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Allo scadere dell’anno, e prima che le potenze vincitrici di Bonaparte avanzassero le proprie considerazioni in proposito, il confermato ispettore generale delle Belle Arti si 1 Il biglietto è trascritto in: A

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CONCLUSIONE

Quando, il 24 maggio del 1814, Pio VII fece il suo trionfale ingresso a Roma, dopo quattro anni, dieci mesi e quattordici giorni di assenza, trovò ad attenderlo un Canova felice ma non del tutto sereno in merito alla sorte delle istituzioni artistiche. Il direttore dei musei e principe dell’Accademia di San Luca, in un biglietto scritto al cardinale Ercole Consalvi un paio di settimane prima, si era detto preoccupato per la ventilata abrogazione della totalità delle iniziative prese dalle autorità napoleoniche.

Consapevole delle ristrettezze economiche che il governo avrebbe dovuto fronteggiare, si era espresso in difesa delle neonate Scuole di Belle Arti e in favore della complessiva riforma del sistema museale, prospettando l’impiego dei fondi che l’editto Doria Pamphjli aveva messo a disposizione per l’acquisto di antichità e per la promozione dei concorsi accademici (diecimila scudi). Aveva insistito particolarmente sul vantaggio della riunificazione amministrativa delle gallerie espositive e della riorganizzazione del personale, giudicando tali operazioni necessarie ad uniformare gli standard di funzionamento romani a quelli «di tutte la altre Gallerie d’Europa»1. Che intenzione del pontefice e dei suoi collaboratori fosse tranquillizzare Canova, garantendo al patrimonio archeologico e artistico una gestione in linea con la pratica del recente passato, è dimostrato dalla repentina conferma ai ruoli di responsabilità degli uomini del suo entourage: Antonio e Alessandro D’Este, Agostino Tofanelli, Raffaele Stern, oltre al meno gradito Vincenzo Camuccini, nominato ispettore delle Pubbliche Pitture in Roma il 12 agosto2. Senza procedere all’azzeramento dei vertici delle Belle Arti, contrariamente a quanto fatto in altri ambiti,3 Pio VII sembrò cioè riconoscere per tempo il segno riformista-moderato della politica di tutela napoleonica.

Allo scadere dell’anno, e prima che le potenze vincitrici di Bonaparte avanzassero le proprie considerazioni in proposito, il confermato ispettore generale delle Belle Arti si

1 Il biglietto è trascritto in: A. D’Este, Memorie di Antonio Canova, Firenze 1864; ed. cons. a cura di P. Mariuz, Bassano del Grappa 1999, pp. 445-446. Una copia manoscritta è in: ASMV, busta 12, fasc. 2, f. 3.

2 C. Pietrangeli, I Musei Vaticani. Cinque secoli di storia, Roma 1985; ed. cons. The Vatican Museums, Rome 1993, p. 145. Sull’attività di Camuccini al servizio delle autorità ecclesiastiche: F. Giacomini, “Per reale vantaggio delle Arti e della Storia”. Vincenzo Camuccini e il restauro dei dipinti a Roma nella prima metà dell’Ottocento, in corso di stampa.

3 Cfr. Ph. Boutry, La Restaurazione (1814-1848), in Roma moderna, a cura di G. Ciucci, Roma - Bari 2002, pp. 371-413.

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preoccupò nuovamente di segnalare alle autorità restaurate i cambiamenti riguardanti i musei: l’apertura prolungata e gratuita («senza che debbano le persone essere obbligate di pagare i Custodi sotto il titolo di mancia»), l’incremento dei dipendenti («per guardare la vastità dei locali, per la sicurezza dei medesimi, e per mantenervi la pulizia e la decenza»), la maggiorazione degli stipendi, la ripartizione e diversificazione delle mansioni, la dotazione dell’uniforme di servizio («per decenza»). Sollecitato probabilmente da Tofanelli4, sostenne inoltre il trasferimento delle gallerie espositive capitoline alle dipendenze del maggiordomo dei Sacri Palazzi Apostolici5. Si pronunciò dunque, in generale, per il perseguimento del cammino intrapreso, non abiurando in nulla le decisioni concordate con Daru.

Al di là dei pronunciamenti canoviani, un fondamentale contributo al superamento degli assetti organizzativi pre-moderni, e delle connesse modalità di fruizione degli spazi, venne dal dibattito maturato intorno alla restituzione delle opere requisite allo Stato pontificio. La riconsegna al papa Chiaramonti dei dipinti che erano stati la gloria del Musée Napoléon avvenne infatti, come un numero rilevante di studi critici ha chiarito, dietro assicurazione della «pubblica e generale utilità»6. Da Parigi, il 2 ottobre del 1815, a poche ore dalla conclusione delle estenuanti trattative che ruppero la resistenza di Dominique-Vivant Denon, fu proprio Canova, all’apice della gloria internazionale, a trasmettere a Consalvi le condizioni dell’accordo raggiunto: «il pontificio governo d’ora in poi, invece di lasciare tali monumenti dispersi qua e colà, come erasi fatto in addietro in siti disavvantaggiosi, e non accessibili agli artisti, ne avria istituita una pubblica galleria, sull’esempio delle altre insigni capitali d’Europa, perché rimaner debbano esposti allo studio e comodo della gioventù d’ogni nazione che recasi a Roma ad apprendere le arti del disegno, e distribuiti parte nel Museo

4 Nel maggio del 1814 Tofanelli inviò a Canova, lo si ricorderà, un appunto in difesa dei cambiamenti promossi sotto il governo di Martial Daru: appendice documentaria (XXI).

5 Le relazioni di Canova, più volte citate nelle pagine precedenti, sono trascritte nell’appendice documentaria (XXII e XXIII).

6 Tra i contribuiti più significativi e recenti: C. Pietrangeli, Un ambasciatore d’eccezione:

Canova a Parigi, in Antonio Canova, catalogo della mostra (Venezia, marzo-settembre 1992), Venezia 1992, pp. 15-21; D. Tamblé, Il ritorno dei bei culturali dalla Francia nello Stato pontificio e l’inizio della politica culturale della Restaurazione nei documenti camerali dell’Archivio di Stato di Roma e F. Zuccoli, Le ripercussioni del trattato di Tolentino sull’attività diplomatica di Antonio Canova nel 1815 per il recupero delle opere d’arte, in Ideologie e patrimonio storico-culturale nell’età rivoluzionaria e napoleonica, atti del convegno (Tolentino, 1997), Roma 2000, pp. 457-513 e 611-627; É. Pommier, Riflessione sul problema delle restituzioni d’opere d’arte nel 1814-1815, in A.C. Quatremère de Quincy, Lettere a Miranda, introduzione, traduzione e cura di M. Scolaro, Bologna 2002, pp. 21-29; D.

Camurri, L’arte perduta. Le requisizioni di opere d’arte a Bologna in età napoleonica, Bologna 2003, pp. 137-151.

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Vaticano, e parte in quello del Campidoglio»7. La comunità europea, nelle persone dei rappresentanti dei principali stati nazionali, sancì in tal modo la convenienza, anche nell’Urbe, della custodia delle opere sacre in un contesto diverso da quello originario, garante dell’educazione delle presenti e future generazioni. Sancì inoltre l’opportunità di una conservazione in ambiente sicuro, sotto le cure di personale qualificato8.

L’approdo dei convogli nell’Urbe, il 4 gennaio del 1816, segnò per i musei un nuovo inizio, non estraneo ad una volontà di rivalsa nei confronti del Louvre di Denon. Il complessivo riordino - che riguardò l’amministrazione, il personale, gli spazi e le collezioni - poté compiersi in buona parte, non sembri superfluo ribadirlo, sulla base delle iniziative prese o dei progetti maturati negli anni di governo francese.

Il 21 febbraio, a seguito di un sopralluogo in Vaticano, finalizzato a prendere visione delle opere recuperate, Pio VII diede l’assenso all’ampliamento delle aree espositive.

Dispose, in particolare, la costruzione del nuovo braccio del Museo Chiaramonti, la trasformazione in pinacoteca dell’Appartamento Borgia, l’abbattimento dei muri divisori delle tre sale contigue alla Galleria dei Candelabri, l’inclusione nell’itinerario di visita dell’appartamento del cardinale bibliotecario. Consalvi, in perfetta continuità con i proponimenti di Daru, esplicitò a Canova l’intenzione di riunire «in un sol Corpo tanta vastità di locale9. La messa in discussione del tradizionale assetto, con la riabilitazione (totale o parziale) di locali inutilizzati o abbandonati al degrado, fu dunque un’opzione che restò attuale ben oltre la caduta dell’impero.

La decisione del pontefice di accrescere le aree espositive e il decoro del Vaticano ne portò con sé un’altra: quella della conferma degli impiegati in servizio dal 1811. Tutti furono confermati nei ruoli, anche se, a causa delle ristrettezze finanziarie, gli

“scopatori” di più recente nomina non figurarono che come “soprannumeri”, ovvero supplenti, con l’obbligo di presenza nei soli giorni di apertura al pubblico. Per la prima volta nella storia pontificia, inoltre, venne redatto un regolamento del personale, «onde dal tutto insieme risulti un Sistema stabile, adattato, ed analogo a quello, che si osserva in altri Musei d’Europa». Esso stabilì gerarchie, mansioni, obblighi e divieti,

7 La lettera è riportata in: D’Este 1864, pp. 206-207.

8 E. Bairati, Alle origini del museo moderno: l’eredità della Rivoluzione nella crescita dei grandi musei europei dell’Ottocento, in Ideologie e patrimonio storico-culturale, 2000, pp.

165-189 (in part. pp. 179-180). Sulla nascita della Pinacoteca Vaticana: I. Sgarbozza, Alle origini della Pinacoteca Vaticana. Il dibattito sulla musealizzazione dei dipinti restituiti allo Stato Pontificio dal Musée Napoléon, in “Bollettino Monumenti Musei e Gallerie Pontificie”, XXV, 2006, pp. 291-326.

9 Lettera di Consalvi a Canova, 21 febbraio 1816 in: ASV, Sacri Palazzi Apostolici, Computisteria, 1467, ff. 88r-91v (copia in: ASMV, busta 14d). Trascritta nell’appendice documentaria (XXIV).

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fissando pure l’orario dell’apertura: il giovedì e la domenica avrebbe avuto accesso ogni libero cittadino, negli altri giorni soltanto i forestieri e gli artisti10. Redatto in forma compiuta da Agostino Rivarola, esso venne affisso nei locali con il titolo di Regolamento per li Musei e Gallerie Pontificie11. Non sorprende trovarvi conferma dell’abolizione delle mance, così come delle norme comportamentali imposte agli studenti (obbligo della licenza di copia, divieto di toccare gli oggetti esposti, divieto di sporcare). L’unico elemento di novità è la chiamata in causa del pubblico dei curiosi e dei forestieri, evidentemente sempre più ampio, sollecitato al rispetto delle opere e alla pulizia, con l’espressa inibizione a imbrattare «in veruna maniera le pareti, e i pavimenti».

Al riguardo del complesso capitolino le iniziative pontificie furono, in verità, assai più scarse, a certificare la chiusura della stagione dell’equiparazione con il complesso vaticano. La reintegrazione dell’autorità municipale, già sullo scorcio del 1814, produsse la fuoriuscita del Palazzo dei Conservatori dalle dipendenze del maggiordomo dei Sacri Palazzi - che “ereditò” tutte le proprietà amministrate dall’intendente della Casa Imperiale. Soltanto la Pinacoteca riuscì a scampare ad un simile destino, ovvero a mantenere il legame con il museo di antichità. La restituzione ai luoghi di provenienza dei dipinti sottratti alle congregazioni ecclesiastiche troncò tuttavia alla quadreria la possibilità della crescita da molti auspicata.

Quanto alla dotazione annua in favore dei musei, essa venne stabilita soltanto nell’agosto del 1817, e dietro molteplici sollecitazioni di Canova. Fu fissata alla cifra di 6.352 scudi (31.000 franchi circa), un po’ meno di quanto stanziato negli anni napoleonici, e fu ripartita, come allora, in varie voci di spesa: gli stipendi degli impiegati e della guardia svizzera, il vestiario di servizio, la pulizia e le piccole movimentazioni, il trasporto delle antichità, gli interventi di manutenzione ordinaria, oltre che «la pigione alla Camera Capitolina per le stanze terrene occupate per il Museo»12. Si trattava di un finanziamento che andava ad affiancare quello, straordinario, destinato alla costruzione e all’allestimento del Braccio Nuovo. Con il compito dell’acquisto di antichità da collocarsi nella nuova galleria venne istituita un’apposita commissione, guidata da Canova e composta da Bertel Thorvaldsen,

10 Lettera di Consalvi a Canova, 21 febbraio 1816 in: ASV, Sacri Palazzi Apostolici, Computisteria, 1467, ff. 92-94 (copia in: ASMV, busta 14d). Trascritta nell’appendice documentaria (XXV).

11 Il regolamento, datato 20 dicembre 1816, è trascritto in: V. Curzi, Bene culturale e pubblica utilità. Politiche di tutela a Roma tra ancien régime e Restaurazione, Roma 2004, pp. 176-178.

12 ASMV, busta 7, fasc. 6, ff. 3-5.

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Antonio D’Este, Carlo Fea e Filippo Aurelio Visconti, uomini coinvolti, a vario titolo, nella politica di tutela e di conservazione del quinquennio francese13.

Tra il 1814 e il 1817 fu dunque messo a punto, con il fondamentale apporto della comunità artistica, un complesso di iniziative che permise ai musei pontifici di affrontare il nuovo periodo di pace - e la conseguente ripresa dei flussi turistici - in una veste rinnovata. Le scelte operate si dimostrarono, almeno formalmente, adeguate all’accoglienza di un pubblico sempre più vasto, a conoscenza dei meccanismi di funzionamento e degli standard espositivi vigenti nelle altre capitali italiane ed europee, e sempre meno disposto a veder messo in discussione il proprio diritto alla fruizione gratuita degli spazi e delle collezioni.

I problemi tuttavia non mancarono, e riguardarono soprattutto il personale. Il malcostume della mancia perdurò senza che le autorità vi opponessero seria resistenza; l’assenteismo e il lassismo non vennero meno14. Il richiamo che, il 23 aprile del 1826, raggiunse l’ufficio di Antonio D’Este valga ad esempio della difficoltà dei governanti a gestire dipendenti lontani dal considerare i musei un’istituzione di pubblica utilità. Constatando le frequenti assenze nei giorni di apertura, la perenne inaccessibilità delle sale più prestigiose e la sopravvivenza del sistema delle «regalie», il maggiordomo dei Sacri Palazzi ordinò che fosse innalzato il tetto delle multe per i negligenti, che fosse introdotto l’appello «un quarto d’ora prima dell’apertura», che fosse resa obbligatoria la presentazione del certificato medico «il giorno avanti in cui cade il servizio»15. Tutte norme introdotte nel periodo di occupazione francese, quando i musei avevano voltato definitivamente le spalle al XVIII secolo, ovvero alla stagione della loro nascita e del loro primo sviluppo.

13 Su Braccio Nuovo e le vicende relative alla costruzione, all’allestimento e all’acquisto delle sculture si vedano: M.A. De Angelis, Il “Braccio Nuovo” del Museo Chiaramonti. Un prototipo di museo tra passato e futuro, in “Bollettino Monumenti Musei e Gallerie Pontificie”, XIV, 1994, pp. 187-256; P. Liverani, Dal Pio-Clementino al Braccio Nuovo, in Pio VI Braschi e Pio VII Chiaramonti. Due pontefici cesenati nel bicentenario della Campagna d’Italia, atti del convegno (Cesena, maggio 1997), a cura di A. Emiliani - L. Pepe - B. Dradi Maraldi, Bologna 1998, pp. 27-41.

14 La documentazione riguardante il Museo Vaticano, ancora inedita, è conservata nell’Archivio Storico dei Musei Vaticani, alla buste 6-12.

15 ASMV, busta 10, fasc. 7, f. 3.

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