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BREVI CENNI STORICI SU ASPETTI E VALUTAZIONE MEDICO- LEGALE DEL DANNO BIOLOGICO – CONSIDERAZIONI NEI RIGUARDI DELLA MALPRACTICE TABELLARE Prof. Giuseppe Cerfeda

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BREVI CENNI STORICI SU ASPETTI E VALUTAZIONE MEDICO- LEGALE DEL DANNO BIOLOGICO – CONSIDERAZIONI NEI

RIGUARDI DELLA MALPRACTICE TABELLARE Prof. Giuseppe Cerfeda

Contrariamente ai luoghi comuni, frequentemente espressi anche da alcuni operatori sanitari, la specialità medico-legale è una delle più difficili tra quelle attinenti l’esercizio professionale per il semplice – spesso ignorato – motivo che tale attività, se attuata in maniera deontologicamente corretta, richiede, oltre ad una conoscenza scientifica di elevato livello – specialmente sul piano fisio-patologico ed anatomo-patologico – anche un continuo, obbligato, aggiornamento sia per quanto riguarda i diversi settori della patologia umana, sia in relazione alla evoluzione e formulazione del dispositivo giuresprudenziale.

Uno dei capitoli di più comune interesse medico-legale e, diciamo pure, di più “intenso consumo giuridico” riguarda la valutazione e l’indennizzo del danno psico-organico post- traumatico nell’ambito sociale ed in quello civile.

Chi come noi ha avuto la possibilità anagrafica di molte primavere professionalmente vissute con la guida, l’insegnamento, la gratificante amicizia di grandi Maestri della specialità – GERIN, FRANCHINI, ADAMO, oggi MAURO BARNI – ha, anche, potuto recepire l’evoluzione dottrinaria e giuridica inerente il risarcimento del danno psico-organico, nonché, come vedremo più innanzi, le interpretazioni, spesso indebitamente personalizzate, del suo indennizzo.

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BREVI CENNI STORICI

La consuetudine di indennizzare il danno alla persona da evento traumatico risale a tempi storici molto lontani dall’attuale con costante riferimento alla capacità economica del soggetto menomato. Durante l’epoca romana la persona lesa veniva indennizzata da parte del colpevole con un risarcimento secondo “utilis aquileiae actio”. I dottori ebrei usavano

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2 valutare il danno da menomazione fisica considerando l’uomo libero come schiavo. Per lesioni volontarie o colpose l’indennizzo islamico imponeva la consegna di cento cammelli per l’uomo e di cinquanta per la donna, senza distinzione di maggiore o minore valore in quanto tutti gli uomini sono uguali davanti a Dio.

E’ noto il tariffario dei bucanieri, detti anche “fratelli della costa”, per danni fisici riportati in combattimento: 600 scudi o sei schiavi per la perdita della vista, o delle mani, o delle gambe.

Il primo riferimento giuridico al risarcimento del danno post-traumatico risale al Re Longobardo Rotari il quale nel 643 promulgò un editto contenente norme – art. 144, 145 – per l’indennizzo del danno derivante da infortunio nei riguardi dei lavoratori edili.

Sino alle soglie del 1.800 non abbiamo notizie di interventi legislativi riguardanti la tutela del danno post-traumatico. In quell’epoca il signore feudatario, o chi per lui, decideva, di volta in volta, il risarcimento per la perdita della capacità lavorativa.

Nel 1821 MELCHIORRE GIOIA fu il primo autore a proporre una metodologia empirica per l’indennizzo di tale danno. “Quando si tratta di calcolare il valore del soddisfacimento dovuto a titolo di industria paralizzata (capacità lavorativa dei nostri giorni) – scrive – restiamo molto al di sotto del valore reale giacché la forza umana può essere guardata: 1° ) come mezzo di sussistenza; 2°) come mezzo di godimento; 3°) come mezzo di bellezza; 4°) come mezzo di difesa.

Rendendo paralitico per esempio l’altrui braccio destro o la mano voi togliete al musico il mezzo con cui si procura il vitto divertendo gli altri, al proprietario il mezzo con cui si sottrae alla noia divertendo se stesso, alla donna il mezzo con cui gestisce e porge con grazia; a chiunque il mezzo con cui si schernisce da mali eventuali difendendosi”.

La cosiddetta “regola del calzolaio”, formulata e proposta da M. GIOIA, ha dato inizio alla costruzione ed all’evoluzione del grande capitolo medico-legale riguardante l’interpretazione e l’indennizzo del moderno “danno biologico”.

Non è nostra intenzione addentrarci, in questa sede, nelle vicende dottrinarie e giuridiche che hanno caratterizzato il percorso e l’evoluzione riguardante l’indennizzo del danno post- traumatico.

Ricordiamo che, inizialmente, l’infortunio lavorativo è stato l’evento sul quale venne richiamata l’attenzione non solo del medico ma anche del legislatore, suscitando dibattiti, nonché esperienze e provvedimenti tendenti ad inquadrarne la figura giuridica e medico-

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legale e limitarne il più possibile gli effetti dannosi. E’ stato il danno alla persona che per primo ha richiamato l’attenzione del legislatore – in tempi nei quali la traumatologia extralavorativa era di trascurabile importanza – in conseguenza del suo progressivo aumento ed in relazione, soprattutto, ai disastrosi effetti sia sulla capacità fisica dei soggetti colpiti, sia per la incidenza, a volte molto elevata, sulla capacità lavorativa e lucrativa degli stessi.

Il 17 Marzo 1898 fu promulgata una prima legge speciale per i rischi derivanti dall’attività lavorativa e la sua novità riguardò l’intento di disciplinare giuridicamente la responsabilità dei datori di lavoro oltre i limiti ed i modi previsti dalle comuni norme del Codice Civile.

Nel 1904 venne promulgato il primo Testo Unico – n° 51 – ed il regolamento di attuazione riguardante la legislazione infortunistica.

In concomitanza con le suddette norme si sviluppò un approfondito studio dottrinario, e, soprattutto, medico-legale che, in gran parte, ha supportato la successiva interpretazione giuridica.

Si è sviluppata così la dottrina riguardante le cause, le concause, lo stato anteriore, la valutazione del danno, la quale, prendendo le mosse dall’esperienza infortunistica lavorativa è stata – ed è – utilizzata anche per tutti gli altri eventi traumatici extralavorativi concorrendo a delineare gli elementi costitutivi della figura giuridica della causa violenta e, oggi, del danno biologico.

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Le norme promulgate con la legge n° 80 del 17 Marzo 1898 ed il Testo Unico n° 51 del 31 Gennaio 1904 costituiscono il primo passo concreto per un indennizzo uniformemente e giuridicamente accettabile del danno biologico post-traumatico.

Con tale legislazione venne, per così dire, battezzata la nascita delle tabelle valutative le quali, come vedremo più innanzi, hanno avuto uno sviluppo oltremodo rigoglioso.

“Occorre poi considerare – scrive POGLIANI – il problema di natura medico-legale concernente la metodologia che deve essere adottata al fine di pervenire alla valutazione dell’incidenza della lesione sulla capacità produttiva del soggetto danneggiato.

Si suole, a tal fine, considerare la persona nella sua integrità ed assegnare alla conseguenza lesiva una percentuale invalidante corrispondente alla differenza tra la piena capacità di cui il

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4 se è vero che in linea generale tale accertamento costituisce il risultato di una indagine tecnica variabile in ciascun caso, persino in presenza di uno stesso tipo di menomazione, è altrettanto vero che una sentita esigenza di perequazione, ancorché relativa, ha determinato la costituzione di paradigmi idonei ad uniformare i risultati valutativi rispetto a ciascun tipo di lesione e cioè delle c.d. tabelle con le quali ciascuna invalidità determinata dalla perdita o dalla lesione funzionale di un arto o di un organo viene indicata mediante una percentuale di diminuzione della piena capacità”.

Scorrendo la letteratura medico-legale pubblicata dal 1800 in poi è rilevabile un elevato numero di proposte tabellari per il risarcimento delle menomazioni organiche conseguenti ad infortunio o malattia. Proposte che, in alcuni casi, hanno avuto origine da intuizioni scientifiche o culturali, in altri da esigenze sociali, giuridiche o addirittura economiche.

La pluralità delle proposte tabellari – in atto anche in questi giorni – dimostra, inequivocabilmente, la difficoltà e, per certi versi, l’incongruenza semantica, inerente la quantificazione numerica riferibile all’entità della menomazione psico-fisica.

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Abbiamo visto, all’inizio delle presenti note, che il problema del risarcimento del danno psico-fisico post-traumatico è stato affrontato ai primi del 1800 dal Melchiorre Gioia per quanto riguarda l’indennizzo civile e dal legislatore dell’epoca per quanto riguardava quello conseguente ad infortunio lavorativo.

Sulle modalità e, particolarmente, sulla qualificazione economica dell’indennizzo medico- legale, i giuristi hanno discusso per oltre un secolo senza pervenire ad una conclusione o ad un accordo.

Nel 1928 Antonio Cazzaniga pose le basi medico-legali per la valutazione del danno alla persona introducendo il concetto della “capacità lavorativa generica”. Si deve risarcire chi ha subito danni alla persona – scriveva – anche se ciò non determina una riduzione di reddito dimostrata. Consideriamo il danno in relazione alla capacità potenziale che ha, chiunque, di produrre reddito”.

Nello stesso periodo l’anzidetto Autore introduceva una propria tabellazione rimasta, a lungo, punto di riferimento medico-legale per la valutazione delle menomazioni psico-fisiche.

La capacità generica è, praticamente, una “finctio iuris” in quanto capacità di espletare una qualsiasi attività lavorativa, ovvero una prestazione che non richieda una specializzazione particolare.

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Capacità generica e danno economico hanno caratterizzato la prassi valutativa adottata per molti decenni dai medici-legali e dai magistrati. Il termine “danno” consiste – secondo la classica definizione del Cazzaniga – nella conseguenza economicamente valutabile di una modificazione peggiorativa del modo d’essere della persona fisica, cioè di una menomazione, con effetti economici, dell’individuo considerato come entità somatica e psichica”.

La sua proposta valutativa ha rappresentato, per molto tempo, il punto di riferimento – sostenuto dalla tabella delle sue valutazioni percentuali – per lo sviluppo della dottrina medico-legale e giuridica.

La successiva promulgazione dell’art. 2043 del Codice Civile non indicò criteri giuridici pertinenti la metodologia indennitaria limitando la sua validità soltanto nei riguardi dell’obbligo di risarcire il “danno ingiusto” da parte di colui che lo ha provocato.

Numerosa è la letteratura medico-legale e giuridica nei riguardi della interpretazione e dell’applicazione del suddetto articolo di legge, tuttora vigente e tuttora motivo di ulteriore esegesi.

Riportiamo, tra le tante, l’interpretazione applicativa di tale articolo da parte di GIOLLA – autore, anch’esso, di una tabella di percentuali di danno –, la quale, in nuce, delinea l’evoluzione del risarcimento verso l’attuale formulazione medico-legale del danno biologico.

“In altri termini – scrive l’autore, il concetto di danno risarcibile ai sensi dell’art. 2043 C.C.

deve essere comprensivo di qualsiasi pregiudizio arrecato alla persona il quale ne riduca il rendimento sia direttamente, offendendo la capacità produttiva propriamente detta, sia indirettamente compromettendo quell’efficienza sociale generica che di tale capacità facilità l’estrinsecazione e l’impiego”.

A ben pensarci “l’efficienza sociale generica” può essere assimilabile alle moderne caratteristiche del “danno biologico”.

Considerazioni analoghe vanno fatte per quanto riguarda la cosiddetta “capacità di lavoro generico”.

Il problema fondamentale della valutazione del danno post-traumatico era rappresentato dai criteri ai quali veniva riferito l’indennizzo dello stesso: capacità generica o capacità specifica lavorativa del soggetto da valutare?

A partire dalla metà del secolo scorso la valutazione è stata sostanzialmente riferita alla

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6 riguardante una media assolutamente teorica di tutte le centinaia di tipi di lavori manuali. Va tenuto presente, a tal fine, che all’epoca della proposta formulata dal Cazzaniga esistevano, sostanzialmente, tre tipi di impegno lavorativo: quello manuale, quello impiegatizio, quello intellettuale del professionista.

“I criteri di valutazione dei medici-legali italiani – scrive Stassi – si sono adeguati per lungo tempo alle direttive consacrate oltre 70 anni fa da Cazzaniga in una classica monografia.

Questo Autore considera come è noto una “capacità lavorativa generica (“ultragenerica”) ed una capacità lavorativa specifica che dalla stessa menomazione possono risultare compromesse congiuntamente o meno, in varia misura”.

“L’interpretazione e l’applicazione di tale direttiva è stata – come afferma BOCCHI – una delle questioni più controverse, sulle quali hanno indirizzato le loro ricerche le più autorevoli scuole di medicina legale e sulle quali le varie magistrature di merito hanno espresso sentenze non sempre univoche. Ciò in dipendenza delle infinite varietà di possibilità che si presentavano al medico-legale, sia in rapporto al sesso, all’età, alle qualifiche professionali e sociali dei soggetti da valutare, sia in rapporto all’incidenza delle menomazioni sul valore economico-patrimoniale della integrità della persona”.

Il riferimento alla capacità lavorativa generica ha avuto una lunga considerazione medico- legale. Al punto 1° del decalogo stilato da LUVONI il quale precede la tabella delle invalidità formulata nel corso delle giornate medico-legali di Como nel 1967 e di Perugina nel 1968 viene chiaramente sottolineato che “le percentuali di invalidità indicate si intendono riferite alla capacità lavorativa generica, intesa come contributo all’uomo medio”.

Nell’ambito della nostra lunga esperienza medico-legale, sia come medico dell’INAIL, sia come libero professionista, abbiamo avuto modo di recepire spesso la difficoltà e, per molti versi, l’assurdità, del riferimento alla cosiddetta “capacità generica” nella valutazione del danno post-traumatico.

“La capacità lavorativa generica – afferma Altamura – è un concetto che ci ha sempre impressionati negativamente. Quando da giovani ci siamo affacciati alla medicina legale abbiamo già trovato in circolazione questo prodotto ma non riuscivamo ad apprezzarlo perché il concetto di capacità lavorativa generica è un concetto che si capisce bene soltanto nei suoi estremi, nel senso che un soggetto che sta bene ha una capacità lavorativa generica normale, del 100%, mentre il soggetto che è in coma apallico ha totalmente perso tale capacità”.

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L’evoluzione verso un meccanismo indennitario biologico e non astrattamente economico, ha avuto il suo sostanziale inizio con la relazione di GERIN tenuta a Trieste nel 1952 in occasione delle Giornate medico-legali triestine, con la quale venne introdotto, nell’ambito della disciplina medico-legale, il concetto di “Validità”. Secondo GERIN il termine di

“capacità lavorativa generica” – che ha preso vita dall’infortunistica, ove potrebbe avere una qualche giustificazione – non è recepibile in sede civilistica. Per l’Autore “sarà sempre un assurdo voler applicare i principi che reggono la materia infortunistica per risolvere la questione valutativa in R.C.”.

“Il valore economico della persona – afferma – si fonda sul suo grado di efficienza psico- fisica (validità), sulla sua capacità lavorativa specifica (attività professionale) e sul suo guadagno.

La validità, secondo l’Autore, non è soltanto “integrità psico-somatica ma ancor di più

“efficienza psico-fisica” che tutti gli uomini dovrebbero raggiungere – per impegno della collettività – in proporzione alle loro doti intellettuali ed energie vitali; essa comprende altresì

“la vita di relazione” e “la funzione estetica”.

Concetti analoghi esprime FRANCHINI. “Il diritto al risarcimento dal danno injuria datum sussiste infatti per qualunque persona anche se non occupata in un lavoro di tipo operaio, comprensivo cioè di ogni sorta di attività produttiva cioè anche dell’attività non operaia e conseguentemente si tratterebbe di graduare le menomazioni senza tener conto di alcuna restrizione…..

….. Ai fini valutativi medico-legali il discorso si fa assai confuso se si considera che di fatto il danno biologico ed il danno alla salute concordano nella sostanza con il danno alla capacità lavorativa generica inteso in termini assai estensivi che comprende, secondo il mio punto di vista le microinvalidità, il danno estetico, il danno di chi non è in condizioni di svolgere attività produttiva (minori, studenti, disoccupati, cassaintegrati, ammalati) ma lo sarà in futuro”. (pag. 585).

Le indicazioni inerenti la valutazione del danno biologico formulate da GERIN e da FRANCHINI suscitarono un ampio dibattito tra le scuole medico-legali: numerosi sono stati – e sono – i contributi pratici e dottrinari sia per la configurazione medico-legale di tale argomento, che per la metodologia risarcitoria.

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8 Importante è stato l’intervento della Magistratura, a tutti i livelli, nella delimitazione giuridica e nell’interpretazione tra dettato costituzionale e dettato dell’art. 2043 C.C.

Con la sentenza n° 88 promulgata nel 1979 la Corte Costituzionale affronta direttamente il problema del danno biologico in relazione alla legittimità costituzionale dell’art. 2043 C.C.

“Il bene salute, afferma, è tutelato dall’art. 32 della Costituzione non solo come interesse della collettività, ma anche e soprattutto come diritto fondamentale dell’individuo, sicchè si configura come un diritto primario assoluto pienamente operante anche nei rapporti tra privati”.

Il 4 Aprile 1981 il Tribunale di Pisa stabilisce che “il danno alla salute, anche se non incide sulla produzione e percezione di reddito, costituisce pur sempre una menomazione riflettente negativamente sulla ordinaria attività ed occupazioni del soggetto passivo che possono essere le più diverse ma sempre tali da costituire per colui che poteva liberamente esplicarle concrete ragioni di vita soppresse o ridotte”.

Il 6 Giugno 1981 la Corte di Cassazione (n° 3675) stabilisce che “il danno cosiddetto biologico, in quanto lesivo, del danno alla salute, che per esplicito dettato costituzionale è diritto fondamentale dell’individuo, deve essere considerato risarcibile, ancorché non incidente sulla capacità di produrre reddito, ed anzi, indipendentemente da quest’ultima”.

Numerose sono state le sentenze, promulgate a tutti i livelli della Magistratura, le quali hanno, per così dire, costruito il percorso dottrinario verso la definizione giuridica del danno biologico da parte della Corte Costituzionale.

Nel 1986 il Prof. Gerin prendeva atto di tale evoluzione e formulava una delle prime, incisive, definizioni di tale danno: “Senza trionfalismi ma con legittima soddisfazione – scriveva – faccio notare che le mie idee, enunciate nel 1952, sono state recepite dalla Corte Costituzionale, dalla Corte Suprema e da non pochi Tribunali.

Tra questi ultimi ricordo il Tribunale di Pisa che nelle sue pronunce si è ispirato costantemente alle mie idee.

Il cosiddetto danno biologico inteso come la menomazione della integrità psico-fisica della persona in se e per se considerata in quanto incidente sul valore uomo in tutta la sua concreta dimensione che non si esaurisce nella sola attitudine a produrre ricchezza ma si collega alla somma delle funzioni naturali afferenti al soggetto nell’ambiente in cui la vita si esplica ed aventi rilevanza non solo economia, ma anche biologica, sociale, culturale ed estetica; tale risarcibilità deriva direttamente ed immediatamente dalla previsione dell’art. 2043 C.C.”.

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ALCUNI ASPETTI MEDICO-LEGALI DEL DANNO BIOLOGICO

La frequente prassi di riferire al numero tabellare la valutazione medico-legale del danno biologico – spesso unica nozione di numerosi cultori di tale argomento – ci sollecita a sottolineare alcuni particolari aspetti dello stesso, indispensabili, peraltro, sia allo scopo di una attività professionale deontologicamente corretta, sia per non determinare situazioni riprovevoli di ingiusti indennizzi.

La sentenza n° 184 del 30.7.1986 promulgata dalla Corte Costituzionale costituisce lo spartiacque tra il criterio valutativo del danno psico-organico codificato dal CAZZANIGA e le moderne intuizioni di GERIN, FRANCHINI ed altri Autori recepite ed approfondite sul piano dottrinale dalla Magistratura.

“Il danno biologico – stabilisce la Corte Costituzionale – è un tipo di fatto (menomazione della integrità psico-fisica del soggetto) ed un tipo di lesione della salute sempre presente nel doloso o colposo illecito realizzativi della predetta menomazione. Tali tipi di fatto e di lesione non vanno in alcun modo confusi con l’eventuale presenza, in concreto, di danni patrimoniali conseguenti al fatto ed alla lesione……”.

In termini più semplici l’anzidetta Sentenza – afferma INTRONA – ha coniugato il principio giuridico con la concezione medico-legale del danno alla VALIDITA’ ovverosia compromissione della integrità psico-fisica.

Un’elevatissima quantità di contributi medico-legali e giuridici ha approfondito e sviscerato in tutte le sue sfumature il peculiare argomento dai quali è stato – ed è – possibile dedurre linee guida – spesso misconosciute – coerenti e razionali per la trattazione e la soluzione dei delicati problemi inerenti tale settore dell’attività professionale.

Allo scopo di una corretta utilizzazione del dettato giuridico è pertinente, a nostro avviso, ricordare la definizione della salute formulata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (O.M.S.):

“La salute è uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non consiste soltanto nell’assenza di malattie od infermità. Essa è oggetto di interesse individuale e generale – perché patrimonio dello stato – da garantire e tutelare contribuendo il suo possesso a

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10 concretizzare la libertà dal bisogno, che, a sua volta, deve essere garantita da un apposito sistema di sicurezza sociale”.

Qualsiasi menomazione dell’integrità psico-fisica della persona configura un danno-evento che è l’effetto lesivo in se e per se considerato: è questo il danno biologico definibile anche (si è visto prima) come danno alla salute in quanto comprende le condizioni di sofferenza esistenziale prodotte anche da situazioni non patologiche nel senso comune del termine (danno alla integrità fisiognomonia, compromissione della funzione sessuale e delle capacità di procreazione, ecc.).

Il danno biologico in quanto danno evento, è un danno prioritario e centrale poiché c’è sempre in ogni lesione ed è sempre risarcibile. Qualora alla lesione consegue di fatto una diminuzione del guadagno del soggetto leso si realizza un danno conseguenza che riguarda il danno patrimoniale da lucro cessante (G. ROTONDO).

Per quanto riguarda i rapporti intercorrenti tra “danno biologico” e “danno alla salute” va sottolineato che mentre sul piano formale vi è differenza fra danno biologico (come concetto medico-legale) e danno alla salute (come concetto giuridico – art. 32 della Costituzione) nella pratica i due termini si equivalgono anche se è vero che l’uso del primo induce a temere che con esso si ignori il danno psichico.

Secondo BUSNELLI il “danno biologico” esprime, almeno all’origine, un concetto medico- legale, quale è quello della menomazione somato-psichica o lesione personale, mentre il

“danno alla salute esprime un concetto squisitamente giuridico e cioè la violazione del diritto menzionato all’art. 32 della Costituzione al quale fa riferimento la legislazione civile diretta all’attuazione di tale norma”.

Come dianzi accennato la letteratura inerente la trattazione del danno biologico è molto numerosa. Nel 2002 la SIMLA ha ritenuto di riassumere i contributi provenienti dagli interpreti di tale argomento con la seguente definizione: “Il danno biologico consiste nella menomazione permanente e/o temporanea dell’integrità psico-fisica della persona comprensiva degli aspetti personali dinamico-relazionali, passibile di accertamento medico- legale ed indipendente da ogni riferimento alla capacità di produrre reddito.

Il danno biologico è nozione unitaria ed univoca da valere in ogni ambito in cui per norma ne sia richiesta la stima: responsabilità civile, assicurazione sociale contro i rischi del lavoro e,

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come auspicio della Assemblea, assicurazione privata contro gli infortuni e le malattie ed in ogni ambito di assistenza e previdenza sociale”.

(Riv. Ital. di Medicina Legale XXIV, 1,167,2002).

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Il danno biologico è “nozione unitaria ed univoca” secondo la definitiva interpretazione delle scuole medico-legali e della Magistratura. Nell’ambito di tale “unità” sono individuabili alcuni aspetti particolari, di notevole importanza indennitaria e sociale, i quali – come spesso è rilevabile dalla lettura di elaborati medico-legali – o sono totalmente ignorati o, nella migliore delle ipotesi, saccentemente sottovalutati.

In altri termini la valutazione del danno biologico non è riferibile ad una scarna e semplicistica equazione: menomazione uguale al numeretto riportato in tabella, - come usano fare gli hobbisti medico-legali e, a volte, anche docenti universitari – ma va, invece, motivata sotto il corretto profilo: danno in relazione a capacità biologica e relazionale.

In altri termini – come suggerito da STASSI – il medico-legale dovrà stabilire preliminarmente le condizioni antecedenti della persona lesa e quindi “se” ed “in che misura”

sia derivato – in conseguenza dell’illecito – un pregiudizio somato-psichico; se ed in che misura questo si ripercuoterà in modo negativo sulle capacità relazionali, estensivamente intese, nonché sulla sua capacità lavorativa. …… Qualora la condizione preesistente aggravi le conseguenze del fatto illecito occorrerà stabilire l’effettiva compartecipazione quantitativa causa-concausa”.

Piuttosto numerosi sono gli aspetti del danno biologico nei riguardi dei quali la letteratura ha portato – e tuttora porta – la sua attenzione interpretativa e propositiva.

In questa sede riteniamo opportuno richiamare, brevemente, l’attenzione su quelli di più frequente osservazione e di corretta considerazione medico-legale: stato anteriore; danno biologico statico e dinamico; danno futuro, danno psichico.

Riteniamo opportuno ricordare che nell’ambito della valutazione del danno in responsabilità civile il medico chiamato a formulare il suo parere tecnico acquista una figura di preminenza da null’altro vincolata (contrariamente a quanto ritenuto e voluto da alcuni gestori del settore indennitario) che dalla sua capacità professionale e dalla sua esperienza nell’ambito di tale settore dell’attività professionale.

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12 Ciò premesso consideriamo, sia pure con obbligata concisione, ciascuno degli aspetti medico- legali da prendere in doverosa considerazione ogni qualvolta si redige una relazione attinente l’indennizzo del danno biologico.

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STATO ANTERIORE

Le condizioni psico-fisiche anteriori della persona, influiscono, come è noto, sull’entità e sulla sofferenza soggettiva ed obiettiva, determinata dal danno conseguente alla lesione in esame.

Tra gli innumerevoli esempi ricordiamo la diversa incidenza di una frattura di femore su un soggetto anziano o su un soggetto giovane, oppure in soggetto con lesioni legamentose di un ginocchio ; anche un danno di modesta entità, quale può essere quello derivante da un colpo di frusta, provoca sintomi e sofferenze soggettive ed obiettive diverse a seconda dell’attività e dell’età del soggetto colpito.

“Il consulente – scrive FRANCHINI – dovrà anzitutto rendersi conto di quello che doveva essere la struttura psico-somatica del soggetto prima della sofferta lesione e poi dovrà descrivere accuratamente le conseguenze peggiorative di natura permanente, trascurando quelle conseguenze che, pur essendo permanenti di fatto, non hanno inciso sulla validità psico-somatica economicamente produttiva del soggetto”.

Una piena presa di coscienza delle preesistenze – aggiungono RONCHI e MORINI – non dovrebbe, invece, mai mancare da parte del valutatore. Tanto più in materia di danno biologico, laddove sono da considerare anche quelle situazioni che non incidono sulla capacità lavorativa del soggetto ma che, comunque, menomano lo stato di salute ed in qualche modo ne condizionano il modo di essere. ….. Tale maggiorazione di danno, a nostro avviso, ricorre del tutto comunemente nel soggetto anziano dove l’integrità (intesa in senso relativo come anzidetto) poggia per così dire su di un equilibrio del tutto instabile”.

Nell’ambito della corretta valutazione medico-legale del danno biologico il problema fondamentale è rappresentato dai criteri ai quali viene riferita l’entità percentuale dello stesso.

E’ un quesito senza dubbio importante poiché dalla soluzione dello stesso dipende l’equità dell’indennizzo remunerativo.

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Come già accennato, numerosi e di rilevante interesse sono i contributi dottrinari inerenti la valutazione medico-legale. Non è, ovviamente, possibile, in questa sede, ricordare i numerosi Autori che hanno preso in considerazione ed approfondito l’argomento ma riteniamo opportuno ricordare che nel corso delle giornate medico-legali di Como, nel 1967, ne fu data la seguente definizione: “lo stato anteriore comprende età, sesso, costituzione, preparazione tecnico-professionale del soggetto, tare morbose, eventuali menomazioni preesistenti”.

Tale valutazione medico-legale venne ribadita da MARTELLI – insieme ad altri autorevoli relatori – in occasione di un Convegno tenutosi a Bologna nel 1982 su: “Riflessioni medico- legali sullo stato anteriore”, il quale affermò che: “Praticamente, nel parlar comune dei medici-legali, si identificano come stato anteriore tutte e solo quelle situazioni biologiche preesistenti che possono avere rilevanza di concausa nella produzione dell’evento traumatico e delle sue conseguenze”.

La valutazione del danno a persona, pertanto, non può prescindere dalla nozione secondo cui ogni nuova infermità funzionalmente rilevante peggiora necessariamente lo stato anteriore della persona affetta da altre infermità, così che il pregiudizio che essa causa, in una percezione necessariamente unitaria della salute, è superiore a quello che creerebbe se insistesse su un organismo integro.

Ne deriva che ogni singola infermità risarcibile deve essere ipervalutata in termini di percentuale di invalidità se ed in quanto sia apprezzabilmente concorrente con altre preesistenti e funzionalmente rilevanti.

“Sul piano naturalistico non v’è dubbio – scrive A. FIORI – che il grado di sofferenza indotto dal peggioramento della salute per un’identica menomazione è maggiore in chi ha già preesistenti menomazioni.

Se ne deduce che anche eventuali preesistenze menomanti la salute del leso fanno parte di queste variabili ed occorre tenerne conto nella giusta misura anche nella valutazione e liquidazione del danno”.

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14 DANNO BIOLOGICO STATICO E DINAMICO

Come in precedenza ricordato il danno biologico è configurabile in una sofferenza psico- fisica del soggetto la quale gli impedisce di godere la vita nello stesso modo in cui ne godeva prima dell’evento lesivo, indipendentemente da qualsiasi capacità produttiva.

Tale sofferenza, anche di non elevata entità, può non determinare una incidenza negativa sulla attività lucrativa in se considerata ma può rendere più oneroso l’impegno-funzionale nell’espletamento della stessa.

“Ribadito che il danno biologico – scrive INTRONA – è in “danno funzionale” (alterata funzione) del complesso psico-fisico della persona, va anche ribadito che esso esiste di per se e costituisce la premessa per un eventuale danno al lucro cessante (danno alla capacità di reddito, danno patrimoniale in senso proprio)”.

“La definizione di danno biologico che abbraccia sia la lesione-menomazione psico-fisica in se considerata, sia anche i riflessi negativi sulla vita quotidiana del danneggiato – affermano GIANNINI & POGLIANI – lascia chiaramente comprendere come questo pregiudizio debba essere riguardato sotto due aspetti: quello statico e quello dinamico.

L’Aspetto statico consiste nella diminuzione del bene primario della integrità psico-fisica in se considerata, ossi del danno fisiologico vero e proprio.

L’Aspetto dinamico consiste nella compromissione delle attività quotidiane di vita del danneggiato, ossia nella perdita di utilità che il danneggiato avrebbe prodotto o ricevuto se non fosse stato leso.

“Nell’ampia gamma di contenuti del danno biologico – aggiunge G. GIANNINI – sono poi da considerare la perdita di chance lavorative, la maggior fatica per conseguire il reddito lavorativo e l’usura delle forze lavorative di riserva, sempre che in questa ipotesi il danneggiato non subisca una diminuzione di guadagno.

Quanto alla maggior fatica che, per l’effetto delle menomazioni subite, il danneggiato deve sopportare per eseguire il lavoro cui è dedito o per conseguire il medesimo guadagno del quale godeva prima dell’illecito è pura circostanza che non configura un danno patrimoniale da lucro cessante se non altro per la constatazione che anche in questa ipotesi il reddito lavorativo non muta. La mancata flessione del guadagno non toglie, però, che il pregiudizio ci sia e che debba essere risarcito nell’ambito del danno biologico in quanto afferente all’aspetto dinamico di tale Genus”.

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Facendo riferimento alla nostra pluridecennale esperienza valutativa riteniamo che tale aspetto del danno biologico sia del tutto ignorato o, quantomeno contestato, sia da parte degli specialisti, o pseudo tali, della materia, sia, soprattutto, da parte dei rappresentanti delle società assicuratrici. Così, peraltro, - come vedremo successivamente – per quanto riguarda l’indennizzo del danno futuro. La “dinamicità” del danno è, a nostro avviso, in gran parte addebitabile alle conseguenze delle cosiddette “piccole invalidità”, tenendo presente che “la grande invalidità” interferisce quasi sempre con la capacità lavorativa e lucrativa.

Tale considerazione è pienamente condivisa da INTRONA e dalla Magistratura “Ma v’è un altro motivo per auspicare l’appesantimento del punto e deriva dal fatto che talune menomazioni psico-fisiche pur non dando luogo a ben qualificate conseguenze di danno patrimoniale in senso proprio, creano comunque impaccio e fastidio nel lavoro.

Si pensi ad una modesta menomazione della caviglia che resta nei limiti del danno biologico per un impiegato con mansioni sedentarie mentre disturba il lavoro di chi opera in prevalente stazione eretta e comunque con prevalente impegno fisico”.

L’esemplificazione illustrata da Introna può – e deve – essere estesa ad un notevole numero di menomazioni ritenute, saccentemente, di scarso rilievo anatomo-funzionale le quali, invece, possono essere motivo di elevata sofferenza soggettiva in determinate attività lavorative.

I postumi conseguenti ad un documentato colpo di frusta o ad uno scafoide fratturato determinano una diversa intensità di sofferenza soggettiva nei riguardi di uno specialista medico-legale oppure in un camionista o muratore, ecc.

“Menomazione anatomo-funzionale del soggetto – afferma la Suprema Corte – idonea a modificare le preesistenti condizioni psico-fisiche e quindi ad incidere negativamente sulla sfera individuale in ogni sua concreta articolazione ed indipendentemente dall’attitudine della persona a produrre reddito: tale menomazione è sempre presente in ipotesi di danno alla persona e, quindi, va risarcita ai sensi dell’art. 32 della Costituzione e dell’art. 2043 C.C. in linea prioritaria rispetto ad ogni altro danno.

(CORTE DI CASSAZIONE – 27.6.1990 n° 6536).

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IL DANNO FUTURO

E’ un aspetto del danno biologico che non trova adeguata attenzione da parte degli estensori delle consulenze tecniche siano essi specialisti o soltanto perfezionati in medicina legale.

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16 Il concetto di “danno futuro” non è un riferimento ipotetico o puramente speculativo ma è chiaramente inserito nel codice civile per cui qualsiasi professionista che si interessi di valutazione del danno biologico deve necessariamente tenerne conto.

“A differenza di quanto si verifica per il danno potenziale – afferma PELLEGRINI – non si può negare l’indennizzabilità del danno futuro, cioè del danno non attuale ma che con grandissima probabilità o con sicurezza, si verificherà in avvenire come conseguenza di un evento verificatosi tempo prima”.

“Così inteso il danno – aggiunge FRANCHINI – può essere attuale al momento della valutazione, ovvero può trattarsi di un danno pronosticabile per l’avvenire. In questo secondo caso la prognosi di danno può essere assolutamente certa e motivata ed allora si parla di

“danno futuro” e, trattandosi di conseguenza diretta del fatto illecito, comporta il diritto al risarcimento e quindi deve essere valutato”.

Facendo riferimento alla corretta criteriologia medico-legale per “danno futuro” si intende quel danno che si presenta prevedibilmente certo o molto probabile in un futuro più o meno lontano, quale conseguenza di menomazioni non ancora in atto ma che certamente, o molto probabilmente, si manifesteranno.

L’evenienza più frequente nell’ambito della traumatologia, la quale obbliga il consulente alla considerazione del danno futuro, è rappresentata dall’insorgenza dell’artrosi post-traumatica, specialmente nei riguardi di fratture in soggetti adulti o anziani le quali alterino le superfici articolari direttamente oppure indirettamente per cattiva consolidazione dei segmenti ossei fratturati.

La manifestazione artrosica può interessare le superfici delle articolazioni immediatamente vicine ai focolai di frattura oppure insorgere in altre sedi organiche, come conseguenza dell’alterato equilibrio statico e dinamico del corpo: vedasi, ad esempio, le alterazioni statiche della colonna vertebrale conseguenti ad accorciamento degli arti inferiori od a fratture con disassamento del bacino.

“La valutazione dell’invalidità permanente – scrivono LUVONI & AL – conseguente alle lesioni, deve essere fondata sullo stato presente del soggetto nonché sugli elementi prognostici aventi carattere di certezza o, almeno, di grande probabilità. Valutazione, pertanto riferita allo stato attuale del soggetto ma corretta in linea prognostica attraverso la ponderata considerazione dell’evoluzione futura dei postumi. Si pensi alle rigidità articolari che con il

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tempo migliorano; si pensi ai casi di artrosi traumatiche che si sviluppano anche a notevole distanza di tempo dall’epoca di produzione delle lesioni, alle conseguenze di lesioni endocraniche in evoluzione”.

Va ricordato, a conclusione delle presenti note, che fin dal 1931 la CORTE DI CASSAZIONE ha stabilito che “il danno futuro è risarcibile purché poggi su elementi di probabilità che siano in diretto rapporto alle circostanze da cui trae origine”.

La stessa Suprema Corte, il 18 Gennaio 1939, ribadiva: “Tra i danni risarcibili, oltre a quello attuale, devesi comprendere anche quello futuro corrispondente alla soppressione di tutte quelle legittime aspettative che, fondatamente, sulla base dell’id quod plerumque accidit possono trarsi da una situazione rimasta perturbata dal fatto dannoso”.

Numerose sono le Sentenze che la stessa Suprema Corte e tutte le altre sezioni giudiziarie hanno promulgato successivamente, fino ai giorni nostri, su tale argomento a conferma dell’antica disposizione giuridica dianzi ricordata.

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DANNO PSICHICO

“Il danno biologico di tipo psichico – affermano GIANNINI & POGLIANI – è un po’ come l’altra faccia della luna: è fuor di dubbio che esista, ma è ancora da esplorare”.

E’, a nostro avviso, una felice sintesi della prassi abitudinaria di numerosi esperti – o pseudo tali – di valutazione del danno biologico per i quali la patologia o la sofferenza psichica post- traumatica è del tutto ignorata.

Eppure molti degli eventi traumatici, con le loro modalità lesive e con le loro conseguenze, determinano, oltre alle più o meno gravi menomazioni fisiche, anche turbe della euritmia psichica le quali, a loro volta, incidono negativamente sulla cenestesi del traumatizzato.

Anche alcune di queste, ritenute di lieve entità anatomo-patologica, quale, per esempio, il vituperato “colpo di frusta”, possono incidere negativamente sulla cenestesi psichica, come documentato da una qualificata letteratura.

“Per quanto riguarda la lesione psichica – aggiungono gli Autori dianzi citati – bisogna riferirsi alla nozione di “salute” la quale ai fini risarcitori, e per le ragioni espresse nel

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18 precedente paragrafo, non si può far coincidere con uno stato di benessere psichico, di pienezza di funzioni, ma va ravvisato nell’equilibrio psichico quale è concretamente posseduto da ogni singolo soggetto al momento in cui diviene vittima del fatto illecito; sicché costituisce lesione psichica l’ingiusto turbamento, che sia giuridicamente apprezzabile, dell’equilibrio psichico di ogni persona ancorché instabile e precario. Conseguentemente la menomazione psichica consiste nella riduzione – temporanea o permanente – di una o più funzioni psichiche della persona la quale, incidendo sul valore uomo globalmente inteso, impedisce alla vittima di attendere del tutto od in parte alle sue ordinarie occupazioni di vita”.

Il problema della valutazione del “danno biologico” in ambito psichico ha assunto una crescente importanza – affermano BUZZI & VANINI – consensualmente all’affermazione del danno biologico nella sua unitaria accezione di nocumento all’integrità psico-fisica della persona in se e per se a prescindere dai riverberi sulla capacità lavorativa e reddituale dell’individuo”.

Ci sembra utile, al fine di precisare meglio la natura di tale danno riportare la definizione che GIANNINI & POGLIANI hanno formulato nei riguardi dello stesso: “Il danno psichico è una compromissione durevole ed obiettiva che riguarda la personalità individuale nella sua efficienza, nel suo adattamento, nel suo equilibrio, come un danno consistente, non effimero né puramente soggettivo, che si crea per effetto di cause molteplici e che, anche in assenza di alterazioni documentali dell’organismo fisico, riduce in qualche misura le capacità, le potenzialità, le qualità della vita della persona.

Conseguentemente la lesione psichica consiste nella riduzione – temporanea o permanente – di una o più funzioni psichiche della persona, la quale, incidendo sul valore uomo globalmente inteso, impedisce alla vittima di attendere in tutto od in parte alle sue ordinarie occupazioni di vita”.

La sofferenza di più frequente osservazione nell’ambito della patologia traumatica e post- traumatica è riferibile al cosiddetto “disturbo post-traumatico da stress”. Tale disturbo è rilevabile dopo un grave evento traumatico da sinistro automobilistico ma è spesso conseguente, secondo quanto riportato dalla moderna letteratura, a cataclismi naturali, eventi bellici, aggressioni personali violente, violenze sessuali, rapine ecc.; eventi che lasciano nella persona che ha subito il trauma un segno importante per un periodo di tempo lungo, anche per diversi decenni.

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L’evento traumatico viene rivissuto attraverso il ricordo, frequentemente con grossolane manifestazioni ansiose e di attivazione neurovegetativa, accompagnate da reazioni emotive dolorose.

Tale disturbo limita la vita relazionale del soggetto traumatizzato portandolo all’isolamento sociale ed all’evitamento di tutte quelle situazioni, luoghi o persone che possono riattivare il ricordo dell’evento traumatico.

Il danno biologico di natura psichica è, come abbiamo dianzi accennato, spesso ignorato o, quantomeno, sottovalutato da parte della quasi totalità degli estensori di pareri e relazioni medico-legali non soltanto per la scarsa attenzione ed esperienza in tale delicato settore della patologia umana ma anche per l’evanescenza dell’eziologia esogena di gran parte dei disturbi mentali.

“Oggi la variabilità delle risposte del singolo individuo – afferma PONTI – è considerata come espressione del fatto che l’individuo è unico, talché ciascuno reagisce ai fattori psicopatogenetici che incontra nella sua vita secondo una modalità anch’essa unica, così come personali ed irripetibili sono le vicende della vita ed il modo che ha ciascheduno di reagire e rispondere ad esso”.

La Corte Costituzionale, con sentenza n° 37, promulgata il 17 Febbraio 1994, riferisce il danno psichico “all’ipotesi che la sofferenza fisica e morale determini, di per se stessa, alterazioni della psiche tali da incidere negativamente sulla attitudine del soggetto a partecipare alle attività, alle situazioni ed ai rapporti in cui la persona esplica se stessa nella propria vita”.

La Corte d’Appello di Milano, il 29 Novembre 1991 ha stabilito che: “l’integrità della persona ed il bene primario della salute, nella cui lesione si sostanzia il danno biologico, non può essere valutata in termini esclusivamente fisici, materialmente constatabili, ma comprende anche la sfera emotiva e psichica le cui sofferenze sono meno obiettivamente valutabili ma non per questo meno reali”.

A tal proposito va ricordato che i contratti assicurativi privati non prevedono l’indennizzo nei riguardi del “danno psichico” poiché “non materialmente constatabile”; secondo il criterio dei dirigenti delle Società Assicuratrici “i traumi psichici porrebbero insuperabili problemi di accertamento concreto”.

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20 Sostenere tale argomento all’epoca attuale, nella quale l’accertamento diagnostico, se correttamente attuato, concede scarse possibilità di errore, anche in presenza di artificiose pretestazioni, ci sembra del tutto pretenzioso e, diciamolo pure, cavillosamente interessato.

Il danno biologico di tipo psichico è come l’altra faccia della luna: è, pertanto, professionalmente corretto che tale “faccia” venga esplorata e considerata nell’ambito della valutazione medico-legale del danno biologico poiché come “unica” è la luna, “unico” è anche il complesso somato-psichico dell’uomo.

La sofferenza psichica, intesa nella sua definizione di tipo medico, costituisce un danno biologico il quale, a tale titolo, deve essere considerato con la stessa validità del “danno materialmente costatabile” da parte delle società assicuratrici private.

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Nell’ambito del risarcimento del danno alla salute il medico-legale non può, e non deve, ignorare l’esistenza di altri aspetti del danno biologico i quali hanno, indubbiamente, una loro influenza negativa e che, come dovrebbe essere noto ad ogni specialista, non vanno addebitati alla tipologia del danno psichico o del danno morale.

Ne ricordiamo alcuni di più frequente osservazione:

DANNO ALLA VITA DI RELAZIONE

Questa figura di danno consiste nell’impossibilità o nella difficoltà per la persona che ha subito menomazioni fisiche, di reinserirsi nei rapporti sociali oppure di mantenerli a livello normale.

Il danno alla vita di relazione, qualora sia conseguenza diretta della lesione dell’integrità psico-fisica deve essere considerato parte del danno biologico e – anche al fine di evitare una duplicazione del risarcimento – a tale titolo deve essere risarcito.

“In tema di risarcimento del danno alla salute sussiste un danno alla vita di relazione in caso di diminuzione della capacità di acquisire determinate posizioni sociali ed incidente sia nell’ambito delle relazioni umane sia nell’attività lavorativa”.

(Tribunale di Monza 15.2.1988 AGGSS, 1067).

Il danno alla vita di relazione – scrive STASSI – dovrebbe essere inteso come limitazione obbligata di tutte quelle manifestazioni di vita che rispondano ad esigenze materiali e spirituali dell’uomo, ma non assurgono a motivo d’incremento patrimoniale, anche

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indirettamente, che anzi molte volte, alcuni suoi aspetti potrebbero costituire motivo di pregiudizio economico”.

DANNO ESISTENZIALE

E’ una categoria di danno che, di recente, è stata individuata dalla dottrina ed in seguito riconosciuta anche a livello giurisprudenziale.

Possiamo definirlo – in stringata sintesi – come lo sconvolgimento dell’esistenza di un soggetto in determinati aspetti della sua vita.

Va tenuto presente, a tal fine, che tale danno non è riferibile alla lesione dell’integrità psico- fisica del soggetto ma in qualcosa di diverso e, sotto certi aspetti, più ampio.

E’ un danno collegabile ad eventi di elevato impatto emotivo quali, per esempio, mobbing, sequestro di persona, violazione al diritto della riservatezza, costrizione alla prostituzione, abusi sessuali, molestie sul lavoro, ecc.

Si tratta, in altri termini, di eventi dai quali deriva un reale sconvolgimento dell’esistenza del soggetto che, ovviamente, deve essere rigorosamente provato. Tale sconvolgimento non è identificabile negli aspetti direttamente collegati alla sua salute, ma nella impossibilità o nella notevole difficoltà di svolgere le attività esplicate in precedenza.

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LE TABELLE

Ogniqualvolta viene formulata la diagnosi medico-legale di “danno alla salute” lo specialista, o pseudo tale, deve formulare e prescrivere, per così dire, la “cura”.

La “cura”, come in ogni settore dell’attività medica, può essere professionalmente corretta oppure, più spesso di quanto non si creda, del tutto inadeguata od anche espressione di millantata capacità professionale.

La “patologia” è il danno biologico in tutti i suoi aspetti, come abbiamo dianzi ricordato; la

“terapia” il giusto risarcimento dello stesso, in tutte le sue espressioni, private, civili e sociali.

Tale “terapia” è utilizzabile mediante il ricorso alle cosiddette “tabelle” contenenti la percentuale di deficit psico-fisico attribuibile a numerose menomazioni somatiche e psichiche.

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22 Sembra, come molti pseudo terapeuti ritengono, una facile prescrizione; invece, a ben pensarci, costituisce uno degli argomenti più impegnativi e, per molti versi, difficili dell’attività professionale.

La “nascita” delle tabelle è collegabile, come abbiamo accennato all’inizio delle presenti note, alla promulgazione del Testo Unico n° 51 del 1904 riguardante la tutela degli infortuni lavorativi.

Con tale legge venne codificato l’indennizzo per alcune particolari menomazioni riportate in occasione di lavoro e fissata la percentuale di danno organico attribuibile ad ognuna di queste.

Considerando l’integrità psico-fisica della persona uguale al 100%, venne fissata una percentuale convenzionale per ognuna di quelle prese in considerazione, a seconda dei settori organici interessati.

La formulazione della tabella fu, sotto certi aspetti, la scoperta del classico uovo di Colombo, poiché consentiva di uniformare i risultati valutativi rispetto a ciascun tipo di lesione, mediante il riferimento ad una percentuale valida erga omnes, ma nello stesso tempo annullava, di fatto, la personalità psico-fisica e sociale del soggetto leso.

Se la perdita di un dito indice destro, per fare un esempio, è quantificabile nella misura del 12%, come da tabella, tale percentuale assume una considerazione diversa se la lesione riguarda un generico operatore ecologico oppure un meccanico motorista.

Scorrendo la letteratura medico-legale pubblicata dal 1800 in poi è rilevabile un elevato numero di proposte tabellari per il risarcimento delle menomazioni organiche conseguenti ad infortunio o malattia professionale nonché a lesioni di interesse civile, tutelate dall’art. 2043 del C.C.

Dopo quelle inerenti l’infortunistica lavorativa, continuamente aggiornate e commentate da numerosi Autori, venne pubblicata la tabella proposta da Cazzaniga, riferibile, come quelle dell’INAIL, alla eterea capacità generica, la quale è stata utilizzata, per circa 50 anni, dai medici-legali e dai magistrati.

Dopo Cazzaniga, e in relazione alla evoluzione socio-strutturale della comunità nazionale – fenomeno, peraltro, riscontrabile anche in altre nazioni europee -, si è sviluppata una rigogliosa fioritura di proposte valutative da parte delle più importanti scuole universitarie nonché da parte della magistratura.

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I convegni medico-legali di Como nel 1967 e di Perugina nel 1968 consentirono di armonizzare le numerose indicizzazioni del danno alla persona formulando un’unica tabella con la valutazione delle più frequenti menomazioni psico-organiche.

Con l’evoluzione dottrinale verso la valutazione del danno biologico, secondo le tesi sostenute dal Gerin e la sostanziale adesione della Magistratura al nuovo criterio medico- legale, adottato dal Tribunale di Genova nel 1974 e definitivamente condiviso e promulgato con la fondamentale Sentenza n° 184 del 1986, ha sollecitato la proposta e la pubblicazione di successive tabelle di danno, l’ultima delle quali promulgata con decreto del Ministero della Salute il 3 Luglio 2003.

Il ricorso alle indicazioni percentuali di menomazione della integrità psico-fisica – scrive BARGAGNA – è stato ritenuto inevitabile. Le alternative rappresentate dalla sola descrizione delle conseguenze della menomazione, sia pure attenta e compita, e/o all’impiego di aggettivazione (lievissima, lieve, media, grave, gravissima) non sono apparse prospettabili considerata la realtà forense ed assicurativa attuale. La descrizione è ritenuta assolutamente prioritaria, ma non sufficiente ai fini pratici. L’aggettivazione è stata utilizzata come indicazione integrativa della entità della menomazione, soprattutto quelle difficilmente riconducibili a parametri obiettivi di tipo quantitativo”.

La proliferazione delle tabelle ha determinato una consuetudine e, per certi aspetti, un andazzo professionale ed indennitario, deontologicamente criticabile, per la categoria medica, intrinsecamente riprovevole per la categoria assicurativa, sia essa pubblica o privata.

Frequentemente medici generici od esercenti altre attività specialistiche coltivano l’hobby della consulenza medico-legale, giudiziaria o assicurativa, senza o con scarsa esperienza nel difficilissimo settore della valutazione del danno biologico.

Frequentemente i rappresentanti delle società assicuratrici, cioè i liquidatori danni, si avvalgono della collaborazione di medici privi delle specifiche cognizioni inerenti tale settore professionale, al conclamato scopo di avallare surrettiziamente la loro personale quantificazione tabellare. Gli uni e gli altri hanno come unico e sodale criterio di riferimento il numeretto percentuale riportato in questo o quel volume. In termini più semplici il riferimento tabellare costituisce la semplice e solitaria cognizione utilizzabile per la valutazione del danno biologico.

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24 Tale andazzo, piuttosto frequente anche nell’ambito dell’attività giudiziaria, è sicuramente fonte e motivo di grossolane ingiustizie verso il soggetto lesionato nonché di ingiusti vantaggi nei riguardi dell’ente assicuratore.

Se le proposte tabellari costituiscono un elemento essenziale per la valutazione e l’indennizzo del danno biologico va anche ricordato che tale proposta va considerata nell’ambito psico- fisico del soggetto di riferimento.

Contrariamente all’atteggiamento comportamentale di numerosi operatori in tale delicato settore, la formulazione della cifra percentuale di invalidità presuppone una ricerca causale, anamnestica, clinica, spesso anche strumentale, bibliografica, mediante la quale si può, o si deve, pervenire alla formulazione ragionata ed equa dell’entità percentuale del danno biologico.

“Accertare l’entità della menomazione – scrive GIOLLA – vuol dire identificare uno degli elementi essenziali della dannosità, entrare, cioè, nel vivo dell’indagine che è quello di fissare le norme della definizione quantitativa del pregiudizio derivante alla persona.

Poiché si tratta di un giudizio quantitativo è giocoforza impiegare termini numerici, pur dovendosi riconoscere l’inadeguatezza del riportare ad una cifra, cioè ad un elemento rigido, fisso e per così dire statico, quella che è in fondo una risultante di fattori non soltanto materiali ma anche dinamici, capaci di influenzarsi, aggravarsi e magari elidersi l’uno con l’altro, in un sistema contingenziale ribelle ad un computo esatto”.

Il sistema delle lesioni tariffate – afferma DIEZ – dal punto di vista biologico è antiscientifico ed empirico perché non tiene conto del fatto, che può ormai definirsi dogma, che corrisponde ad ogni essere umano una peculiare personalità fisica e psichica la quale domina e regola l’esercizio e l’utilizzazione delle varie funzioni. Come non ci sono malattie ma malati così esiste un invalido non una invalidità. Col variare della personalità, varia, da individuo ad individuo, il rendimento degli organi e quindi il valore di questo nel campo fisiologico del lavoro”.

Analoghi concetti esprimono BARNI & LORE’: “Nessuno può negare che la valutazione deve tener conto per fini di oggettività dei “baremes”, che sono frutto di paziente e positiva elaborazione tecnica medico-legale, ma che dovranno tuttavia essere, dal riferimento

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percentualistico di base, proiettati in una dimensione ben più complessa, di natura bio-sociale e psico-sociale il cui disconoscimento renderebbe monca e non certo esaustiva qualsiasi stima di danno, in campo civilistico ed assicurativo”.

Come già accennato i contributi dottrinari e scientifici su tale argomento sono numerosi ed autorevoli ma non è possibile, in questa sede, citarli ed analizzarli tutti.

Riteniamo utile e, per certi versi, necessario riportare quanto scritto nelle prefazioni dei due volumi di più frequente consultazione, visibili sul tavolo di lavoro di medici-legali, hobbisti della valutazione medico-legale, magistrati, liquidatori danni delle società assicuratrici, pubblicati da LUVONI & AL. e da BARGAGNA & AL.

Prefazioni, a nostro avviso ed esperienza, mai lette o, se appena sfogliate, mai assimilate ed applicate.

“La valutazione dell’invalidità – afferma LUVONI – deve tener conto dello stato anteriore del soggetto. Le percentuali della tabella sono applicabili ai casi medi, ma se da questa media ci si discosta per effetto dello stato anteriore del soggetto, le percentuali andranno variate di conseguenza. Si pensi come diversamente può incidere una menomazione dell’efficienza estetica a seconda dell’età e del sesso del danneggiato; come una menomazione artuale può essere sopportata e compensata da un giovane rispetto ad un soggetto di età avanzata, come diversamente può incidere una menomazione di un organo o di un arto già menomato rispetto ad uno integro.

La tabella non può avere valore assoluto ma costituisce soltanto una indicazione delle percentuali medie di invalidità permanente derivante da menomazioni frequentemente ricorrenti nella pratica medico-legale”.

BARGAGNA & AL. ….. “Si deve comunque tener presente che anche quando l’indicazione percentuale non è espressa in fascia, o questa è ristretta e comunque riferita a fattispecie di menomazioni apparentemente semplici, essa è pur sempre relativa agli esiti ordinari di una data affezione, per cui, nei casi particolari in cui si manifestino conseguenze anatomo- funzionali insolitamente sfavorevoli, sarà legittimo prospettare valutazioni difformi da quelle suggerite. Si deve tener presente comunque che le percentuali di invalidità non sono rapportabili ad una percentuale di menomazione matematicamente corrispondente alla quota di invalidità perduta. In effetti la validità residua non può certo essere commisurata alla

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26 differenza tra un teorico valore “cento” corrispondente alla validità preesistente e la quota parte di validità perduta.

La valutazione in percentuale ripete una consuetudine secondo la quale i valori attribuiti ai singoli organi non hanno una effettiva proporzionalità rispetto al tutto, ed inoltre la sproporzione dei valori valutativi cresce per lo più col crescere del grado di invalidità”.

“L’estrema variabilità della casistica – aggiunge SCHEPIS – delle situazioni socio- economiche e psico-fisiche, devono indurre gli operatori del diritto ed i medici-legali ad evitare standardizzazioni, a dedicare ad ogni singolo caso il massimo approfondimento, allo scopo di individuare i termini di un equo ed adeguato risarcimento”.

“Costantemente e correttamente – concludono DE FERRARI & AL. – le linee guida sottolineano il loro proprio carattere indicativo e di orientamento, a significare che il più grave errore che il medico-valutatore può compiere è quello di ritenere che la pedissequa espressione numerica renda ragione e soddisfazione di un ragionamento che ha, invece, alla sua base esperienza, dottrina e professionalità e che, soprattutto, deve compendiarsi in argomenti e motivazioni tali da rendere chiara l’interpretazione che ha indotto la valutazione medesima”.

I pochi, autorevoli, riferimenti bibliografici dianzi citati (riportare la numerosa, recente, altrettanto autorevole, letteratura esistente richiederebbe la pubblicazione di un volume) consentono di sottolineare la specificità dell’impegno professionale medico-legale nell’ambito della valutazione del danno biologico nonché l’inderogabile necessità di un continuo riferimento ed approfondimento nei riguardi delle fondamentali nozioni di fisiopatologia ed anatomo-patologiche senza le quali la specialità medico-legale è come un vaso senza contenuto.

Non v’è dubbio alcuno che il ricorso a punteggi ed a calcoli suscita, purtroppo, la sua potente suggestione facendo apparire scientifico e quindi intoccabile quanto è solo frutto di pratiche e comode tecniche empiriche finalizzate al risarcimento di un danno psico-fisico. A tal fine va anche ricordato – come sottolinea PONTI – che “non può trovare applicazione nella valutazione del danno psichico qualsiasi quantificazione che si riferisca a sistemi tabellari, o tassonomonici, o di barémes, anche in via di esemplificazione o orientativa.

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La estrema variabilità delle situazioni singole, il diverso ruolo che di volta in volta si ritiene vengano ad assumere i fattori predisponesti circostanziali, esogeno-costituzionali, non consentono di proporre alcuna regola per stimare la quantità delle conseguenze”.

Concludendo la trattazione riguardante la valutazione del danno biologico ci sembra doveroso ricordare, insieme ad defunto amico Prof. Altamura, che “una tabella non riuscirà mai, nell’aridità del numero, a dipingere l’individualità di un soggetto e stabilire come quella menomazione in un dato individuo incida su quelle che sono le sue attività quotidiane, siano esse lavorative, relazionali od anche di mera sopravvivenza.

Non è importante la menomazione, è importante come il soggetto vive la sua menomazione; e questo è assolutamente prioritario perché noi stiamo valutando quella persona, non stiamo valutando in media cosa succede, per esempio, su mille paraplegici”.

Vogliamo ricordare, ancora, un aforisma di un grande maestro della medicina legale, il Prof.

Aldo FRANCHINI: “IL MEDICO-LEGALE NON POSSIEDE IL BILANCINO DEL FARMACISTA”.

Concludiamo con l’auspicio e la sollecitazione di un altro maestro della specialità, il Prof.

INTRONA senior; “E’ altresì auspicabile che le valutazioni di danno alla persona siano affidate a coloro che sanno farle. E’ infatti noto che il medico-legale competente non si limita a “dare i numeri” ma spiega il “perché” dei suoi numeri; mentre taluni pseudo medico-legali (anche se muniti di diploma di specializzazione ottenuto non si sa come) descrivono l’esito e poi dicono che a pagina X della guida pubblicata da Tizio, a quell’esito è attribuito il valore Y%. Questo è il metodo valutativo definibile come il metodo del Geometra (con tutto il rispetto per i geometri). Anche uno studente d medicina è capace di accertare se un gomito ha un difetto di flessione, dopo di che apre la guida e trova la percentuale”.

Purtroppo, secondo la nostra motivata esperienza, la categoria degli “studenti di medicina” è largamente rappresentata nell’ambito della magistratura di primo livello, dei liquidatori danni delle società assicuratrici, dei medici con l’hobby della medicina legale.

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28 LA TABELLA PER LE MINI INVALIDITÀ

Con decreto n° 211 del 3.7.2003, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 11.9.2003, il Ministero della Salute ha celebrato la nascita dell’ennesima Tabella per la valutazione del danno alla salute. Tale intervento legislativo è riferito alle menomazioni di piccola entità valutabili, usualmente tra l’1 ed il 9%.

Ci è difficile comprendere il motivo che ha indotto l’On.le Ministro a promulgare il superfluo decreto tabellare considerato che già erano – e sono – a disposizione degli operatori nel settore dell’indennizzo del danno biologico qualificati riferimenti numerici, fra i quali quello proposto dalla Società Italiana di Medicina Legale e delle Assicurazioni (SIMLA) pubblicato da BARGAGNA, CANALE, CONSIGLIERE, PALMIERI, UMANI RONCHI con il titolo:

Guida orientativa per la valutazione del danno biologico. Giuffrè Editore.

In tale volume, giunto alla III^ Edizione, sono riportati precisi riferimenti anche nei riguardi delle piccole invalidità.

La nuova tabella, pertanto, non aggiunge nulla di nuovo o di interessante al patrimonio professionale già esistente, tranne qualche riduzione percentuale e, soprattutto, alcune indicizzazioni in insanabile contrasto con il più elementare buonsenso.

Prima di esemplificare l’inadeguatezza di alcune indicizzazioni tabellari riteniamo opportuna qualche considerazione preliminare nei riguardi delle piccole invalidità.

Se facciamo la conta delle voci valutative riportate nel Trattato di LUVONI, MANGILI, BERNARDI, rileviamo che su 517 voci elencate ben 206 riguardano la fascia che va dallo 0,25% al 10%. Tra queste, la più eclatante è rappresentata dal “colpo di frusta” al quale è riferibile il 67% delle richieste indennitarie.

Tale percentuale di piccole invalidità incide, obiettivamente, sui bilanci delle società assicuratrici, ma va anche considerato che se è un fenomeno ineliminabile è, anche, controllabile nell’ambito dei bilanci economici delle stesse, come, di fatto, si verifica, nonostante le pubbliche sollecitazioni ai rappresentanti istituzionali.

Il fenomeno è ineliminabile poiché il passaggio dottrinario dalla valutazione medico-legale riferita dalla evanescente capacità generica a quella razionale del danno biologico anche le piccole invalidità – eliminate dal risarcimento sociale – hanno pieno diritto all’indennizzo.

C’è, infatti, danno biologico per qualunque, anche minima, cicatrice, anche se ciò non

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comporta conseguenze funzionali; c’è danno biologico anche per una piccola ferita inferta su un arto paralitico.

Il fenomeno è controllabile a patto che la valutazione medico-legale, ivi compresa quella minimale delle piccole invalidità, sia affidata ad autentici specialisti, aggiornati sul piano fisiopatologico e giuridico.

Abbiamo accennato dianzi all’incidenza del “colpo di frusta” nell’ambito del risarcimento assicurativo. E’ un settore indennitario che ha fatto – e tuttora fa – formulare grandi doglianze da parte delle società assicuratrici. Ci siamo occupati di tale argomento con un lavoro pubblicato qualche anno fa sulla rivista TAGETE. In sintesi possiamo rilevare che il “colpo di frusta” ha una giustificata, elevata, incidenza traumatica inerente alle condizioni, spesso tragiche, del moderno traffico autoveicolare. Ma è anche rilevabile una indiscussa pretestazione ed illegale petizione risarcitoria. Il medico-legale, esperto, soprattutto se allenato –come da insegnamento semeiologico universitario – all’osservazione indiretta, sa sceverare, come si suol dire, il grano dal loglio. Un’autentica cervicalgia – per fare uno dei tanti esempi – non consente l’asportazione dal capo di un maglione, camicia o altro indumento nella maniera usualmente eseguita. Si possono – e si devono – contestare numerosi casi anche in relazione all’approfondita indagine anamnestica nei riguardi dell’entità del danno accertato sulla struttura del veicolo. L’ammaccatura di un paraurti non può avere la stessa importanza lesiva dello sfondamento della carrozzeria. Il nesso causale tra lesione e menomazione consente in un numero elevato di casi la formulazione di un corretto giudizio valutativo nonché la contestazione delle frequenti pretestazioni.

Esiste, però, il rovescio della medaglia, pressoché totalmente ignorato dai valutatori e liquidatori delle società assicuratrici nonché da numerosi Giudici di Pace: l’ignoranza del danno biologico dinamico.

La percentuale di danno per gli esiti di un “colpo di frusta”, effettivamente subito dal soggetto infortunato, è quantificato, in tutte le numerose tabelle in auge, con il valore del 2% (due).

Tale percentuale può essere accettabile in soggetto giovane, non molto impegnato sul piano fisico, oppure in soggetto di media età, scarsamente artrosico, il quale esplichi attività di tipo intellettivo e modesto impegno fisico.

“Fra la conclusione della temporanea e la scomparsa di ogni esito menomante – afferma

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“piccola percentuale” la quale assume carattere di un significato meramente forfettario e scaturisce da una finzione (improntata a buon senso e ad un principio di equità) per la quale si attribuisce “qualche punto” non perché si ritenga permanente l’esito oggetto di esame ma perché sarebbe iniquo chiudere il caso con il solo riconoscimento per inabilità temporanea mentre il leso continua (o ha continuato) “per qualche tempo” ad avere disturbi”.

Tali considerazioni sono condivisibili anche per quanto riguarda soggetti che esplicano attività fisiche di natura pesante (meccanici, carpentieri, muratori, venditori ambulanti, ecc.) con conseguente accentuazione e, spesso, intolleranza, della sintomatologia subiettiva la quale, in alcuni casi, come da nostra esperienza professionale, evolve, in autentica obiettività clinica.

L’aspetto del danno statico e del danno dinamico inerente, come da esemplificazione, il

“colpo di frusta” è attribuibile ad ogni altra piccola invalidità elencata nelle tabelle fin’ora utilizzate e, ovviamente, anche a quella promulgata il giorno 11.9.2003.

Indipendente da quanto dianzi esposto tale tabella contiene riferimenti e quantificazioni di danno a dir poco sorprendenti.

Qualche esempio: “esiti dolorosi di schiacciamento di un corpo vertebrale da D1 a D10 con residua cuneizzazione: 4-6%”. Evidentemente il valutatore non ha mai osservato un soggetto affetto da “cuneizzazione” dorsale.

Considerazioni analoghe vanno espresse per: “Esiti di trauma minore del rachide lombare con persistente rachialgia, limitazione antalgica dei movimenti del tronco e con disturbi radicolari trofico-sensitivi strumentalmente accertati: 2-5%”. E’ rilevabile in siffatta quantificazione l’incongruenza numerica: infatti “ i disturbi radicolari trofico-sensitivi strumentalmente accertati” determinano una sofferenza soggettiva ed obiettiva di elevata intensità e di carattere permanente, la quale, ovviamente, non può determinare una risibile percentuale di danno biologico riferibile al 2-5%.

Motivata perplessità induce la lettura di: “Esiti dolorosi di lesioni anatomiche articolari documentate della spalla (e dell’anca), in assenza di deficit della escursione articolare: 4%.

Ci domandiamo: è mai possibile che un soggetto il quale lamenti verosimile dolore alla spalla ed all’anca conseguente a “lesioni documentate”, manifesti una completa e normale escursione articolare delle anzidette articolazioni? Va tenuto presente, a tal fine, che “il dolore” è un sintomo soggettivo, più o meno platealmente manifestato anche dal più

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