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Dahlen et al., 1984

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Academic year: 2021

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INTRODUZIONE

Ormai da due secoli, la modellizzazione analogica delle strutture geologiche è stata impiegata come utile strumento per comprendere e studiare la dinamica crostale. Uno degli aspetti più interessanti e delle prerogative di questa metodologia, è la possibilità di seguire l’evoluzione di un processo deformativo in tutti i vari stadi di crescita fino al raggiungimento della configurazione finale. Al contrario dei modelli analogici, in natura è possibile studiare un fenomeno solo in modo statico, sia esso attivo o inattivo, poiché si ha a disposizione un solo stadio o incremento di deformazione. La modellizzazione analogica, tenendo presente le sue semplificazioni ed i limiti imposti dai problemi di scala, rappresenta l’unico strumento di studio a fenomeni che avvengono su una scala temporale il cui ordine di grandezza varia dalle centinaia di migliaia ai milioni di anni. Un modello fisico correttamente dimensionato, infatti, subisce un’evoluzione che riproduce quella del fenomeno naturale in studio, ad una scala inferiore e con velocità maggiori più convenienti (Ramberg, 1981).

L’impiego dei modelli analogici è tenuto in gran considerazione nello studio della tettonica di raccorciamento crostale a livelli strutturali superiori (primi 10 km della crosta).

I risultati ottenuti da recenti studi, hanno permesso di individuare alcuni aspetti importanti nell’evoluzione delle catene orogeniche sia per quanto riguarda gli stili strutturali sia le modalità di accrezione (Davis et al., 1983; Dahlen et al., 1984; Malavieille, 1984; McClay & Ellis, 1987;

Mulugeta, 1988a; Storti et al., 2000). Le potenzialità di indagine e la relativa semplicità di visualizzazione che la modellizzazione analogica consente in confronto ad un approccio fisico-matematico hanno reso interessante conseguire degli studi sul ruolo dell’erosione sinconvergenza durante la formazione di un prisma d’accrezione.

Sono stati effettuati studi a grande scala senza riferimenti a casi naturali precisi. I modelli ottenuti, possono essere confrontati con alcuni prismi di accrezione attuali e fossili (rispettivamente Taiwan e Appennino), in termini di cinematica a grande scala e distribuzione della deformazione.

L’attività di ricerca è stata svolta nei laboratori di modellizzazione analogica

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presso il Dipartimento Géosciences, Université de Montpellier II, Sciences et Tecniques de la Languedoc, diretti dal Prof. Jacques Malavieille. Inoltre le misure per le analisi quantitative sono state effettuate mediante il software Dynell 2D, sotto la supervisione del Dott. Laurent Maerten, direttore dell’IGEOSS a Montpellier.

Sono stati realizzati otto esperimenti basati sempre sulla stessa configurazione di prisma d’accrezione a doppia vergenza, variando gli spessori del livello multistrato. Nel lavoro di Tesi saranno presi in considerazione cinque esperimenti tra i più significativi.

Quando il prisma raggiunge il profilo all’equilibrio, viene sottoposto ad erosione sotto condizioni di flusso stabile (flux steady state, Willet et al, 2001), dove il volume del materiale eroso resta uguale al volume di materiale che viene continuamente accreto al prisma, mantenendo costante l’inclinazione della superficie durante la convergenza. L’erosione influenza i processi di enucleazione e underthrusting delle faglie, la loro geometria, la localizzazione del fronte della deformazione nel tempo. Inoltre i risultati ottenuti mediante l’analisi quantitativa, indicano che le modalità di esumazione dipendono dalla dinamica interna del prisma, che a sua volta, è influenzata dall’erosione.

In particolare si osserva che in un prisma d’accrezione sottoposto ad erosione, i processi di esumazione sono controllati dalla modalità di propagazione delle faglie che dipende dal valore della frizione basale.

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1 PRISMI D’ACCREZIONE E PROCESSI TETTONICI ASSOCIATI

1.1 Processi di accrescimento di un prisma: accrezione frontale e underplating

Nell’accezione tipica, i margini convergenti presentano una placca inferiore in subduzione sotto una placca superiore, separate da una depressione morfologica (come una fossa oceanica), in genere molto profonda che delimita la zona non ancora deformata, dal dominio deformato. I margini di placca convergenti si caratterizzano per la presenza di una struttura fisiografica più o meno sviluppata, costituita da materiale proveniente o dalla placca in subduzione, che viene deformata durante i processi di convergenza. Questa struttura è stata definita prisma d’accrezione nei contesti di subduzione oceanica. Successivamente questa espressione è stata trasferita, per le analogie nei tipi di strutture, ai contesti di catene collisionali attive e fossili.

Per prisma di accrezione si intende un corpo spesso e cuneiforme costituito da porzioni di rocce di fondo oceanico e relativa copertura sedimentaria (von Huene and Scholl, 1991). Questi si ritrovano, a causa della continua aggiunta di materiale, addossati al basamento della placca superiore. Quest’ultima è generalmente costituita da rocce ignee, metamorfiche o sedimentarie più antiche e con una storia tettonica differente rispetto al prisma d’accrezione in corso d’ispessimento (Von Huene and Scholl, 1991).

Le prime campagne oceanografiche di perforazione eseguite da Deep Sea Drilling Projet (DSDP) e da Ocean Drilling Project (ODP), in diversi contesti geologici del Pianeta, hanno rivelato che il processo di accrezione non è l’unico a giocare un ruolo fondamentale nei margini convergenti. Infatti, gli studi di alcune sequenze di avanarco provenienti dal Pacifico occidentale, hanno dimostrato che in quelle aree il processo di accrezione legato alla subduzione non porta alla formazione di prismi

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spessi. Per questo Von Huene e Scholl nel loro lavoro del 1991 dividono per la prima volta i margini convergenti in due classi: margini accrezionali (o di tipo 1) e margini non accrezionali erosivi (o di tipo 2) (Fig.1)

Figura 1: a) margine accrezionale (tipo 1); b) margine non accrezionale (tipo 2); A, arco vulcanico; B, bacino di avanarco; C, prisma d’accrezione; D, underplating; E, faglie normali; F, cuneo sedimentario; G, materiali erosi dalla placca superiore (ridisegnato da Cfift & Vannucchi, 2004)

Un margine si dice accrezionale solo se ha sperimentato un netto ispessimento nel corso di un passato geologico relativamente recente, in altre parole un margine in cui un punto fisso nell’avanarco migra verso l’interno o verso l’alto durante un periodo di tempo geologico (Clift &

Vannucchi, 2004).

Un margine non accrezionale od erosivo, invece, è caratterizzato da un prisma di accrezione soggetto da lungo tempo ( > 10 M.a.) ad un arretramento della fossa dovuto alla continua rimozione di materiale dalla zona di avanarco e dalla zona più profonda della placca superiore (Clift &

Vannucchi, 2004). Ciò che subito distingue il processo di erosione tettonica

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da quello di accrezione, è che il materiale eroso proviene dalla placca superiore, al contrario di quello accreto al prisma che deriva dalla placca inferiore in subduzione.

Il meccanismo che porta alla continua aggiunta di materiale all’interno del prisma d’accrezione è legato al processo di subduzione e coinvolge il trasferimento di materiale dalla placca inferire a quella superiore attraverso l’accrezione frontale e l’underplating (von Huene & Scholl, 1991).

Di fronte al backstop, la parte superiore dei sedimenti oceanici è strappata dalla placca in subduzione mediante accrezione frontale, mentre gran parte dei sedimenti che entra in subduzione viene strutturata e messa in posto tra il prisma di accrezione e l’adiacente basamento dell’arco magmatico mediante underplating (Karig & Kay, 1981).

Per spiegare il processo di accrezione frontale viene spesso usata l’analogia con il funzionamento di uno spalaneve che agisce su due mezzi, dei quali uno è mobile l’altro è fisso (Helwing & Hall, 1974). La pala (Backstop), disloca il mezzo meno coerente (i sedimenti) da quello coerente sottostante (rocce di fondo oceanico). Il mezzo meno coerente viene accreto contro la pala e comincia ad ispessire formando delle unità delimitate da superfici di scorrimento (thrust), mentre parte del mezzo più coerente passa al di sotto della pala e del cumulo di materiale appena formato (accrezione frontale) e viene sorpassato (subduzione) (Fig.2).

Durate il processo di accrezione frontale il materiale in entrata si distribuisce in modo da formare un ventaglio di unità imbricate come in un classico fold-and-trust belt, che presenta la stessa immersione della placca in subduzione (Moore & Sample, 1986).

Figura 2: confronto tra il meccanismo di accrezione frontale ed il funzionamento di uno spalaneve (ridisegnato da Lohrmann et al., 2003)

Le dimensioni che potenzialmente può raggiungere un ventaglio di unità imbricate mediante accrezione frontale, dipendono da diversi fattori

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quali il tempo durante il quale vengono accreti i sedimenti; il tasso di convergenza tra le due placche e lo spessore dei sedimenti che entrano in subduzione (Von Huene & Scholl, 1991).

Al fronte della deformazione, i sedimenti che sormontano la placca oceanica in subduzione si dividono in quelli che sono strappati ed accreti alla fronte del prisma e gli altri che subiscono underplating. Questi due gruppi di sedimenti sono separati da una superficie poco inclinata, generalmente chiamata décollement che per definizione, rappresenta una superficie di “disarmonia”, o discontinuità, strutturale che in genere marca il limite tra la placca superiore e quella inferiore (Moore, 1989). Nelle zone di subduzione la presenza di superfici di discontinuità strutturale è testimoniata nei numerosi profili sismici e dati di pozzo (Fig.3), che mostrano l‘esistenza di uno strato spesso fino a circa 40 metri costituito da mudstone separante le unità imbricate del prisma dai sedimenti sottostanti sostanzialmente indeformati (Behrmann et al., 1988).

Figura 3: profilo sismico a rifrazione del margine di Nankai, il livello di scollamento in giallo separa il prisma d’accrezione soprastante dalla placca in subduzione (da Moore, 1990).

Il décollement si origina lungo un livello di debolezza che si forma all’interno della stessa sequenza deposizionale delle due placche convergenti. I livelli più superficiali della crosta oceanica sono costituiti da sequenze di sedimenti pelagici a loro volta ricoperti rapidamente durante l’avvicinamento alla fossa, da sedimenti emipelagici con spessore variabile costituiti da mudstone. Questa sedimentazione è seguita da depositi di riempimento di fossa oceanica. Si dimostra che la porosità aumenta notevolmente passando dai sedimenti di riempimento di fossa oceanica ai

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sottostanti sedimenti emipelagici (Moore, 1989). Questo aumento della porosità e della pressione dei fluidi nei pori, è correlato con una riduzione dello stress normale e di taglio e di conseguenza una diminuzione anche della coesione e della frizione interna. In questo quadro la rottura e lo scivolamento frizionale si localizzano sul décollement basale (Shreve &

Cloos, 1986).

Il processo con il quale porzioni della placca in subduzione vengono accrete al prisma mediante underplating, si spiega con la continua formazione di duplex (Silver et al., 1985).

Si tratta di una pila di unità di thrust delimitate in alto da un thrust di tetto (roof) e in basso da un detachement a basso angolo (Boyer & Elliot, 1982), (Fig.4).

Figura 4: sezione schematica di un prisma d’accrezione che mostra il sistema di thrust embricati alla fronte ed il sistema di duplex nella sua parte più interna.

Durante lo spostamento dell’orizzonte di scollamento (detachment) da un livello superiore ad uno inferiore, le unità del letto vengono accrete al tetto e di seguito ruotate su strutture tipo fold-bend fault (Suppe, 1983) su una rampa frontale. In un prisma di accrezione, tutti i sedimenti che subiscono underplating devono attraversare il décollement, i cui effetti sui sedimenti dipendono dallo spessore dei duplex che si formano in seguito all’underplating. A sua volta lo spessore dei duplex è proporzionale a quello dei sedimenti che entrano in subduzione (Moore, 1989).

In accordo con Moore (1989), i due end-members del processo di underplating sono quello coerente e quello diffuso. L’underplating coerente

è rappresentato da un rapporto unità fratturate su unità coerenti molto basso e si verifica quando vengono subdotte sequenze sedimentarie relativamente spesse, in quanto risulta più facile mantenere, in queste

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condizioni, uno spessore dei duplex elevato. Per definizione i materiali accreti al prisma per underplating coerente, preservano un’alta percentuale di porzioni di successioni sedimentarie ben conservate e basse percentuali di materiale disgregato rispetto a quanto avviene con l’underplating diffuso.

Quest ultimo, al contrario, presenta rapporti tra percentuale di materiale disgregato su materiale coerente molto alti, ed è correlato alla subduzione di sequenze sedimentarie relativamente sottili. Questo processo trasferisce al prisma unità di melange rappresentate da porzioni di unità tettoniche di diverse dimensioni delimitate da zone di taglio. Il processo di underplating spiega il continuo ispessimento e sollevamento del prisma di accrezione nella sua parte più lontana dalla fossa senza necessariamente indurre una deformazione nelle unità sovrastanti (Silver et al., 1985).

1.2 Processi di erosione tettonica

Per erosione tettonica si intende quel processo che porta alla rimozione di materiale che può essere costituito da depositi di copertura sin- deformazione del prisma stesso, da rocce di basamento della placca superiore, infine da unità appartenenti alla placca in subduzione che sono state accrete alla placca superiore mediante i processi di accrezione frontale e underplating.

Gli end-members del processo di erosione tettonica sono l’erosione frontale, ovvero la rimozione di materiale dalla parte frontale del cuneo d’accrezione, e l’erosione tettonica basale, che coinvolge la parte interna e profonda del basamento della placca superiore (Von Huene & Lallemand, 1990). Entrambi i processi producono una riduzione di materiale e del volume del margine, causando l’assottigliamento della placca superiore e la migrazione dell’asse della fossa. In questo contesto si può dire che l’erosione tettonica frontale e l’erosione tettonica basale sono esattamente l’opposto dell’accrezione frontale e dell’underplating rispettivamente.

Durante gli anni settanta, alcuni studi avevano nesso in evidenza deficit di materiale, troncamenti di sequenze sedimentarie e subsidenza sia in margini convergenti recenti sia in quelli più antichi (Scholl et al, 1977).

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Solo più tardi si arrivò a documentare esattamente la presenza di superfici erosionali o di unconformity presenti in prossimità del livello del mare, ma anche in profondità, in due diversi margini convergenti, quelli del Giappone e del Perù (Von Huene & Lallemand, 1990).

Lungo il margine del Giappone, Il fenomeno dell’ erosione basale è stato attribuito all’azione abrasiva causata dalla subduzione di una placca oceanica con una topografia molto articolata (Hilde, 1983).

Secondo von Huene (1989), questa interpretazione non tiene in considerazione lo strato di sedimenti che si accumulano nella fossa aderendo alla placca in subduzione in transito dalla fossa, attenuano le asperità topografiche riducendo la loro azione abrasiva sulla placca superiore. Inoltre un ruolo molto importante viene giocato dai circa 2 Km di spessore del décollement al di sopra delle strutture ad horts e graben presenti sulla placca in subduzione. Infatti questa zona ad alta pressione di fluidi porta ad una riduzione della frizione locale piuttosto che ad un aumento dell’azione abrasiva.

Al contrario i fluidi in sovrapressione rilasciati dalla contrazione dei sedimenti subdotti, migrando dalla zona di scollamento verso l’alto in conseguenza della loro minore densità, possono disgregare e fratturare le unità che costituiscono la parte più profonda della placca superiore (Platt, 1989). secondo Moore (1989), questa azione meccanica produce dei melange tettonici, simili ai melange diffusi formati in seguito all’underplating, ma questi ultimi sono costituiti da porzioni della placca inferiore andata in subduzione, mentre i melange formati per erosione tettonica vengono alimentati dalla placca superiore.

Il processo di erosione frontale, più che quella basale, è da attribuirsi essenzialmente all’azione abrasiva degli alti strutturali portati in subduzione (Lallemand & Le Pichon, 1987).

le evidenze di questo fenomeno sono derivate da profili sismici a rifrazione che hanno verificato l’esistenza di molti seamounts nelle zone di subduzione, tra questi i meglio conosciuti sono Daiichi-Kashima nella fossa giapponese, il Bougainville nella fossa delle Nuove Ebridi e la costellazione dei numerosi seamonts del margine della Costa Rica (Fig.5).

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Figura 5: modello di subduzione di un seamount riferibile al caso del margine convergente della Costarica (Dominguez et al., 2007)

Questi contesti tettonici hanno in comune numerosi elementi strutturali quali la parte superiore del margine in forte uplift; la presenza di numerose rientranze lungo il fronte del prisma nonché la continua rimozione del materiale incorporato al prisma per accrezione frontale. Tutti questi elementi, riproducibili mediante sperimenti analogici con ottime approssimazioni (Dominguez et al., 1999), hanno evidenziato che il processo di erosione frontale per subduzione di alti strutturali, riguarda numerosi margini convergenti attivi.

Grazie ai dati derivanti dai contesti tettonici attivi e recenti, è stato possibile spiegare anche alcuni caratteri di prismi d’accrezione fossili (per esempio le Unità Liguri, Appennino Settentrionale), che presentano spesso depositi sedimentari tipo debris flow, riferibili probabilmente a fenomeni di erosione tettonica e conseguente sedimentazione di fossa oceanica avvenute durante la storia evolutiva (Marroni & Pandolfi, 1996).

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1.3 Processi di erosione superficiale

Negli ultimi decenni si è riacceso lo storico dibattito a proposito dell’evoluzione della topografia in regimi tettonicamente attivi. Con le moderne tecniche di analisi (ad esempio interferometri radar, misure GPS) è possibile oggi misurare il campo di stress associato a singoli eventi sismici dai quali si possono ricavare importanti informazioni a proposito dell’interazione tra topografia ed evoluzione tettonica di una catena di montagne (Stein et al., 1988; King & Ellis, 1990; Norabuena et al., 1998).

Negli ambienti geodinamici caratterizzati da catene di montagne tettonicamente attive, l’interazione tra tettonica, clima e processi superficiali non influenza solo la geomorfologia, ma controlla anche le modalità ed i tassi di deformazione dell’orogene (Beaumont et al., 1996).

La forte elevazione di un orogene è il risultato della combinazione dei processi tettonici che costruiscono la topografia e i processi superficiali che tendono a distruggerla (Willet & Brandon, 2002) (Fig.6). Un sistema orogenico rappresenta, quindi, un sistema dinamico che tende alla condizione di equilibrio stabile o steady state (Adams, 1980; Jamieson and Beaumont, 1988).

Alla base del meccanismo che porta i sistemi orogenici ad una condizione di equilibrio, sta la dipendenza del tasso di erosione dal rilevo e dall’elevazione. Infatti catene di montagne, che presentano rilievi elevati sono soggette ad alti tassi di erosione che si manifestano ad esempio con importanti incisioni fluviali e spostamento di grandi masse di materiali (Ahnert, 1970).

Un sistema dinamico in cui concorrono sia processi tettonici che erosivi, evolve attraverso diversi stadi tendendo sempre ad una condizione d’equilibrio tra tettonica, topografia ed erosione. qualora il sistema non riesca a raggiungere la propria condizione all’equilibrio o steady state, il grado con cui si approssima a questa condizione da una stima della maturità del sistema (Willet & Brandon, 2002).

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Figura 6: modello di un prisma d’accrezione a doppia vergenza soggetto ai processi superficiali. A) prisma d’accrezione; B) bacini deposizionali; C) mantello; D) placca in subduzione (ridisegnato da Willet, 1999)

La capacità del sistema di raggiungere la sua condizione d’equilibrio, dipende dal tempo di risposta del sistema stesso alle modificazioni tettoniche e climatiche (Howard, 1982; Kooi and Beaumont, 1996; Whipple, 2001). Al fine di quantificare il concetto di condizione all’equilibrio o steady state di un sistema geodinamico convergente sono stati sviluppati diversi

modelli numerici e distinti quattro tipologie di condizioni all’equilibrio di un orogene: flux steady state, topographic steady state, thermal steady state, exhumational steady state (Willet et al, 2001). In questi modelli si assume

che un orogene si sviluppi attraverso l’accrezione di materiale crostale proveniente da una placca in subduzione. La caratteristica più importante dei modelli è che la deformazione crostale si realizza attraverso un flusso di materiale (FA) che dalla placca in subduzione si sposta verso l’orogene mediante i processi di accrezione frontale, underplating e successiva migrazione delle unità verso il backstop. Durante la convergenza esiste un flusso positivo di materiale FA connesso all’uplift della superficie, e un flusso negativo od erosionale (FE), quando i valori dei due flussi sono approssimativamente uguali, si parla di flux steady state, (Willet & Brandon, 2002). Questo caso è quello di maggior interesse nell’ambito di questo lavoro di tesi, poiché, un flusso di erosione stabile mostra delle brevi variazioni spazio temporali dovute a fenomeni erosivi locali (tempeste,

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frane), o cicli climatici. In questo ultimo contesto, la condizione all’equilibrio di un orogene sotto flux steady state, si può riferire a tempi molto lunghi sulla scala di 1Ma, dove risulta molto più rilevante il tasso d’erosione rispetto alla velocità con cui risponde il sistema orogenico.

Una delle possibili risposte del sistema alla rimozione di materiale e dunque ad un alleggerimento isostatico, si manifesta attraverso movimenti verticali. Per movimento tettonico verticale si intende il movimento che si sviluppa lungo una traiettoria normale alla superficie equipotenziale passante per il baricentro dell'oggetto considerato, ovvero lungo la medesima direzione del vettore gravità (England & Molnar, 1990). In relazione al verso del movimento distinguiamo sollevamenti e subsidenza a seconda che il movimento avvenga rispettivamente nel verso opposto o concorde a quello del vettore gravità.

Nel cercare di identificare i movimenti verticali di porzioni discrete della crosta terrestre devono essere tenuti in considerazione diversi fenomeni (England & Molnar, 1990): l’esumazione (E) ovvero lo spostamento di masse rocciose rispetto alla superficie dovuta all’azione congiunta di erosione areale e lineare; il sollevamento di superficie (SS), inteso come lo spostamento verticale della superficie terrestre rispetto al geoide; infine si parla di sollevamento crostale (SC) quando lo spostamento verticale della crosta rispetto al geoide è causata da forze di origine tettonica.

Queste tre grandezze sono legate dalla seguente relazione:

SS = SC – E, da cui risulta chiaramente che siccome E>0, allora SS<SC.

L’adozione di questa relazione e la conoscenza dei termini che la costituiscono possono essere utili in vari modi. infatti dalla misura del sollevamento della superficie si possono ricavare indicazioni sulle variazioni climatiche (Molnar & England, 1990); sui movimenti differenziali di porzioni di crosta e sulla cinematica delle zone di deformazione; SC fornisce indicazioni sui movimenti differenziali come per il termine precedente, sullo stato di frammentazione crostale, sugli stili deformativi, E, specialmente se determinata indipendentemente, permette di verificare i termini precedenti.

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