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Baudelaire, Les phares.

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Academic year: 2021

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I. ANALISI

Car c’est vraiment, Seigneur, le meilleur témoignage Que nous puissions donner de notre dignité

Que cet ardent sanglot qui roule d’âge en âge Et vient mourir au bord de votre éternité!

Baudelaire, Les phares.

Pourquoi souffrons-nous ainsi? C’est que nous étions nés sans doute pour vivre davantage selon la matière et moins selon l’esprit; mais, à force de penser, une disproportion s’est faite entre l’état de notre intelligence agrandie et les conditions immuables de notre vie.

Maupassant, Bel-Ami, VI.

Voici la première civilisation capable de conquérir toute la terre, mais non d’inventer ses propres temples, ni ses tombeaux.

Malraux, Antimémoires

Introduzione

Les noyers de l’Altenburg è l’ultimo romanzo di André Malraux, scritto nello stesso periodo in cui venivano elaborate l’incompiuta biografia di Lawrence d’Arabia e la Psychologie de l’art

17

. Tuttavia, quest’ultimo era un lavoro iniziato già in precedenza, prima dello scoppio della Guerra Mondiale, mentre la redazione di Le Démon de l’absolu iniziò quando il romanzo era ormai giunto alla sua ultima stesura. Solo la creazione di Noyers si colloca perciò strettamente tra la breve prigionia dell’agosto- novembre 1940 e l’impegno attivo nella Resistenza, a partire dai primi contatti parigini della metà del 1943. Già questa convivenza di diversi progetti di scrittura, alle origini materiali del testo, spinge a porsi prima di altri problemi quello dello statuto di genere:

quali segni anticipano, nell’ultimo romanzo, il nuovo Malraux che avrebbe prodotto per altri trent’anni opere di saggistica e un’anomala autobiografia? Così è ad esempio impostato il discorso nell’introduzione di Michel Autrand al secondo volume delle Oeuvres Complètes:

Texte-carrefour entre une première période où, jusque dans son souci de vérité, l’auteur a privilégié une écriture de fiction, et une deuxième période qui voit l’art pour lui passer au premier plan: Malraux se détache des problèmes de son temps avant d’y revenir avec éclat, mais d’une autre façon, dans les Antimémoires.

17 Per la storia materiale del testo vedi la Notice di M.-F. Guyard, in OCII, pp. 1628-1637. Alle pagine 1638-1660 dello stesso volume, sempre Guyrad è autore delle Notes et variantes.

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Récapitulant le passé et lançant l’avenir, Les noyers occupe une place véritablement centrale dans son oeuvre18.

La questione è giustificata inoltre dal fatto che, fin dai romanzi precedenti, i lettori di Malraux non hanno mancato di notare la presenza di una componente “saggistica” o

“ideologica”, la quale acquisterebbe importanza progressiva da La Condition Humaine (1933) a L’Espoir (1937), e ha radici lontane nella vocazione di Malraux se si pensa a La tentation de l’Occident (1926). A coronamento di questo punto di vista, non si può certo negare che Les noyers sia il testo romanzesco con la minore coesione narrativa tra quelli scritti da Malraux: se volessimo estrapolare dalla tradizione teatrale la categoria di “unità d’azione”, non c’è dubbio che solo L’Espoir l’aveva in precedenza infranta, mentre La Condition humaine risulta un capolavoro proprio per la fortissima coesione che l’autore riesce ad ottenere, nonostante anche in quel caso vi sia una pluralità di attori primari.

Nel caso di Les noyers de l’Altenburg, inoltre, il centro stesso della narrazione non è più una qualsivoglia azione, sia essa avventuroso-esotica, rivoluzionaria o bellica; il centro diventa esplicitamente un problema culturale: quanto di più attraente, quindi, per tentare una lettura che mira a spiegarsi il futuro della oeuvre. Così J.-P. Zarader ha sostenuto

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che l’ultimo romanzo di Malraux mette in scena le tesi ideologico-artistiche che l’autore doveva superare per abbordare i successivi lavori di storia dell’arte. Così, in maniera meno arrischiata perché non implica ipotesi interpretative della biografia intellettuale, diversi critici hanno classificato il romanzo in quel limbo di opere ibride che sono diffuse nella generazione successiva a Proust:

Récit hybride et inclassable – roman tenant à la fois, comme on va le voir, du dialogue philosophique et du récit autobiographique qui tenta vers la même époque certains des plus grands romanciers de l’entre-deux-guerres: Bernanos, Céline, Drieu20.

Di certo da un punto di vista formale, le caratteristiche che nota H. Godard come tipiche di quella generazione,

Le besoin de la première personne, à tout le moins d’une présence sensible du narrateur, l’une et l’autre indexées sur les particularités de fonctionnement de la mémoire, la recherche d’équivalents narratifs à des techniques de prise de vues

18 M. Autrand, Introduction cit., pp. xxvii-xxviii.

19 J.-P. Zarader, Les noyers de l’Altenburg: à la recherche des Voix du silence, in André Malraux. Les noyers de l’Altenburg, La condition humaine, sous la dir. Ch. Moatti, «Roman 20-50», n. 19, juin 1995, , pp. 113-122.

20 Ch. Moatti, Avant-propos, in André Malraux cit., pp. 5-14: p. 12.

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cinématographique et de montage: tout allait dans le sens d’un rejet de la narration à la troisième personne et au passé simple qui étaient les deux piliers du roman mimétique traditionnel21,

non sono affatto esenti dall’avere in Proust un capostipite; per quanto sul versante dell’impegno politico “cette génération est aussi celle d’hommes qui, dans leur âge mûr, furent exposés, à ces masses magnétiques de grande ampleur, capables de dérégler les boussoles, que furent le nazisme et le communisme” e perciò sul versante dell’impegno

“rompait avec le modèle, qui faisait alors référence, du roman de Proust et avec les romanciers des années vingt, Morand, Giraudoux, Cocteau, que Proust lui-même avait consacrés”

22

.

A questi aspetti che riguardano lo statuto di genere, si aggiungono inoltre altre questioni che hanno determinato la particolare storia della ricezione del testo. All’origine di essa si pongono alcune scelte dell’autore che hanno dato giustificazione a tutte le letture parziali del romanzo e alla sostanziale assenza di un’approfondita analisi del testo nella sua interezza. Dopo la pubblicazione in rivista dell’episodio della “fosse à tanks”

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e altre edizioni parziali, la prima edizione integrale ebbe luogo in Svizzera nel 1943. Nel novembre del 1942 anche la zona libera della Francia era stata occupata militarmente:

per la prima edizione francese del romanzo bisognerà aspettare il dopoguerra. Ma la data tarda, il 1948 per i tipi di Gallimard, è già il segno che non si trattò solo di un problema di censura. La nota posta in limine a quel volume sembra infatti liquidare l’opera come ciò che rimane di un incompiuto progetto:

La suite de La lutte avec l’ange a été détruite par la Gestapo. On ne récrit guère un roman. Lorsque celui-ci paraîtra sous sa forme définitive, la forme des Noyers de l’Altenburg sera sans doute fondamentalement modifiée. La présente édition ne s’adresse donc qu’à la curiosité des bibliophiles, et à ceux qu’intéresse «ce qui aurait pu être»24.

21 H. Godard, Une grande génération. Céline, Malraux, Guilloux, Giono, Montherlant, Malaquais, Sartre, Queneau, Simon, Gallimard, Paris 2003, p. 12.

22 H. Godard, Une grande cit., p. 10. A prima vista questo nesso causale può parere superficiale, visto che dalla Rivoluzione in poi non si può parlare in assoluto di novità circa l’avvento delle masse in politica. Per Proust, si pensi ad esempio all’affaire Dreyfus e alla dimensione che prese nell’opinione pubblica. Eppure è vero che gli anni dopo la Prima Guerra Mondiale imprimono un’accelerazione al processo e fanno conoscere qualcosa di nuovo: le “masse” organizzate in partiti.

23 Vedi Lettres françaises, rév. dir. par Roger Caillois, n.1, 1 juillet 1941, pp. 8-20.

24 A. Malraux, Les noyers de l’Altenburg, in OC II, pp. 617-767 [d’ora in poi richiamato semplicemente come N]: p. 619.

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Una tale presentazione era certo il miglior viatico affinché Les noyers rimanesse un testo poco conosciuto, come mostra lo scarso numero di riedizioni

25

. Eppure Malraux non era nuovo all’abbandono di un ciclo romanzesco progettato

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, senza che questo pregiudicasse l’autosufficienza del testo realmente prodotto. Inoltre, e in maniera ancor più decisiva per legittimare questa autosufficienza, poco prima dell’uscita in volume La semaine littéraire aveva pubblicato, in cinque puntate tra gennaio e febbraio 1943, le pagine iniziali di quello che titolava come La lutte avec l’Ange. Les noyers de l’Altenburg. La seconda puntata era preceduta da un’altra nota “sans doute rédigée par Malraux”

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, dalla quale apprendiamo il valore attribuito alla nuova opera:

La lutte avec l’ange est le roman le plus important que publia André Malraux depuis La condition humaine. Tout comme dans ce dernier livre, qui fut traduit en dix-huit langues, des événements violents et significatifs recouvrent et expriment un thème métaphysique. L’effort de l’homme pour atteindre ce qu’il peut connaître du destin, confronté dans La condition humaine à la révolution, l’est ici à la nation en Europe, aux dieux et à l’absolu de l’Asie. L’action se situe tour à tour dans la Turquie d’Abdul Hamid, sur le front germano-russe de 1915, sur le front franco-allemand de 1940 et dans les camps de prisonniers; enfin, dans la Perse du dernier roi Kadjar et l’Iran de Rieza Shah.

È curioso che la nota dia un giudizio complessivo all’intero ciclo de L’Ange, quando l’unica sua parte considerata finita dall’autore era Les noyers. Del seguito del ciclo ci restano infatti manoscritti e dattiloscritti

28

, che se da un lato confermano un lavoro di più ampio respiro, dall’altro mostrano però che la versione dei fatti data nel 1948 non è convincente. Il coinvolgimento della Gestapo nella storia materiale del testo non importa per il suo valore di verità, ma è semmai significativo in maniera indiretta. Innanzitutto perché manifesta che in Malraux è ancora vivo il progetto de L’Ange; in secondo luogo

25 Altre tre in tutto, di cui due in volume singolo (una riedizione Gallimard 1950 e una di lusso per l’Imprimerie nationale nel 1962) e una nel volume edito da Gallimard in cui si raccoglievano i Romans nel 1951.

26 Non diversamente era accaduto infatti a La Voie royale, primo episodio delle progettate Puissances du désert (non è chiaro se l’incompiuto Le Règne du Malin ne sia la continuazione): vedi W.G. Langlois, Notice a La Voie royale in OCI, pp. 1123-1144: pp. 1139-1144; e vedi anche J.-C. Larrat, Notice a Le Règne du Malin, in OCIII, pp. 1303-1337: pp. 1303-1305. Una cosa simile accade anche, in un altro genere, con Le Miroir des limbes di cui fa parte Antimémoires, la cui storia materiale si riallaccia a quella di La Lutte avec l’Ange: vedi l’articolata Notice di M.-F. Guyard in OCIII, pp. 1119-1140.

27 Si può leggere facilmente nell’utilissimo volume di J. Chanussot et C. Travi, Dits et écrits d’André Malraux. Bibliographie commentée, Éd. Univ. Dijon, Dijon 2003, p. 81.

28 In particolare circa l’episodio persiano annunciato sulla rivista, che è l’unico a mancare ne Les noyers.

La sua esclusione per destinarlo a un seguito (vedi M.-F. Guyard, Notice cit., p. 1661) rientra nelle scelte d’autore che stanno a monte della stesura definitiva di un testo: non pregiudica perciò affatto l’integrità di Noyers.

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perché ha un chiaro valore simbolico attribuire ai nazisti la distruzione-interruzione dei propri progetti di scrittore.

Il fatto è che il progetto de La lutte avec l’Ange rimane vivo nell’autore molto a lungo, modificandosi anche rispetto a quanto si annunciava nel 1943. Così, Malraux ha potuto considerare conclusa la creazione del primo romanzo del ciclo, decidendo di pubblicarlo come l’inizio di un’opera importante, e cinque anni dopo minarne invece la compiutezza affermando che la lezione del testo non poteva considerarsi definitiva. Ma la verità è che Les noyers de l’Altenburg, testo perfettamente autonomo e costruito con grande coerenza tra le parti, era passato in secondo piano rispetto al disegno in cui il suo autore meditava di inserirlo. Non solo ancora nel 1957 La lutte avec l’Ange risultava “en préparation” in testa all’edizione de La Métamorphose des dieux, ma addirittura dopo gli Antimémoires (1967) Malraux meditava di prolungare le avventure di Vincent Berger. Non stupisce, quindi, che quello che è a tutti gli effetti l’ultimo romanzo di Malraux abbia avuto pochi lettori

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, poche letture ed interpretazioni che lo considerassero nella sua interezza e abbia infine dovuto aspettare il secondo volume delle Oeuvres complètes nella «Bibliothèque de la Pléiade», nel 1996, per tornare accessibile a un pubblico più vasto.

Se la ricezione del testo è stata condizionata dal ruolo che continuava a riservargli il suo autore anche dopo l’edizione che ne sanciva l’autonomia, un’altra scelta di Malraux ha avuto conseguenze simili. Il doppio legame di Les noyers con il vissuto biografico, sia per le particolari condizioni storiche in cui venne concepito e da cui prese avvio il romanzo, sia anche per quegli elementi di finzione che sono divenuti a posteriori realtà per il Malraux “colonnello Berger” a capo della brigata “Alsace-Lorraine”, si è reificato inevitabilmente negli Antimémoires

30

. Il riuso di brani tratti dal romanzo non ha solo invogliato letture in chiave biografica, ma ha di nuovo contribuito a stornare l’attenzione dal testo di Les noyers. Per un verso, infatti, la mera traduzione dal travestimento della fictio alle esperienze di Malraux significava nuovamente mettere in secondo piano il sistema dei significati creato dal testo; per l’altro, essa non poteva che implicare un reimpiego antologico che andava nella stessa direzione di privilegiare una lettura parziale non consapevole dell’insieme. Di fatto, uno stesso passo ne Les noyers e negli Antimémoires, entra in relazione con contesti diversi ed assume perciò ruoli diversi che

29 Cfr ancora Ch. Moatti, Avant-propos cit., p. 6: “Il [Noyers] est demeuré inconnu du public; les chercheurs pendant près de quarante-cinq ans n’en ont pris connaissance que dans les grandes bibliothèques et le plus souvent à travers des extraits”.

30Vedi, sempre ne Le Miroir des limbes, in OCIII, anche Lazare, raccolto come sesto capitolo di La Corde et les Souris, pp. 787-879.

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hanno implicazioni anche sul piano semantico: tra le eredità più durature della temperie strutturalista rimane ben saldo questo principio epistemologico.

Al di là dell’insoddisfazione di Malraux per non aver portato a compimento il ciclo romanzesco cui continua a pensare sull’arco di più di venticinque anni, rimane pur sempre il fatto che Les noyers de l’Altenburg era stato dato dall’autore alle stampe senza pregiudiziali che ne limitassero sul nascere il valore. D’altronde, per chi voglia affrontare un’analisi approfondita di questo romanzo in termini di coerenze interne, anche minute, l’assunto di partenza non deve tanto essere il giudizio dello scrittore, quanto la certezza di trovarsi di fronte a un’opera compiuta: il cui processo creativo sia stato, cioè, volontariamente interrotto dall’autore per renderla pubblica. Bisogna ricordare che nel 1943 Les noyers veniva pubblicato, sì, come l’inizio di un ciclo, ma senza dubbi circa la lezione del testo, che in quel momento parve definitiva a Malraux

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. La storia materiale e i reimpieghi successivi passano perciò in secondo piano rispetto al testo stesso, su cui sarà concentrato il resto del presente lavoro. E per prima cosa bisognerà affrontare proprio la questione della coerenza intima tra le parti, siano esse intese in senso ampio o minuto, di costruzione o di stile.

Per introdurci finalmente a questo obiettivo lasciando sullo sfondo ogni considerazione liminare, è interessante riportare il giudizio che André Gide scrisse nel suo Journal alla data del 25 giugno 1944. Se il tipo di studio di Les noyers che ci proponiamo di condurre in questa sede doveva fare i conti con la sua storia editoriale, non meno importante è dare il giusto peso alle critiche per noi più pertinenti che riguardano il romanzo. Il caso di Gide è esemplare da questo punto di vista: la sua pagina concentra le critiche al testo solo sul piano elocutivo, senza toccare minimamente altri aspetti:

Achevé, le même jour, La lutte avec l’Ange de Malraux; où je reconnais ce qu’il me lisait au Cap Martin, c’est-à-dire à peu près tout. J’espérais qu’il aurait mené à plus de perfection son récit; on y trouve encore beaucoup à reprendre et cela reste, si prenant que ce soit, très loin de ce que cela aurait pu et dû être. Souvent, trop souvent, il n’emploie pas les mots qu’il faudrait, et nombre de phrases restent imparfaites, si ambiguës, qu’on souhaiterait les récrire, ou lui dire ce que, enfant, raconte-t-il, il eût voulu dire, caché derrière un pupitre, à l’Académie, aux «Grands Auteurs»: «Allons! Recommencez-moi ça». Je pourrais citer maintes phrases d’une syntaxe indéfendable (entre toutes, celle qui ouvre les Memoranda du père; je m’y

31 Le varianti tra edizione svizzera del 1943 e francese del 1948 non implicano un’ulteriore elaborazione creativa, piuttosto una revisione tesa a correggere i numerosi errori della editio princeps. Perciò ha poco peso il fatto che il testo che si legge oggi in OCII sia basato sull’edizione 1948. Cfr. M.-F. Guyard, Note sur le texte, pp. 1635-1636.

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achoppe autant à la quatrième lecture qu’à la première; et la description des premiers hommes transportant les gazés, au sortir de la zone condamnée). L’emploi abusif de termes abstraits nuit souvent beaucoup au récit d’une action32.

L’impressione di “non-finito” del testo di Les noyers, a prescindere dalle affermazioni dell’autore, saltava agli occhi dello Gide lettore: e chissà che il suo giudizio non sia arrivato anche direttamente a Malraux, influenzando in qualche misura la successiva storia editoriale che abbiamo ripercorso. Ma indipendentemente da questa ipotesi, va sottolineato con forza il fatto che Gide non vada oltre le imperfezioni di linguaggio che lo infastidiscono nel romanzo. Certo, questa visione ristretta può essere imputata alla poetica che sta a monte dello scrittore e critico, tuttavia resta vero che la sensazione di perfezionabilità del racconto, per Gide, è limitata al confine delle scelte elocutive.

Nonostante una prima lettura del romanzo faccia soprattutto risaltare il suo carattere narrativamente discontinuo

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, esso si rivela infatti di solida e ragionata costruzione:

anche perciò, ipotizziamo, Gide ha omesso critiche su questo piano, che pure è gestito in maniera sorprendente da Malraux. Les noyers è suddiviso in cinque sezioni testuali, non omogenee dal punto di vista dello statuto del narratore, il quale è omodiegetico all’inizio e alla fine ma diventa eterodiegetico nelle tre parti centrali

34

. A incorniciare il racconto degli episodi della vita di Vincent Berger, stanno le pagine diaristiche che il figlio

35

scrive sulla propria esperienza di soldato francese nel primo anno della seconda guerra mondiale. Se è corretto chiamare “diaristiche” quelle pagine, nonostante incongruenze temporali che minano la credibilità della finzione, si può definire invece “biografico” il racconto centrale in cui il figlio narra di Vincent. Anche l’aggettivo “biografico”, però, merita le virgolette, in quanto ciò che Berger figlio si propone di scrivere non è tanto la vita del padre, quanto certi episodi che assumono per lui un valore assoluto per comprenderlo. Questo tipo di “biografia”, che mette in secondo piano la completezza delle informazioni e un sistematico sviluppo cronologico, appare semmai coerente con la definizione innovativa che lo stesso Malraux dava al genere: tanto sul piano concreto, con l’idea di Le Miroir des limbes e prima di tutto con gli Antimémoires; quanto sul

32 A. Gide, Journalcit., p. 992.

33 Come sottolineato dalle Notices sur les scènes sempre a cura di M.-F. Guyard in OCII.

34 Per gli strumenti d’analisi narratologica il riferimento è ovviamente G. Genette, Discours du récit, in Figures III, Seuil, Paris 1972. A scanso di equivoci, d’ora in poi useremo il termine di “parte” soltanto riferendoci alle tre parti centrali con narratore extradiegetico. Ognuna di esse è a sua volta suddivisa in tre capitoli. Per brevità potrà tornare utile designare in numeri romani le parti e in numeri arabi i capitoli di ciascuna di esse.

35 La mancanza di un nome proprio che lo designi nel testo rende oscillante la nomenclatura con cui ci riferiremo a lui nel corso dell’analisi: volta per volta narratore o Berger figlio a seconda delle necessità del contesto.

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piano teorico, come dimostrano le sue sparse riflessioni sul modo di fare biografia, alle cui spalle si pone naturalmente Proust. Si legga ad esempio la postfazione che egli scrisse nel 1976 a una raccolta critica su di lui, il cui merito era appunto quello di essere una raccolta di vari autori e indirizzata più a porre dei problemi che a dar loro una soluzione:

«Comprendre une oeuvre» n’est pas une expression moins confuse que «comprendre un homme». Il ne s’agit pas de rendre une oeuvre intelligible, mais de rendre sensible à ce qui fait sa valeur. Ne pas comprendre une oeuvre littéraire n’a rien de commun avec ne pas comprendre un exposé36.

“Rendre sensible à ce qui fait [la] valeur”, e ciò attraverso un nuovo modo di fare critica che fa il paio, nel discorso di Malraux, con un nuovo modo di fare biografia, entrambi ben definiti dalla parola “colloques”

37

: queste idee trovavano già nell’ultimo romanzo, di cui ci occupiamo, una loro applicazione, e poco importa che ciò avvenisse nell’ambito dell’immaginario. In effetti ne Les noyers è in scena soprattutto un dialogo, che procede per problemi ed analogie e la cui necessità è rafforzata enormemente dal fatto che si tratti di un dialogo generazionale: rispetto al quale il “colloque” tra intellettuali posto nel cuore del testo non è che pura contingenza. E mentre Berger figlio è reso sensibile dall’esperienza alla comprensione profonda del padre, nell’Altenburgo non si fa invece che parlare in maniera astratta e generale.

Anche per questi motivi, il romanzo non ha una vera e propria trama narrativa, se non a tratti, circoscritta a singoli episodi. Eppure, Les noyers de l’Altenburg ha lo stesso una costruzione ben precisa i cui dati superficiali sono quel doppio statuto del narratore che abbiamo ricordato e la circolarità per cui il récit inizia e termina nell’omodiegesi di Berger figlio. Più in profondità, si può dire che tutto il libro è costruito sulla ripetizione con varianti di una stessa esperienza, che accomuna momenti diversi della vita di Vincent e anche di suo figlio: è la volontà di ritrovare le successive tappe di quella esperienza a costituire la giustificazione narrativa della parte centrale del romanzo e quindi dell’eterodiegesi. E d’altronde tale volontà nasce proprio in conseguenza di un’esperienza simile vissuta dal narratore. Si noti bene, il dato essenziale da notare per il più rozzo e sintetico riassunto del romanzo mette in secondo piano una delle sue parti più famose, il colloquio intellettuale dell’Altenburgo, a tutto vantaggio del vissuto dei

36 A. Malraux, Néocritique, postface à Malraux. Être et dire, sous la dir. M. de Courcel, Plon, Paris 1976, pp. 297-337: p. 312. Edizione francese di un volume la cui prima edizione fu Weidenfeld & Nicolson,

«The world of...», London 1976.

37 Ibidem, p. 297.

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personaggi. Naturalmente tra ciò che abbiamo chiamato “esperienza” e l’oggetto del discorso al centro del colloquio c’è uno stretto rapporto: in entrambi i casi è in gioco un problema culturale dalle vaste risonanze; ma il modo di affrontarlo è radicalmente differente. Già questa osservazione strutturale serve a relativizzare la dimensione saggistica, che a prima vista potrebbe sembrare dominante: per usare la terminologia di Genette, filo conduttore del libro è appunto la descrizione di un’esperienza, una serie di

“scene” che tendono però sempre a coincidere con delle “pause” descrittive: perché la totale solidarietà al punto di vista di Vincent, o del narratore quando questi è omodiegetico, dilata il tempo del récit fin quasi a fermarlo nei passi in cui i personaggi contemplano l’ambiente a loro esterno.

Tenendo presenti questi dati testuali macroscopici, è evidente l’intima contraddizione su cui si regge fecondamente il testo: il narratore, che è anche estensore del testo nella finzione, si affida alla scrittura e quindi alla riflessione per affrontare in prima persona un problema culturale che sente come intimamente pressante; ma l’unica soluzione a quel problema, gli unici momenti liberatori in cui quel problema che lo hante sembra svanire, annullarsi, sono momenti non riflessivi bensì di annichilimento della riflessione e del soggetto stesso. La loro intensità è tale da essere suscettibili di venire ricordati in maniera istantanea e per similitudine: essi formano una catena nella memoria dei personaggi. La loro importanza si misura anche dalla serietà con cui vengono narrati, a differenza delle incrinature ironiche che contraddistinguono invece il colloquio e altri episodi. Si capisce quindi che, così come abbiamo posto un limite alle riduzioni

“biografistiche” di Les noyers, è necessario farlo con quelle “ideologiche” o

“saggistiche”: in generale non è possibile astrarre dal testo, senza perdite sostanziali, la dimensione saggistica da quella narrativa; in particolare è doppiamente sbagliato in questo testo, perché significa contraddire la sua assiologia, correlata proprio al complesso rapporto tra riflessione ed esperienza.

Ciò non toglie che il problema culturale su cui si fonda il romanzo è tutt’altro che secondario o d’invenzione, ed è anzi prelevato e pertinentizzato dalla cocente attualità.

Volendo formularlo nella maniera più astratta, lo si può riassumere in una semplice

opposizione:

IDENTITÀ vs DIVERSITÀ

. È giusto chiarire subito che un’opposizione di così

ampia portata trova precise e limitate applicazioni concrete nel testo; se è ovvio che al

pari di ogni altra grande astrazione essa sembra allontanarsene troppo, impedendo tra

l’altro anche di notare l’attualità dei problemi specifici che in essa trovano una matrice

comune, è tuttavia solo grazie a un’opposizione così generica che diventa possibile

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illuminare i ben determinati legami che esistono tra le articolazioni concrete del romanzo.

Quale sia la fonte storica che si generalizza nella formulazione testè proposta, d’altronde, lo si capisce subito se pensiamo alla questione dell’identità dell’uomo a fronte della diversità delle culture. In che cosa risiedeva l’attualità di una questione così primigenia da poter risalire al mito babelico? In una prospettiva ampia, è ovvio che il lungo processo coloniale, accelerato dall’occidente industriale del XIX secolo, sia alla base delle rinnovate riflessioni identitarie. Non è certo il caso in questa sede di affrontare un argomento di così vasta portata

38

. Tuttavia è importante per noi ricordare che proprio il crollo del valore di verità del mito babelico, ovvero il secolare processo della nascita e del consolidamento di una nuova mentalità scientifica accanto e poi contro quella religiosa, fu sul piano culturale alle origini della nuova forza con cui la questione delle diverse culture umane si pose: nella letteratura, il migliore esempio di questo processo storico è forse La tentation de Saint-Antoine di Flaubert

39

. In altre parole, “la morte di Dio”, ovvero la fine dei principi assoluti, sta alla base dell’angoscia con cui ne Les noyers de l’Altenburg, il tedesco Möllberg affronta il tema che in qualità di esperto è chiamato a trattare: “Permanence et métamorphose de l’homme”.

Non è un caso che Malraux abbia messo un etnografo a svolgere questo ruolo.

Möllberg è un esploratore delle culture umane, nello spazio così come nel tempo.

Fondamento della sua figura romanzesca è uno dei maggiori esploratori dell’Africa, Frobenius, ma non va dimenticato un altro personaggio storico che, nel bene e nel male, divenne emblematico della “crisi” intellettuale fra le due guerre mondiali: Oswald Spengler (1880-1936). Il suo Tramonto dell’Occidente

40

, le cui tesi principali erano note a Malraux almeno in maniera indiretta

41

, sembrava portare ad estreme e irrazionalistiche conseguenze il relativismo culturale. Scrive M.-F. Guyard: “L’auteur ne fait pas siens les arguments de ce Möllberg qui parle comme Frobenius et conclut comme Spengler: il n’y a pas d’homme, mais d’humanité. Emmanuel Berl affirme qu’en 1942 Malraux lui

38 Vedi per la tradizione francese sull’argomento, T. Todorov, Nous et les autres. La réflexion française sur la diversité humaine, Seuil, Paris 1989. Per una sintetica ma lucida e utilissima messa a punto del problema vedi F. Orlando, L’altro che è in noi. Arte e nazionalità, Bollati Boringhieri, Torino 1996, pp. 7- 55. 39 In cui sono proprio il pluralismo culturale e la sua variante religiosa ad allearsi per tentare la fede del santo. Vedi F. Orlando, Statuti del soprannaturale nella narrativa, in AA.VV., Il romanzo, a c. F. Moretti, I: La cultura del romanzo, Einaudi, Torino 2001, pp. 195-226: pp. 220-222.

40 O. Spengler, Der Untergang des Abendlandes. Umrisse einer Morphologie des Weltgeschichte, 2 vol., 1918 e 1922. La prima traduzione francese si ebbe nel 1931-1933 (N.R.F., 2 vol). Citeremo dalla trad. it.

di J. Evola, Il tramonto dell’Occidente, Longanesi, Milano 1978 (1957).

41 Cfr. D. Durosay, Notice a La Tentation de l’Occident, in OCI, pp. 887-904: p. 892. La Notice dà tra l’altro anche un essenziale quadro del dibattito di allora intorno alla riconosciuta crisi occidentale, nel clima del dopoguerra. Non dimentichiamo che Malraux aveva allora vent’anni e che in quel clima si formò.

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conseillait de «régler préalablement son compte à Spengler». Que fait-il d’autre lui- même dans son roman?”

42

.

Ma nel frattempo nel cuore dell’Europa era andata crescendo un’altra coscienza di crisi, quella dei suoi stati, che aveva condotto ai totalitarismi e infine a una nuova guerra.

La questione di una “identità nella diversità”, oltre che sul piano globale, si giocava anche tutta in casa del Vecchio Continente e del suo sistema istituzionale di stati-nazione.

In questo senso si spiega sia la scelta strategica di connotare la famiglia Berger come alsaziana, sia quella di far svolgere in quella terra il colloquio tra intellettuali tedeschi e francesi: Francia e Germania sono i due paesi da cui scaturiscono entrambe le Guerre, così come quello tra Francia e Germania è l’asse portante della cultura europea continentale. L’Alsazia è perciò una perfetta formazione di compromesso tra identità e diversità, in quanto dà vita a una singola appartenenza nella quale ne convivono in realtà due, per di più di così ampia portata simbolica da rappresentare per sineddoche l’intero continente. La continuità che si stabilisce tra padre e figlio mette in secondo piano il fatto che il primo combatta per i tedeschi nel 1915 e il secondo per i francesi nel 1940.

E poi, bisogna considerare che il problema culturale posto in Altenburgo domina nel testo soprattutto in quanto problema personale dei suoi due protagonisti

43

: non solo perché entrambi lo condividono con gli intellettuali dell’Altenburgo, ma ancor più perché in entrambi esso è collegato alla dimensione individuale. Ecco che la nostra formulazione astratta rivela la sua pregnanza: il dissidio tra identità e diversità sintetizza adeguatamente anche il conflitto tutto interno al soggetto-personaggio, rispettivamente tra la tensione all’autoannullamento e l’aspirazione all’onnipotenza, tra il riconoscimento di sé negli altri e il sogno individualista del superomismo; come tutti i personaggi di Malraux, i due Berger vivono della dialettica tra queste due istanze, che fa di loro degli eroi avventurieri alla ricerca di un assoluto coincidente con la propria piena spersonalizzazione.

Troviamo esattamente qui il vero e profondo legame dell’opera di Malraux con il pensiero di Pascal. Si noti intanto, rispetto a quanto si è affermato poco fa sulla “morte di Dio”, che Pascal vive proprio alle lontane origini dell’ateismo: il suo progetto incompiuto di apologia religiosa è il primo caso di opera di questo genere pensata appositamente per confutare le posizioni di non credenti. Detto questo, bisogna specificare che Malraux sembra fare un uso di Pascal che non tiene conto della sua

42 M.-F. Guyard, Notice cit., p. 1610.

43 Notiamo che in questo senso non si può essere pienamente d’accordo con F.-E. Dorenlot, L’unité de pensée à travers l’art et l’action, in Malraux. Être et dire, op. cit., pp. 167-182: p. 177.

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posizione di apologeta

44

. Vi sono in effetti alcuni tra i più famosi “pensieri”

45

di Pascal che, a causa della frammentarietà dell’opera incompiuta, si prestano a una doppia lettura, in cui è semanticamente dirimente decidere quale voce li avrebbe pronunciati nel corso dell’argomentazione. Sono quei pensieri in cui Pascal condensa, con abilità da moraliste, tutta la miseria della condizione umana se non ci fosse Dio: dal punto di vista, cioè, di un non credente. Solo che la condizione rimane implicita nel testo, per quanto sia molto plausibile nell’ottica in cui erano nati gli appunti denominati poi Pensées. Isolate nella loro brevità, quelle frasi che dovevano probabilmente servire da monito, attirarono sempre più letture che ne facevano dei capolavori lirici sulla miseria della condizione umana e dell’individuo: il pubblico da cui era nata l’idea dell’apologia cresceva inesorabilmente nei secoli, e con esso il fraintendimento per cui il sottinteso implicito diventava una constatazione più che una condizione, un “vista l’assenza di Dio”. Ecco perché Malraux, “l’agnostico assoluto”

46

hanté dal problema di riempire il vuoto di sacralità prodottosi nelle società tecnologico-scientifiche, trae una straordinaria potenza poetica dagli spunti pascaliani di cui è ricca la sua opera. Come scrive F.-E. Dorenlot,

“Par ses écrits, Malraux n’incite-t-il pas à la révolte contre le Mal («l’enfer»), par ses engagements, ne le combat-il pas afin de lui substituer le «sens du monde»? Toute sa pensée repose sur la «mort de Dieu» et l’impossibilité de s’en accomoder. D’où l’importance écrasante du temps et de la mort”

47

.

Vedremo che il legame con Pascal va ben al di là del famoso frammento sulla

“condition de l’homme”, alla base del più noto romanzo di Malraux così come di Les noyers, dove viene citato in maniera esplicita. Per capirlo, però, è bene fare subito due osservazioni. La prima è che l’aspetto individuale dell’opposizione fondante per il testo, così come è vissuto da Vincent e suo figlio, è possibile solo nel quadro in cui si trovano inseriti: tra edifici e simboli religiosi che mantengono la loro sacralità in quanto

44 Vedi, a proposito del frammento 405 (ed. Le Guern) alla base della scena nel préau in quel romanzo, J.- M. Gliksohn, Notice a La condition humaine, in OC I, pp. 1272-1285: p. 1272. “Ce n’est pas, certes, l’intention apologétique qui rapproche Malraux de Pascal, mais la dramatisation du sentiment de la mort, la peinture des moments du paroxysme où l’homme prend conscience de sa destinée”. Vedi anche S.

Gaulupeau, André Malraux et la mort, Lettres Modernes Minard, Paris 1969, p. 5; J. Hoffmann, L’humanisme de Malraux, Kliencksieck, Paris 1963.

45 B. Pascal, Pensées, in Oeuvres complètes, éd. Michel Le Guern, II, Gallimard, «Bibliothèque de la Pléiade», Paris 2000, pp. 541-1082. Il modello compiuto è dato dai nn. 397-398 di questa edizione, pp.

676-687 e stt. pp. 683-684; per i veri e propri frammenti vedi i numeri 39 e 187; vedi i 22, 151-155, 186, 405 per una descrizione dall’esterno; nella numerazione di Sellier 680-681; 76 e 233; 58, 194-198, 231, 686; di Brunschvicg 233, 89, 231, 606, 477, 535, 277, 278, 604, 542, 194; 207 e 206; 127,189, 200, 218, 210, 183, 347, 199.

46 C. Tannery, Malraux l’agnostique absolu ou la métamorphose comme Loi du Monde, Gallimard, Paris 1985.

47 F.-E. Dorenlot, L’unité cit., p. 171.

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monumenti dell’angoscia umana, ma hanno perso lo specifico legame con il cristianesimo. Si capisce, da ciò, che il rapporto ambiguo con il proprio sé che caratterizza i due personaggi (e diremo pure, vista la costanza nella oeuvre, lo stesso Malraux), è anch’esso correlato sintomaticamente al modo in cui Pascal negava interesse per l’individuo a se stante

48

, per poi riscattarlo nella prospettiva del sacrificio del Cristo, avvenuto per la salvezza di ogni cristiano preso singolarmente

49

. Una volta venuta meno questa prospettiva, nell’ottica di Malraux rimane un ostentato disinteresse per l’introspezione; l’individuo rimane costretto agli estremi della dialettica fra umiliazione e dignità eroica, tra destino subito e destino dominato

50

: non può che essere l’uomo stesso, con le sue forze, a riscattare la miseria della propria condizione. Da ciò la straordinaria importanza che hanno la volontà, l’azione, nel suo mondo immaginario.

Ma questa dialettica non riguarda solo i singoli, come spiegano bene le premesse da cui deriva, e si proietta perciò metafisicamente, allargandosi al di là dei personaggi per abbracciare l’umanità tutta. Qui interviene la seconda osservazione da fare. Sarebbe lunghissima la lista dei lavori critici che centrano lo studio di Malraux sulla dimensione a tratti tragica, a tratti epica delle sue opere. Da che cosa deriva questo uso traslato se non dall’alternarsi dei termini dialettici che abbiamo individuato? Se torniamo alla carica lirica del Pascal più amato da Malraux, ci rendiamo di nuovo conto di un’affinità profonda, anche se in certo modo malintesa. Tra i frammenti più efficaci nel rappresentare la condizione dell’uomo senza Dio sono il numero 187 (“Le silence éternel de ces espaces infinis m’effraie”) e il 39 (“Combien de royaumes nous ignorent!”):

entrambi mettono in scena l’indifferenza dei mondi e la piccolezza dell’uomo nell’universo. Malraux ha saputo sfruttare appieno l’ambivalente rapporto testuale che si può istituire tra un personaggio e immagini di quel tipo: da Perken a Vincent, l’indifferenza del décor può schiacciare tragicamente o può far scattare una reazione epico-eroica, può relativizzare il soggetto o assolutizzarlo; nel caso di Vincent vedremo, però, che il soggetto trova un equilibrio nell’identificazione compassionevole coi propri

48 Con il famoso “le moi est haïssable” del frammento 509, in Pensées cit., p. 763. Sellier 494, Brunschvicg 455. Ma ciò significa un giudizio sulla malvagità irriducibile del sé più che una negazione dell’introspezione; vedi infatti n. 68 a p. 564. Sellier 106, Brunschvicg 66.

49 Ibid., n. 717, p. 858, citazione da Luca, XXII, 44: “Je pensais à toi dans mon agonie; j’ai versé mon sang pour toi”. Sellier 751, Brunschvicg 791.

50 Un’idea talmente ossessiva nella oeuvre che uno spoglio sistematico richiede uno studio a se stante.

Sebbene l’espressione precisa non vi si trovi ancora, vedi come esempio istruttivo dell’importanza del concetto in Malraux: D’une jeunesse européenne, in Écrits par A. Chamson, A. Malraux, J. Grenier, H.

Petit suivis de Trois Poèmes par J.-P. Jouve, «Les Cahiers verts», n. 70, Grasset, Paris 1927, pp. 129-153.

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simili, a patto che non siano competitori con lui sul piano dell’eroismo individuale, ma ne condividano semplicemente la condizione esistenziale

51

.

Se questa digressione pascaliana ci ha fatto allargare il discorso ad alcune costanti della oeuvre del nostro autore, è bene tornare adesso a Les noyers e alla sua solidità strutturale. Abbiamo visto la triplice dimensione che in questo testo assume l’opposizione tra identità e diversità: il relativismo culturale, il fratricidio europeo delle due Guerre, l’ambiguo rapporto dei personaggi con se stessi e con il contesto ambientale.

È importante specificare che i momenti in cui quell’opposizione sembra trovare soluzione sono circoscrivibili e la soluzione non è in realtà altro che un labile e privilegiato equilibrio: in ciò stesso risiede la possibilità di ripetere l’esperienza, che infatti ricorre nei due personaggi in punti chiave della storia. Si capisce meglio, adesso, che una lettura saggistica deforma doppiamente il testo, perché nel romanzo non predomina una risposta da dare al problema, piuttosto si tratta di punti di vista diversi da cui sentirlo in tutta la sua profondità, per il privilegio di un istante, prima che esso si ponga nuovamente. Persino l’ultimo episodio del romanzo, che dovrebbe smentire l’idea dell’assenza di una parola ultima, è in realtà ingannevole. È vero che Les noyers termina sulla parola piena di speranza del mattino in cui Berger figlio e i suoi compagni si sentono “arrachés aux morts”

52

. Tuttavia, guardando alla histoire e non al récit, quell’episodio è cronologicamente collocato prima dell’episodio con cui il romanzo si apre. È la fonte analogica che sancisce la capacità acquisita dal figlio di comprendere finalmente il padre, da cui scaturisce il racconto. Il testo figura quindi anche a livello di dispositio, di ordine delle parti, la circolarità dialettica di cui vive. Si noti inoltre che, in questo romanzo sulla trasmissione di un’eredità fra le generazioni, il mezzo di trasmissione è indiretto e passa attraverso la similarità delle esperienze: l’idea, va al cuore del pensiero di Malraux e della sua concezione di “Museo Immaginario”, in cui alla dimensione diacronica si preferisce quella sincronica e lo studio storico delle opere d’arte è subordinato alla loro incidenza sul presente, nelle arti figurative come in letteratura:

On ne se rendit pas compte que la métamorphose décisive était là, non dans une transmutation des valeurs littéraires acquises depuis des années, et dont ce Tableau ne faisait que prendre acte. Cette «critique», comme la peinture dont elle était

51 Su questo specifico punto, la vitalità profonda della ricezione di Pascal all’epoca di Malraux trova una testimonianza, ed anche un’ acuta spiegazione, in L. Goldmann, Le Dieu caché. Étude sur la vision tragique dans les Pensées de Pascal et dans le théâtre de Racine, Gallimard, Paris 1955. Mi riferisco in particolare alle pp. 315-337, dedicate al “pari” pascaliano.

52 N, p. 767.

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contemporaine, ne tentait pas de convaincre par l’argumentation, mais par la contagion53.

Il fatto che la disposizione e il legame tra le parti del testo abbiano un preciso senso e non siano casuali, dà già al romanzo una coerenza macrostrutturale. Sarà nostro compito mostrare che tale coerenza va ben oltre questo livello, nonostante faccia a meno del filo continuo di accadimenti narrativi. La formulazione astratta dell’opposizione

IDENTITÀ vs DIVERSITÀ

si è già mostrata feconda, ma sarà ancor più illuminante nel mostrare la grande unità del mondo di immagini che popola Les noyers de l’Altenburg. Un mondo che rende Les noyers de l’Altenburg un romanzo intriso di lirismo. Per comprendere cosa ciò significhi e fino a che punto sia vero, è venuto quindi il momento di iniziare l’analisi. Il primo oggetto della nostra attenzione devono essere le esperienze dei protagonisti che abbiamo visto dare coesione al testo, la cui peculiarità è proprio l’intenso lirismo descrittivo. Chiameremo perciò “momenti lirici” i passi in cui esse compaiono.

I “momenti lirici”

Il sentimento religioso

Le due sezioni di testo che fanno da volets alle tre parti in cui il narratore-scrivente diventa extradiegetico sono sotto la stessa rubrica di Camp de Chartres. Al termine della prima, che funziona da premessa al racconto retrospettivo sul padre, il narratore esplicita il legame ereditario profondo che lo spinge a riandare episodi passati: “Il n’était pas beaucoup plus vieux que moi lorsqu’a commencé de s’imposer à lui ce mystère de l’homme qui m’obsède aujourd’hui, et qui me fait commencer, peut-être, à le comprendre”

54

. La continuità generazionale si stabilisce tra padre e figlio non tanto sulla base di conoscenze positive comuni da tramandare, quanto sulla base di una stessa questione che ossessiona entrambi. La comprensione non può fare a meno di passare per il tramite dell’esperienza: il narratore capisce Vincent Berger quando s’impone anche a

53 A. Malraux, Néocritique cit., p. 311. Il Tableau è quello de la littérature française (XVII-XVIII siècles), préface par A. Gide, Gallimard, Paris 1939. Opera collettiva in cui scrittori dovevano parlare di altri scrittori, colmando certe lacune altrimenti inevitabili, come spiegava Gide: “En littérature et en art, la totale impartialité n’est pas possible; et, comme on ne parle, dès qu’intervient le sentiment, tout à fait bien que de ce que l’on aime, il advient que ces grands historiens [...] se méprennent”. Malraux vi scrisse il capitolo su Laclos (pp. 415-428).

54 N, p. 629.

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lui il mistero dell’uomo; e siccome l’inizio del testo corrisponde con la fine del processo che lo ha portato a capire suo padre, è come se da subito si ponesse l’accento sulla presenza del mistero, lasciando in sospeso il problema di una sua soluzione. Il lettore, solidale con il punto di vista retrospettivo del narratore, percorrerà l’intero romanzo con la tensione a rivivere le esperienze da cui nasce quel mistero, per poterlo a sua volta

“comprendere” e sentire.

Le tre parti dominate dalla figura di Vincent Berger e il secondo volet di Camp de Chartres che chiude il testo sono intimamente legate fra loro proprio dalla ricorrenza di questo motivo. La necessità di una lettura che sovrapponga e accumuli passi anche lontani fra loro è imposta, quindi, da un dato testuale. L’osservazione è di estrema importanza e vale la pena notare che solo secondariamente serve a giustificare il nostro approccio analitico, fondato su “costanti e varianti”

55

. È innanzitutto il testo da analizzare che invita all’applicazione di quel metodo, la debolezza della trama narrativa essendo riscattata dalla presenza di un motivo costante. Per metterlo in evidenza, e simboleggiare il legame mnemonico che si deve istituire tra una parte e l’altra, la memoria di Vincent Berger funziona come “ponte” per unire passi lontani del testo.

L’occorrenza più chiara del fenomeno è quella che collega la sua ultima esperienza, sul fronte orientale della Grande Guerra, al colloquio centrale del romanzo da cui proviene il suo titolo

56

: “Tout à coup le souvenir de l’Altenburg traversa l’obsession de mon père: il était en face de vastes bouquets de noyers”

57

.

D’altronde, se è vero che tale strutturazione del testo è un unicum fra le opere di Malraux, non dobbiamo dimenticare che essa ha origine in una caratteristica tipica della sua estetica. Potremmo infatti dire che il Malraux attento al ruolo delle scene nella narrazione, giunge con Les noyers all’estremo di fondare un romanzo sulla ripetizione di scene con una profonda affinità tra loro. Si pensi ad esempio a quanto Malraux aveva notato a proposito di Faulkner:

Je ne serais nullement surpris qu’il pensât souvent ses scènes avant d’imaginer ses personnages, que l’oeuvre fût pour lui, non une histoire dont le déroulement détermine des situations tragiques, mais bien, à l’opposé, qu’elle naquît du drame, de l’opposition ou de l’écrasement de personnages inconnus, et que l’imagination ne servît qu’à amener logiquement des personnages à cette situation conçue d’abord 58.

55 F. Orlando, Le costanti e le varianti cit. Vedi ad es. la Prefazione alle pp. 8-13.

56 G. Genette, Seuils, Seuil, Paris 1987: non a caso già il titolo segnala implicitamente la costante principale del romanzo.

57 N, p. 742.

58 Nella sua Préface a Sanctuaire, Gallimard, Paris 1933, pp. I-IV: p. III.

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Si tratta di un sintomo della concezione che dà alla scena la palma della capacità compositiva e della modernità di un autore; attorno alla scena si colloca il resto del racconto, almeno per importanza e valore, senza che siano necessariamente implicate deduzioni circa la genetica del testo. Tale concezione venne di certo approfondendosi grazie all’esperienza cinematografica del 1939, quando Malraux girava Sierra de Teruel, film tratto da L’Espoir:

On peut analyser la mise en scène d’un grand romancier. Que son objet soit le récit de faits, la peinture ou l’analyse de caractères, voire une interrogation sur le sens de la vie [...] il est amené à raconter – c’est-à-dire à résumer, et à mettre en scène, - c’est-à-dire à rendre présent. J’appelle mise en scène d’un romancier le choix instinctif ou prémédité des instants auxquels il s’attache et des moyens qu’il emploie pour leur donner une importance particulière. Chez presque tous, la marque immédiate de la mise en scène, c’est le passage du récit au dialogue. Le dialogue dans le roman sert d’abord à exposer.

C’est le procédé anglais de la fin du XIX siècle, celui de Henry James et de Conrad.

Il tend à supprimer l’absurdité du romancier omniscient et remplace cette convention par une autre59.

Ne Les noyers Malraux non fa altro che accentuare la centralità della scena creandone una serie il cui legame, più che essere supplito da un résumé, è tutto interno a ciò che vi si rappresenta. Quali siano gli elementi comuni, in che senso apparentano il romanzo al filone poétique e che rapporto intrattengono con il resto del testo: sono le questioni che ci proponiamo di affrontare nel corso dei primi tre capitoli. Ma, già adesso, è bene aver presente due essenziali costanti tra queste scene che abbiamo deciso di chiamare

“momenti lirici” del romanzo: la focalizzazione interna a un soggetto e l’improvvisa alterazione del suo senso del tempo di fronte alla varietà e imperturbabilità dell’ambiente circostante.

Passiamo dunque in rassegna questi momenti-chiave del testo, seguendo l’ordine in cui si presentano. La prima parte dedicata a Vincent Berger è fondata su una doppia analessi, che complica la narrazione lineare in maniera analoga a quella che sappiamo valere anche per il testo intero. Il narratore retrocede al momento del suicidio del nonno Dietrich, quando Vincent torna in Europa dopo le avventure turco-asiatiche. Il piano temporale del funerale, e dell’incontro di famiglia che esso comporta, è continuamente

59 A. Malraux, Esquisse d’une psychologie du cinéma, Gallimard, Paris 1946. Il corsivo è nel testo. Oggi in Oeuvres complètes, sous la dir. J.-Y. Tadié, v. IV, 2004, pp. 1-16: pp. 12-13. Riflessioni che Malraux aveva redatto nel 1939 e pubblicato sulla rivista «Verve», juin 1940.

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scavalcato all’indietro per raccontare episodi riguardanti Dietrich e suo fratello Walter, personaggi che prendono perciò consistenza. Proprio Walter, questo intellettuale sui generis che organizza i colloqui dell’Altenburgo, offre lo spunto per compiere un ulteriore passo indietro nel tempo e far narrare l’avventura turco-asiatica del nipote Vincent fino al ritorno in Europa: la prima parte termina, quindi, sul momento con cui era iniziata. Il cosiddetto “episodio orientale” è incastonato in questa circolarità del récit e di conseguenza assume più un ruolo di ulteriore premessa che di vero e proprio primo episodio; tale va piuttosto considerata la sera di Marsiglia, che è anche il primo dei momenti lirici.

La vista offerta da Marsiglia alla sera dell’arrivo, dopo i mesi passati nel deserto afghano, è infatti ciò che provoca in Vincent una senzazione di straniamento che viene paragonata a quella di chi uccide un altro uomo

60

. Ma si noti subito che si tratta di una sensazione contraddittoria, in cui lo spaesamento convive con il riconoscimento:

Le sang versé était assez fort pour décomposer un instant l’état de distraction tout- puissant qui nous permet de vivre; mon père éprouvait la même surprise venue du plus profond de l’être. Venue moins de ce qu’il découvrait que de ce qu’il reconnaissait – de la race jadis familière que brouillait autour de lui le soir du Vieux- Port, avec ses cannes, ses mannequins à moustaches, ses tangos et ses navires de guerre...

Jeté à quelque rive de néant ou d’éternité, il en contemplait la confuse coulée – aussi séparé d’elle que de ceux qui avaient passé, avec leurs angoisses oubliées et leurs contes perdus, dans les mêmes rues des premières dynasties de Bactres et de Babylone, dans les oasis dominées par les Tours du Silence61.

Poco dopo si trova un altro paragone, giustapposto però questa volta in maniera tale che rimane implicito il nesso tra le sensazioni marsigliesi e il comparante, un ricordo d’infanzia dello stesso Vincent:

Il avait attendu jadis une première communion fervente, arrêtant le curé de Reichbach chargé de l’hostie pour s’accuser d’un péché oublié à la confession de la veille («Ce n’est rien, mon petit Vincent: trois actes de contrition et trois Ave...»); au lieu d’un bouleversement, il n’avait trouvé que son attente. Ce soir comme alors, il se sentait libre – d’une liberté poignante qui ne se distinguait pas de l’abandon62.

60 Su un piano intertestuale che rimane però all’interno della oeuvre di Malraux, questo motivo è certamente una costante; basti pensare alla scena con cui si apre la narrazione de La condition humaine.

61 N, p. 654.

62 N, p. 655.

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La vista distaccata e perciò relativizzante (“- sur la terre, vers la fin du second millénaire de l’ère chrétienne...”)

63

degli altri uomini immersi nel tempo, del permanere della specie pur tra le variazioni, provoca in Vincent lo stesso senso di libertà, straziante ma anche indistinguibile dall’abbandono, che era nato in lui dalla delusione della prima comunione.

È peculiarità stilistica di Malraux fare ampio uso della ellissi narrativa, cosicché la relazione tra l’esperienza di Marsiglia e quella infantile è instaurata e al contempo lasciata implicita dalla semplice giustapposizione: ma che altro rappresenta l’effetto di stile, qui, se non il fenomeno di memoria del personaggio di cui si è discusso nell’introduzione? Qui si presenta per la prima volta in Vincent e con la semplice variante di non funzionare da richiamo interno al testo ma da mezzo per aggiungere un’informazione narrativa. Così come l’ellissi assume questa funzione a livello microtestuale, lo stesso accade per l’arco ampio dell’intero romanzo: singole scene narrative si sovrappongono per contribuire a chiarire il senso profondo di un’esperienza, piuttosto che intrecciarsi in un’azione unitaria retta dal principio di causa.

Nonostante la sua ristrettezza, il ricordo infantile di tipo religioso ha un senso molto profondo, infatti, se lo appaiamo alle rifunzionalizzazioni di cui sono fatti oggetto due edifici religiosi. Rifunzionalizzazioni, appunto, e non degrado come a prima vista potrebbe parere

64

. Con la prima di esse inizia il romanzo stesso, e riguarda l’esperienza del narratore: “Je ne reconnais pas le vaisseau de la cathédrale: les carreaux qui ont remplacé les vitraux de la nef l’éventrent de lumière”

65

. La cattedrale di Chartres è stata trasformata dai tedeschi in un punto di raccolta per i prigionieri francesi; il suo pavimento è cosparso di paglia, certo, eppure il sentimento che prevale nel narratore alla vista dell’architettura gotica non è quello di un indebito avvilimento dell’edificio religioso, bensì quello della sua eterna sacralità indipendente dalla specifica religione cristiana e dipendente invece dalla sua origine umana. “Un éclatant soleil d’après-midi s’engouffre par les hautes verrières: je suis dans le vaisseau de Chartres en construction...”

66

. Questo ritorno indietro al Medioevo giustifica le immagini con cui il narratore osserva gli altri feriti: “[...] jusqu’à ce que les voix vite éraillées ne ressemblent plus qu’aux supplications des mendiants de naguère près du porche...”

67

. Ciò che importa per ora notare è che nel ricordo della comunione di Vincent così come qui, non è in gioco Dio bensì la sua

63 N, p. 655.

64 Dell’importanza di questa distinzione sono naturalmente debitore a F. Orlando, Gli oggetti cit., pp. 8-10 (per la prima formalizzazione del concetto di “imperativo funzionale”).

65 N, p. 621.

66 N, pp. 621-622.

67 N, p. 623.

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assenza, la quale provoca la vertigine della libertà e al contempo il senso di una profonda determinazione: in entrambi i casi l’individuo è solo con se stesso e constata il ripetersi delle cose.

L’altro edificio religioso che il testo ci presenta in una diversa funzione da quella originaria fa parte direttamente dell’esperienza di Vincent ed è luogo profondamente simbolico. Si tratta del “prieuré historique de l’Altenburg”

68

, dove lo zio Walter ha installato la sua biblioteca e organizza rinomati convegni tra intellettuali di fama. Dalla cattedrale gotica si passa in questo caso a un edificio romanico, nel quale però non mancano tracce di gotico (“Ça et là qualques sculptures gothiques [...]”

69

) e in cui si ripete una sconsacrazione che non è abbandono di sacralità, ma sostituzione di idoli:

Tandis qu’il écoutait le comte Rabaud, le jour, au milieu du mur principal la veille noyé dans l’ombre, lui montrait (là où jadis avait été sans doute un crucifix), une figure de proue soigneusement cirée, un Atlante du style grandiose et maladroit des figures marines; au dessous, deux saints gothiques du même bois sombre.

«Encore du pur Walter, chuchota Hermann à son oreille: il ne veut dans cette pièce que des statues en noyer...»70

.

In effetti in questo luogo che è il regno dello zio di Vincent, è la cultura a essere diventata una religione: “Tous les noms illustres, Molière, La Rochefoucauld et Pascal, Hegel et Goethe, Bacon et Shakespeare, Cervantes et les autres, se mêlaient sous la passion fanatique de gens qui défendaient ce à quoi ils avaient donné leur vie. La culture est une religion”

71

. Ma a differenza della cattedrale e del suo scenario di feriti di guerra e di propri simili divenuti nemici, qui l’ironia sostituisce la pietà e gioca iperbolicamente sul mondo degli intellettuali. Proprio del conte Rabaud, che per primo ha la parola il giorno del colloquio, si dice: “Il avait mis trente ans à se faire la tête de Mallarmé, mais il y avait réussi”

72

.

Con il racconto del colloquio di Altenburgo ci troviamo nella seconda parte del testo.

La sua importanza non va sottovalutata, visto che senza dubbio da lì sono state tratte le principali interpretazioni in chiave saggistica dell’intero romanzo. Tanto più che le sette

73

voci di intellettuali che prendono la parola partecipano tutte della messe di materiali del

68 N, p. 636.

69 N, p. 656.

70 N, p. 671.

71 N, p. 673.

72 N, p. 671.

73 Nell’ordine con cui prendono parola: il conte Rabaud, Thirard, Walter Berger, Stieglitz, Vincent Berger, Möllberg e Seguin.

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Malraux ideologo: idee sull’arte, la politica, la cultura e la storia sparse tra saggi, articoli e interventi, sono distribuite tra i diversi interlocutori. Questo dato rende ancor più interessante il fatto, altrettanto fondato testualmente, che a nessuno di essi è però data una piena credibilità; per nessuno di essi il narratore, tramite il punto di vista di Vincent che partecipa, è esente da ironie e critiche. Più oltre ci occuperemo nello specifico di questa scena dialogata, quello che ci interessa ora è che a monte e a valle di essa si situano altri due dei “momenti lirici” che stiamo passando in rassegna.

La morte del padre e la sorda tenacia della vita

La seconda parte si apre con l’arrivo di Vincent all’Altenburgo, dove lo zio Walter lo ha invitato a partecipare a uno dei famosi colloqui da lui organizzati. Al breve sommario di raccordo, fa seguito una lunga scena di dialogo tra i due nello scenario notturno della biblioteca-“prieuré”, lo stesso scenario nel quale l’indomani alla luce del sole si svolgerà il dibattito. Il suicidio di Dietrich appena avvenuto è l’argomento di partenza di questo dialogo, che da subito però slitta verso l’enunciazione di visioni della vita generali e in gran parte contrapposte. Proprio nel momento in cui diventa evidente la contrapposizione irriducibile tra i due personaggi, il narratore, senza rendere esplicita o motivata la transizione, dal tempo e scenario del dialogo sposta la sua attenzione sulla mente di Vincent, dove è scaturito un ricordo.

Depuis la chambre funèbre il revoyait le lit, bouleversé par les hommes de l’hôpital qui venaient d’emporter le corps, et craintivement retapé par Jeanne, avec son creux semblable à celui des dormeurs [...]

Il ricordo si sviluppa in tutto il suo primo, lungo paragrafo, come una descrizione della camera del padre Dietrich in cui l’attenzione si concentra prima sui segni appena lasciati dalle ultime ore di vita di Dietrich, poi sui segni delle altre vite che continuano a scorrere al pari del tempo.

Un cendrier était posé sur la table de nuit: dedans, il y avait trois bouts de cigarettes:

mon grand-père avait fumé soit avant de prendre le véronal, soit avant de s’endormir.

Sur le bord du cendrier, une fourmi courait. Elle avait continué en ligne droite son chemin, grimpé sur le revolver déposé là [...] du côté des vivants venaient le bruit constant de la trompe, le pas du cheval qui s’éloignait, des cris d’oiseaux du matin, des voix humaines – étouffés, étrangers. À cette heure, vers Kaboul, vers

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Samarkande, cheminaient les caravanes d’ânes, sabots et battements perdus dans l’ennui musulman... L’aventure humaine, la terre74.

L’uso insistito degli imperfetti, le coordinazioni come “soit avant... soit avant...”, i plurali che moltiplicano uno stesso suono udito in lontananza, termini come “continuer” e

“constant”: in un certo senso la descrizione è tutta al frequentativo e si oppone alla compiutezza istantanea del gesto suicida così come la formica che cammina indifferente e inconsapevole sul revolver. Insensibilmente il narratore ci ha riportato, attraverso la memoria del personaggio, a quel momento: se l’imperfetto con cui inizia il ricordo si giustifica ancora come tempo passato, quelli che seguono non sono sullo stesso piano.

Il se sentait peu à peu envahi par un sentiment inconnu, comme il l’avait été, sur les hauts lieux nocturnes d’Asie, par la présence du sacré, tandis qu’autour de lui les ailes feutrées des petites chouettes des sables battaient en silence... C’était, beaucoup plus profonde, l’angoissante liberté de ce soir de Marseille où il regardait glisser les ombres dans une odeur ténue de cigarettes et d’absinthe – où l’Europe lui était si étrangère, où il la regardait comme, libéré du temps, il eût regardé glisser lentement une heure d’un lointain passé, avec tout son cortège insolite. Ainsi sentait-il maintenant devenir insolite la vie toute entière; et il s’en trouvait tout à coup délivré – mystérieusement étranger à la terre et surpris par elle, comme il l’avait été par cette rue où les hommes de sa race retrouvée glissaient dans l’heure verte...75

.

In questo modo, ritroviamo che alcune informazioni narrative ci vengono fornite non per via di analessi direttamente dal narratore ma, senza incrinare la finzione, attraverso i ricordi del personaggio. Qui, apprendiamo a posteriori qualcosa di Vincent al momento della morte del padre e, ricordo nel ricordo, oltre ad avere uno di quei richiami interni al testo a un momento-chiave precedente (il ritorno in Europa), aggiungiamo anche qualcosa al racconto del viaggio in Asia. Ma, dobbiamo domandarci, questa scelta narrativa ha delle ragioni profonde o è fine a se stessa? In altre parole, ha o no una funzionalità testuale, si lega o no a ciò che nel testo è in gioco sul piano semantico, amplificandolo e rimandando implicitamente ad esso?

Come al momento del ritorno in Europa, così in questo della morte di Dietrich ci troviamo di fronte a una descrizione, ma di tipo particolare. Le descrizioni, nella terminologia genettiana, sono delle pause rispetto al tempo della vicenda narrata; ma in questo caso non si può dire che il racconto si fermi e anzi, la descrizione ne fa parte: si

74 N, p. 660.

75 N, p. 661.

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