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BREVI E PRATICHE CONSIDERAZIONI SUL DANNO INDENNIZZABILE E IL DANNO RISARCIBILE

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BREVI E PRATICHE CONSIDERAZIONI SUL DANNO INDENNIZZABILE E IL DANNO RISARCIBILE

Avv. Rodolfo Berti*

Ho ritenuto di trattare la questione della correlazione del danno biologico tra assicurazione obbligatoria INAIL e responsabilità civile solo facendo alcune considerazioni pratiche, che poi sono quelle che più mi appartengono in quanto, trattando continuamente nella mia professione di avvocato di simili questioni, mi interessano di più e credo che possano interessare tutti.

Quando venne pubblicato il D.lgs. n. 38 del 23/02/2000, mi trovavo a Pisa da Cannavò con Marco Rossetti ed altri membri del centro studi Gennaro Giannini e raccolsi subito l’invito dell’amico Marco di scrivere un articolo sulla nuova normativa.

Lo feci intitolandolo “CRONACA DI UN RAPIMENTO” (Rivista della Circolazione e Trasporti, 2000, 29) perché preda di un estemporanea reazione rispetto alla svolta epocale che l’art. 13 del D.lgs. aveva introdotto avendo espropriato il legislatore pubblicistico il danno biologico al legislatore privatistico.

Mi era apparso sintomatico, e in un primo momento inaccettabile che il danno biologico, sino a quel momento contemplato nel diritto vivente, venisse riconosciuto nel diritto vigente ad opera di chi, tutto sommato, non ne aveva titolo.

Era infatti auspicabile, e più naturale, che il danno biologico entrasse a tutto campo prima nel diritto civile per poi essere applicato anche dal diritto pubblicistico.

Dovevo forse digerire il fatto che, fino al giorno prima e nonostante le numerose raccomandazioni della Consulta, l’indennizzo che l’INAIL versava al lavoratore infortunato era a fronte della perdita o della diminuzione della attitudine al lavoro, e quindi di valenza essenzialmente patrimoniale mentre, da allora in avanti, il più volte ridefinito, rimaneggiato, confuso, osannato o bistrattato danno biologico, privo ancora di una sua connotazione identificativa nel diritto privato, trovasse ingresso per la prima volta nel diritto pubblico: ben strana prassi soprattutto perché l’art. 13 avverte sin da subito la sua precarietà quasi riconoscendo di essere in stand by, cioè

“in attesa della definizione dei caratteri generali per la determinazione del risarcimento del danno biologico”.

A parte questa prima viscerale reazione, credo giustificata in chi come me per anni si è dedicato allo studio del danno alla persona, avvertii subito ben altre perplessità, compiacendomi poi di leggere altri e ben più titolati pareri (“Infortuni sul lavoro dopo la riforma, tra regole risarcitorie e nuovi indennizzi” Dianora Poletti, D. e R.

n.11/2000, 1150; “Sulla liquidazione del danno biologico resta il rischio dei doppi

* Avvocato, Ancona

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risarcimenti” di Marco Rossetti D. e G. 32/2000, 72) che coincidevano più o meno con il mio pensiero.

Tenterò di mettere in rilievo le difficoltà di conciliare il diritto del danneggiato alla riparazione per equivalente con le uniche due normative attuali che si occupano del danno biologico, appunto il D.lgs. 38/2000 e la L. 05/03/01 n. 57.

Come prima dicevo per tutto il 2000 tutti hanno paventato che il D.lgs. INAIL, pur rispecchiando gli indirizzi enunciati dalla Corte Costituzionale negli anni’90, aprisse la possibilità a contenziosi infiniti per la difficoltà di pratica applicazione di questa normativa e soprattutto, come hanno già detto gli altri relatori, non eliminasse la possibilità del danno c.d. differenziale.

La particolarità della normativa era evidente dalla lettura dell’art. 13 perché innanzi tutto, pur contenendo la definizione di danno biologico quale “lesione all’integrità psicofisica, suscettibile di valutazione medico legale della persona”, in realtà pareva più riguardare una figura di danno del tutto diverso da quella che dottrina e giurisprudenza fin dagli anni’80 ci aveva presentato come danno evento che c’è in ogni caso di lesione, per tutti uguale, dal momento che non esisterebbe per lesioni che abbiano determinato una menomazione inferiore a 6 punti percentuali.

Si tratta dunque di una franchigia che non è concepibile per il danno biologico ovvero sia per la lesione all’integrità psicofisica della persona.

Già questo determinava una fondamentale e sostanziale differenza tra il danneggiato da infortunio sul lavoro e il danneggiato da R.C., potendo quest’ultimo chiedere il risarcimento anche per percentuali inferiori a 6 punti, e quindi lasciava aperta la possibilità dell’azione risarcitoria contro il responsabile del danno per la non percepita franchigia.

Si creava quindi di fatto una situazione assurda per la quale, in teoria, sarebbe stato preferibile per il lavoratore offeso da una non grave lesione contenere la menomazione nell’ambito dei 6 punti percentuali di modo che, rivolgendosi al Giudice di Pace, ben notoriamente magnanimo nelle liquidazioni, avrebbe potuto ottenere un risarcimento maggiore rispetto a quello che avrebbe ottenuto con la capitalizzazione INAIL anche per menomazioni maggiori a 6 punti.

Il D.lgs. INAIL non contempla l’indennizzo della diaria giornaliera da temporanea, mentre nell’ambito della responsabilità civile al danneggiato spetta anche il risarcimento del periodo di malattia fino a guarigione clinica: altra possibilità di azione suppletiva.

Inoltre, e forse in modo più eclatante, grande differenza tra i due tipi di reintegrazione dei pregiudizi psicofisici è data dal fatto che il lavoratore riceve un indennizzo prestabilito secondo le tabelle, comprensivo anche degli “aspetti dinamico relazionali” che il danno biologico gli ha causato, a differenza del danneggiato da RC che è libero di provare il maggior pregiudizio relazionale.

Mi fermerei un attimo a fare una considerazione, anche questa pratica: la giurisprudenza costituzionale e di legittimità ha sempre avvertito la differenza che esiste tra la entità medico legale della lesione all’integrità psicofisica del danneggiato, che è il danno biologico, e le conseguenze che tale diminutio comporta nell’ambito della vita quotidiana spettando al danneggiato dimostrare la natura, la qualità e

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l’entità dei pregiudizi vitali subiti il che consente al Giudice di ricorrere a dei correttivi sul valore liquidativo adottato per il danno biologico, per adeguare, o meglio personalizzare, il risarcimento alla effettività del danno patito.

Nella formula adottata dal legislatore per il Decreto n. 38/00, il lavoratore praticamene compera a scatola chiusa perché, in un’unica misura preconfezionata, riceve l’indennizzo per il danno biologico e per le compromissioni, di qualsiasi genere entità e specie, che eventualmente egli può aver patito (o anche no).

Ho subito pensato che fosse un modo per dimostrare che si era tenuto conto, nella formulazione della previsione indennitaria, proprio delle raccomandazioni della Corte Costituzionale che, avendo da tempo non solo recepito ma addirittura creato il danno biologico, aveva giustamente ritenuto che quello dovesse essere il titolo di indennizzo spettante al lavoratore infortunato e non più una reintegrazione di perdite patrimoniali che non riparavano il puro danno alla persona.

Mi piacerebbe poter discutere sulla attualità della definizione di danno biologico statico e danno biologico dinamico, da alcuni (Marco Rossetti) ritenuta superata ma che, a mio giudizio, è invece valida ancora oggi posto che nel momento stesso in cui sia nel Decreto del quale trattiamo, sia nella L. 57/01, che nelle varie proposte di legge di riforma del danno alla persona giacenti tra Camera e Senato si fa sempre riferimento al danno biologico come entità medico legale e alle conseguenze pregiudizievoli che la menomazione comporta nel quotidiano del danneggiato, il che lascia chiaramente intendere come, definizioni a parte, al danno evento possano conseguire ulteriori compromissioni che non riguardano più la psicofisicità dell’individuo ma la sua esistenza e il modo di vivere la vita.

Non mi addentrerò ulteriormente in questo argomento ma pongo un interrogativo provocatorio: se il danno biologico va personalizzato, dovendosi tener conto di quello che io chiamo aspetto dinamico e che altri invece definiscono relazionale o esistenziale, e chi più ne ha ne metta, nel momento stesso in cui con una somma viene indennizzato sia l’aspetto biologico che l’aspetto relazionale, non vi è una violazione del diritto all’integrale riparazione del danno? Non vi è una differenza di trattamento tra due diverse qualità di danneggiati a parità di lesione?

Ma le perplessità non finiscono qui perché il danno biologico, già privato degli iniziali punti di invalidità, assume una diversa connotazione quando raggiunge i 16 punti percentuali, e ciò non solo perché alla erogazione in capitale si sostituisce quella in rendita, ma perché, automaticamente, viene riconosciuto anche un danno patrimoniale che determina il diritto ad “un ulteriore quota di rendita” calcolata sul grado percentuale della menomazione, dello stipendio attraverso l’uso di un coefficiente ed in relazione ad altri parametri che riguardano il tipo di attività lavorativa e la possibilità che il lavoratore possa essere ricollocato in altra attività.

Anche qui la norma costituisce un mirabile dictu perché ancora una volta sorprende in quanto si discosta in modo determinante dall’alveo del risarcimento tracciato dalle Corti.

Il danno patrimoniale deve essere provato, anche se ricorrendo alle presunzioni e secondo id quod plerumque accidit, ma è pur sempre necessaria una prova che molto spesso, giustamente o meno, viene delegata al consulente medico legale che dovrà

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dire se quella lesione dell’integrità psicofisica incide anche nella capacità lavorativa specifica dell’individuo.

Si consideri inoltre che in passato avevamo visto le acrobazie dei Giudici di merito quando, non esistendo il danno biologico, liquidavano al danneggiato, per rendere equo e congruo il risarcimento, un danno inesistente e cioè il risarcimento che risultava dal calcolo operato tra la lesione e il reddito anche se quest’ultimo non era né perso né diminuito, in pratica la regola del calzolaio del nostro ospite Melchiorre Gioia.

Nel caso di lavoratore dipendente con diritto alla conservazione del posto, la perdita patrimoniale non c’è mai per cui si tratta di una fictio juris che ha cessato di essere utilizzata con l’avvento del danno biologico.

Il legislatore del 2000 l’ha invece reintrodotta automaticamente liquidando d’ufficio l’indennizzo anche per perdite patrimoniali quand’anche non subite purchè la lesione abbia comportato un danno biologico superiore a 16 punti percentuali, e quindi su basi presuntive juris et de jure e non juris tantum secondo quanto invece insegnato dalla giurisprudenza.

A prima vista tale previsione può apparire sostanzialmente giusta, in quanto una lesione di 16 punti percentuali si presume che possa comportare una diminuzione di attitudine al lavoro, ma se mettiamo in relazione il criterio con il quale la rendita viene quantizzata e liquidata con i criteri risarcitori in ambito di RC e con particolare riferimento all’art. 4 della L. 39/77 (c.d. miniriforma dell’assicurazione obbligatoria), non possiamo non cogliere la sostanziale discrepanza che si viene a creare tra chi oltre al danno biologico ha diritto a ricevere il risarcimento del danno patrimoniale calcolato sul reddito più alto degli ultimi 3 anni o addirittura sul reddito anche aumentato successivamente alla lesione come ha di recente affermato la Suprema Corte di Cassazione nella sentenza della III civile del 24/04/2001 n. 6023 (in D. e G.

on line 27/04/01), opinando che l’aumento del reddito poteva essere maggiore se non vi fosse stata la menomazione, e chi invece riceverà, sottoforma di rendita, un risarcimento all inclusive già prestabilito.

Potemmo pensare che, tutto sommato, trattandosi di una normativa lavoristica, di garanzia per il lavoratore, il trattamento può essere diverso, vista la specialità della sua applicazione; ma poiché per quel poco di certezza che ancora è rimasta nel diritto il danno biologico è uno e uno solo e non può essere nè bino né trino, né può avere una vita condizionata ad una futura e difficile riforma, ci troviamo di fronte ad un conflitto tra normative.

Se danno biologico è, allora deve essere uguale sia per il lavoratore che per il pedone investito o il conducente ferito o l’aggredito o l’infortunato, prescindendo dal tipo della lesione e dal modo in cui gli è stata inferta.

Se è probabile che la franchigia sino a 6 punti sia dovuta a motivi finanziari, così come il danno patrimoniale da 16 punti in su, ciò non toglie che per esempio il mignolo menomato di un violinista dipendente di una fabbrica di violini, che quindi gli rende impossibile proseguire l’attività di prova dei violini costruiti, essendo compreso nelle menomazioni inferiori a 16 punti, non gli consentirà il risarcimento,

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seppure standardizzato, del danno patrimoniale a differenza del suo omonimo collega libero professionista investito da una vettura.

Questi, e tutti gli altri aspetti già posti in rilievo dagli altri relatori, giustificavano più che ampiamente le perplessità di tutti gli addetti ai lavori, e tali perplessità sono poi divenute certezza non solo quando è stato promulgato il D.lgs n. 74/00, che ha avuto breve vita per l’evidente incostituzionalità, ma soprattutto quando è stato promulgata la L. 57/01.

L’art. 5 co. 2 di quest’ultima normativa è, quanto alla definizione di danno biologico, identico all’art. 13 del testo INAIL: entrambe le norme sono, come prima dicevo, in stand by, in attesa della riforma del danno biologico; entrambe le norme definiscono il danno biologico come “lesione all’integrità psicofisica suscettibile di valutazione medico legale”: entrambe le norme trattano quindi dello stesso danno biologico e, a mio giudizio, nulla rileva il fatto che quella del 2000 riguarda le lesioni da lavoro mentre quella del 2001 le lesioni da incidente stradale, perché il danno alla persona è uguale per tutti a prescindere dalla causa che lo ha generato.

Diverso potrà essere il titolo per il quale avviene la reintegrazione del danno, indennizzo piuttosto che risarcimento, ma il quantum che riceve il danneggiato da lavoro deve essere uguale a quanto riceve l’omonimo danneggiato da RC, altrimenti, a causa del diverso trattamento che le due diverse norme creano, si avranno due diverse forme di reintegrazione per equivalente a parità di lesione essendo offerta solo al secondo danneggiato la possibilità di essere “ulteriormente risarcito tenuto conto delle sue condizioni soggettive” che dovranno essere da lui provate.

Abbiamo quindi una grande differenza tra il lavoratore e il danneggiato da RC perché il primo verrà indennizzato anche del danno alla vita di relazione con un quid già prestabilito e sempre uguale, mentre l’altro, oltre al valore del punto biologico liquidato secondo le diverse tabelle della L. 57/01 riceverà quel quid pluris ad equità qualora dimostri le ulteriori compromissioni delle sfere vitali ed esistenziali.

Quindi il danneggiato da responsabilità civile ha diritto all’intero danno biologico da un punto in su di permanente, oltre al danno patrimoniale dimostrabile liberamente, oltre al danno alla vita di relazione, quale danno dinamico e conseguenza del danno biologico, previa dimostrazione dello stesso.

Ricordo che in un passato ormai remoto, all’epoca ante biologica, quando un lavoratore subiva un infortunio in itinere, lo si consigliava di non denunciare al datore di lavoro il fatto perché avrebbe ricevuto dall’INAIL ben poco privandosi così della possibilità di chiedere quella fictiones allora rappresentata dal risarcimento del danno patrimoniale calcolato sul reddito, ben maggiore rispetto all’indennizzo INAIL: pare proprio che anche oggi sarebbe consigliabile la stessa cosa.

Savino ha già parlato delle diverse tabelle di valutazione del punto mettendole in correlazione tra di loro, e quindi eviterò di ripetere lo stesso argomento soffermandomi però su una considerazione che credo meriti un attimo di riflessione:

la definizione di danno biologico, più o meno, è quella che tutti conosciamo, e cioè

“lesione all’integrità psicofisica, della persona, suscettibile di valutazione medico legale” come in pratica ci ha tramandato il diritto vivente e la Corte Costituzionale con la sentenza Mengoni, per cui di fronte alla lesione quello che viene risarcito è il

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danno evento secondo un criterio di valutazione medico legale al quale si aggiunge, per dettato normativo dell’art. 13 del D.lgs. in esame, anche il danno alla vita di relazione e quindi l’aspetto dinamico del danno biologico.

Il lavoratore dunque riceve, per legge, l’indennizzo di tutto il danno alla salute subito a seguito della lesione.

Qualora vi sia un responsabile civile al quale richiedere il danno c.d. differenziale, il lavoratore potrà pretendere da questi il danno morale, nei limiti previsti dall’art. 2059 c.c., la temporanea biologica, ma nient’altro dal momento che egli è stato totalmente indennizzato del danno biologico sia sotto l’aspetto statico che sotto l’aspetto dinamico dall’INAIL.

Il danno biologico è infatti uno e uno solo, a prescindere dall’occasione che lo ha determinato e dai criteri con i quali viene liquidato.

Se una volta, quando l’INAIL indennizzava la perdita all’attitudine al lavoro, l’assicuratore della responsabilità civile del danneggiante opponeva al lavoratore la rivalsa dell’INAIL che riguardava il danno patrimoniale non potendosi duplicare il danno, la stessa cosa vale ora per il danno biologico che per legge viene indennizzato dall’INAIL il quale si rivarrà nei confronti del responsabile civile ripetendo quanto sborsato a titolo di danno biologico.

La giurisprudenza è pacifica sul punto e di recente la IV Sezione della Corte di Appello di Roma (18/12/98 n. 3764 in Riv. Giur. Circ. e Trasp. 1999, 344 con commento di Rossetti) ha affermato che essendo il contratto di assicurazione fondato sul principio indennitario, l’assicurato non può realizzare un lucro ma solo evitare un danno per cui, qualora il danneggiato da incidente stradale abbia ricevuto l’indennizzo dal suo assicuratore privato, non può pretendere il risarcimento dal responsabile del danno, e ciò a prescindere dalla rinuncia alla rivalsa contrattualmente prevista dal contratto di assicurazione.

Questa è la più recente tra le decisioni in tema, ma ve ne sono numerosissime della Cassazione tanto che si può ritenere costante il principio.

E allora, laddove come nella normativa INAIL la rivalsa è prevista, il lavoratore indennizzato di tutto il danno biologico non può chiedere al danneggiante un ulteriore danno biologico perché così facendo beneficerebbe di un arricchimento indebito.

Non si tratta infatti di una componente di danno che non è stata risarcita, come per esempio poteva essere la componente dinamica o una ulteriore conseguenza del danno biologico tipo danno estetico, ma è il danno biologico stesso oggetto del totale indennizzo per il quale l’INAIL si rivarrà nei confronti del responsabile civile ai sensi art. 1916 c.c..

Credo quindi che il danno differenziale, che una volta costituiva per il lavoratore infortunato la possibilità di ottenere l’integrale risarcimento, oggi abbia subito un arresto, e credo proprio che in tal modo si comporteranno le compagnie di assicurazione.

Possiamo quindi concludere che queste normative di emergenza, messe come rappezzi ad un tessuto connettivo ormai usurato, non servano all’interesse pubblico ma a creare difficoltà di interpretazione, di applicazione, e quindi contenziosi con

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buona pace della certezza del diritto che invece dovrebbe essere lo scopo unico per il quale il legislatore promulga le leggi.

Speriamo, e la speranza non dovrebbe essere l’ultima a morire, che la tanto auspicata riforma del danno alla persona venga fatta presto e serva a unificare il risarcimento del danno biologico.

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