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Qui prenderemo in considerazione la localizzazione, l’evoluzione, il ruolo dei carotenoidi nei processi fotosintetici, la via biosintetica e i fattori che la influenzano(Maffei 1999)

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I CAROTENOIDI

L’importanza di questi composti è dovuta al fatto che la loro degradazione chimica o enzimatica può portare alla formazione di composti aromatici piacevolmente odorosi, identificati nei grappoli e nel vino come i C-13 norisoprenoidi (Razungles et al. 1988). I carotenoidi sono molecole di natura lipidica che derivano dalla condensazione di otto unità isopreniche, risultando pertanto dei tetraterpeni. Il licopene, il B-carotene, A-carotene, la luteina, si definiscono carotenoidi; quando i carotenoidi sono ossigenti, come la violaxantina, la zeaxantina, l’anteraxantina, la neoxantina si definiscono xantofille. I carotenoidi si trovano nell’ordine di 15/2000 μg/kg nell’uva. Qui prenderemo in considerazione la localizzazione, l’evoluzione, il ruolo dei carotenoidi nei processi fotosintetici, la via biosintetica e i fattori che la influenzano(Maffei 1999).

LOCALIZZAZIONE ED EVOLUZIONE DEI CAROTENOIDI

Considerata la loro importanza, è necessario conoscere l’evoluzione dei carotenoidi durante il ciclo della pianta e, dal momento che le differenti parti della bacca (buccia, polpa e succo) giocano ruoli differenti nella vinificazione, è interessante conoscere, da un punto di vista tecnologico, la composizione in carotenoidi in ognuna di queste parti (Razungles et al. 1988).

I carotenoidi si trovano immersi nelle membrane dei cloroplasti e cromoplasti, quest’ultimi derivano per lo più dal differenziamento di proplastidi, ma in qualche caso si formano a partire da cloroplasti in seguito alla perdita di clorofilla e alla degradazione dei tilacoidi. Sono presenti nella buccia e nella polpa ma totalmente assenti nel succo; questo è in accordo con il fatto che questi composti sono localizzati nei plastidi. La buccia contiene i 2/3 dei carotenoidi totali, questo perché l’attività fotosintetica è più elevata nella buccia che nella polpa e sono assenti nel succo perché la loro natura lipofilica li rende difficilmente diffusibili nel succo acquoso (Figura 24). Le quantità di β-carotene, 5,6 epossiluteina, luteina nella polpa e nella buccia sono simili a quella dei carotenoidi totali, mentre la neoxantina è 3-4 volte superiore nella buccia rispetto alla polpa (Figura 25, Figura 26).

Figura 24. Contenuto in carotenoidi totali di bacche di due varietà provenienti da vigneti differenti.

C1, C2 = Carignane; S1, S2 = Sirah (Razungles et al 1988)

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Figura 25. Contenuto in β-carotene di bacche di due varietà provenienti da vigneti differenti. C1, C2

= Carignane; S1, S2 = Sirah (Razungles et al 1988)

Figura 26. Contenuto in luteina di bacche di due varietà provenienti da vigneti differenti. C1, C2 = Carignane; S1, S2 = Sirah (Razungles et al 1988)

Come mostrato in figura 27, i carotenoidi totali decrescono rapidamente durante la maturazione della bacca. Quando il β-carotene, la luteina, la 5,6 epossiluteina e la neoxantina sono considerati individualmente, l’evoluzione è simile a quella dei carotenoidi totali(Figura 28). La causa di questo decremento durante la maturazione del grappolo non è conosciuta con certezza ed è possibile solo fare ipotesi. E’ possibile che dopo la loro distruzione, i cloroplasti non sono trasformati in cromoplasti capaci di sintetizzare i carotenoidi o alternativamente ci può essere una competizione tra la sintesi di carotenoidi e flavonoidi per i loro precursori comuni, l’acetato e il mevalonato. La sintesi dei flavonoidi sarebbe a discapito dei carotenoidi. Questi durante la maturazione sono progressivamente degradati, per via enzimatica o chimica, senza che una nuova sintesi li rimpiazzi (Razungles et al. 1988).

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Figura 27. Evoluzione del contenuto in carotenoidi totali durante la maturazione del grappolo in tre varietà (Razungles 1988).

Figura 28. Evoluzione del contenuto in β carotene durante la maturazione del grappolo di tre varietà (Razungles 1988)

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FUNZIONI DEI CAROTENOIDI

I carotenoidi proteggono gli organismi fotosintetici dalla fotossidazione e sono dei componenti importanti del sistema antenna per la cattura della luce (LHC), garantendo l’assorbimento della luce in ambiti spettrali non adeguatamente coperti dalle clorofille, alle quali poi in parte trasmettono l’eccitazione. Lo spettro di assorbimento dei carotenoidi più comuni, come la luteina o il β- carotene, è caratterizzato da un massimo di assorbanza attorno ai 450 nm, dando un colore giallo, ma altri carotenoidi variano dal colore rosso al bruno. I carotenoidi non sono direttamente coinvolti nel trasporto degli elettroni o nelle reazioni primarie della fotosintesi e per questo motivo, nonostante la loro ubiquità nel regno vegetale, sono considerati dei pigmenti accessori. I carotenoidi sono presenti sia nei complessi di raccolta della luce (LHC) che nei centri di reazione dei due fotosistemi (PS-I, PS-II). La capacità di utilizzare la luce che non viene assorbita dalle clorofille rende i carotenoidi dei pigmenti importanti in quegli ambienti in cui la luce ha caratteristiche non ideali per le clorofille. Oltre a servire da pigmenti aggiunti per la cattura dei fotoni a energia relativamente elevata i carotenoidi hanno l’importante funzione di agenti fotoprotettivi, impedendo i danni dovuti a fotoossidazione, fotoinibizione, fotodanneggiamento. Per quanto riguarda l’assorbimento di energia i carotenoidi mostrano un’efficienza di trasferimento energetico verso le clorofille pari al 100%. Il trasferimento di energia dallo stato di tripletto della clorofilla allo stato basale dell’ossigeno genera la formazione di singoletti di ossigeno che causano danni fotoossidativi al processo fotosintetico. Queste specie sono altamente reattive danneggiando sia il sistema di membrane che alcuni processi metabolici; così l’ossigeno rappresenta un fattore di stress. Un sistema ubiquitario in grado impedire la formazione di singoletti di ossigeno e di dissipare l’eccesso di energia presente nella clorofilla è rappresentato dai carotenoidi. Questi riescono a dissipare l’energia in eccesso attraverso una serie di trasformazioni che prendono il nome di ciclo delle xantofille (Figura 29). In risposta a condizioni di stress, quali illuminazione insolitamente forte, siccità, freddo, la violaxantina, uno dei carotenoidi presenti nelle membrane tilacodali, viene trasformata in zeaxantina attraverso una serie di reazioni che richiedono la presenza di un enzima deepossidante, la violaxantina deepossidasi; questo enzima è sensibile alle variazioni di pH in quanto si può ottenere un’elevata attività al buio mantenendo bassi i valori di pH, o esponendi i tilacoidi alla luce, il che causa l’acidificazione del lume tilacoidale. Oltre alla variazione di pH anche la disponibilità del cofattore acido ascorbico può giocare un ruolo importante nelle deepossidazione, ma condizioni ambientali come scarsa disponibilità di acqua, presenza di radiazioni UV-B o basse temperature possono influire seriamente sull’attività della violaxantina deepossidasi. Inoltre, importante requisito per l’attività dell’enzima è la disponibilità di violaxantina, che risulta incrementata dal grado di acidità del lume tilacoidale. La reazione di deeposidazione trasforma la violaxantina nell’intermedio anteraxantina, che viene poi ulteriormente deepossidata a zeaxantina.

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Figura 29. Ciclo della xantofilla. Rimozione di due atomi di ossigeno dalla violaxantina attraverso la formazione dell’intermedio anteraxantina. La deepossidazione avviene a seguito di un eccesso di luce e l’epossidazione avviene in condizioni di bassa luminosità. (Maffei 1999).

La deepossidazione avviene a seguito di un eccesso di luce e l’epossidazione avviene in condizioni di bassa luminosità. Il ciclo delle xantofille prosegue poi con l’epossidazione della zeaxantina, reazione di cui però non è ancora stato purificato l’enzima responsabile. Lavori recenti attribuiscono al complesso del LCHII la capacità di epossidare la zeaxantina, reazione che richiede anche la presenza di NADPH e O2. Anche l’epossidasi risulta dipendente dalla luce e dal pH, con valori ottimali intorno a 7,5. La localizzazione sul tilacoide risulta invece dalla parte stomatica e non da quella lumenale come osservato per le deepossidasi. Da quanto descritto risulta quindi evidente che la zeaxantina e il pH del lume tilacoidale agiscono sinergicamente e siano entrambi indispensabili per dissipare l’eccesso di energia che colpisce le molecole di clorofilla. Da un punto di vista fotofisico le ultime teorie ipotizzano un ruolo di “parafulmine” della zeaxantina che riceverebbe l’eccesso di energia dalla clorofilla dissipandolo sotto forma di calore (decadimento non radiante).

Per fotoinibizione si intende l’incapacità della pianta non acclimatata, portata in pieno sole, di utilizzare l’energia luminosa assorbita, che viene sprecata come calore, con un corrispondente calo della fotosintesi netta. Il fotodanno significa, in seguito a stress grave e protratto nel tempo, danneggiamento dell’apparato fotosinteico e soprattutto la scomparsa di porzioni del PS-II. Si pensa che la prima origine del danno sia di natura fotoossidativa a carico del centro di reazione; una volta inattivato esso, viene destabilizzato tutto il PS-II, compresi i complessi LHCII. Il fotodanno può derivare tipicamente da freddo, stress idrico o alcalino, stress da improvvisa intensa illuminazione, combinazioni di più fattori stressanti, carenze metabolico-genetiche, malattie. Si tratta di un fenomeno lentamente recuperabile (in condizioni normali) in presenza di luce e CO2, attraverso la sintesi e l’inserimento in membrana di nuove proteine e pigmenti. Le piante mutanti prive di

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carotenoidi non possono difendersi dalla fotoossidazione con i meccanismi descritti e finiscono per soccombere, oppure sopravvivono precariamente in modo artificiale(solo a bassa illuminazione) svolgendo una limitata fotosintesi. Un’analoga sindrome si riscontra nelle piantule trattate con inibitori della sintesi dei carotenoidi (Maffei 1999, Alpi ).

LA BIOSINTESI DEI CAROTENOIDI

I carotenoidi sono dei tetraterpeni, composti che appartengono alla classe dei terpenoidi, una classe di composti di natura lipidica non contenenti acidi grassi. Il nome terpenoidi, o terpeni, deriva dal fatto che i primi membri della classe furono isolati dalla trementina (Terpentin in tedesco). I terpenoidi sono presenti in tutte le piante e si originano da due vie biosintetiche principali: la via dell’acido mevalonico e la via piruvato/gliceraldeide 3-fosfato. Entrambe producono il precursore di base isopentenil pirofosfato (IPP). Questo composto a 5 atomi di carbonio, definito isoprenoide (per questa ragione i terpenoidi sono spesso detti isoprenoidi), è l’unità di base con la quale sono costruite molecole via via sempre più complesse e formate da un numero di atomi di carbonio sempre multiplo di cinque; mentre i terpeni sono costituiti da 5 carboni a da multipli di 5, i terpenoidi sono tutte quelle molecole che hanno la stessa origine biosintetica dei terpeni ma che hanno subito successive modifiche nella struttura e quindi nel numero di atomi di carbonio che le compongono (Figura 30, figura 31, figura 32).

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Figura 30. Via biosintetica dei carotenoidi (Buchanan et al. 2003)

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Fig.31 Ciclo delle xantofille e della neoxantina e stereochimica (Baumes et al. 2002)

Fig.32 Formazione della luteina da α-carotene e stereochimica dei carboni asimmetrici (Baumes et al. 2002)

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Un criterio di suddivisione si basa sul numero di atomi di carbonio. L’unione di due isopreni dà origine ai monoterpeni, composti a dieci atomi di carbonio, mentre l’aggiunta di un’altra unità isoprenica a un monoterpene origina i sesquiterpeni. La successiva condensazione di una molecola di IPP con un sesquiterpene forma i diterpeni, composti a venti atomi di carbonio, mentre la condensazione di due sesquiterpeni dà origine ai triterpeni, a trenta atomi di carbonio. L’unione di due diterpeni origina i tetraterpeni, a 40 atomi di carbonio; infine ci sono i politerpeni, polimeri dell’isoprene, con un numero variabile di alcune centinaia di residui isoprenici. Esiste una importante, e forse universale, caratteristica nell’organizzazione del metabolismo dei terpenoidi a livello subcellulare. I sesequiterpeni, i triterpeni e i politerpeni vengono prodotti a livello citosolico o nel reticolo endoplasmatico, mentre l’isoprene, i monoterpeni, i diterpeni e i tetraterpeni principalmente, se non esclusivamente, nei plastidi. Alcune prove indicano che le vie biosintetiche per la formazione del precursore fondamentale IPP differiscono profondamente in questi compartimenti; la classica via dell’acetato/mevalonato è attiva nel citosol e nel reticolo endoplasmatico, mentre la via piruvato/gliceraldeide 3-fosfato opera nei plastidi. La regolazione di queste vie risulta difficile da valutare in quanto i plastidi possono rifornire l’IPP al citosol per la biosintesi e viceversa. Studi recenti hanno dimostrato che la via mevalonato dipendente fornisce IPP per la sintesi di fitosteroli e fitoalessine, mentre l’IPP derivante dalla via piruvato/gliceraldeide 3-fosfato è utilizzato per la sintesi di monoterpeni, sesquiterpeni, carotenoidi, fitolo, cofattori. Il fitoene è il precursore di tutti i terpenoidi a 40 atomi di carbonio; esso subisce una serie di trasformazioni che portano alla formazione di intermedi metabolici via via sempre più insaturi fino alla struttura del licopene. La ciclizzazione di questa molecola forma il B-carotene, la cui ossidrilazione produce la zeaxantina. Questo composto si trasforma per epossidazione in violaxantina. Il licopene, il B-carotene, A-carotene, la luteina, si definiscono carotenoidi; quando i carotenoidi sono ossigenti, come la violaxantina, la zeaxantina, la neoxantina si definiscono xantofille (Buchanam et al. 2003, Maffei 1999).

I FATTORI CHE INFLUENZANO LA BIOSINTESI DEI CAROTENOIDI

Lo studio di mutanti della biosintesi dei carotenoidi nelle piante superiori, nelle alghe, nei funghi e nei batteri, ha permesso l’identificazione di molti geni che codificano per enzimi della via metabolica responsabile. Gli enzimi per la biosintesi dei carotenoidi sono codificati da geni nucleari e le proteine precursori di tali enzimi sono quindi importate nel plastide. Regolazioni della via biosintetica si realizzano sull’espressione di alcune di queste attività enzimatiche sia a livello trascrizionale che post-trascrizionale. L’espressione dei geni della fitoene sintasi, l’enzima che catalizza la conversione di due molecole geranilgeranil pirofosfato in prefitoene pirofosfato e poi in fitoene, e della fitoene desauturasi, l’enzima che catalizza le quattro reazioni di desaturazione tra fitoene e licopene, è influenzata da fattori ambientali e da fattori intrinseci legati ai diversi organi e a diverse fasi di sviluppo della pianta. Tra i fattori intrinseci sembrano svolgere un ruolo centrale i livelli di fitormoni quali gibberelline ed etilene (Scarponi 2003). Riguardo ai fattori ambientali, l’effetto della regione climatica sul contenuto in carotenoidi è stato studiato mettendo a confronto grappoli di Riesling Renano di diverse annate provenienti da differenti regioni viticole; in generale, il più alto contenuto in carotenoidi è stato riscontrato nei grappoli prodotti nelle regioni calde, mentre il livello più basso nei grappoli provenienti dalle regioni fredde (Marais et al. 1991). La luce, in molti funghi e batteri, stimola una produzione addizionale di carotenoidi già prodotti al buio. In molti altri di tali microrganismi la produzione è indotta sostanzialmente dalla simultanea e breve esposizione alla luce e all’ossigeno. Dopo tale fotoinduzione c’è un ritardo di 4 ore per la sintesi degli enzimi responsabili della produzione dei carotenoidi. Il meccanismo di fotoinduzione assicura che i carotenoidi sono prodotti soltanto se è necessario proteggere l’organismo dagli effetti tossici derivanti dalla eccessiva esposizione alla luce e all’ossigeno (Scarponi 2003).

Particolarmente interessante è l’osservazione che la biosintesi dei carotenoidi è influenzata dalla radiazione UV-b (280-320 nm). Dato che i carotenoidi sono precursori di metaboliti secondari, che

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sono determinanti per la qualità dell’uva (Figura 33), ogni cambiamento sull’incidenza della radiazione UV-b che raggiunge la superficie della Terra ha un impatto sulla qualità del vino. In particolare l’incremento del livello della radiazione UV-B porta ad avere un contenuto maggiore in carotenoidi, come risulta da prove effettuate su viti schermate dai raggi Uv, il cui contenuto in carotenoidi totali è minore rispetto a viti cresciute in condizioni ambientali (Steel, Keller 2000). Il microclima del grappolo è quindi di grande importanza, in quanto influenza la quota di luce che raggiunge il grappolo. I grappoli ombreggiati artificialmente o naturalmente hanno un contenuto minore in carotenoidi rispetto ai grappoli esposti al sole (Figura 34). Tramite le pratiche colturali, come la gestione della chioma e in particolare modo la sfogliatura, si può aumentare la penetrazione della luce verso i grappoli e in questo modo incrementare il potenziale aromatico (Bureau et al., 2000).

Figura 33. Evoluzione del contenuto in carotenoidi e c-13 norisoprenoidi durante la maturazione della bacca di Moscato d’Alessandria (Razungles et al. 1993)

Figura 34. Influenza dell’ombreggiamento di grappoli di Syrah sul decremento del contenuto in carotenoidi totali tra l’invaiatura e la maturazione; SUN , grappoli esposti direttamente alla luce del sole; SHA, grappoli ombreggiati dentro la chioma; 90%, grappoli ombreggiati artificialmente con sacche al 90% (Baumes et al. 2002)

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Riguardo allo stato idrico della pianta, il suolo e la capacità di ritenzione idrica influenzano il contenuto in carotenoidi; l’irrigazione sembra contribuire a un basso contenuto quando le viti sono piantate in suoli a bassa capacità di ritenzione idrica, mentre in suoli ad alta capacità di ritenzione idrica l’irrigazione non ha effetto sul contenuto in carotenoidi rispetto allo stesso terreno non irrigato. Sembra che le caratteristiche del suolo hanno un’influenza maggiore dell’irrigazione sulla concentrazione in carotenoidi, risultando un importante fattore colturale da tenere in considerazione nella formazione di precursori d’aroma (Oliveira et al. 2003).

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