PROFESSIONE ICT PROFESSIONE ICT
Competenze e professionalità Competenze e professionalità per l’innovazione digitale
per l’innovazione digitale
Rubrica a cura di
Roberto Bellini, Federico Butera, Alfonso Fuggetta
Il tema dell’innovazione e della competitività del sistema Italia è all’ordine del giorno della discussione economica e di quella sulle politiche industriali; sono promosse iniziative istituzionali a supporto dell’innovazione e si auspica un maggiore contributo della ricerca a livello universitario e privato. Anche l’Unione Europea spinge sul tema dell’innovazione, in particolare sul ruolo che le tecnologie ICT possono svolgere sia nei sistemi industriali che nei sistemi di governo e sull’importanza che può avere la definizione di un framework comune delle competenze ICT, compatibile con quanto previsto dall’EQF - European Qualification Framework - recentemente approvato dall’Unione Europea (2006).
Mondo Digitale vuole sostenere la diffusione di una maggiore sensibilità sul contributo che le competenze e le professionalità relative alle tecnologie digitali possono fornire in termini di innovazione dei servizi e del business dell’Impresa e di servizi per la cittadinanza erogati dagli enti della Pubblica Amministrazione. Questa nuova rubrica è dedicata appunto all’approfondimento sistematico di tutti gli aspetti che riguardano i progetti di analisi e di miglioramento delle competenze per l’innovazione digitale, il monitoraggio dei bisogni di competenza richiesti dal mercato e la valutazione delle offerte di qualificazione e aggiornamento delle competenze proposte dalle istituzioni educative di base e dagli operatori della formazione professionale e permanente.
La rubrica analizzerà l’andamento del mercato del lavoro delle professionalità ICT, i casi di successo nella crescita di competenze del personale dei fornitori di tecnologie e servizi e degli specialisti ICT, sia delle imprese manifatturiere e di servizio che degli enti della Pubblica Amministrazione, nonché l’andamento delle retribuzioni a livello nazionale e internazionale, usando come riferimento i profili e le competenze dello Standard EUCIP che AICA promuove in Italia.
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NTRODUZIONEL
a proposta di organizzare questa conversa- zione nasce dalla nuova linea di ricerca del Progetto Smart Knowledge Management centra- ta sul tema “Competenze del decisore e gestore dell’Innovazione”; la tematica è stata discussa coinvolgendo tre professori universitari e tre esperti di AICA che hanno lavorato come un CdR - Comitato di Redazione di Mondo Digitale di AICA, costituito ad hoc per questo contributo.Gli interlocutori sono:
❑Agostino Cortesi (nel seguito AC), professore all’Università di Venezia Ca’Foscari e responsa- bile del progetto della Regione Veneto su “De-
clinazione, Verifica e Validazione delle Compe- tenze nei Percorsi di Laurea Universitari di Pri- mo Livello”.
❑Giorgio De Michelis (nel seguito GDM), profes- sore alla Università Bicocca di Milano e impren- ditore della start up Itsme.
❑Alfonso Fuggetta (nel seguito AF), professore al Politecnico di Milano e AD del Cefriel, consor- zio per l’innovazione del Politecnico.
❑CdR di Mondo Digitale, comprendente:
•Roberto Bellini, come cultore dell’innova- zione e attualmente coordinatore del CTS e membro della Giuria del Premio Nazionale Innovazione nei Servizi,
•Franco Filippazzi, direttore di Mondo Digi-
Quali sono le competenze di un innovatore digitale?
Una conversazione con Agostino Cortesi, Giorgio De Michelis, Alfonso Fuggetta a cura di Roberto Bellini, Franco Filippazzi e Pierfranco Ravotto
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tale e ricorrente membro di giuria di vari pre- mi per l’innovazione,
•Pierfranco Ravotto, condirettore di Briks e da sempre innovatore nell’insegnamento.
Obiettivo della conversazione è stato quello di approfondire non il contesto dell’innovazione - quali sono le condizioni per cui si favorisce lo svi- luppo dell’innovazione - ma cosa occorra sapere e saper fare per produrre innovazione; in altre parole: quali sono le competenze di un respon- sabile di un progetto innovativo che viene coin- volto in un’organizzazione o in un’impresa già stabilizzata, piuttosto che di un imprenditore di una start-up, cioè di una neo impresa che si au- spica possa crescere e consolidarsi attraverso l’innovazione proposta al mercato.
Non si può parlare di innovazione al di fuori di un’organizzazione (riquadro 1) e, per definizio- ne, l’innovazione riguarda - o dovrebbe riguar- dare - prevalentemente un nuovo prodot- to/servizio da immettere sul mercato piutto- sto che il processo con cui si produce. In que- sta discussione abbiamo voluto dare una mag- giore rilevanza all’innovazione del prodot- to/servizio, cioè a come progettare e realizza- re funzioni d’uso aggiuntive di una seconda o terza release di un prodotto esistente che si evolve o funzioni d’uso completamente nuove di un prodotto che prima non esisteva, la- sciando più indietro l’innovazione di processo delle fasi di produzione-erogazione, che pure possono portare al miglioramento della pro-
duttività con la riduzione del costo per unità di prodotto erogato.
La conversazione è stata attivata da una lista di domande riportate, sinteticamente, nel riqua- dro 2 a p. 74. I risultati della discussione sono articolati su quattro temi: innovare cosa, inno- vare dove, competenze per innovare, formare le competenze per innovare.
2. I
NNOVARE COSAGDM inizia a raccontare la sua esperienza come progettista di un master in “Business Design”
per conto della Domus Academy (www.domus- academy.it). Il punto di partenza del progetto stava nella constatazione che il design italiano, per tradizione, non si interessa solo del design del prodotto ma anche del design del prodotto nel mercato, del design dei servizi, del design del prodotto sostenibile, in altre parole del de- sign strategico.
Il master è tutt’oggi in corso e ha seguito una strada in parte diversa dall’ipotesi originaria di un corso articolato in quattro elementi. I primi due elementi sono stati sostanzialmente trascu- rati: l’analisi del prodotto (come è fatto, quali so- no i suoi competitors, quali gli elementi che ne caratterizzano il ciclo di business) e un’analoga analisi a livello di mercato (i prodotti che lo carat- terizzano, i competitors e le dinamiche del mer- cato). La rilevanza stava nel fatto di non riferirsi ad una specifica disciplina, ma di mettere insie- Riquadro 1
Cosa intendiamo per Innovazione Digitale, in particolare nei servizi
•L’innovazione presuppone un risultato economico e non è quindi un risultato solo tecnico derivante da una ricerca di laboratorio (invenzione); l’innovazione interessa una qualunque organizzazione, profit o non-profit, ma con un bilancio in equilibrio economico e finanziario.
•Sono importanti sia i fattori di innovazione non-tecnologica, come ad esempio in un prodotto/servizio, le sue (eventuali) nuove fun- zioni d’uso primarie e secondarie che ne determinano il valore per il cliente, sia le innovazioni di processo lungo le varie fasi di lavo- ro del prodotto/servizio o la nuova combinazione di componenti tecnologici e di competenze che ne assicurano miglioramento di funzionalità, di prestazione e di costi, sia di tipo incrementale che dirompenti.
•Se ci limitiamo ad un’innovazione nel settore delle Tecnologie Digitali, la componente tecnologica prevalente è comunque quella digitale, anche se assume ruoli diversi nel processo di innovazione (nel prodotto/servizio, nel processo di produzione e di erogazio- ne, nel processo di approvvigionamento dei componenti richiesti per l’assemblaggio finale).
•Riteniamo particolarmente importante tutto quanto attiene alla nuova Scienza dei Servizi - per esteso, Scienza dei Servizi, della Gestione e della Ingegnerizzazione (SSME: Service Science, Management and Engineering); questo è un campo di studio e di svi- luppo emergente. Essa include il curriculum, la formazione e i programmi di ricerca che sono stati progettati per ogni individuo per applicare le discipline scientifiche, di ingegnerizzazione, di gestione e di design che integrano elementi di Scienza dei calcolatori, ri- cerca operativa, ingegneria industriale, strategia di business, scienze della direzione, scienze legali e sociali e altre ancora comun- que finalizzate a incoraggiare innovazione nel modo in cui l’organizzazione crea valore per i clienti e per i portatori di interessi che non possono essere ottenute attraverso queste discipline lavorando isolati.
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me saperi diversi per acquisire un'idea di come erano fatti il prodotto e il mercato.
I secondi due elementi dovevano affrontare gli stessi “oggetti” - il prodotto e il mercato - in ter- mini di progettazione: la progettazione di un prodotto innovativo e la progettazione di un mercato innovativo. Nel master è stato svilup- pato soprattutto il progetto di un prodotto (o di una linea di prodotti o di un’impresa), ma nel frattempo GDM ha iniziato una sua esperienza di imprenditore - innovatore con Itsme.
GDM ricorda che negli anni ottanta si confronta- vano due modelli di sviluppo software: uno tut- to focalizzato sui tempi (chi sviluppava un siste- ma aveva tempi stretti e rigidi da rispettare e poteva organizzarsi come voleva purché rispet- tasse le scadenze) l’altro tutto orientato alla qualità e alla modernità delle soluzioni (in que- sto caso si era forzati a reimpostare il progetto in corso d’opera per adeguarlo alle nuove tec- nologie emergenti - da microprocessori più po- tenti ad assembler evoluti ecc., rischiando così di dar vita ad un processo a cascata che non aveva fondo). Il problema tra i due modelli è che il primo è troppo rigido, mentre il secondo ri- schia di non arrivare mai ad una conclusione perché, visto che l’innovazione è continua, c’è sempre qualche buona ragione per lavorarci an- cora. Ebbene: l’innovatore di oggi deve essere qualitativo e rapido insieme!
GDM insiste sull’idea di progettazione del mer- cato; considera questa la vera forza della Apple
rispetto ai suoi competitor: sa cosa sta facendo.
Chi faceva i tablet prima di iPad non sapeva cosa stava facendo, se un computer piccolo o un te- lefonino grande. Steve Jobs ha invece valutato che, a fronte di un mercato dei telefonini e di un mercato dei PC, c’era un buco in mezzo che ha identificato come un nuovo mercato per un nuo- vo prodotto come l’iPad.
CdR sottolinea dunque che il “cosa innovare” ri- guarda prima di tutto il prodotto. GDM alza il tiro precisando che è ancora meglio se oltre al pro- dotto si progetta anche un nuovo mercato. La ca- ratteristica del prodotto è quella di essere nuovo rispetto a quanto il mercato è abituato a richiede- re: piuttosto che lanciare un prodotto obsoleto, cioè con funzioni d’uso e prestazioni inferiori a quelle di un prodotto competitivo, è meglio non farlo uscire. Se si progetta un nuovo prodotto e un nuovo mercato si acquisisce un vantaggio di posizione in termini temporali che si può sfrutta- re con le nuove versioni del prodotto da rilasciare al momento opportuno, anche quando la concor- renza ha cominciato a muoversi. È evidente che, a fronte di nuove funzioni d’uso, possono anche esserci processi produttivi non completamente ottimizzati per cui la produttività è relativamente più bassa di quella che si otterrebbe spendendo più tempo. A questo proposito GDM osserva che bisogna considerare anche un “per quando”: se esiste una finestra di opportunità temporale que- sta va a sua volta sfruttata, per evitare di mettere a rischio il successo del nuovo prodotto.
Riquadro 2
Domande iniziali poste ai partecipanti alla Tavola Rotonda Le domande iniziali proposte vertono su 4 aree principali:
1.Competenze di analisi e valutazione del mercato in cui si colloca l’innovazione, a partire dalle caratteristiche dell’offerta e del merca- to target, dai bisogni della clientela e del valore generato per i clienti del progetto innovativo, dalle modifiche nel posizionamento del business/azienda in funzione dell’innovazione proposta ecc..
2.Competenze di analisi e valutazione dell’innovazione nei processi di produzione/erogazione, a partire dal saper valutare le collabora- zioni scientifiche e tecniche dei vari partner con cui si sviluppa l’innovazione, dal saper incoraggiare e predisporre le condizioni per un coin- volgimento del team di progetto nella partecipazione a reti/comunità di esperti, comunità di pratica fra addetti, dal saper valutare l’im- patto dell’innovazione sul modello di business e sul sistema commerciale, modificando in meglio o ampliando le fonti di profitto per l’im- presa, dal saper valutare l’utilizzo di specifici sistemi tecnologici per il supporto al sistema commerciale, di produzione, di fornitura ecc..
3.Competenze sulle metodologie di gestione di progetti complessi e con un buon livello di auto-committenza, a partire dal saper valu- tare l’investimento necessario e i suoi ritorni in termini di risorse tecnologiche, di competenza e finanziarie perché il progetto di inno- vazione abbia successo, dal saper valutare le opportunità offerte dall'adozione di una politica sia di tutela del progetto di innovazione che di “apertura” per quanto riguarda brevetti/copyright, secondo i modelli affermatisi in campo software e in via di trasferimento ad altri campi, dal saper valutare le eventuali criticità e condizioni per portare a termine il progetto di innovazione ecc..
4.In generale, quali sono le figure decisionali per l’area dell’innovazione nell’impresa, che posizioni occupano, quali percorsi forma- tivi e di esperienza dovrebbero avere fatto, quali i gap rispetto all’offerta di formazione esistente presso le Università e presso l’of- ferta formativa sul mercato ecc..
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3. I
NNOVARE DOVEAF propone di ragionare oltre che sul “cosa si in- nova” anche sul “dove si innova”, per cercare di mettere a fuoco le caratteristiche della struttura in cui l’innovazione si sviluppa: questo è l’altro fattore chiave da tenere presente oltre alle ca- ratteristiche delle persone che innovano.
Mentre sulle persone vale sicuramente quanto già detto, AF ricorda quanto indicato dal respon- sabile di IBM Europe, in particolare riguardo al- l’innovazione di Sistemi di Servizio complessi, che richiedono l’adozione di una disciplina emer- gente come quella dei SSME - Service Science,
Management and Education: si riconosce che sono necessarie competenze T- shaped (riqua- dro 3), cioè in aggiunta alle competenze proprie e molto approfondite in un settore disciplinare - quelle di un ingegnere del software, di un proget- tista analogico, di un designer, di un esperto di mercato o di business plan - che servono quando si forma il team, sono essenziali anche le compe- tenze trasversali (la barra orizzontale della T);
non è sufficiente essere un bravo progettista analogico, ma bisogna saper parlare con gli altri e capire i colleghi che si occupano di software, è necessario avere almeno l’idea che dietro a un progetto c’è un costo, c’è una manutenzione, c’è
Riquadro 3
Cosa si intende per T-shaped professional
Le indicazioni riportate di seguito sono relative ai Sistemi di Servizio, definiti come: “configurazioni dinamiche di persone, tecnolo- gie, organizzazioni e informazioni condivise che creano ed erogano valore a clienti, fornitori e altri portatori di interesse (stakehol- ders)”: (Fonte: “Succeeding through service innovation - A service perspective for education, research, business and government”, White Paper edited by University of Cambridge and IBM, 2007).
La crescente importanza dei servizi e il loro accelerato tasso di cambiamento implica che l’innovazione nei servizi sia ormai una sfi- da fondamentale per chi lavora sia nelle imprese e nelle istituzioni di governo che per gli accademici che lavorano nell’educazione di base e nella ricerca.
In risposta a questa esigenza, la Scienza dei Servizi (o in modo più esteso, le SSME - Service Science, Management and Enginee- ring) sta emergendo come un campo di ricerca con proprie specifiche caratteristiche: l’obiettivo della Scienza dei Servizi è quello di scoprire le logiche sottostanti di sistemi di servizio ad alto livello di complessità e di mettere a fuoco un linguaggio comune e un fra- me work concettuale condiviso per l’innovazione dei servizi. A questo scopo è necessario adottare un approccio interdisciplinare per la ricerca e l’educazione sui sistemi di servizio.
In particolare, riportiamo in estrema sintesi, per quanto riguarda i T-shaped professional, alcune ulteriori definizioni e indicazioni:
Professional con competenze a T (T-shaped professional): professionisti che sono in grado di fornire soluzioni in profondità in ba- se alle loro capacità di esperti nella loro disciplina central, ma che posseggono inoltre capacità di comunicazione complessa per in- teragire con specialisti di un’ampia gamma di altre aree disciplinari e funzionali (si veda anche Adaptive Innovator).
Innovatori adattivi (Adaptive Innovator): persone con spirito imprenditivo e capaci di un pensiero sistemico nei molti ruoli di pro- getto che possono ricoprire durante la loro vita professionale. In contrasto con gli specialisti di soluzioni di problemi del secolo 20°, spesso indicati con il nome di “I-shaped” professional per la profondità delle loro conoscenze, gli innovatori adattivi del 21° secolo hanno ancora un radicamento disciplinare molto robusto ma posseggono anche forti capacità di comunicazione trasversali alle aree del business, della tecnologia e delle scienze sociali, chiamati anche Professional dotati di competenze a T.
Come sviluppare i T-shaped professional
Le moderne università continuano a svolgere un ruolo vitale nell’educazione disciplinare di base, ma per chiudere il gap di competenze rispetto alle esigenze dei Servizi, così come vengono definiti nelle SSME - Service Science, Management and Engineering, le università dovrebbero anche offrire agli studenti l’opportunità di conseguire qualificazioni nell’ambito dei requirement interdisciplinari degli SSME. Tali qualificazioni dovrebbero equipaggiare i laureandi con concetti e e un vocabolario che li mettano in grado di discutere la pro- gettazione e i miglioramenti dei sistemi di servizio con loro pari in altre discipline. L’industria si riferisce a queste persone indicandole co- me professional con competenze a T (T-shaped professional), che sono profondi solutori di problemi nella loro disciplina fondamentale ma d’altra parte capaci di interagire e comprendersi con specialisti di un’ampia gamma di aree disciplinari e funzionali.
Programmi di SSME riconosciuti su ampia scala potrebbero aiutare ad assicurare la disponibilità di una vasta popolazione di pro- fessionisti dotati di competenze a T (che traggono la loro origine da una molteplicità di discipline fondamentali) con la capacità di collaborare per creare innovazioni nei servizi. Qualificazioni SSME indicherebbero che questi laureati sarebbero in grado di comuni- care con scienziati, ingegneri, managers, designers e molti altri coinvolti nei sistemi di servizio. Diplomati con qualificazioni SSME dovrebbero essere preparati ad entrare subito in gioco, diventando immediatamente produttivi e capaci di dare contributi significa- tivi quando entrano a far parte di un progetto di innovazione di servizio.
Le principali discipline delle Service Science includono: economia dei servizi, marketing dei servizi, esercizio dei servizi, gestione dei ser- vizi, qualità dei servizi (in particolare per quanto riguarda la soddisfazione del cliente), strategia dei servizi, ingegneria dei servizi, servi- zi di gestione delle risorse umane (in particolare nelle imprese di servizi professionali), tecnologie di digitalizzazione dei servizi, la cate- na di fornitura dei servizi (in particolare per servizi terziarizzati su rete), design dei servizi, produttività dei servizi e misure dei servizi.
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una vita di progetto. In altre parole è indispensa- bile possedere quelle sensibilità che aiutano an- che nel fare la progettazione. Servono persone con competenze forti ma che sanno aprire lo sguardo, parlare con gli altri, interagire.
Le caratteristiche della struttura organizzativa sono importanti. Proseguendo sul filo di quanto proposto da GDM, non è la persona che deve es- sere multidisciplinare, mentre invece è la strut- tura che deve esserlo. In un team di innovazione ci devono essere persone con professionalità di- verse: è il loro incontro che crea ricchezza. Que- sta ricchezza di competenze funziona bene quando si innesca un nuovo skill strutturale, co- me la capacità di fare planning e ri-planning di- namico sulla base dei vincoli di budget e di co- sto, piuttosto che la capacità di riadattare le specifiche di progetto in funzione di nuovi requi- siti espressi dal cliente. I progetti di innovazione sono in continua ripianificazione. Serve una ca- pacità di adattamento continuo, che significa modificare e adattare dinamicamente i piani di progetto, gli obiettivi, la struttura dei team aven- do chiari sia gli obiettivi del cliente che i vincoli e la cultura di impresa.
La ricchezza c’è quando la struttura organizzati- va valorizza l’incontro delle persone e riesce a co- niugare il caos di un progetto innovativo con il bi- sogno di convergere. Non è solo caratteristica della persona o delle singole persone: deve es- sere anche dentro le procedure interne di gestio- ne, dei meccanismi di allocazione delle risorse, dei meccanismi di valutazione e premio, dei mo- di in cui il management prende le decisioni.
L’incontro di competenze diverse non è facile.
L’ambiente deve favorire l’unione di competenze diverse. GDM sottolinea che in un’intervista pub- blicata da HSM, Robert Brunner di Apple afferma
“in compagnie come la Apple, l’idea del prodot- to - che cos’è e a che cosa si riferisce - è una con- versazione costante”. Quando Apple ha presen- tato l’iPad sapeva cos’era. Lo sapeva anche se l’iPad non era ancora quello, gli mancavano mol- te cose. Il problema stava nell’aprire la conversa- zione su cos’era, per avere anche la conferma dal pubblico, e capire se tutte le cose che man- cavano servivano davvero, se tutte o alcune.
Il progetto deve essere continuamente ri-pianifi- cato, non solo perché ha dei ritardi, ma perché fa parte del suo DNA. Diventa normale non inna- morarsi di quello che è stato fatto e si sta facen- do; è intrinseco nella natura di un progetto di in-
novazione che i membri del team sappiano rico- noscere che quanto fatto debba essere rifatto, recuperando ovviamente quanto ancora di uti- lizzabile può essere salvato.
Arricchisce la conversazione ancora GDM spie- gando che alla Fondazione Irso si sta realizzan- do una ricerca sull’Italian way of Doing Industry, in cui tra l’altro si cerca di capire cosa spinge un imprenditore di nuova generazione che inizia co- me molti operando a livello locale, a fare un sal- to di qualità, puntando con decisione all’eccel- lenza nel mercato globale. Per quanto abbiamo visto, gli serve aver sviluppato la competenza e la genialità che lo portano a sapere come fare prodotti innovativi e competitivi, ma gli serve anche avere attorno a sé una rete di persone con competenze diverse, che insieme possano dar- gli la capacità di progettare un business e la fi- ducia di poterlo realizzare.
CdR sottolinea che il luogo dove innovare è l’im- presa, o come start up o come struttura organiz- zativa consolidata; la struttura costituisce il luo- go in cui le varie competenze necessarie all’inno- vazione si incontrano e convergono verso un nuo- vo prodotto o un nuovo processo realizzativo che possono influire sul riposizionamento competiti- vo del prodotto rispetto ai concorrenti. Le condi- zioni che favoriscono nella struttura la conver- genza multidisciplinare sono la fiducia nel team e la flessibilità ad adattarsi alle sempre nuove con- dizioni di lavoro in cui il gruppo si trova ad opera- re in funzione della messa a fuoco dei nuovi biso- gni latenti del cliente e della competitività di altri prodotti che nel frattempo escono sul mercato.
La struttura deve essere attrezzata anche dal punto di vista del controllo di gestione per poter monitorare l’evoluzione dei costi e dei tempi di realizzazione che rischiano di dilatarsi in funzione di continue ri-pianificazioni del progetto.
4. C
OMPETENZE PERI
NNOVARESempre secondo GDM, l’innovatore deve avere un proprio specialismo - essere un progettista, un designer, uno che ha fatto corsi per l’ammini- strazione dell’impresa - perché questo speciali- smo gli fornisce un ancoraggio. Ma deve anche essere capace di mettere a fattor comune i con- tributi di saperi diversi.
Alcune delle caratteristiche che un tempo veni- vano considerate skills aggiuntive per il mana- ger - la leadership, la capacità di ascoltare, di
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collaborare con altri ecc. - diventano competen- ze essenziali.
Il manager deve saper mettere insieme, far parla- re fra loro, competenze – o meglio “culture” - di- verse come, per esempio, ingegneri e architetti, e deve saper ascoltare e individuare il mercato.
Saper ascoltare non significa “fare ciò che la gente chiede”: non sarebbe innovazione. Biso- gna sapere se quello che fai funziona per quelli per cui lo fai.
Il primo problema è quindi individuare gli stakeholder. Ovviamente è una questione di strategie di marketing. Se l’azienda si chiama McDonald’s o Coca Cola e si rivolge ad un pubbli- co indifferenziato, al massimo ha un problema di fasce d'età, ma non ha bisogno di parlare al cliente finale, perché la fascia d’età cui l’azienda si rivolge costruisce la sua identità al di fuori. L’a- zienda non contribuisce alla loro identità.
Se invece, come accade prevalentemente per le imprese del Made in Italy, si ha un target di clien- ti potenziali con un profilo di identità ben defini- to, con questi ultimi bisogna dialogare per contri- buire a creare la loro identità distintiva, ed è tale identità distintiva che permette di far evolvere il proprio prodotto. L’ascolto con gli stakeholder non è del tipo “dimmi di cosa hai bisogno” ma è un dialogo in cui ininterrottamente si propongo- no prodotti e servizi e si vedono le reazioni.
Anche queste una volta erano ritenute skill, un tratto della genialità dell'innovatore. Ma avere tremila imprese che lavorano in questo modo - e nel mondo ce ne sono sicuramente di più - signi- fica che non è solo una questione di genialità: le persone devono essere formate e devono sem- pre più dialogare insieme ad interlocutori con skill tecniche, economiche, perché non possono limitarsi a dialogare con le signore per cui pro- gettano i vestiti, ma devono conoscere le regole del proprio mercato e di quello e degli altri Paesi, i sistemi di pagamento, tutta la dimensione del business.
La caratteristica dell'innovatore è la capacità di mettere il proprio sapere disciplinare a fattor co- mune con altri saperi. Anche perché, prima di di- ventare quello che comanda tutto il ciclo, si tro- verà ad essere un contributore del ciclo. Il buon informatico è colui che è capace di lavorare insie- me al designer, e lo stesso vale per il designer che deve saper lavorare e inventare insieme al tecnologo.
AF aggiunge ancora una considerazione sul che
cosa significa ascoltare i clienti: quando si fa innovazione più che dare retta al cliente, è im- portante cogliere i suoi bisogni latenti e non espressi.
Prendiamo ancora l’iPhone come esempio. Non era una richiesta dei clienti, ma Steve Jobs ha det- to una cosa straordinaria: “Qual’è il vostro mi- glior stilo? Il dito”. È vero. AF ricorda, era il 2003 con aveva un dispositivo che non era pensato per essere usato con il dito, ma certe volte, invece di utilizzare lo stilo, ci provava con l’unghia. Ovvia- mente, non lo faceva solo lui. Jobs è un genio, perché ha visto che la gente faceva così in un mo- do scomodo, perché l’interfaccia era fatta per lo stilo; forse nessun cliente gli è andato a dire “lo voglio fare col dito”, ma lui ha colto un bisogno latente. Lo straordinario è quando rendi esplicito il latente e fai dire all’utente: “Oh ecco!”.
Analogamente con l’iPad. Molte persone si sono ritrovate ad usare l’iPod per navigare, per guar- dare la posta, per inviare mail, in treno, magari a letto… ma il monitor risultava troppo piccolo. E allora Steve Jobs ha allargato lo schermo ed ec- co l’iPad. Non da usare in alternativa al compu- ter, ma appunto da usare in treno, a letto, duran- te una riunione, dove non ti metti a scrivere un documento. L’innovazione dov’è? Dove vai a co- gliere il bisogno latente e con la tua innovazione lo fai esplodere.
CdR sottolinea che la competenza per innovare si articola su più fronti: da una parte la profonda competenza specialistica, per esempio di tipo tecnologico, ma dall’altra la capacità di interagi- re con altre culture specialistiche come quella del designer e del marketer con cui convergere verso il nuovo prodotto/servizio che sta pren- dendo forma attraverso il contributo, fondamen- tale, del cliente finale. Alla capacità di ascolto delle indicazioni del cliente va aggiunta quella interpretativa che permette di trasformare indi- cazioni latenti in dettagli utili per la definizione di nuove funzioni d’uso ottenute attraverso ade- guate soluzioni tecnico - operative.
Siamo arrivati alla fine a individuare un profilo dell’innovatore che vorremmo proporre come segue. L’innovatore è il responsabile di un pro- getto complesso, che può condurre sia nell’am- bito di un’impresa già consolidata che come neoimprenditore di una start-up. Il risultato fina- le del progetto è scarsamente o per nulla defini- to, dato che si deve confrontare con nuovi biso- gni fino ad oggi non emersi o al massimo latenti.
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Sicuramente deve avere rilevanti conoscenze di business, saper prendere decisioni che correla- no aspetti di tipo tecnico e aspetti di mercato e di costo e deve saper gestire una molteplicità di stakeholders, ciascuno dei quali può avere una diversa definizione di “successo del progetto” e differenti percezioni del valore ottenuto come ri- sultato del progetto stesso, con la complicazio- ne che il vero valore del progetto sarà noto solo dopo che il progetto sarà completato.
Il progettista di innovazione deve inoltre opera- re tenendo presenti altri due fattori specifici dell’innovazione:
1.lavorare in un contesto in cui i vari fattori am- bientali si modificano continuamente e rispetto a questi le risorse assegnate al progetto potreb- bero avere valori personali disallineati con quel- li che gradualmente prendono forma con il risul- tato atteso a completamento del progetto;
2.adottare più che indicatori di misura del risul- tato del progetto, criteri e metodologie di misura della gestione e del risultato del progetto.
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ORMARE LE COMPETENZE PER INNOVAREAC introduce tre questioni, connesse ma distin- te. La prima è come costruire le competenze. As- sumendo e condividendo l’immagine T-shape, quanto tempo di formazione serve ancora, dopo che con il 3 + 2 sono stati già impegnati almeno otto anni per fare il tratto verticale della T, per il tratto orizzontale?
Sempre in riferimento alla formazione, è neces- sario che quest’ultima sia aperta ma anche glo- bale: il rischio è quello di vedere i processi di in- novazione legati solo al mondo europeo o statu- nitense, mentre occorre capire che ci sono altri modi di pensare, che c’è un’America del sud che anche dal punto di vista culturale non conoscia- mo, per non parlare del mondo indiano e cinese.
Dunque occorre formare competenza per navi- gare nella complessità non solo dal punto di vi- sta tecnico ma anche di culture diverse, di mo- dalità diverse di porsi di fronte ai problemi.
La seconda questione è quella del profilo del- l’ambiente innovativo. Nel Veneto il tessuto im- prenditoriale è di aziende messe in piedi dal se- condogenito che, non ereditando la stalla, ha dovuto aprire la mente per trovare qualcos’altro di cui vivere. Si è attivata una tipologia di realtà innovativa legata all’intuizione del singolo con il
rischio di non creare un ambiente in grado di an- dare oltre la piccolissima azienda.
Dunque: quali sono i modelli di azienda che con- solida il processo di innovazione? Abbiamo due scenari, quello del Parco scientifico tecnologico, una sorta di condominio che si è rivelato non vincente e il modello CEFRIEL, che punta ad es- sere attore di soluzioni innovative, che al mo- mento attuale sembra essere più efficace.
La terza questione è quella dell’organizzazione, dal punto di vista sociale, di processi formativi che portino a far crescere figure del tipo voluto.
Interessante l’esperienza dei Politecnici francesi relativa alle scuole di alta formazione per la pub- blica amministrazione.
Sicuramente in Italia, sottolinea invece AF, man- ca una committenza specifica, come ha dimo- strato il tentativo del Politecnico di lanciare una laurea specialistica per la PA: tentativo fallito per mancanza di interesse, non degli studenti, ma della PA stessa.
GDM propone qualche altra considerazione su questo tema, complesso e che comunque non ri- guarda solo i giovani. In primo luogo, l’innovazio- ne, in genere, è su scala planetaria. Quindi, il pri- mo problema per l’innovatore è avere una rete praticamente illimitata di competenze e risorse entro cui l’idea possa diventare idea di business.
Se si vuole gestire da qui (dall’Italia), stando fer- mi, l’innovazione è già morta in partenza. Un pro- blema che hanno persino gli incubatori dell’Uni- versità, dove funzionano, è che spingendo antici- patamente sul mercato start-up innovative, le in- ducono a trasformarsi in società di servizi, rinun- ciando all’innovazione.
Il secondo punto è il problema della fiducia. Chi entra in una start-up deve assumere il rischio. In- contri facilmente gente che pensa di capire cosa è innovativo e cosa no, mentre il problema è in- contrare qualcuno che dica: “Sono con te su que- sta sfida e la giochiamo insieme”.
Il terzo tema è quello delle risorse e riguarda il pubblico più del privato. C’è un’assicurazione per le esportazioni, che libera le imprese dal ri- schio che esse comportano, ma non c’è per l’in- novazione, che pure può essere molto più ri- schiosa. In Italia, per i finanziamenti vengono ri- chieste fideiussioni o garanzie similari, e questo significa che il capitale di rischio lo deve mettere l’innovatore. Così le cose non possono funziona- re. Due studenti di Milano (uno informatico di Bi- cocca e un Bocconiano) hanno avuto un’idea in-
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novativa. Grazie ad una borsa di studio sono an- dati negli States a presentare la loro idea. È pia- ciuta ad un gruppo di imprenditori. Tempo dieci giorni e hanno ricevuto 50.000 dollari accompa- gnati dalla frase “siamo soci: cominciate ad apri- re un ufficio, cercare i collaboratori e lavorare, poi entreremo nei particolari”. Da noi, in Italia i tempi sono lunghi, lunghissimi: non solo, i pro- cessi di decisione di investimento sono com- plessi e macchinosi e in più ci sono numerosi
“facilitatori” dell’innovazione che fanno perdere un sacco di tempo senza far fare un passo avan- ti reale all’idea.
Comunque, secondo GDM, un Corso sull’Innova- zione non è da inserire prima dell’ingresso sul mercato del lavoro, ma dopo 1-2 anni di espe- rienza e con una durata lunga in cui sia possibile far maturare il potenziale innovatore; è poi fon- damentale lo studio di casi, raccontati come sto- rie, estraendone le competenze che si sono rive- late necessarie per l’impresa.
CdR ha evidenziato come la discussione si sia progressivamente spostata dal tema delle com-
petenze dell’innovatore a quello del contesto.
Spostamento comprensibile, visto che il conte- sto politico e industriale italiano non favorisce i progetti innovativi, anzi, rappresenta un freno.
Non a caso, la fuga di cervelli, come i due stu- denti citati da De Michelis.
Ci si può ragionevolmente chiedere: perché preoccuparsi delle competenze degli innovatori, se poi il contesto non permette di giocarle? O di giocarle in Italia?
Ma - cercando di operare anche sul contesto, a partire dalla denuncia degli ostacoli esistenti – vogliamo continuare ad occuparci di come for- mare, al meglio, le competenze necessarie allo sviluppo del nostro Paese: da quelle di cui AICA si occupa da tempo, degli utilizzatori dell’infor- matica e dei professionisti informatici, a quelle degli innovatori digitali e dei “gestori” dell'inno- vazione.
Questo tema sarà centrale nell’attività di SKM – Smart Knowledge Management, che continua e riprende con nuova lena il Progetto PKM360 - e ci torneremo sopra anche in questa rubrica.
AGOSTINOCORTESIè professore ordinario di Informatica all’Università Ca’ Foscari, dove attualmente ricopre il ruolo di Pro-Rettore alla Valutazione. La sua attività di ricerca si incentra sullo sviluppo di tecniche formali di analisi e verifica del software. È presidente del Comitato Scientifico di Nesting, società di ingegneria dell’in- novazione con sede a Venezia.
E-mail: [email protected]
GIORGIODEMICHELISinsegna Informatica per l’Organizzazione e Interaction Design all’Università di Milano - Bi- cocca. Nelle sue ricerche si occupa di Reti di Petri, Computer Supported Cooperative Work, Community Sy- stems, Knowledge Management, Interaction Design.
Nel 2008 ha creato uno spin off della sua Università, itsme, che ha l’obiettivo di creare un nuovo sistema ope- rativo per workstation nella prospettiva del situated computing.
E-mail: [email protected]
ALFONSOFUGGETTAè Professore Ordinario di Ingegneria del Software presso il Politecnico di Milano e Faculty As- sociate presso l’Institute for Software Research (ISR) della University of California, Irvine (UCI, USA). Nel 2003, in qualità di Direttore Scientifico, subentra a Maurizio Decina alla guida di CEFRIEL, per poi esserne nominato Amministratore Delegato nel 2005 quando il centro da consorzio viene trasformato in società consortile.
E-mail: [email protected]