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LA DISPRASSIA VERBALE IN ETÀ EVOLUTIVA I.1 La disprassia

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Capitolo I

LA DISPRASSIA VERBALE IN ETÀ EVOLUTIVA I.1 La disprassia

I.1.1 Cenni generali sulla patologia

Il termine dis-prassìa sta a indicare un disturbo (il suffisso dis- è sinonimo di non completa e corretta funzionalità

1

) della prassìa (dal greco praxis = azione), intesa nella pratica clinica come il processo neurologico attraverso cui la cognizione dirige l’attività motoria (Ayres 1985, p. 23). In senso piagetiano la prassia rappresenta più propriamente un sistema di movimenti coordinati in serie, compiuti correttamente in funzione del raggiungimento di un preciso risultato (Piaget 1960, p. 551).

In maniera più o meno grave, l’individuo affetto da disprassia è quindi incapace di rappresentare, selezionare, pianificare e organizzare «mentalmente»

gli atti sequenziali di un’azione volontaria. Questi si caratterizza per una dissociazione detta «automatico-volontaria». Infatti, sebbene non riesca a realizzare atti motori in maniera volontaria (intenzionale, a comando) e in situazioni decontestualizzate, è tuttavia in grado di farlo in maniera automatica. In altre parole, lo stesso gesto che il soggetto è capace di eseguire correttamente in risposta a sollecitazioni contestuali e/o «reali», cioè come gesto abituale automatico, come risposta non mediata da motivazioni esterne o esigenze interiori, fallisce se lo stesso gesto deve essere eseguito in maniera volontaria e/o su richiesta. Ad esempio, fa «ciao» con la mano se incontra un amico per strada, ma non riesce ad eseguire lo stesso movimento su comando orale; riesce a leccare un gelato, ma non è capace di leccarsi le labbra su richiesta; è in grado di soffiare

1 Si veda oltre per precisazioni di tipo terminologico.

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davanti a una candela accesa, ma può essere incapace di soffiare (generalmente parlando) se richiesto (per esempio, dall’esaminatore che sta testando la capacità di eseguire prassie orofacciali).

Esistono diverse tipologie di disprassia, distinguibili a seconda delle abilità colpite e/o delle parti del corpo interessate, che frequentemente coesistono in modo disomogeneo (Sabbadini G. e Sabbadini L. 1995)

2

. Dunque, a una disprassia generalizzata (che investe la deambulazione e l’organizzazione del movimento nelle attività della vita quotidiana) possono affiancarsi eterogenei e sfumati segnali disprassici (che possono comunque esistere in maniera isolata, quando un tipo di disprassia è preminente) in ambiti specifici (condizione frequente). Ne sono un esempio la disprassia verbale, oggetto del nostro lavoro, (deficit limitati ai movimenti legati alla produzione del linguaggio), la disprassia degli arti superiori (difficoltà di esecuzione dei movimenti delle mani, delle dita e dell’articolazione), la disprassia oculare (disturbo del controllo intenzionale dello sguardo), la disprassia costruttiva (difficoltà nella copia di modelli da ricostruire, nonché nell’organizzazione spaziale del movimento, dovuta a deficit delle funzioni visuo-spaziali), la disprassia del disegno e della scrittura (disgrafia).

Nella clinica è inoltre possibile trovare casi di disprassia primaria o «pura»

(condizione rara), cioè non associata ad altra patologia e che insorge per cause non ancora del tutto chiare e quindi non presenta segni neurologici evidenti, e casi di disprassia secondaria, che rappresenta la conseguenza di una patologia o sindrome, alle quali si trova, quindi, associata. La comorbidità della disprassia è certa nelle seguenti patologie: casi di agenesia del corpo calloso, sindrome di Joubert, sindrome di Williams, sindrome di Down, sindrome di Asperger e nei casi di Disturbi Pervasivi dello Sviluppo (Sabbadini 2005)

3

.

Nello specifico, nella letteratura in lingua italiana, si parla di disprassia in età evolutiva, ossia di un disturbo di tipo congenito

4

che si manifesta nella

2 Si vedano i paragrafi successivi.

3 Si veda poco oltre a proposito della varietà terminologica, relativa alla patologia.

4 L’emergere della patologia si colloca nel periodo perinatale, comprensivo del periodo pre- natale, nascita e primi mesi di vita extra-uterina.

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popolazione infantile durante lo sviluppo neurobiologico (Sabbadini G. e Sabbadini L. 1995). Diversamente, con il termine a-prassìa ci si riferisce a disturbo acquisito, cioè sopravvenuto nel bambino o nell’adulto in seguito a un trauma, a una malattia ecc.

I.1.2 Evoluzione storica del concetto di disprassia: approcci allo studio della patologia, varianti terminologiche e descrizioni

Le prime definizioni e descrizioni di disprassia sono fornite, nella letteratura scientifica e nella clinica, quando le osservazioni di medici e neurologi, a partire dai primi anni del secolo scorso, evidenziano in alcuni bambini la presenza di un disturbo della coordinazione motoria (spesso riportato in termini di «goffaggine»), che si traduce nell’incapacità di compiere movimenti volontari, sequenzialmente coordinati tra loro, in funzione di uno scopo (per es. eseguire istruzioni, organizzare un lavoro, ecc.), nonché nella difficoltà ad automatizzarli.

Nello specifico, il Diagnostic and statistical manual of mental disorders (Fifth Edition: DSM-5) , pubblicato nella sua quarta revisione dall’American Psychiatric Association (2013), colloca la disprassia nel quadro del «disturbo evolutivo della coordinazione motoria»

5

, stabilendone le caratteristiche diagnostiche in base a quattro criteri:

- (Criterio A): la marcata compromissione dello sviluppo della coordinazione motoria è tale da provocare prestazioni nelle attività quotidiane sostanzialmente inferiori rispetto all’età cronologica del soggetto e alla valutazione psicometrica della sua intelligenza. Per quanto concerne i bambini più piccoli, ciò può manifestarsi con un notevole ritardo nel raggiungimento delle tappe fondamentali dello sviluppo motorio (per es., camminare, gattonare, star seduti, allacciarsi le scarpe, abbottonarsi la camicia e chiudersi la cerniera lampo

5 Si veda l’acronimo DCD poco oltre. La parallela «Classificazione Statistica Internazionale delle Malattie e dei Problemi Sanitari Correlati ICD-10» («International Statistical Classification of Diseases and Related Health Problems») inserisce la disprassia fra i «disturbi evolutivi specifici della funzione motoria» (codice diagnostico F82).

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dei pantaloni). Inoltre, essi possono mostrare goffaggine, povertà nelle prestazioni sportive e calligrafia deficitaria.

- (Criterio B): la diagnosi viene fatta solo se le difficoltà nella coordinazione interferis cono significativamente con l’apprendimento scolastico e con le attività della vita quotidiana.

- (Criterio C): se non riguardano una compromissione motoria, dovuta a condizioni mediche patologiche, quali paralisi cerebrale, emiplegia o distrofia muscolare.

- (Criterio D): se è presente ritardo mentale, perché la diagnosi di «disturbo di sviluppo della coordinazione» sia possibile, le difficoltà motorie devono essere maggiori di quelle solitamente associate. Tra i problemi comunemente associati a questo disturbo si ricordano il ritardo nel raggiungimento di altre tappe fondamentali non motorie, il disturbo della fonazione, nonché della espressione e ricezione del linguaggio, e problemi socio-emotivo-comportamentali.

Sin dagli esordi della diagnosi di disprassia, l’esperienza e il campo di studio specifici di ogni specialista, nonché il diverso approccio (linguistico e/o motorio

6

) allo studio del disturbo, ha influenzato il modo di inquadrare la patologia e di definirla. Ne è derivato, dunque, l’impiego di differenti terminologie e un quadro teorico piuttosto confuso. In particolare, i termini usati per descrivere i bambini disprassici variavano anche in base ai diversi sintomi evidenziati nei bambini oggetto di studio. Fra i più comuni vi sono:

Developmental Dyspraxia (DD) (Disprassia Evolutiva), Developmental Coordination Disorders (DCD) (Disturbo Evolutivo della Coordinazione Motoria), appena menzionato, Clumsy Child Syndrome

7

(o, semplicemente, Clumsiness), Specific Developmental Disorders of Motor Function (SDD-F), Disorders of Attention and Motor Perception (DAMP), Perceptuo-motor Dysfunction, Sensory Integration Disorder, Motor Learning Difficulty. (Gibbs et al. 2007, Sabbadini L. 1995). In realtà, ancora oggi mancano criteri univoci in grado di stabilire una definizione, una diagnosi, una sintomatologia e

6 Cfr. Davis et al. 1998.

7 Il termine, adottato da Gubbay nei primi anni Settanta (v. oltre), è ancora di uso comune negli Stati Uniti (Gibbs et al. 2007).

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un’eziologia, di quella che appare, in definitiva, un’unica sindrome, sebbene con varie sfaccettature.

Nel campo della letteratura scientifica, il concetto di «disprassia» viene affrontato per la prima volta nei primissimi anni del ‘900 da Collier

8

, il quale descrive i problemi di sviluppo motorio utilizzando il termine Congenital Maladroitness, in riferimento a una goffaggine congenita evidente e accentuata, diversa da ogni tipo di atassia

9

conosciuto

10

. I quadri clinici caratterizzati prevalentemente da impaccio motorio erano definiti anche con termini quali Debilité Motrice

11

, Motor Weakness o Psychomotor Syndrome.

Alla fine degli anni ‘30 Orton

12

, in lavori ormai storici, sottolineando l’esistenza di diversi tipi di disturbi motori in età evolutiva, identifica la

«goffaggine» come uno dei più comuni disordini dello sviluppo, talvolta attribuibile a deficit prassici e/o gnosici, diversi da quelli causati da disfunzioni di tipo piramidale, extrapiramidale o cerebellare.

A partire dagli anni ‘60-‘70 le ricerche sul disturbo si intensificano. Nella letteratura scientifica inglese il neurologo Gubbay approfondisce lo studio di un gruppo di bambini affetti da disprassia, che descrive come «clumsy children»

(1975, 1985)

13

, in quanto esibiscono una prestazione compromessa dell’abilità motoria (quindi, impaccio motorio e mancanza di destrezza). Alcuni di questi bambini, selezionati attraverso un test di efficienza motoria ed escludendo i casi con insufficienza mentale

14

, presentano disturbi di linguaggio; altri non sanno né scrivere né disegnare. Egli arriva a definire la disprassia evolutiva come un deficit di esecuzione dei movimenti volontari e organizzati in vista di un determinato

8 Citato in Cermak 1985, p. 225.

9 Si ricorda che l’atassia è un disturbo caratterizzato dalla mancanza di coordinazione dei movimenti muscolari, che si manifesta in seguito a lesioni del sistema nervoso centrale o alla spina dorsale (www.atassia.it).

10 Citato in Ford 1966, p. 46.

11 Cfr. Dupré, citato in Russo 2013,

http://www.neuropsichiatriainfantile.net/DisprassiaEvol.pdf , p. 1.

12 Citato in Cermak 1985, p. 225.

13 Alcuni studiosi sostengono che i bambini «goffi» abbiano deficit dell’equilibrio e della coordinazione, mentre altri parlano di deficit nelle prassie e nei movimenti consecutivi (Dewey 1995).

14 L’assenza di severi deficit di quoziente intellettivo è una conditio sine qua non in generale, in tutte le definizioni del disturbo ed in tutti i contesti diagnostici.

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scopo, sottolineando l’assenza di deficit cognitivi, neurologici, neuropsicologici, sensoriali, motori e di handicap fisici.

In quegli anni, nella letteratura scientifica francese vengono elaborati gli stessi concetti, ma in modo diverso: gli aspetti gnosici e percettivo-motori sembrano avere un ruolo preponderante nella diagnosi di disprassia. De Ajuriaguerra e Stambak (1969) descrivono la sindrome a partire dal concetto di

«prassia», come elaborato da Piaget (1960) e la associano a problemi legati allo schema corporeo, costruttivi e spaziali. Evidenziano, altresì, la presenza di disordini motori, percettivo-motori, gnosici, concettuali (che possono interferire con lo sviluppo di alcune funzioni cognitive) e problemi di tipo socio- comportamentale.

Negli stessi anni ‘70, anche Ayres (1972) mette in dubbio l’esclusione di deficit sensoriali, contrariamente agli studi di Gubbay. La nota fondatrice della teoria dell’integrazione sensoriale sottolinea, infatti, nella disabilità motoria mostrata da alcuni bambini, da lei osservati, la stretta interdipendenza tra sviluppo motorio e percettivo, descrivendo il disturbo come «disordine d’integrazione sensoriale» (soprattutto in relazione agli aspetti visivi e tattili), che interferisce con l’abilità di pianificazione/programmazione

15

ed esecuzione di compiti motori

«inusuali»

16

.

Successivamente, la scarsa plausibilità dei criteri «per esclusione»

(esclusione dei casi con disturbi intellettivi e dei casi che presentano altri segni neurologici, in particolare segni neuromotori della paralisi cerebrale, disturbi sensitivi o cerebellari) sembra trovare ulteriore conferma in uno studio condotto da Dewey e Kaplan (1992, 1994), attraverso il quale si individua non solo l’esistenza di diversi sottotipi di deficit motori fra i bambini etichettati come disprassici o goffi, ma si rileva anche l’associazione con disfunzioni percettivo-

15 Intese rispettivamente come previsione del risultato dell’azione e previsione degli schemi d’azione per il raggiungimento del risultato stesso.

16 Nonostante ciò, Ayres afferma che i bambini disprassici possono raggiungere, con la pratica, un alto livello di capacità in attività specifiche. Gli stessi aspetti sono stati presi in considerazione, successivamente, anche negli studi di altri Autori, i quali confermano nei bambini goffi la presenza di un deficit di percezione visuo-spaziale, che influenzerebbe la pianificazione dell’atto (Sabbadini 2005).

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motorie e percettivo-neurosensoriali. Da ciò deriva goffaggine nei movimenti grossolani (quelli cioè che coinvolgono tutto il corpo) e fini (quelli cioè che riguardano esclusivamente le capacità manuali) e una scrittura povera, nonché, in definitiva, la presenza di deficit marcati nelle abilità prassiche e nella gestualità (soprattutto di tipo rappresentazionale).

Anche Denckla e Roe ltgen (1992) avanzano l’ipotesi che disordini relativi all’esecuzione dei gesti siano attribuibili a problemi a livello d’integrazione percettivo-motoria nei primi stadi dello sviluppo, definendo la disprassia come un disordine della gestualità che può includere sia gesti rappresentazionali che non rappresentazionali.

Dewey (1995), da parte sua, definisce la disprassia come un disturbo evolutivo non dovuto a lesioni identificabili, che si traduce in un disordine della gestualità in bambini in cui risultano intatte le abilità motorie di base, anche se alcuni di loro presentano lievi deficit nelle abilità percettivo-motorie. Sono comunque esclusi soggetti con paralisi cerebrale.

Sabbadini (1995, 2005) descrive la disprassia evolutiva come «mancata acquisizione di un’attività intenzionale o acquisizione di strategie povere e stereotipate, con scarse soluzioni alternative e con scarsa capacità di trasferimento di strategie» (p. 29), quelle che contribuiscono in grande misura all’evoluzione del bambino.

Il bambino disprassico, secondo Sabbadini, ha difficoltà a «rappresentarsi»

mentalmente l’intera azione e gli aspetti che la compongono: il contesto, l’oggetto target su cui agire, il gesto e le sequenze dei movimenti (ordinati in serie e coordinati) necessari per realizzarla. Egli è, inoltre, scarsamente capace di avviare l’azione in vista di uno scopo, di prevederne il risultato (feed-forward), di controllarne lo svolgimento (feed-back), nonché di verificarne il risultato ottenuto come corrispondente a quello previsto e atteso (ibidem)

17

. Alla base del disturbo, Sabbadini ipotizza, quindi, un deficit di sviluppo di uno o più stadi relativi al meccanismo di feed-back . Tuttavia, l’esercizio e la pratica continuativa possono

17 Sabbadini (2005) sottolinea l’impossibilità di distinguere, nel corso dello sviluppo, gli aspetti motori da quelli percettivo-gnosici, in quanto la disprassia si presenta come un disturbo esecutivo a cui si associano disordini dello schema corporeo, dispercettivi, costruttivi e spaziali.

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consentire al soggetto di svolgere le attività della vita quotidiana senza grandi difficoltà.

In quest’ottica, emerge chiaramente in primo piano il circuito percezione- azione-cognizione, supportato dalle recenti teorie, di tipo interattivo-cognitivista, dell’Embodied Cognition

18

. L’ipotesi rivoluziona la tradizionale visione cognitivista, attribuendo all’azione un ruolo preponderante nello sviluppo dei processi cognitivi: la cognizione nasce ed evolve a partire dalla percezione del proprio essere (ai livelli motorio e percettivo) e del proprio corpo, che, quindi, non è solo il veicolo che esegue le azioni «dettate dalla mente», ma interagisce attivamente con l’ambiente circostante proprio come avviene, in termini piagetiani, per lo sviluppo sensomotorio. In questo senso, il corpo non solo permette l’interazione con l’ambiente, ma può anche limitarla, ponendosi come un ostacolo all’emergere della cognizione stessa.

Alla base di questo modello vi è la metacognizione (processo sul quale Sabbadini insiste), intesa come conoscenza-consapevolezza di sé, ossia come regolazione e autocontrollo dei propri stati interni e capacità di pianificare e coordinare il movimento con intenzionalità. Pertanto, la conoscenza è frutto dell ’interazione tra percezione e cognizione, cioè tra la capacità di percepire gli stimoli provenienti dall’ambiente esterno e la possibilità di agire in conseguenza a questi, in modo consapevole.

Ecco che la rappresentazione (o «immagine mentale») non è data semplicemente dalla sintesi percettiva di tutti i canali sensoriali, ma anche dagli aspetti della realtà che il cervello costruisce internamente e soggettivamente

19

.

18 Cfr. Gibbs 2005.

19Le rappresentazioni anticipano in maniera flessibile e dinamica l’interazione tra corpo e ambiente. Consentono così di programmare e preparare l’azione (Sabbadini 2005).

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9

I.2 La disprassia verbale

I.2.1 Precisazioni preliminari

La disprassia verbale è, come ho già detto precedentemente, una particolare forma di disprassia che si caratterizza per un deficit limitato ai movimenti finalizzati alla produzione del linguaggio, in assenza di deficit neuromuscolari a carico dell’apparato oro-bucco-facciale. Il bambino disprassico presenta, dunque, difficoltà nella pianificazione (identificazione e selezione di uno «schema motorio» astratto/rappresentazione fonologica), programmazione (traduzione della rappresentazione fonologica in specifici «gesti articolatori») ed esecuzione (realizzazione motoria dei gesti articolatori) dei movimenti articolatori necessari alla produzione di fonemi, suoni, sillabe e parole e alla loro organizzazione sequenziale. Il deficit nell’acquisizione del linguaggio si manifesta soprattutto a livello espressivo, ma può essere interessato anche il versante recettivo, ovviamente aprendo il problema complesso e aperto sul ruolo della produzione nella comprensione. Considerata la definizione generale che abbiamo fornito della sindrome, eventuali deficit di tipo uditivo non sono richiesti ai fini della diagnosi differenziale (Davis e Velleman 2000).

Più in generale, si parla di disprassia «orale» per riferirsi a una disprassia generalizzata dell’apparato bucco-fonatorio, che comporta disturbi specifici nella pianificazione ed esecuzione volontaria di movimenti fini del distretto orofacciale, i quali impediscono, in assenza di deficit muscolari o anomalie a carico dell’apparato fonatorio, di portare a buon fine un progetto motorio che riguardi l’oralità (per esempio, schioccare la lingua, protundere le labbra, ruotare la lingua intorno alle labbra, ecc.). Tale incapacità può manifestarsi sulla sfera alimentare (ovvero, il soggetto ha difficoltà a livello di abilità deglutitorie e di masticazione del cibo)

20

, oppure su quella più prettamente verbale (ovvero, il soggetto ha

20 Il bambino presenta in tal caso scialorrea, labbra e distretto oro-buccale ipotonici e la lingua riposa quasi costantemente sul pavimento della bocca. Egli appare incapace di utilizzare la bocca come mezzo di esplorazione degli oggetti e di parti del proprio corpo. Tuttavia, alcuni studi effettuati su infanti, come quelli di Moore e Ruark (1996), riportano che la coordinazione e il controllo motorio orale, necessario per la produzione dei suoni, sono separati e non emergenti

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10

difficoltà nella produzione degli atteggiamenti sequenziali fonoarticolatori). Ecco che, in quest’ultimo caso, si può parlare di disprassia unicamente verbale

21

. Tuttavia, i due quadri sindromici si trovano spesso associati

22

.

Come ho già in parte accennato, la patologia è stata interpretata da medici e studiosi, soprattutto a partire dalla mole di osservazioni cliniche e sperimentali degli anni ‘60 e ‘70 del secolo scorso, come un disturbo di apprendimento sequenziale da attribuire a un deficit di feed-back uditivo-cinestesico (Denckla 1973), inteso cioè come mancata associazione audio-cinestesica con conseguente difficoltà nell’articolazione motoria seriale dei suoni (Sabbadini 2005), in analogia con l’afasia cinestesica nell’adulto (Schuell 1966, Edwards 1973), descritta da Lurija. Si tratterebbe quindi di un disturbo soprattutto di tipo senso- motorio, caratterizzato, a livello di esperienze propriocettive, da un fallimento dei processi associativi che collegano le esperienze percettivo-uditive e motorie (Sabbadini G. e Sabbadini L. 1995).

Prima di addentrarci negli aspetti linguistici della patologia, è opportuno chiarire l’uso di alcune delle diverse espressioni che si possono incontrare nella descrizione del disturbo in termini fonetico-articolatori o, più in generale, linguistici. Tra le etichette più comunemente utilizzate nella letteratura internazionale troviamo Developmental Articulatory, Verbal Dyspraxia,

causalmente dai primi comportamenti motori orali legati all’alimentazione (per. es. succhiare e masticare). Conseguenza di ciò è l’opinione della scarsa efficacia di una terapia oro-motoria «non linguistica» al fine di un miglioramento sul piano della produzione linguistico-articolatoria (ASHA 2007).

21 G. Sabbadini e L. Sabbadini (1995) riportano che, solitamente, la disprassia verbale non si associa ad altre forme di disprassia, ad esclusione, appunto, di quella orale, il che favorisce l’ipotesi che si tratti di una peculiare forma di disprassia, con regole proprie.

22 S. Magnani (2012) ricorda che la produzione delle prime sequenze di suoni gutturali nasce dalla ricerca di un piacere della bocca, che trova le proprie origini nel primitivo soddisfacimento e piacere alimentare. Pertanto, la ricerca volontaria della stessa sensazione gratificante, spinge il neonato alla riproduzione delle medesime sequenze motorie. A sua volta, la piacevole (in senso psicopercettivo) emissione di suoni favorisce, nei bambini correttamente processanti le informazioni provenienti dall’esterno, l’elaborazione di nuove combinatorie. Si origina così, attraverso questa sorta di circolo causa-effetto, la «vocalizzazione gutturale» che precede la lallazione. È presumibile, quindi, che le limitate capacità fonoarticolatorie, l’ipotonia di tutto il distretto ecc. nel bambino aprassico causino una scarsa disponibilità a procurarsi piacere orale (nonché un debole rinforzo), sia sul piano alimentare che linguistico. Di conseguenza, questi tenderebbe a ridurre la produzione di suoni.

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11

Developmental Apraxia of Speech, Developmental Verbal Dyspraxia, Developmental Verbal Apraxia (le ultime due più recenti). In italiano l’espressione più frequente è Disprassia Verbale, spesso accompagnata dagli aggettivi congenita o evolutiva: il primo sottolinea la natura presumibilmente idiopatica del disturbo, di presunta origine genetica

23

e la cui origine risale quindi all’epoca perinatale; il secondo, già più volte menzionato, pone l’accento sul processo di maturazione neurobiologica del soggetto e, dunque, sulla manifestazione della patologia durante la crescita e lo sviluppo del bambino, che, rispetto ai coetanei, mostra particolare difficoltà nell’acquisizione di certe competenze e abilità. Inoltre, l’uso di speech, piuttosto che di verbal, riporta un’attenzione specifica per gli aspetti legati all’atteggiamento fonetico coarticolatorio. Infine, la scelta tra a-praxia e dys-praxia risponderebbe, nella terminologia medica, alla distinzione tra la mancanza totale di una funzione (prefisso a-), in taluni casi a specificare un disturbo più prettamente di tipo acquisito, e la sua non completa e corretta funzionalità (prefisso dys-). Si riportano, come esempio, le prime parole della definizione di Apraxia, riferita come perdita (o anche assenza congenita) delle abilità di eseguire movimenti e gesti, da parte del National Institute of Neurological Disorders and Stroke

24

, in cui si specifica “Apraxia (called «dyspraxia» if mild) […]”. I due termini, talora, sono sicuramente usati in modo confuso nella loro duplice accezione (origine del disturbo e severità del disturbo).

A nche all’interno del quadro disprassico linguistico specifico, la diagnosi di disprassia verbale risulta oggetto di ricche controversie per l’assenza di unanimità riguardo alle caratteristiche cliniche, all’eziologia, e alla definizione dei criteri diagnostici (Cfr. Davis et al. 1998, Guyette e Diedrich 1981). In particolare, si pone il problema della diagnosi differenziale, soprattutto con gli altri Speech Sound Disorders (Disturbo fonetico-fonologico), tra i quali il DSM-5

25

colloca il

23 Si esclude, di conseguenza, che i deficit siano acquisiti. Ovvero, essi non sono pervenuti a seguito di una malattia, di un trauma o di disturbo neurologico in bambini che hanno avuto un periodo di normale sviluppo.

24 www.ninds.nih.gov

25 American Psychiatric Association (2013), Diagnostic and statistical manual of mental disorders, Fifth Edition: DSM-5, pp. 44-45.

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disturbo oggetto del nostro interesse (riportandolo con il termine Verbal dyspraxia) e la disartria

26

. Attualmente, infatti, non è presente nella letteratura clinica una lista «validata» di tratti definitori della disprassia, che permettano di identificarla con assoluta certezza e chiarezza

27

.

A questo proposito, l’American Speech-Language-Hearing Association (2007), nota anche con l’acronimo ASHA, ha riunito una Commissione ad hoc, composta da specialisti esperti di patologia del linguaggio, per esaminare e inquadrare il disturbo in termini normativi. Il lavoro è stato svolto attraverso lo studio e l’analisi delle molteplici ricerche condotte sull’argomento sia in passato, sia in tempi più recenti. Il termine coniato per descrivere quella che, nel corso della mia trattazione, continuerò a chiamare disprassia verbale (evolutiva) è

«Childhood Apraxia of Speech» (CAS).

Secondo quanto riportato dalla Commissione, la scelta di questa etichetta, attualmente la più in uso nella letteratura anglofona, implica la presenza di caratteristiche fonetiche e prosodiche comuni ai bambini affetti da disprassia, prescindendo dalla sua origine (congenita o acquisita) e dall’eziologia specifica.

Pertanto, l’uso di CAS è preferito per lo studio, la valutazione e il trattamento di tutte le manifestazioni di aprassia verbale nel bambino.

L’ASHA (2007) propone la seguente definizione di CAS, sia tenendo in considerazione le molteplici posizioni sull’argomento, nonché le definizioni (oltre cinquanta) date nella letteratura clinica soprattutto nei dieci anni precedenti alla pubblicazione, sia tenendo in considerazione la necessità di revisione costante in seguito a nuove ricerche: «disordine neurologico dell’età evolutiva che coinvolge i suoni del linguaggio, compromettendo la precisione e la sistematicità dei movimenti articolatori, necessari per la loro produzione, in assenza di deficit

26 Si ricorda anticipatamente che la disartria è l’alterazione della capacità di articolazione dei fonemi dovuta a compromissione strutturale o che colpisce l’apparato articolatorio, per cui il soggetto ha anche difficoltà nell’esecuzione dei movimenti della muscolatura orale che non siano associati al linguaggio. Si includono disturbi, quali palatoschisi, disturbi muscolari, malattie dei nervi cranici, paralisi cerebrale che colpisce le strutture bulbari (American Psychiatric Association 2013, Diagnostic and statistical manual of mental disorders, Fifth Edition: DSM-5, pp. 820-821).

27 Cfr. par. I.2.2, Tab. I.1

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13

neuromuscolari (per es., anormalità dei riflessi e del tono muscolare); può verificarsi in seguito a danno neurologico identificabile (per es. ictus intrauterino, infezione o trauma neonatale), in comorbidità con disturbi neuropsicologici complessi di origine più o meno nota, o come disordine idiopatico»

28

.

Il contributo apportato dalla ricerca in materia soprattutto a partire dagli anni ‘60 e ‘70 del secolo scorso, grazie agli studi sperimentali condotti da medici e studiosi su pazienti presumibilmente affetti da disprassia, posti anche a confronto con pazienti con sviluppo normale e pazienti con disordini fonologici o bambini parlatori tardivi, in particolare su individui di lingua inglese, (soprattutto studio di serie di casi, studi trasversali su campioni di soggetti e referti clinici) hanno permesso di individuare una serie di caratteristiche linguistico-articolatorie e possibili segni sintomatologici, atti ad inquadrare in termini generali il disturbo disprassico, o, se non altro, a facilitarne la diagnosi e distinguerlo, sia pure con confini non ben definiti e rigidi, da disturbi simili.

I.2.2 Caratteristiche principali dell’eloquio nel bambino disprassico e comportamenti prassici associati

I disordini di produzione del linguaggio nel bambino disprassico si manifestano sin dagli esordi del percorso di acquisizione, per poi investire

«causalmente» i vari livelli della struttura linguistica, laddove il loro raggiungimento sia possibile.

Le tappe di sviluppo linguistico presentano caratteristiche peculiari, utili per la diagnosi differenziale. Oltre a manifestarsi in ritardo rispetto alla norma, seguono al loro interno una traiettoria atipica, in particolare per quanto riguarda l’ordine di acquisizione dei fonemi: ovvero, possono mancare alcuni dei primi foni acquisiti dai coetanei con sviluppo tipico ed essere contestualmente presenti foni di più tarda comparsa (Davis e Velleman 2000) . L’infante disprassico esibisce povertà o assenza di vocalizzi e gorgheggi e tardivo e/o scarso e/o poco variegato babbling (ASHA 2007, Aziz et al. 2010, Davis e Velleman 2000).

28 ASHA (2007), sec. 1.1.1 e sec. 1.1.2.

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14

Secondo quanto è stato evidenziato dalle ricerche cliniche, si manifesta il persistere della produzione esclusiva delle prime sillabe oltre il periodo che prevederebbe, invece, l’entrata di nuovi foni. Inoltre, il passaggio da una fase all’altra dello sviluppo linguistico (ovvero, lallazione→lallazione reduplicata e variata →fase olofrastica→fase combinatoria) avviene in ritardo rispetto alla norma, a causa della difficoltà a passare dal suono isolato alla sillaba e dalla sillaba alla parola.

Mentre nel bambino con sviluppo tipico la maturazione a livello neuromotorio e la pratica contribuiscono all’acquisizione di movimenti fini sempre più precisi e accurati e al miglioramento del meccanismo (co)articolatorio, con conseguente produzione di configurazioni fonologiche nuove e sempre più complesse (nonché incremento lessicale costante), nel bambino disprassico tali cambiamenti evolutivi non avvengono in maniera adeguata: si osservano, pertanto, difficoltà non solo nella produzione di alcune configurazioni e nelle transizioni articolatorie, ma anche nel mantenimento dei programmi motori per realizzarle («asistematicità»)

29

. Si riporta, ad esempio, la scarsa capacità a ripetere la stessa sillaba, quando viene richiesto di farlo in modo continuo e/o aumentando la velocità della produzione, oppure una sequenza di sillabe, in cui si modifica solo la consonante. A titolo esemplificativo, riporto il caso di un paziente, osservato durante la partecipazione a una seduta logopedica presso l’Istituto IRCCS Fondazione Stella Maris, che, in seguito alla richi esta dell’esaminatore di ripetere più volte la sillaba /pa/, produceva [pa pa ba pa ba pa pɑ po], ecc.; in seguito alla richiesta di ripetere in sequenza /pa/ /ta/ /ka/, produceva [ma pa ka ka]. Inoltre, la produzione rimane a lungo limitata alle sillabe che possono essere articolate senza cambiamenti complessi nella configurazione delle labbra o della lingua, con conseguenze sullo sviluppo fonologico

30

. Prevalgono le strutture:

consonante bilabiale + vocale bassa, coronale (alveolare o dentale) + vocale frontale alta, dorsale (velare) + vocale posteriore alta (ASHA 2007).

29 Si veda anche poco oltre.

30 Per un approfondimento si veda, per es., Green et al. (2000) circa l’influenza dello sviluppo motorio dell’apparato articolatorio (lingua, mandibola, labbra), nonché dei vincoli fisiologici, sull’acquisizione e sviluppo fonologico.

(15)

15

I processi di semplificazione fonotattica (quali, ad esempio, reduplicazione, armonia consonantica, cancellazione di consonante iniziale di parola, riduzione dei dittonghi, cancellazione della sillaba atona, ecc.), tipici del bambino con sviluppo normale alle prese con la produzione delle prime parole, anziché scomparire pian piano, si conservano nell’eloquio del disprassico (Davis e Velleman 2000, Velleman 2003).

Non solo le prime parole compaiono in ritardo (e anche il successivo incremento lessicale risulta difficoltoso, lento e scarso), ma vi è anche asincronia nell’ordine di acquisizione dei fonemi rispetto allo sviluppo tipico. Lo sviluppo del repertorio dei suoni è lento e faticoso, atipico e in ritardo rispetto all’ordine e ai tempi di acquisizione tipici, anche se il bambino viene regolarmente sottoposto a terapia logopedica (ASHA 2007), anche intensa (Shriberg et al. 1997a) . L’inventario fonologico risulta molto ridotto e scarsamente variato nella tipologia di consonanti (presenza prevalente di occlusive sorde) e vocali (ASHA 2007, Davis et al. 1998, Davis e Velleman 2000, Strand 2007); la produzione di vibranti, fricative e affricate è distorta o assente (Velleman 2003): si riporta, infatti, la difficoltà nel raggiungimento e mantenimento di specifiche configurazioni articolatorie (Strand 2007). Anche l’incremento del repertorio sillabico è in forte ritardo e difficoltoso.

Il bambino mostra difficoltà nel combinare i suoni (tra i quali possono intercorrere lunghe pause) in sillabe e in parole; nel collocare i gesti articolatori in un contesto articolatorio più lungo e complesso; nel mantenimento delle configurazioni articolatorie. Si osserva q uindi l’uso di un unico suono prolungato o di poche vocalizzazioni, con difficoltà nel passaggio dal suono isolato alla sillaba e dalla sillaba alla parola (disturbo nella coarticolazione). Il bambino disprassico semplifica le parole sostituendo i suoni difficili con altri più facili, o eliminando i suoni difficili

31

.

L’eloquio del bambino disprassico può essere compromesso, in misura variabile a seconda del grado di severità di organizzazione e pianificazione fono-

31 Questo atteggiamento è tipico del bambino nelle prime fasi di acquisizione del linguaggio.

La differenza nel bambino disprassico risiede nella maggior frequenza di tale modalità espressiva (ASHA 2007).

(16)

16

articolatoria, da mutismo, allorché non sia stata ancora avviata una terapia di tipo logopedico, a ipofluenza, a causa dei frequenti errori fonologici. Tra questi, ad esempio

32

:

DELEZIONE DI CONSONANTI

(soprattutto in posizione iniziale

33

),

DI VOCALI E DI SILLABE ATONE

(ASHA 2007, Aziz et al. 2010, Davis et al. 1998, Davis e Velleman 2000, Robin 2003, Strand 2007, Velleman 2003). Per esempio:

foca [ˈoːka]; banana [ˈmaːnːa]; mare [ˈmaːe]; forchetta [teˈta]; dentro [to];

pulita [ˈliːta];

SOSTITUZIONI

(Aziz et al. 2010, Robin 2003). Per esempio: ride [ˈri ˈje];

cielo [ˈtɛːlo]; foca [ˈjaːxa]; gallina [kiˈlːiːna]; mutande [ˈzaːtːe]; leone [ˈwᴐːne];

METATESI E MIGRAZIONI

(ASHA 2007, Velleman 2003). Per esempio:

lontano [ˈtaːla]; sacchetto [ˈka ˈ ̪ ːe ˈ ̪ ːo];

EPENTESI

(Robin 2003, Velleman 2003). P er esempio: busta [eˈbuːka];

acqua [ˈkonˈkwa]; bandiere [ˈba ˈnːe ˈlɛ ˈdi ˈe ˈre]; borsa [ˈmpoːrsa]; apre [eˈaːpe]; spinge [eˈpiː ːe];

ARMONIA CONSONANTICA E REDUPLICAZIONI

(ASHA 2007, Velleman 2003).

Per esempio: cane [kake]; gallina [ˌgalːiˈla]; mare [ˈma ˈme]; pettine [ˈpɛ ˈtːi ˈta]; lava [ˈvaːva]; ombrello [ˈlo ˈve ˈlːe].;

DISTORSIONI FONEMICHE VOCALICHE E CONSONANTICHE

(ASHA 2007, Davis et al. 1998, Davis e Velleman 2000, Gibbon 2002, Robin 2003, Strand

32 Gli esempi riportati per ciascun processo fonologico, sotto indicato, rientrano fra quelli da me evidenziati durante lo svolgimento delle prove, rintracciabili nelle tabelle dedicate alla raccolta dei dati sperimentali.

33 Si evidenziano fenomeni di omissione di sillabe soprattutto in posizione iniziale di parola.

Al contrario, Aziz e collaboratori (2010) riferiscono la cancellazione quasi esclusiva della consonante in posizione finale di parola nei bambini disprassici parlanti arabo. Tale dato differisce in parte da quello degli stessi parlanti affetti da altri disordini fonologici, nei quali l’omissione delle consonanti si verifica in differenti posizioni all’interno delle parole. Tuttavia, la presenza del primo dato, come una delle caratteristiche peculiari del disturbo oggetto del nostro lavoro, necessiterebbe di essere corroborata attraverso uno studio fonetico-fonologico della lingua araba.

Inoltre, poiché la delezione delle consonanti è presente sia in posizione iniziale che finale delle parole, è probabile che la percentuale del verificarsi di un processo o dell’altro, varii anche a seconda della lingua. Si veda, ad esempio, la lingua inglese, che è ricca di parole che terminano con un suono consonantico, versus la lingua italiana, dove ve ne sono pochissime. La mancanza di studi cross linguistici rende difficile considerazioni di carattere generale.

(17)

17

2007, Velleman 2003). Per esempio: vuota [ˈvɑːta]; gallina [g ̪aˈlːiːna];

lunga [ˈl̼uːn̼ːa];

Nel complesso, dunque, l’eloquio del bambino disprassico risulta scarsamente intelligibile, nei casi più gravi in maniera forte e a lungo persistente, nonostante un intenso trattamento logopedico (Davis e Velleman 2000). Ciò è dovuto a: presenza diffusa di fonemi atipici (in quanto realizzati con uno scorretto contatto degli organi articolatori) e/o non appartenenti alla lingua target (per esempio, nei casi da me osservati, soprattutto suoni interdentali e apicolabiali)

34

nonché difficili da identificare per un orecchio poco esperto; elevato numero di produzioni idiosincratiche (nei casi da me osservati, si riporta, per esempio, foca˃[ˈjaːxa] e mutande˃[ˈzaːtːe]) e presenza pervasiva e abbondante dei cosiddetti fenomeni della variabilità (o erraticità) e asistematicità [ASHA 2007, Davis et al. 1998, Davis e Velleman 2000, Strand 2007] (con conseguente imprevedibilità di errori), per cui un dato fonema target è spesso realizzato in modi differenti (variabilità) nella produzione multipla di una stessa sillaba, parola o frase (token-to-token variability) [Marquardt et al. 2004], oppure nella produzione di parole diverse sia nel medesimo contesto fonico

35

che, più spesso (Robin 2003), in posizioni o contesti diversi (asistematicità)

36

. Si vedano i seguenti esempi in inglese di ripetizione multipla della stessa parola: pen˃fen, then, shen, cren; pen˃fen, pef, pof; fish˃pish, pit, fit, shiff; fish˃pish, pit, fit, shiff.

La difficoltà nell’esecuzione volontaria dei movimenti oro-articolatori, finalizzati alla produzione linguistica, danno spesso vita all’interno dell’eloquio del disprassico al fenomeno del groping (inteso nel suo significato figurato di

«procedere a tentoni») [Davis e Velleman 2000, Strand 2007]: l’impressione che riceve l’ascoltatore è quella di un eloquio stentato di un parlante che si sforza di produrre suoni e allo stesso tempo li «trattiene». Per esempio, in un caso da me

34 Si vedano le tabelle dedicate alla raccolta dei dati sperimentali.

35 Si parla in questo caso di «coerenza» e/o ricorrenza nel tipo e/o contesto di produzione dell’errore.

36 Cfr. Robin 2003.

(18)

18

osservato, il pazient e, nello sforzo di pronunciare “gioca” produce [ˌʝᴐˈjaː ˈi ˈi ˈjᴐː]. In realtà si tratta di un’articolazione «silenziosa» che consiste in una ricerca continua e faticosa dei punti di articolazione dei fonemi, della posturazione e coordinazione corretta di labbra, lingua e mascella, senza però concorrente fonazione. Inoltre, il soggetto tende spesso a procedere per tentativi ripetuti di esecuzione di un pattern articolatorio scorretto, perseverando negli errori (procedimento per tentativi ed errore). La difficoltà maggiore si presenta, di conseguenza, maggiormente nella produzione di parole lunghe e complesse o a bassa frequenza d’uso.

Nei casi più lievi o moderati di disprassia, in cui il bambino può raggiungere livelli più alti della struttura del linguaggio, i disordini si ripercuotono anche in ambito morfosintattico e sintattico (Ekelman e Aram 1983) nella produzione sequenziale delle parole e di enunciati più lunghi e strutturalmente più complessi (Davis e Velleman 2000). La morfosintassi risulta agrammatica e spesso gli elementi funzionali sono omessi o collocati in modo scorretto all’interno della frase (ASHA 2007, Davis e Velleman 2000, Velleman 2003). Anche l’ordine dei costituenti può risultare non pertinente alle strutture sintattiche previste dalla lingua target. La lunghezza media del l’enunciato (LME) risulta spesso ridotta rispetto all’età cronologica e/o mentale (Velleman 2003). L’eloquio si caratterizza principalmente come: disprosodico, per assenza di controllo della durata temporale delle vocali e, da un punto di vista motorio, per scarsa forza e durata dei muscoli linguali, ovvero tempo del loro utilizzo ad un certo punto di forza per un dato periodo di tempo (cfr. Murdoch et al. 1995)

37

, con conseguenti errori soprattutto nell’assegnazione dell’accento lessicale e frasale

38

; disarmonico e monotòno (ASHA 2007, Davis et al. 1998, Munson et al. 2003, Strand 2007);

alterato nel ritmo e nella velocità. Si percepiscono frequentemente transizioni coarticolatorie prolungate e/o interrotte da lunghe pause, cosicché suoni, sillabe e

37 Tale dato risulta discordante con la definizione di «disprassia verbale», in cui si riporta l’assenza di deficit di tipo neuro-muscolare. Si potrebbe, dunque, presumere che l’ipotonia e la debolezza della muscolatura linguale sia una conseguenza del deficit di controllo motorio volontario, il quale non permette al soggetto di esercitare la muscolatura dell’organo deputato.

38 Per approfondimenti si veda Shriberg et al.1997b, c.

(19)

19

parole risultano prodotte come entità indipendenti all’interno dell’enunciato e l’impressione che se ne ricava è quella di un eloquio «discontinuo», «staccato».

Si descrive, inoltre, la difficoltà di prolungamento temporale di consonanti fricative e della ripetizione su richiesta di sequenze trisillabiche (Thoonen et al.

1996). Velleman (2003), riferisce, ad esempio, la scarsa capacità d’imitazione spontanea di nessi sillabici.

Tra le difficoltà riscontrate con l’inizio della scuola, vi sono quelle relative all’apprendimento della letto-scrittura, alla produzione di rime e a compiti di tipo metafonologico: compitare, segmentare, identificare il numero di sillabe in una parola, distinguere tra consonanti e vocali, ecc. (Lewis et al. 2004, Velleman 2003, ASHA 2007, Marquardt et al. 2002).

Segmentare una parola significa pronunciarla lentamente, riflettendo consapevolmente su ogni segmento. La difficoltà nel disprassico del controllo volontario dei movimenti oro-motori ostacola la conversione grafema-fonema (deficit analogo a quello del soggetto affetto da dislessia fonologica), nonché l’abilità di lettura. Di conseguenza, il problema si presenta anche con le non- parole, la cui ripetizione si presenta piuttosto deficitaria a causa della difficoltà di rappresentarsi e mantenere un programma motorio per l’articolazione delle nuove parole (Lewis et al. 2004, Snowling e Stackhouse 1983).

Chiaramente, nella disprassia verbale la capacità di espressione verbale è altamente compromessa. Tuttavia, in un’alta percentuale di casi anche la comprensione, benché solitamente descritta come migliore della produzione (Aziz et al. 2010, Davis e Velleman 2000), risulta deficitaria. La comprensione del linguaggio stricto sensu, cioè decontestualizzato, è presente soprattutto a livello fonologico, morfologico e sintattico. N umerosi studi suggeriscono l’ipotesi che il bambino disprassico abbia deficit di percezione e di discriminazione acustica (per es., di rime, o tra alcune vocali e consonanti, relativamente al luogo di articolazione) [Maassen et al. 2003, Marion et al. 1993] e/o di memoria uditiva (ASHA 2007).

La difficoltà sia nella pianificazione e realizzazione delle parole, sia nella

pianificazione e formulazione di frasi spinge spesso il bambino disprassico al

(20)

20

ricorso frequente a gestualità e mimica, anche coverbali, per supportare la carenza o assenza di parole

39

.

Come ho già accennato all’inizio di questo capitolo, caratteristica tipica del bambino disprassico è la dissociazione automatico-volontaria: il soggetto è cioè incapace talora di produrre in maniera volontaria (in situazioni decontestualizzate o su richiesta) suoni che invece è capace di produrre automaticamente e in modo spontaneo. Anche l’abilità prassica orofacciale intenzionale, non finalizzata all’articolazione dei suoni, risulta compromessa: il soggetto ha infatti difficoltà anche nella pianificazione ed esecuzione di movimenti e/o sequenze di movimenti, privi di senso (per es. schioccare la lingua, oppure gonfiare le guance e poi soffiare con il naso) o aventi un significato (per es. mandare un bacio, oppure mandare un bacio e poi sorridere), di tipo imitativo o su richiesta, con i muscoli del distretto orofacciale (Aram e Horwitz 1983, Bearzotti e Fabbro 2003, Dewey et al. 1988). A tal proposito, si ricorda che il disturbo di tipo sequenziale può manifestarsi anche sul piano dell’organizzazione temporo-spaziale di tipo non verbale, ad esempio, nell’organizzazione di una storia in sequenza figurata, nella pianificazione di schemi di gioco e attività prassico-costruttive (Aram e Horwitz 1983, Davis e Velleman 2000).

Oltre alla compresenza di disprassia verbale e orale, alcuni test sulle prassie rilevano anche la possibilità di una disprassia generalizzata degli arti, in particolare di tipo sequenziale (Dewey et al. 1988). A tal proposito, in accordo con quanto sopra detto, si deve anche notare che i risultati delle prove sull’esecuzione di gesti transitivi (con o senza la manipolazione dell’oggetto) e intransitivi risultano migliori su imitazione che su comando verbale. Inoltre, l’utilizzo dell’oggetto «reale» favorisce la performance, sottolineando così la maggiore capacità del disprassico nell’esecuzione di prassie in situazioni di tipo contestualizzato (Dewey 1991, Dewey e Kaplan 1992, Dewey et al. 1988).

Di seguito si propone un confronto tra le principali caratteristiche della disprassia, della disartria e del disturbo fonologico che possono aiutare a stabilire

39 Un’ampia bibliografia sul tema è presentata nel prossimo capitolo, il cui argomento principe è la gestualità.

(21)

21

la diagnosi differenziale, similmente a quanto riportato da The Childhood Apraxia of Speech Association of North America (CASANA)

40

.

Disprassia verbale Disartria Disordine fonologico Eziologia Disturbo neurologico

che si verifica in seguito a danno neurologico

identificabile (per es.

ictus intrauterino, infezione o trauma neonatale), in comorbidità con disturbi

neuropsicologici complessi di origine più o meno nota, o come disordine di natura idiopatica di presunta origine genetica.

Alterazione della funzione articolatoria, fonatoria e

dell’attività respiratoria, causata da danno cerebrale o ictus.

Alterazione della capacità di articolazione dei fonemi dovuta a disordine di natura idiopatica di possibile origine genetica.

Componente fisiologica e controllo motorio

Assenza di deficit neuromuscolari a carico dell’apparato oro-bucco-facciale.

La difficoltà di controllo oro-motorio volontario è

prettamente a carico dei movimenti deputati

all’articolazione del linguaggio. Si ricorda ancora una volta la presenza della

«dissociazione automatico- volontaria»

(performance di tipo spontaneo e/o automatizzato vs.

performance su richiesta). Solo nel caso in cui la patologia si associ a disprassia orale, il deficit può riguardare anche i movimenti oro-bucco-facciali involontari (per es.,

Ridotta forza e capacità di coordinazione dei movimenti della muscolatura orale (oltre che di quelli non associati al linguaggio) con conseguente difficoltà di controllo motorio involontario nella masticazione, deglutizione, ecc.

Assenza di debolezza, incoordinazione o paralisi dell’apparato oro-bucco-facciale, nonché di controllo motorio involontario nella masticazione, deglutizione, ecc.

40 http://www.apraxia-kids.org

(22)

22

deglutizione, masticazione, ecc.) Performance

articolatorie e tipologia di errori

Performance

articolatorie altamente imprevedibili, in quanto variabili, inconsistenti e idiosincratiche. Errori fonologici altamente frequenti: sostituzioni, cancellazioni

(consonantiche, vocaliche e

sillabiche), soprattutto in posizione iniziale, e distorsioni fonemiche, ma anche metatesi, migrazioni, epentesi, armonia consonantica, omissioni.

Imprecisioni articolatorie, ma errori solitamente costanti e prevedibili, caratterizzati

soprattutto da omissioni e, più tipicamente, da distorsioni.

Errori costanti, raggruppabili in categorie (fronting, stopping, ecc.), come sostituzioni,

cancellazioni, soprattutto in posizione finale41, distorsioni, ecc.

Livello

soprasegmentale Eloquio disprosodico, caratterizzato da alterazioni della velocità, ritmo e accentazione, sebbene si registrino tentativi di aggiustamento (cfr.

Nijland, Maassen e van der Meulen 2003).

Alterazioni nella velocità, nel ritmo e nell’accentazione dell’eloquio con interruzioni e qualità della voce (rauca, aspra, nasale) correlate al tipo di disartria (flaccida o spastica).

Scarse alterazioni nella velocità, nel ritmo e

nell’accentazione dell’eloquio.

Componente espressiva vs componente recettiva

Discrepanza significativa tra competenza

linguistica espressiva (migliore) e recettiva.

Possibile discrepanza tra espressione e comprensione linguistica.

Possibile discrepanza tra espressione e comprensione linguistica.

Deficit a cui si riconduce la patologia

Deficit di pianificazione, programmazione ed esecuzione dei movimenti articolatori (nella fattispecie, di tipo volontario) necessari alla

produzione di fonemi, suoni, sillabe e parole e alla loro

organizzazione sequenziale.

Disturbo di tipo motorio: mancanza di tono e forza e coordinazione alterata relativamente alla muscolatura del viso, della bocca e dell’apparato respiratorio.

Deficit di acquisizione e maturazione, nonché di accesso (e/o di recupero) alle rappresentazioni fonologiche («schema motorio» astratto dei fonemi).

Tab. I.1

41 Contrariamente a questo dato, Aziz e collaboratori (2010) riferiscono la cancellazione di consonanti in posizioni diverse all’interno delle parole.

(23)

23 I.2.3 Ipotesi sulla natura del disturbo

L’incidenza di disprassia verbale è riferita maggiore nel sesso maschile, con un rapporto approssimativo maschio: femmina di 3:1/4:1 (Gibbs et al. 2007).

Una stima epidemiologica preliminare, basata unicamente su dati di natura clinica, riferisce una presunta prevalenza di disprassia verbale pari a circa uno/due bambini su mille (Shriberg et al. 1997a), il che rende difficile la conduzione di studi su larga scala (ASHA 2007). Un altro punto a sfavore che non consente ricerche mirate sulla patolog ia è dato dall’eterogeneità dei bambini affetti dal disturbo, dovuta sia alla comorbidità con altri disordini

42

, ma anche, più in generale, alle differenze individuali riguardo ai comportamenti e alle strategie di tipo compensatorio. I profili comportamentali associati con il disturbo sono, inoltre, soggetti a variabilità sia a livello inter-individuale che, in diversi momenti dello sviluppo, a livello intra-individuale (Velleman 2003, ASHA 2007).

Si considerino, altresì, le controversie, che ho già menzionato, presenti in ambito clinico e sperimentale in merito all’eziologia e alla diagnosi differenziale di disprassia verbale, esito probabile dei diversi filoni di ricerca (cfr. Davis et al.

1998). I deficit sottostanti alla sintomatologia (nella fattispecie, la compromissione della componente espressiva) sono principalmente attribuiti a:

- un disordine di controllo motorio (inteso come capacità del sistema nervoso di governare il movimento), per cui risultano compromessi i processi coinvolti nella pianificazione e programmazione delle proprietà spazio-temporali delle sequenze di movimenti fini degli organi del distretto oro-bucco-facciale (laringe, labbra, lingua, palato) finalizzati alla produzione del linguaggio (Nijland et al.

2003, Strand 2007). Si verifica, quindi, un’interruzione nella trasmissione dell’informazione dal cervello ai muscoli oro-buccali. Il bambino sa quello che vuole dire, ma il suo cervello ha difficoltà a coordinare in modo volontario i movimenti muscolari necessari per pronunciare quelle parole. La difficoltà primaria del bambino disprassico, sottostante al problema di esecuzione

42 Si vedano i paragrafi precedenti.

(24)

24

dell’azione, è, infatti, sempre associata a quella di rappresentarsi ‘mentalmente’ il corretto programma da eseguire (cfr. Sabbadini 2005).

Una prova a sostegno di tale ipotesi è fornita, ad esempio, da uno studio sperimentale condotto da Nijland e collaboratori (2003) mediante il blocco del morso, dal quale risulta che nei bambini disprassici, diversamente dai parlanti privi di deficit, il fenomeno di «naturale» compensazione articolatoria (indice di un processo di programmazione motoria in atto) non si verifica. Altresì, si ipotizza che la migliore qualità dell’output in tale condizione sia data dalla limitazione dell’eccessivo movimento (nonché controllo motorio) degli organi articolatori.

Altri studi (cfr. Terband e Maassen 2010) attribuiscono il disturbo nella generazione di comandi linguistico-motori a uno scarso controllo di tipo

«previsionale» (feedforward) delle traiettorie articolatorie, necessarie alla produzione del target uditivo desiderato, ossia, in altre parole, a un deficit nell’acquisizione dei comandi motori finalizzati al linguaggio, che renderebbe conto dei numerosi errori di distorsione, delle difficoltà di coarticolazione, del fenomeno del groping, ma soprattutto della variabilità delle produzioni (Maassen et al. 2010).

Alla base di tali problematiche si ipotizzano: una ridotta sensibilità nella zona orale, che inciderebbe negativamente sul babbling e, causalmente, sugli stadi successivi dello sviluppo linguistico; oppure un eccessivo rumore neuronale

43

, che impedirebbe di controllare il movimento, o meglio, di anticipare (cioè pianificare/prevedere) adeguatamente la traiettoria del movimento e minimizzarne la variabilità. Nel nostro caso specifico, si assisterebbe alla mancata realizzazione di movimenti orali precisi e raffinati (Terband e Maassen 2010

,

Wolpert 2011);

- un impoverimento del sistema di rappresentazione fonologico/lessicale che incide sulle unità di livello segmentale e soprasegmentale, precedentemente

43 Il «rumore neuronale» è il risultato delle interazioni casuali elettriche intrinseche tra i singoli neuroni. Tale «rumore» rappresenta la reazione sensoriale ai comandi che il cervello invia agli organi e ha un ruolo chiave per la formazione corretta delle «strade» di comunicazione tra i neuroni, cioè per la rilevazione e/o trasmissione del segnale nervoso (Harris e Wolpert 1998, Wolpert 2011).

(25)

25

discusse (Davis et al. 1998, Marquardt et al. 2004, Marquardt et al. 2002, Munson et al. 2003, Shriberg et al. 1997a, Strand 2007, Thoonen et al. 1996) e che renderebbe conto dell’uso inappropriato dell’accento lessicale e frasale, della discriminazione e creazione di rime, nonché di una scarsa competenza metafonologica in generale;

- un deficit nell’elaborazione sequenziale (Aram e Horwitz 1983, Aziz et al.

2010, Davis e Velleman 2000, Velleman 2003) che incide sullo sviluppo fonologico e linguistico in generale (cfr. Peter et al. 2013);

- una serie di deficit che vanno dalla pianificazione all’esecuzione dei movimenti oro-motori; in particolare, il disturbo a livello sensomotorio interferirebbe con l’acquisizione motoria dei movimenti articolatori, incidendo sui processi fonologici (Crary 1984, Terband e Maassen 2010). A tal proposito si sottolinea la necessità di un approccio parallelo agli aspetti linguistici e motori (cfr. Le Normand et al. 2000, Sabbadini 2005, Velleman 2003).

Relativamente all’eziologia della disprassia verbale, molti studi ipotizzano

un’origine di tipo genetico: mutazioni identificate a carico del gene FOXP2 e di

quello strettamente correlato FOXP1 (cfr. Lai et al. 2001, Vernes et al. 2009)

sono state individuate in un numero rilevante di bambini appartenenti a una

famiglia inglese (studiata su tre generazioni), nota come KE, con disturbi

dell’articolazione fonologica e un quadro clinico dominato da una disprassia

verbale, alla quale si associavano altri sintomi di ordine linguistico. Nella

fattispecie, si evidenziavano difficoltà nell’organizzazione e sequenzialità di

movimenti orali finalizzati al linguaggio. Tuttavia, come riporta l’American

Speech-Language-Hearing Association (2007), nonostante la rilevanza del gene

FOXP2 nelle forme gravi di disprassia verbale, sembra comunque improbabile

che tali mutazioni genetiche rappresentino un fattore di rischio generale su forme

geneticamente complesse di disturbo del linguaggio, in quanto si presume una

loro scarsa presenza nei bambini con disprassia verbale (circa il 2%)

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