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Quesiti peritali e deontologia professionale

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Academic year: 2022

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Dr. Domenico Ruggeri Medico Legale, Roma

Quesiti peritali e deontologia professionale

Peripezie di un Consulente di Parte convenuta

Nella complessa problematica concernente la natura dei quesiti che il magistrato pone al medico legale, al quale affida il compito di valutare il danno fisiopsichico residuato al taluno da fatto illecito altrui, probabilmente le considerazioni che verrò esponendo potranno apparire non del tutto pertinenti.

Mi lusingo, pur tuttavia, di poter dimostrare che alcune precisazioni - nei termini e nei modi che il magistrato riterrà più opportuni - nell’enunciazione dei quesiti stessi sarebbero idonei ad evitare, almeno in parte, gli inconvenienti che mi accingo ad illustrare. Ritengo comunque (sempre che mi sia concesso un breve inciso polemico) che lo spessore della competenza “professionale” di un numero non ristretto di Consulenti d’Ufficio sia tale da far dubitare sulla reale ed integrale comprensione da parte degli stessi, dei quesiti “scientifici” e “medico legali”, mentre lascia sufficientemente tranquilli sulla capacità di recepire precise disposizioni di ordine “procedurale”.

“... e termino pertanto con la preghiera, rivolta al Ch.mo Avvocato che mi ha nominato consulente di parte convenuta ed alla Compagnia Assicuratrice comune cliente, di valutare l’opportunità di informare l’Ecc.mo Magistrato Istruttore del contenuto della presente, in quanto, a mio avviso, sussistono nella fattispecie elementi tali da configurare inosservanza - oltre che delle più elementari norme deontologiche e di quelle della civile educazione - anche e soprattutto delle disposizioni procedurali in tema di consulenza tecnica d’ufficio”.

Con parole simili terminano - in non pochissimi casi - le mie relazioni medico legali, illustranti le modalità della partecipazione alle operazioni di consulenza d’ufficio.

In esse si legge spesso anche che se forse l’On. Bossi sbaglia quando parla di Roma ladrona, probabilmente non si distaccherebbe sostanzialmente dalla verità se parlasse di Roma cafona; non infrequente, nelle relazioni stesse, l’accenno accorato alle defatiganti e sempre dispendiose peregrinazioni del consulente di parte convenuta, il quale, dopo aver programmato i propri impegni quotidiani, affronta gli stressanti spostamenti nel malefico traffico romano, per constatare infine la totale inutilità del viaggio.

Tutto ciò è noto ai fiduciari ed ai consulenti medici di tutte le età, i quali, quando (a Roma) ricevono la lettera con la quale viene loro resa nota l’avvenuta nomina, constatano che (naturalmente) lo studio del CTU è situato all’estremo opposto della città (quando non in Comuni limitrofi) e l’orario è fissato per il tardo pomeriggio, cioè quando il traffico è più caotico. Giungono i malcapitati, nello studio del CTU e apprendono che, ancora una volta, sono incappati in quel 30%- 40% di casi nei quali le operazioni peritali non si iniziano, né si può prevedere che inizieranno mai.

Voglio descrivere tre casi che mi sembrano emblematici, riservandomi di illustrare nel prosieguo i motivi per i quali, sempre a mio sommesso avviso, i consulenti d’ufficio, i consulenti di parte attrice, i funzionari liquidatori della Compagnia, gli avvocati fiduciari delle medesime e (forse) gli stessi magistrati, potrebbero contribuire, ciascuno per la propria parte, a ristabilire un clima più civile e più rispettoso delle norme che il Codice di Procedura Civile prescrivono.

Mi permetto di riportare ampi stralci delle relazioni riguardanti le due relazioni dei casi sopra menzionati.

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CASO N° 1

“ ... Omissis. Premetto che, qualche minuto pria delle ore 15.00, ora fissata dal CTU, si è presentata la Perizianda, accompagnata dalla madre e - d’accordo con me che ero già presente - il CTU ha ritenuto di dare inizio alle operazioni, in attesa dell’arrivo del consulente di parte attrice, procedendo alla identificazione della Perizianda e raccogliendone l’anamnesi.

La P., la quale ha negato patologie pregresse di natura traumatica, ha riferito che il giorno ...

mentre era alla guida di un motorino, veniva a collisione con auto che la precedeva sulla sinistra e che improvvisamente sterzava a destra, tagliandole la strada. Per effetto della collisione la P.

perdeva il controllo del mezzo e cadeva a terra, strisciando sull’asfalto con la parte sinistra del corpo.

Soccorsa e portata all’Ospedale ... veniva riscontrata affetta, come si legge nel relativo referto da

“contusione escoriata avambraccio sinistro, gamba sinistra e dorso piede sinistro; contusione abrasa eminenza tenar destra” e giudicata guaribile in 4 giorni. Nel documento veniva menzionata l’esecuzione di una radiografia del dorso del piede sinistro e di una consulenza cardiologica, praticata quest’ultima, a quanto ha riferito la P., a sua richiesta, a motivo di intervenuta tachicardia, accompagnata da agitazione psichica; entrambi gli accertamenti risultavano negativi per lesioni traumatiche.

E’ opportuno a questo punto precisare che la P. era giunta priva della documentazione che avrebbe dovuto essere portata (come in effetti avveniva e vedremo con quali risultati ...) dal suo consulente di parte.

Io ero in possesso del sopra riportato referto, che ho mostrato al CTU, unitamente alla fotocopia di un certificato, redatto il 13 giugno 1994, dal Dr. ..., Specialista in Ortopedia, il quale attestava il riscontro di “contusioni multiple all’avambraccio, gamba e spalla sinistra, con persistente limitazione funzionale, artralgia alla abduzione ed elevazione dell’arto superiore sinistro;

escoriazioni diffuse all’emisoma sinistro e mano destra” e consigliava ulteriori 15 giorni di riposo e cure.

Come si vede, nei due documenti (che se fossero gli unici depositati in Cancelleria non dovrebbero consentire, senza l’esplicita autorizzazione del Magistrato Istruttore - almeno secondo il

“nuovo rito” - l’acquisizione, da parte del CTU di altra documentazione) si parla sempre e solamente di lesione agli arti della parte sinistra e vedremo che ciò riveste particolare rilevanza.

La P. ha riferito che, dopo qualche mese, a motivo della persistente dolenzia e limitazione funzionale della caviglia sinistra, che la costringevano a forzare sull’arto inferiore controlaterale, cioè il destro, riportava a quest’ultimo livello, ripetuti episodi distorsivi della caviglia, che comportavano, in due occasioni, il ricorso al Pronto Soccorso con l’applicazione di fasciatura alla colla di zinco, portata per qualche settimana; allo stato attuale la P., che riferiva di aver praticato cicli di fisiokinesiterapia e di essere sotto costante controllo specialistico a motivo di persistenti lesioni legamentose della caviglia destra, non lamentava postumi di sorta alla caviglia sinistra e di ciò prendeva debitamente nota il consulente d’ufficio.

Prima che il CTU procedesse alla visita giungeva, verso le ore 15.15, il consulente di parte attrice - è noto, per inciso, che il CTU non era al corrente della avvenuta nomina (sempre che quest’ultima sia stata effettivamente formalizzata) di quest’ultimo - ma non ha ritenuto di esprimere riserve sulla sua partecipazione alle operazioni peritali.

Il consulente di parte attrice, ovviamente ignaro di quanto appena riferito dalla sua assistita, iniziava ad illustrare il caso, comunicando di essere intervenuto, in qualità di curante, alla fine del giugno 1994 e di aver, da allora, curato la P. per patologia post-traumatica alla caviglia sinistra, rilasciando relativa certificazione.

Ho ritenuto doveroso fargli presente che il racconto della P., la quale non aveva mai accennato ad intervento quale medico curante dell’attuale consulente di parte attrice, era di tutt’altro tenore ed ho chiesto in proposito conferma di ciò sia al CTU, sia alla Perizianda stessa ed alla madre, le quali

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hanno confermato il mio racconto, anche se la madre ha - peraltro debolmente - obiettato che “forse la caviglia le faceva male anche a sinistra”.

Il CT di parte attrice ha smentito decisamente la sua assistita, dicendo che lei evidentemente non ricordava bene e che comunque avrebbe dovuto attendere l’arrivo del proprio consulente, senza rilasciare al CTU ed al consulente di parte convenuta, dichiarazioni da lui non autorizzate, dichiarazioni che avrebbero potuto essere “manipolate” dal consulente d’ufficio e dal sottoscritto.

Considerando l’aspetto francamente penoso che aveva assunto la situazione, ho ritenuto di non dovermi trattenere oltre e me ne sono andato, accompagnato alla porta dal CTU, il quale si è detto dispiaciuto ed al quale ho comunicato che avrei atteso sue notizie, o il deposito dell’elaborato peritale, se e quando lo avesse redatto.

Mi è sembrato opportuno illustrare esaurientemente, anche se la cosa mi è riuscita sgradita, il risultato di uno spiacevole incontro di fine estate con un incolpevole ed imbarazzato CTU, una ignara Perizianda ed un inqualificabile (ed inqualificato) consulente di parte attrice.

Ritengo in ogni caso che - al di là dell’evoluzione della consulenza d’ufficio - sussistono elementi tali (mancato deposito nei termini della documentazione da parte dell’attrice in Cancelleria, mancata - od intempestiva od irrituale - nomina del consulente di parte attrice) da configurarne - stando a quello che è l’orientamento dei magistrati di alcune Sezioni del Tribunale di Roma, la nullità e la conseguente necessità del rinnovo”.

Sono trascorsi dai fatti teste’ descritti circa sei mesi, ma non ho finora avuto notizia sull’evoluzione del caso né dal CTU, né dal legale della Compagnia, né dalla Compagnia stessa.

CASO N° 2

“ ... Omissis. Alle ore 12.00 del 6 c.m. mi sono recato presso lo studio del CTU, il quale mi ha immediatamente comunicato che la Perizianda non sarebbe comparsa e ciò perché il suo consulente di parte, impossibilitato - per propri personali motivi - a presenziare alle operazioni peritali, aveva

“vivamente sconsigliato” la Perizianda stessa a presentarsi senza essere assistita da lui.

A rendere più grottesca la vicenda, il CTU mi ha raccontato che qualche giorno prima la Perizianda gli aveva telefonato, comunicandogli appunto che, a motivo della deprecata indisponibilità del proprio “angelo custode” si vedeva costretta a “rinviare” l’appuntamento con il consulente d’ufficio il quale - ovviamente - aveva fatto presente alla Perizianda che l’incarico conferito a lui dal Magistrato non comportava l’obbligatorietà della presenza del consulente di parte attrice, il quale avrebbe potuto consegnare alla propria assistita una relazione, il cui contenuto avrebbe potuto illustrare successivamente al CTU; apparentemente convinta, la Perizianda aveva assicurato che si sarebbe regolarmente presentata.

Nella mattinata del giorno fissato, circa due ore prima dell’inizio delle operazioni, il CTU riceveva una telefonata da parte del patrocinatore legale della Perizianda, il quale si diceva rammaricato di dover comunicare che - avendo il consulente di parte ribadito la necessità della propria presenza, la Perizianda non si sarebbe presentata; alla giustificata e naturale deplorazione del CTU il quale faceva presente che - oltretutto - la parte convenuta aveva nominato un proprio consulente di parte (che era, nella fattispecie, il malcapitato sottoscritto) il legale aveva assicurato di aver telegraficamente avvisato tutti gli interessati ed effettivamente un telegramma è stato fatto, peraltro due ore dopo la telefonata dell’avvocato.

Ho ritenuto opportuno illustrare dettagliatamente la vicenda, perché essa si presta, a mio avviso, ad alcune considerazioni, meritevoli probabilmente di essere portate a conoscenza del Magistrato Istruttore.

Nessun appunto può essere ovviamente rivolto né alla Perizianda, la quale aveva il diritto di ignorare le norme della procedura civile, né al patrocinatore di parte attrice, il quale è stato, per così dire, posto davanti al fatto compiuto.

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Desta invece, quanto meno, perplessità, la condotta (sempre che, naturalmente, sia veritiera la versione dei fatti fornita dalla Perizianda e dal suo avvocato) del consulente di parte, il quale, nell’affermativa, avrebbe dimostrato di ignorare, oltre alle norme procedurali, anche - e soprattutto - quelle della deontologia professionale che, nel caso in esame, coincidono con le regole della civile educazione.

Anziché agire sulla Perizianda, il consulente in questione avrebbe dovuto avvertire l’elementare dovere di prendere preventivamente diretto contatto con i due “colleghi” (il consulente d’ufficio ed il consulente di parte convenuta) dei quali gli erano noti i nominativi, allo scopo, quanto meno, di evitare al primo inutili attese ed al secondo i disagi di affrontare inutilmente le difficoltà degli spostamenti nel caotico traffico della capitale.

Indipendentemente da quanto precede, in attesa che il CTU - con la speranza che il consulente di parte attrice si degni di assicurare la propria responsabilità - stabilisce una nuova data, mi rivolgo alla cortese attenzione di chi mi ha affidato l’incarico, affinché mi voglia fornire al più presto tutte le notizie e la documentazione relativa al sinistro in cui la Perizianda avrebbe, a suo dire, riportato lesioni, dalle quali sarebbe “derivata” l’ernia del disco operata nel luglio 1993”.

CASO N° 3

Ritengo doveroso premettere che non sono in possesso della mia relazione sul caso in questione, che è, per alcuni versi, assimilabile al caso N° 1, anche se ne ricordo perfettamente le circostanze (che ho avuto modo di illustrare più volte a numerosi colleghi, con i quali ci siamo trovati a rievocare gli aspetti meno edificanti - anche se indubbiamente pittoreschi - delle consulenze d’ufficio medico legali a Roma ...), nonché il nome del consulente di parte attrice e del consulente d’ufficio; ricordo inoltre l’esito - fortunatamente equo e del tutto accettabile - della consulenza stessa.

Il giorno e l’ora indicato dal CTU mi sono recato presso lo studio di quest’ultimo ed ho trovato in sala d’attesa la Perizianda, raggiunta poco dopo dal proprio consulente di parte, che non l’aveva mai vista ed era stato nominato all’ultimo momento (ignoro se nei termini di legge, ma all’epoca non si andava tanto sul sottile sull’argomento) e vedremo quanto la circostanza sia risultata decisiva, in quanto non fu possibile, per la presenza di altre persone in sala d’attesa, uno scambio di vedute (e di “intese”...) tra Perizianda e consulente di parte attrice.

Introdotti nello studio del consulente d’ufficio ed espedite le prime formalità, la Perizianda - la quale dichiarava di svolgere mansioni di segretaria presso uno studio legale - raccontava che in seguito ad un classico “tamponamento” subito dall’auto (che nella circostanza riportava lievi danni) della quale era alla guida, aveva patito l’altrettanto classico “colpo di frusta” che dal medico curante veniva giudicato guaribile in tre giorni, senza prescrizione di accertamenti specialistici o radiologici; successivamente la P. non praticava più alcun accertamento né eseguiva alcuna terapia.

Interrogata sulla natura ed entità di eventuali disturbi residuati, la P., con tono annoiato e risentito, affermava che - essendo trascorsi oltre due anni dai fatti - ovviamente non avvertiva, anche per la modestia del trauma riportato, alcuno postumo di esso e si augurava comunque che la vertenza si risolvesse al più presto.

Il CTU, ovviamente sorpreso ed incuriosito, chiede allora esplicitamente alla Perizianda di chiarire i motivi per i quali aveva adito il contenzioso giudiziale, alché la P. riferiva che “aveva fatto tutto l’avvocato”; a quel punto la CTU le chiedeva brutalmente se fosse per caso interessata ad essere risarcita soltanto per i tre giorni di “temporanea” che sembravano il massimo riconoscibile e la P. dichiarava che per lei andava tutto bene “purché” finisse questo strazio ....

Il consulente di parte attrice, che fino allora non aveva pronunciato parola, rimproverava la propria cliente, che non lo aveva aspettato sotto lo studio del CTU, non mettendolo in grado di

“ammaestrare convenientemente” e sottoponeva poi la poveretta ad una serie di incalzanti

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domande, al termine delle quali la P., finalmente affermava, pur arrossendo, che, effettivamente, ogni tanto, avvertiva qualche capogiro, anche se, onestamente, non poteva escludere che tale disturbo fosse presente prima dei fatti.

Congedata la Perizianda, il consulente di parte attrice affermava preliminarmente che essendo

“documentata” l’avvenuta ricorrenza di un “colpo di frusta”, fosse, in ogni caso, doveroso il riconoscimento di almeno due punti di invalidità, elevabili a cinque punti se una radiografia avesse accertato la sussistenza di un quadro cervico-artrosico.

Ribatteva pacatamente il CTU che, in assenza di una documentata “sindrome a ponte” non era a suo avviso prospettabile alcun nesso causale tra l’iniziale colpo di frusta ed una sintomatologia cervicalgica, accompagnata da limitazione funzionale, che - peraltro - la P. non lamentava affatto.

Controbatteva valorosamente il consulente di parte attrice che fosse comunque indispensabile l’esecuzione di un esame audio-vestibolare, dal quale sarebbe indubbiamente emersa una ipoacusia o una disriflessia labirintica, di chiara genesi traumatica e come tale adeguatamente risarcibile.

Ritenni a quel punto doveroso esprimere il sommesso parere che la opinione espressa dal consulente di parte attrice rivestisse indubbiamente valore scientifico, ma che la rilevanza medico legale di esso era piuttosto scarsa e concludevo che - in ogni caso - avrei atteso che il CTU depositasse il proprio elaborato, per commentarne il contenuto.

Dopo qualche mese leggevo l’elaborato in questione ed apprendevo che il CTU aveva eseguito personalmente - nella sua qualità di specialista otorinolaringoiatra - un esame audio-vestibolare, risultato del tutto normale ed aveva negato la permanenza di postumi risarcibili, riconoscendo qualche giorno di “temporanea”.

Ritengo a questo punto opportuno osservare che le mie relazioni medico legali, riguardanti i tre casi innanzi riportati, non hanno provocato alcun cenno di risposta da parte della Compagnia assicuratrice e degli avvocati ai quali sono stati inviate, ma ciò è indicativo del tipo di rapporti che intercorre tra il fiduciario medico legale - che assume il ruolo di consulente di parte convenuta - e l’avvocato fiduciario della Compagnia ed i funzionari della Compagnia stessa, in quanto è purtroppo tristemente noto che tutti questi personaggi sono teoricamente alleati nella stessa battaglia, ma parlano probabilmente lingua diversa e ritengono quindi inutile discutere collegialmente le questioni che li vedono coinvolti.

Indipendentemente da ciò, se il Magistrato Istruttore ricordasse al CTU, in sede di conferimento dell’incarico, il suo obbligo di prendere nota dei nominativi dei consulenti nominati dalle parti e la necessità di concordare preventivamente con gli stessi l’eventuale modifica della data delle operazioni peritali (ricordando al CTU che queste variazioni debbono essere tempestivamente comunicate al Magistrato, il quale deve anche essere edotto della mancata presentazione del Periziando all’inizio delle operazioni), probabilmente tante “cafonerie” potrebbero risultare inutili ed il Periziando - sovente, ma non sempre, innocente ed ignaro, apprenderebbe forse di aver affidato la tutela dei propri interessi a personaggi che non meritano la fiducia in essi riposta.

L’auspicio, con il quale concludo, è comunque che i medici legali abbiano sempre presente, allorché si trovino a svolgere la propria opera di consulente di parte attrice, o di parte convenuta, che essi costituiscono parte del procedimento, nel quale - specie allorché le operazioni si svolgono senza la presenza del Magistrato - rivestono ruolo determinante, in quanto dotati di potere di controllo sulla regolarità procedurale, il che comporta, in definitiva, l’assunzione di precise responsabilità, delle quali potrebbero, in qualunque momento, essere chiamati a rispondere, e risulterebbe quindi estremamente efficace che tale circostanza fosse illustrata (almeno verbalmente ed in forma cortese ed informale, ad evitare disappunto da parte dei medici legali che potrebbero sentirsi ingiustificatamente “ammoniti”) dal Magistrato, all’atto del conferimento dell’incarico peritale.

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