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Bob Dylan e i Rolling Stones. Due voci a confronto

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Academic year: 2022

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Bob Dylan e i Rolling Stones.

Due voci a confronto

Dove sei stato? Che c’è là fuori?

Niente. Non c’è più niente. Niente davvero. Ci sono solo autostrade che si accartocciano su sé stesse, oceani morti e un cimitero che si estende per diecimila miglia.

Ma che cosa hai visto? Dimmelo, cosa hai visto?

Ho visto la devastazione più nera: un neonato abbandonato, circondato da lupi; un’autostrada completamente deserta; rami bruciati da cui gocciola sangue; una casa piena di uomini con dei martelli insanguinati; una fiumana di gente che non riesce più a parlare; e un esercito di guerrieri-bambini con spade e fucili...

Non c’è alcuna speranza di salvezza in questo paesaggio desertificato, incessantemente di- lavato da una dura, dura pioggia. E non c’è eroe salvifico che ci porti via. Nessun supereroe.

Nessuna navicella spaziale. Nessuna speranza.

È il giovane Bob Dylan (21 anni) che con le sue canzoni dà voce a questa terrificante apocalissi distopica, costruendo immagini che rendono visualmente inesorabile la paura della distruzione atomica. Dylan scrive A Hard Rain’s a-Gonna Fall nell’autunno del 1962, proprio quando la crisi dei missili che contrappone Urss e Usa sembra sul punto di trasformarsi in un devastante con- flitto. Se accadesse, cosa si potrebbe fare? Solo avvertire, parlare, cantare, dice Dylan.

E non è poco. L’album musicale che contiene A Hard Rain’s a-Gonna Fall – The Freewheelin’

Bob Dylan, uscito il 27 maggio del 1963 – si apre con un’altra canzone, tanto famosa quanto, talora, mal interpretata, Blowin’ In The Wind. Non è un inno pacifista, come talvolta si sostiene.

Semmai è un avvertimento, un richiamo disperato alla necessità di essere vigili, critici, sensibili.

Per farlo – sostiene Dylan – non si devono avere facili risposte a portata di mano; per farlo bi- sogna sapersi porre le domande giuste. E sono domande che mettono in dubbio le certezze più banali di chi vive nell’Occidente post-seconda guerra mondiale, in piena rinascita economica e sociale: quanto ci vuole prima che si possa riconoscere l’integrale umanità di una persona?

prima che le armi siano bandite per sempre? prima che la gente possa esser davvero libera?

prima che ci si renda conto che troppi sono morti? prima che si impari a non voltare la testa?

Una così intensa successione di interrogativi, tanto semplici quanto sconvolgenti, ha assoluto bisogno di una risposta. Ma la risposta non la può dare chi sta formulando le domande. Anzi, spiega Dylan in un’intervista del 1962, da un certo punto di vista le domande sono la risposta:

imparare a formularle, imparare ad affrontarle, non far finta di niente, è il primo passo per trovare da soli soluzioni che, altrimenti, sono soffiate via dal vento, o peggio ancora, sono manipolate da chi ha il potere di farlo.

Non c’è alcun semplicismo nell’atteggiamento del primo Dylan. C’è, invece, una straordinaria capacità visionaria; e una grande lucidità nel cogliere sentimenti che non sono certo solo suoi.

Le sue, in fondo, sono le stesse angosce che hanno sollecitato la costituzione di Students for a Democratic Society. Nel loro Port Huron Statement, del 1962, i delegati dell’associazione hanno scritto che «il fatto implicito nella Guerra fredda, simboleggiato dalla presenza della Bomba,

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recò la consapevolezza che noi stessi, i nostri amici, e milioni di “altre” astratte persone […]

potevamo morire in qualunque momento». Con una forza ancora maggiore, in Masters of War, un urticante atto di accusa contro gli industriali della guerra, Dylan di lì a poco avrebbe cantato:

«Avete sparso la paura peggiore / che mai si possa avere / la paura di mettere figli / al mondo / Per minacciare il mio bambino / non nato e senza nome / non valete il sangue / che scorre nelle vostre vene».

Sarebbero passati appena due anni dal Port Huron Statement, e uno soltanto da The Freewhee- lin’ Bob Dylan, l’album che contiene A Hard Rain’s a-Gonna Fall, Blowin’ In The Wind e Masters of War, e queste paure si sarebbero trasformate in una minaccia molto più concreta, giacché alla fine del 1964 il presidente degli Usa, L.B. Johnson, decide di intervenire direttamente nella guerra in corso in Vietnam con un primo invio di truppe.

Bob Dylan, Una dura pioggia cadrà, 1963 Oh, dove sei stato, figlio mio diletto?

E dove sei stato, ragazzo mio caro?

Sono inciampato sul fianco di dodici nebbiose montagne Ho percorso e ho strisciato per sei autostrade accartocciate Ho camminato nel mezzo di sette tristi foreste

Son stato di fronte a una dozzina di oceani morti

Son stato per diecimila miglia nella bocca di un cimitero e una dura, e una dura, e una dura, e una dura

e una dura pioggia cadrà

Oh, cosa hai veduto, figlio mio diletto?

E cosa hai veduto, ragazzo mio caro?

Ho visto un neonato con lupi selvaggi tutti intorno

Ho visto un’autostrada di diamanti e nessuno che la percorreva Ho visto un ramo nero da cui gocciolava sangue

Ho visto una stanza piena di uomini con martelli insanguinati Ho visto una scala bianca tutta ricoperta d’acqua

Ho visto diecimila persone parlare con lingue spezzate Ho visto armi e spade affilate nelle mani di bambini E una dura, e una dura, e una dura, e una dura E una dura pioggia cadrà

E cosa hai sentito, figlio mio diletto?

E cosa hai sentito, ragazzo mio caro?

Ho sentito il rombo di un tuono, che ruggiva come un avvertimento Ho sentito il fragore di un’onda tale da sommergere il mondo intero Ho sentito cento suonatori di tamburo con le mani in fiamme Ho sentito diecimila sussurrare e nessuno ascoltare

Ho sentito un uomo morire di fame, ho sentito molte persone ridere

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Ho sentito la canzone di un poeta morente in un canale di scolo Ho sentito il suono di un clown che piangeva nel cortile

E una dura, e una dura, e una dura, e una dura E una dura pioggia cadrà

Oh, chi hai incontrato, figlio mio diletto?

Chi hai incontrato, ragazzo mio caro?

Ho incontrato un bambino accanto a un pony morto

Ho incontrato un uomo bianco che camminava con un cane nero Ho incontrato una giovane donna con il corpo in fiamme

Ho incontrato una ragazzina che mi ha donato un arcobaleno Ho incontrato un uomo ferito dall’amore

Ho incontrato un altro uomo ferito dall’odio E una dura, e una dura, e una dura, e una dura E una dura pioggia cadrà

E cosa farai ora, figlio mio diletto?

E cosa farai ora, ragazzo mio caro?

Andrò via prima che la pioggia incominci a cadere

Camminerò nel profondo della più profonda e nera foresta Dove la gente è tanta e le loro mani sono completamente vuote Dove le pallottole avvelenate inondano le loro acque

Dove la casa nella valle incontra l’umida e sudicia prigione Dove il volto del boia è sempre ben celato

Dove brutta è la fame, dimenticate son le anime Dove nero è il colore, zero il numero

E lo dirò, lo penserò, lo pronuncerò, lo respirerò

E lo rifletterò da una montagna cosicché tutte le anime possano vederlo Poi starò sull’oceano fino a quando incomincerò ad affondare

Ma saprò bene la mia canzone prima di incominciare a cantare E una dura, e una dura, e una dura, e una dura

E una dura pioggia cadrà.

[traduzione da http://www.maggiesfarm.it/ttt9.htm]

Prima di ogni altra cosa (I Can’t Get No) Satisfaction dei Rolling Stones è una canzone che ha uno dei più potenti e famosi riff di chitarra mai prodotti nella storia della musica, suonato con il giusto grado di distorsione da Keith Richards, il chitarrista del gruppo, all’epoca ventiduenne. E poi, ma solo in seconda battuta, è un inno alla più inquieta insoddisfazione, cantato con la voce spavalda e tagliente di Mick Jagger, coetaneo di Richards.

Ma chi è quel tizio che dalla radio vuole dirmi quel che devo pensare? E chi è quello che dalla tv mi vuol far comprare qualcosa che non mi interessa? Che se ne vadano al diavolo, loro e il loro inutile universo di valori. E nondimeno, anche dopo essermi liberato di loro, non riesco ad avere alcuna soddisfazione, proprio no.

La strofa finale è una delle migliori invenzioni della coppia Jagger e Richards: il pro-

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tagonista della storia cerca una via di fuga, provando a rimorchiare una ragazza, una qualunque – tipico atteggiamento irriguardoso nei confronti della parodia matrimoniale del «going steady» che domina nelle comunità adolescenziali; e anche tipico maschili- smo, tante volte rinfacciato da molta critica agli Stones. Solo che se gli Stones sono dei maschilisti, lo sono in una forma consapevolmente auto-irridente: il macho della storia va a sbattere contro un muro quando la ragazza in questione lo liquida senza tanti com- plimenti. ... e allora, e a maggior ragione: «I Can’t Get No Satisfaction!».

The Rolling Stones, (I Can’t Get No) Satisfaction, 1965 Non riesco ad avere nessuna soddisfazione

Non riesco ad avere nessuna soddisfazione Perché ci provo e ci provo e ci provo e ci provo Non riesco, non riesco

Sto guidando nella macchina, e quell’uomo viene fuori alla radio Continua a darmi qualche inutile informazione

Supponendo di accendere la mia immaginazione Non riesco. Oh no, no, no. Ehi, ehi, ehi

È quel che dico

Non riesco ad avere nessuna soddisfazione Non riesco ad avere nessuna soddisfazione Perché ci provo e ci provo e ci provo e ci provo Non riesco, non riesco

Sto guardando la mia tv e quell’uomo viene fuori per dirmi Quanto possano essere bianche le mie camicie

Ma non può essere un uomo perché non fuma Le mie stesse sigarette

Non riesco. Oh no, no, no. Ehi, ehi, ehi È quel che dico

Non riesco ad avere nessuna soddisfazione Non riesco ad avere nessuna soddisfazione Perché ci provo e ci provo e ci provo e ci provo Non riesco, non riesco

Viaggio intorno al mondo, e faccio questo e firmo quello E cerco di rimorchiare una tizia, che mi dice

Bello, meglio che ritorni la prossima settimana

Perché, vedi, non sono in un buon momento [ho le mie cose]

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Non riesco. Oh no, no, no. Ehi, ehi, ehi È quel che dico. Non riesco, non riesco

Non riesco ad avere nessuna soddisfazione, nessuna soddisfazione Nessuna soddisfazione, nessuna soddisfazione.

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