TRUCOUNT (Becton-Dickinson Biosciences, San Jose, CA) in accordo con le linee guida della

“International Society for Hematotherapy and Graft Engineering” (ISHAGE).

Il protocollo ISHAGE prevede la dispensazione, in provette trucount contenenti un numero noto di microbiglie fluorescenti liofilizzate, di 100 l di sangue intero e 10 l di ISHAGE contenente gli anticorpi monoclonali CD45 e CD34. A questo punto il software dedicato (Macintosh Cell Quest, BD Biosciences) disegna i plot con un’analisi di fluorescenza bidimensionale e traccia delle regioni (gate) sulle quali fa un conteggio preciso degli eventi contenuti.

La conta cellulare è espressa come numero di cellule per 10

6

eventi.

Estrazione del DNA

Il DNA è stato estratto da leucociti ottenuti da campioni di sangue periferico, precedentemente prelevato in EDTA dai pazienti selezionati e conservato a –20°C.

L’estrazione salina del DNA è stata condotta utilizzando un apposito protocollo per ottenere DNA di cellule eucariotiche da sangue congelato in accordo alla metodica descritta da Blin N.

e Stafford D.M. (Blin N, Stafford DM, 1976). Tutti i reagenti utilizzati sono stati accuratamente sterilizzati prima dell’uso.

Sono stati dispensati, in tubi falcon sterili, 3 ml di sangue intero e trattati con 45 ml di

soluzione contenente Tris 20 mM, EDTA 5 mM, NaCl 150 mM e Triton X100. I singoli

campioni sono stati delicatamente agitati ed incubati in ghiaccio per 15 minuti, quindi

centrifugati a 3000 rpm per 15 minuti a 4°C.

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Eliminato il sovranatante, il pellet residuo è stato nuovamente sospeso nella soluzione TE/NaCl/Triton, agitato, incubato a 4°C per 15 minuti e centrifugato a 3000 rpm per 15 minuti. Il nuovo pellet così ottenuto è stato sospeso in 2.5 ml di soluzione contenente Tris 20 mM, EDTA 5 mM, NaCl 150 mM e trasferito in provette di vetro sterili.

Sono stati aggiunti 150 l di proteinasi K (10 mg/ml) e 100 l di Sodio Dodecil Solfato (SDS) al 10%, allo scopo di degradare le proteine residue. I campioni, quindi. sono stati incubati per tutta la notte a 37°C dopodichè si è proceduto ad aggiungere 1 ml di NaCl saturo ed a coprire le provette con parafilm. Agitati per almeno 15 secondi, i campioni sono stati centrifugati a 2500 rpm per 15 minuti (4°C).

Il sovranatante limpido, contenente il DNA, è stato raccolto, evitando accuratamente di aspirare le proteine precipitate e trasferite in provette di vetro sterili.

I campioni sono stati ulteriormente agitati per almeno 15 secondi e successivamente centrifugati a 2500 rpm per 15 minuti, aggiungendo, se il campione mostra evidenti impurità, 1 ml di NaCl saturo. Raccolto il sovranatante, è stata aggiunta una quantità doppia in volume di etanolo assoluto; questa procedura ha permesso di ottenere la precipitazione del DNA. Le provette, coperte con parafilm, sono state agitate delicatamente fino alla visualizzazione di una struttura biancastra che tende a raccogliersi a gomitolo, il DNA. Il gomitolo è stato raccolto sull’estremità di una pasteur uncinata e lasciato asciugare sotto una lamp ada o all’aria in ambiente sterile. Le pasteur con il DNA essiccato sono state messe in eppendorf contenenti 100 l di TE a pH 8 (Tris 10mM, EDTA 1 mM) e lasciate a 37°C per almeno 2 ore. Disciolto il DNA nella soluzione, le pasteur sono state rimosse ed i campioni sono stati conservati a 4°C, per un utilizzo immediato, oppure a –20°C per conservare per periodi di tempo prolungato. Benché la conservazione del DNA in una soluzione composta da Tris-EDTA (TE) risulti altamente efficiente, il TE può avere effetto inibitorio sull’amplificazione genica (PCR). Pertanto, un’aliquota del DNA conservato in TE, è stata opportunamente trattata e disciolta in acqua bidistillata sterile. Prima di essere sottoposti ad amplificazione genica, i campioni di DNA sono stati tarati mediante spettrofotometro per determinarne la purezza (DNA/RNA) e la concentrazione ( g/ml).

Analisi della variante –801 G>A del gene SDF-1

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La variante del gene SDF-1 , localizzato sul cromosoma 10, si trova in posizione 3’ non tradotta e consiste nella sostituzione di una adenina con una guanina in posizione 801 (–

801G>A).

L’analisi di questa variante è stata effettuata su DNA genomico mediante amplificazione genica (PCR) del tratto d’interesse, analisi di restrizione (RFLP) e corsa su gel d’agarosio (3%).

L’utilizzo della tecnica cromatografica denaturante ad alta pressione, il dHPLC, ci ha permesso di confermare il dato ottenuto.

La reazione di polimerizzazione a catena è stata eseguita utilizzando le seguenti condizioni:

50 ng di DNA genomico, 1 mol/l del primer senso (P1F: 5’- CAGTCAACCTGGGAAAGCC-3’), 1 mol/l del primer antisenso (P2R: 5’- AGCTTTGGTCCTGAGAGTCC-3’), 5 l di Master Mix (contenente 0.25 unità di Amplitaq Taq polymerase, dNTPs 200 µM, MgCl

2

1 mM, 10 mM Tris-HCl, 50 mM KCl) e tampone di reazione in un volume finale di 10 µl. La miscela di reazione è stata denaturata a 94°C per 10 minuti quindi sottoposta a 35 cicli di amplificazione ciascuno composto da un ciclo di denaturazione a 94°C per 45 secondi, uno di “annealing” a 61.5°C per 30 minuti ed infine un ciclo di estensione a 72°C per 30 minuti.

Al prodotto di PCR pari a 303 bp è stato aggiunto tampone specifico e 10 unità di enzima

MspI, che, in assenza di mutazione, riconosce il sito di restrizione (CC’GG) e taglia in modo

specifico all’interno della regione amplificata (figura.20), determinando la formazione di due frammenti pari a 203 bp e 100 bp. In presenza della variante allelica (CC’AG), invece, l’enzima non riconosce il sito di taglio, quindi non si ha digestione enzimatica e la banda prodotta risulta quella del prodotto di PCR, 303 bp.

In caso di eterozigosi, i frammenti prodotti sono 3: 303 bp. 203 bp e100 bp.

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Figura 20. Sito di taglio dell’endonucleasi MspI

Il profilo dei genotipi che ne consegue è stato visualizzato su gel di agarosio al 3% mediante corsa elettroforetica per circa 1 ora a 10 Watt e colorazione con bromuro di etidio; le bande colorate vengono visualizzate al transilluminatore mediante raggi UV (figura 21).

Figura 21. Schema dei prodotti della digestione enzimatica con MspI effettuata per lo studio del polimorfismo SDF1-

Per confermare il dato ottenuto e testare la specificità dello strumento, è stata messa a punto l’analisi su dHPLC, uno strumento che, in condizioni parzialmente denaturanti e sotto diretto controllo della temperatura, permette di discriminare all’interno di prodotti eterogenei di PCR, molecole di DNA eteroduplex rispetto alle molecole omoduplex. Per fare questo lo strumento sfrutta la differente velocità di eluizio ne in una colonna cromatografia degli eteroduplex rispetto agli omoduplex. Tali duplex si formano quando frammenti amplificati di DNA vengono denaturati termicamente e lasciati ricombinare. Se il DNA, durante amplificazione genica, non contiene mutazioni o polimorfismi, nella fase di annealing, si formano solo

5’…

GGA GCC GGG T

…3’

3’…

CCT CGG CC CA

…5’

GG GA AA

303 bp 203 bp

100 bp

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omoduplex; nel caso di una mutazione in eterozigosi, oltre agli omoduplex si generano gli eteroduplex, ossia la combinazione di due catene di DNA a singola catena, non perfettamente corrispondenti, caratterizzata dalla presenza di una “bolla” a livello della q uale si trova il mismatch (figura 22).

Per evidenziare eventuali mutazioni in omozigosi, l’amplificato di ciascun paziente che risulta omoduplex viene mescolato con il DNA di un controllo omozigo te “wild type” in un rapporto di 1:1 prima di essere denaturato. Anche in questa miscela, cromatograficamente, il campione omozigote wild type presenta un solo picco mentre il campione omozigote mutato mostra due picchi dovuti alla formazione di omoduplex e due picchi dovuti alla formazione di eteroduplex. (figura 22).

Il principio di separazione cromatografica dei frammenti di DNA da analizzare è quello della cromatografia liquida a scambio ionico in fase inversa. La fase stazionaria consiste in una colonna riempita con una sfera polistirene-divinilbenzene (PS-DVB). La carica positiva del TEAA interagisce con la carica negativa dei gruppi fosfato degli acidi nucleici, mentre i gruppi idrofobici interagiscono con la catene C-18 delle sfere di PS-DVB.

La fase mobile consiste in una combinazione di buffers (TEAA e acetonitrile a varie

concentrazioni) che eluisce il DNA trattenuto dalle sfere dalla colonna cromatografica.

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Figura 22. Profilo di eluizione in dHPLC di un campione eterozigote o omozigote mutato miscelato ad un campione wild type

Analisi della variante –308 G>A del gene TNF-

La variante del gene TNF- , localizzato sul cromosoma 6, è situata nella regione promotrice – 308 e consiste nella sostituzione di una guanina con una adenina in posizione 308. L’analisi di questa variante è stata effettuata su DNA genomico, mediante amplificazione genica quantitativa (RT-PCR) del tratto d’interesse con il metodo TaqMan.

Il sistema di amplificazione e rilevazione da noi utilizzato è stato “iCycler IQ” della Biorad.

Attraverso l’uso di sonde allele-specifiche, ciascuna delle quali legata ad un differente fluoroforo, è possibile monitorare la reazione di PCR in tempo reale. I primer forward e reverse sono stati disegnati in maniera tale da delimitare una sequenza di DNA all’interno della quale è compreso il sito di mutazione.

Tali sonde oligonucleotidiche sono marcate all’estremità 5’ con reporter FAM e VIC, che emettono, rispettivamente, ad una lunghezza d’onda di 530 e 490 nm .

Ciascuna sonda porta all’estremità 3’ un silenziatore, querce, che assorbe la luce emessa dal fluoroforo quando si trova nelle sue immediate vicinanze. La Taq DNA polimerasi usata durante la fase di estensione è dotata, oltre che dell’attività polimerasica, anche di un’attività esonucleasica 5’-3’, che permette all’enzima di degradare eventuali frammenti di DNA che incontra legati lungo il filamento stampo.

L’attività esonucleasica della TaqMan DNA polimerasi provvederà alla degradazione della

sonda, liberando così il fluoroforo all’estremità 5’ che potrà emettere alla sua lunghezza

d’onda specifica (Figura 23). La fluorescenza registrata è proporzionale alla quantità di DNA

amplificato in ogni momento della reazione, poiché viene liberata una molecola di fluoroforo

per ogni copia di DNA duplicato.

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Figura 23. Amplificazione del DNA con il metodo TaqMan Real-time

Figura 24. Protocollo sperimentale di RT-PCR

L’allestimento della reazione prevede la preparazione di due miscele distinte. Si usa una

miscela 2x, contenente buffer, MgCl

2

, nucleotidi e Taq polimerasi, ed una miscela 20x

contenente le sonde ed i primer necessari. Il volume dei pozzetti nel nostro diapositivo può

essere tarato a 15 l o a 25 l. Solitamente, ogni pozzetto contiene 15 l di soluzione,

costituiti da 4 l di DNA da genotipizzare e 11 l di miscela finale (figura 24). Nella tabella 3

è riportato un esempio di miscela di reazione per un unico campione. L’identificazione dei

campioni analizzati è fornita da un software che attribuisce il genotipo a ciascun ca mpione in

base alla fluorescenza rilevata, riportata in RFU (Relative Fluorescen Unit). Nella figura 25 è

visibile un esempio di output dei genotipi per alcuni campioni analizzati.

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Tabella 3. Miscela di reazione per Real Time PCR

Figura 25. Attribuzione dei genotipi per il polimorfismo –308 G > A (rs1800629) del TNF- .

In rosso (allele1) sono riportati gli omozigoti wild-type, in verde scuro gli eterozigoti ed

infine, in verde chiaro (allele 2) gli omozigoti mutanti. In celeste sono riportati i controlli

negativi.

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Dosaggio Citochine

Per dosare sul plasma dei soggetti arruolati le concentrazioni del fattore di derivazione stromale, (SDF-1 ), le molecole di adesione ICAM e VCAM, il fattore di necrosi tissutale, (TNF- ) e l’inteleuchina 6 (IL-6), sono stati utilizzati i kit ELISA disponibili in commercio (R&D Systems, Minneapolis, Stati Uniti) sul plasma dei pazienti arruolati. Tali kit utilizzano la tecnica enzimatica quantitativa a sandwich.

Brevemente, alle piastre da 96 pozzetti già trattati con anticorpo primario, sono stati aggiunti i campioni di siero dei soggetti in studio e gli standards a concentrazione nota. Si è proceduto, poi, ad una prima incubazione di 2 ore a temperatura ambiente ed a lavaggi att i a rimuovere tutto ciò che non si è legato all’anticorpo immobilizzato. Dopo l’incubazione e dopo la prima serie di lavaggi, è stato aggiunto ai pozzetti un secondo anticorpo policlonale coniugato con la perossidasi e si è proceduto con una seconda incuba zione ed un’ulteriore serie di opportuni lavaggi. E’ stato poi aggiunto il substrato cromogeno e dopo incubazione di 20 minuti al buio, la reazione è stata bloccata con l’aggiunta di una soluzione di stop. L’assorbanza in ciascun pozzetto è stata misurata tramite spettrofotometro (Thermo Electron Corporation, MultiSkan Ex) ad una lunghezza d’onda opportuna per ciascun cromogeno utilizzato.

Per velocizzare i tempi dei dosaggi delle molecole oggetto di studio, abbiamo utilizzato una nuova e rapida metodica alternativa, l’Instant ELISA (Prodotti Gianni, Milano, Italia). Si tratta di un saggio quantitativo più semplice ed economico rispetto ad un ELISA convenzionale. Tutti i 96 pozzetti costituenti la piastra contengono i reagenti necessari, liofilizzati, che vanno a creare un pellet sul fondo del pozzetto. I pozzetti sono stati reidratati, sono stati aggiunti i campioni da analizzare e si è proceduto con l’incubazione di 2 ore a temperatura ambiente. E’ stato poi aggiunto il substrato cromogeno e dopo incubazione di 20 minuti al buio, la reazione è stata bloccata e si è proceduto con la lettura della piastra allo spettrofotometro. Tutti i dosaggi sono stati eseguiti in doppio.

Per verificare la validità di questa procedura alternativa, abbiamo eseguito dosaggi in parallelo utilizzando sia kit ELISA Instant che kit ELISA convenzionali.

Le concentrazioni vengono estrapolate dalla curva ottenuta con campioni a concentrazione

standard nota.

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