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Il ruolo strategico di Taiwan nella nuova politica statunitense nell'Indo-Pacifico

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politica statunitense nell'Indo-Pacifico Stefano Pelaggi

Taiwan Strategy Research Association

Riassunto

Per la prima volta da quando viene redatta la National Security Strategy il documento presentato dall’Amministrazione Trump nel 2017 cita esplicitamente Taiwan. Si tratta di un elemento innovativo che conferma la forte attenzione che la presidenza Trump ha, sin dall’inizio del suo mandato, esplicitamente riservato all’alleato taiwanese e al ruolo strategico di Taiwan per la politica statunitense nella regione Indo-Pacifico.

Washington ha sempre sostenuto Taipei, anche nei momenti in cui le relazioni sino americane erano riconducibili a un livello di conflittualità relativamente basso. La nuova politica assertiva di Xi Jinping e l’aperta competizione con la Cina enunciata dal presidente Trump disegnano un inedito ruolo per Taiwan.

Parole chiave: Taiwan; Cross Strait Relation; Relazioni Stati Uniti-Taiwan, One China Policy, NSS 2017.

Abstract. Taiwan's Strategic Role in the New US Policy for Indo-Pacific

For the first time since the National Security Strategy has been released, the document presented by the Trump Administration in 2017 explicitly mentions Taiwan. This is an clear innovation that confirms the strong attention that the Presidency Trump has, from the beginning of its mandate, explicitly reserved for the Taiwanese ally and the strategic role of Taiwan for US policy in the Indo-Pacific region. Washington has always supported Taipei, even when the Sino-American relations were characterized by a low level of conflict. The new assertive policy of Xi Jinping and the open competition with China enunciated by President Trump drawn an unprecedented role for Taiwan.

Keywords: Taiwan; Cross Strait Relations; United States-Taiwan Relations; One China Policy; NSS 2017

1. Introduzione

Sin dai giorni immediatamente successivi all’elezione di Donald Trump Taiwan è prepotentemente tornata sotto la luce dei riflettori. La National Security Strategy del 2017 ha confermato il rinnovato approccio statunitense nella competizione economica e strategica con il rivale cinese. Il documento programmatico presuppone un ruolo centrale di Taiwan nella regione Indo-Pacifico e nella contesa con la Repubblica Popolare Cinese (RPC). Un riposizionamento che ha generato delle incertezze nell’alleato taiwanese, abituato alla teoria

«no news is good news». La fragile architettura degli accordi che regolano le relazioni tra

Stati Uniti, Cina e Taiwan e la nuova politica estera assertiva di Xi Jinping potranno

determinare un significativo cambiamento nella proiezione della democrazia taiwanese nella

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regione. Le relazioni sino-taiwanesi (Cross Strait Relation) restano, nell’interpretazione di Alan Romberg uno dei massimi esperti del tema «l'unico problema al mondo oggi che potrebbe realisticamente portare alla guerra tra due grandi potenze» (Kastner, 2018).

2. Contestualizzazione Geo Strategica Taiwan

La proiezione internazionale del paese è fortemente limitata e la classificazione della

Repubblica di Cina (RDC) nelle canoniche categorie di piccola, media e grande potenza

(Buzan, 2006) risulta estremamente complessa per la peculiare situazione del paese vista la

notevole asimmetria di alcuni indicatori. Circa 23 milioni di abitanti in un territorio poco più

grande della Sicilia, una densità di popolazione altissima e una vivace economia che ha

mostrato qualche segno di rallentamento negli ultimi anni ma ha sostanzialmente reagito

bene alla sfavorevole congiuntura economica globale. La costituzione della Repubblica di

Cina rivendica sin dal 1949, solo formalmente, la sovranità del territorio della Repubblica

Popolare Cinese e anche della Mongolia. Mentre Pechino considera l’isola di Formosa una

provincia cinese e ogni nazione che desidera allacciare o mantenere rapporti diplomatici con

la Cina non deve riconoscere la sovranità di Taiwan, né avere rapporti diplomatici ufficiali

con il paese. È l'unico territorio conteso al mondo che ha piena sovranità all’interno dei

propri confini, è membro del World Trade Organization e del Forum di Cooperazione

Economica Asia-Pacifico. La stragrande maggioranza della letteratura scientifica indica

Taiwan come una media potenza, basandosi sugli indicatori economici, militari e strategici

tuttavia il peculiare contesto diplomatico presenta delle evidenti anomalia rispetto alla

definizione di media potenza. Il rapporto con l’alleato statunitense è cruciale per la

sopravvivenza di Taiwan mentre il contrasto con la politica estera di Pechino è palese. La

politica interna è tuttavia una importante discriminante, l’approccio del Democratic

Progressive Party (DPP) viene percepito da Pechino come favorevole ad un processo di

indipendenza e ha generato un’azione ostile nei confronti di qualsiasi proiezione

diplomatica di Taiwan. La stessa esistenza di Taiwan è intrinsecamente legata all’appoggio

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di Washington, la posizione dell’isola nell’intersezione di tutti i principali snodi della

regione, 160 km ad est dalla Cina, 250 km dalle Filippine, poco più di 1000 km dall’isola di

Hainan e 1400 km dalle isole Spratly, costituisce un indispensabile pivot per il controllo

dell’Asia Pacifico e la RDC rappresenta un indispensabile nodo strategico per gli Stati Uniti

nel Mar Cinese meridionale. Il rapporto con gli altri paesi della regione è fortemente

condizionato dai vincoli poste dalla RPC, le relazioni con il Giappone sono da sempre

ottime e sotto la leadership di Shinzō Abe si sono ulteriormente rinforzate. Anche i rapporti

con la Repubblica di Corea sono storicamente buoni pur con le limitazioni della One China

Policy e la competizione economica dei due paesi in molti settori. Per entrambi i paesi

Taiwan rappresenta un fondamentale alleato strategico e un importante partner

commerciale. Mentre gli altri paesi del Sud Est Asiatico soffrono in maniera maggiore la

pressione di Pechino, quindi le relazioni con Taiwan sono spesso oggetto di ritorsioni cinesi

e subiscono bruschi momenti di arresto. Taiwan è ovviamente uno strenuo sostenitore della

proiezione statunitense nella regione, la sua stessa esistenza è garantita dall’appoggio di

Washington e questa dipendenza appare agli occhi di alcuni analisti come la principale

debolezza di Taipei. Lo status internazionale di Taiwan è un caso unico al mondo, a fine

maggio 2018 solo 18 paesi riconoscono la Repubblica di Cina, negli ultimi anni molti hanno

deciso di allacciare relazioni diplomatiche con Pechino e abbandonare ogni rapporto con

Taipei. Nel solo mese di maggio Burkina Faso e Repubblica Dominicana hanno

ufficialmente rotto le relazioni con Taipei, seguendo l’esempio di Panama e São Tomé e

Príncipe. Si tratta del ritorno alla checkbook diplomacy che aveva caratterizzato altri periodi

delle relazioni sino taiwanesi, una politica che consiste nell’uso di incentivi economici e

finanziari nei confronti dei singoli paesi per determinare il riconoscimento diplomatico. Se il

contesto delle relazioni internazionali è fortemente penalizzante per Taiwan, il quadro

economico è di segno totalmente opposto. La ROC è all’undicesimo posto nella classifica

delle economie dell’Asia-Pacific Economic Cooperation (APEC) e secondo alcuni indicatori

il sesto paese più ricco (Babones, 2017). Il prodotto interno lordo pro capite di quasi 25 mila

dollari pro-capite è aumentato del 2,9 percentuale (Statistical Bureau, 2018) e ha superato

quello giapponese arrivando ad essere il più alto nell’Asia del Nord Est. Anche la

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relativamente giovane democrazia taiwanese ha mostrato notevoli segni di progresso nello scorso decennio. Tutte le classifiche che misurano gli indicatori di democrazia del paese, dal World Press Freedom Index di Reporters Sans Frontieres (Reporters without borders, 2018) al Democracy Index del The Economist (The Economist, 2018), il report di Freedom House (Freedom House, 2018) sino al Human Freedom Index del Fraser Institute (Fraser Institute, 2018), assegnano a Taiwan il primo posto assoluto tra i paesi asiatici. La spesa militare del paese negli ultimi anni si attesta intorno ai 10 miliardi di dollari, una cifra significativa considerando le dimensioni del paese che tuttavia non riesce a garantire a Taiwan una sufficiente sicurezza a fronte dei grandi investimenti bellici di Pechino, che ovviamente rappresenta la principale minaccia strategica per Taipei. La spesa cinese per il 2017 è stata di circa 145 miliardi di dollari e le truppe attive ammontano ad almeno 800 mila unità, a cui vanno aggiunte le varie milizie attive in Cina che sono in molti casi equiparabili alle truppe regolari, mentre Taiwan può contare su 130 mila unità attive. La marina è da sempre il fiore all’occhiello delle forze armate taiwanesi, dato non sorprendente vista strategica posizione dell’isola nel Mar Cinese meridionale. Tuttavia le ambizioni taiwanesi devono spesso scontrarsi con i veti cinesi alle aziende belliche che determinano talvolta un ritardo tecnologico in alcuni comparti. In particolare l’aviazione non sembra in grado di competere con i nuovi caccia stealth Chengdu J-20 cinesi e i pochi sottomarini taiwanesi non hanno le capacità di opporre una efficace reazione alla controparte cinese. Gli Stati Uniti hanno sempre fornito la stragrande maggioranza sia degli armamenti sia della tecnologia bellica a Taiwan, ogni vendita viene approvata dal Congresso e tutte le amministrazioni della Casa Bianca hanno sempre garantito la fornitura a Taiwan con questa modalità sin dal 1979.

Robert Ross ha analizzato il peculiare caso di Taiwan attraverso la teoria della deterrenza

(Schelling, 1960, 1966), evidenziando due dinamiche di dissuasione (Ross, 2000, 2002,

2006): gli sforzi cinesi per scoraggiare l'indipendenza formale di Taiwan e gli sforzi degli

Stati Uniti per scoraggiare la coercizione militare della RPC. La conclusione di Ross è che il

costante aumento delle forniture militari degli Stati Uniti a Taiwan non corrisponda a un

accrescimento della deterrenza nello Stretto di Taiwan, ma si limiti a creare una inutile fonte

di contrasto tra Pechino e Washington. Secondo altri analisti (Krastner, 2018)

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l’interpretazione tradizionale del dilemma della sicurezza non può essere applicato al caso taiwanese, visto che la difesa del territorio non è un elemento cruciale come appunto ipotizzano la maggior parte dei teoremi del dilemma della sicurezza. Piuttosto l’identità politica di Taiwan rappresenta il tema centrale per Pechino (Jacobs e Kang, 2018), un eventuale pessimismo rispetto agli scenari sul medio e lungo termine legato alla crescente volontà della popolazione di perseguire tendenze indipendentistiche potrebbe spingere la Cina verso una azione militare. I sistemi di difesa del territorio vengono quindi considerati, secondo Christensen (2006) come una minaccia reale da Pechino, visto che possono risultare decisivi nella scelta taiwanese di modificare lo status quo. Taiwan non è una potenza nucleare, anche se nel passato ha avviato dei programmi per lo sviluppo di armi nucleari e sembra possedere sia la capacità tecnologica sia le infrastrutture necessarie per dotarsi di un ordigno atomico. Documenti recentemente declassificati

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hanno evidenziato la costante spinta statunitense dagli anni 60 sino alla metà degli anni 80 per evitare e scoraggiare qualsiasi velleità di Taiwan in questa direzione, così come i numerosi progressi che l’industria bellica taiwanese aveva compiuto verso l’arma atomica.

3. La struttura delle relazioni USA-Taiwan-Cina

Le relazioni tra Stati Uniti, Taiwan e Cina si basano su accordi diplomatici, che consentono attraverso una serie di espedienti semantici e interpretativi il mantenimento dei rapporti tra i singoli paesi. La One China Policy fu redatta nel 1979, con l’instaurazione di relazioni diplomatiche ufficiali tra Washington e Pechino, al termine di un percorso iniziato con la visita in Cina nel 1972 di Richard Nixon, con il documento gli Stati Uniti hanno cessato le relazioni diplomatiche ufficiali con Taiwan riconoscendo l’esistenza di una sola Cina. Gli Stati Uniti non hanno mai ufficialmente accettato il One China Principle, ossia non hanno mai dichiarato di riconoscere nella Repubblica Popolare Cinese la sola Cina. Una

1 Per una completa ed esaustiva raccolta dei documenti declassificati legati alla costante opposizione statunitense

all’atomica taiwanese è possibile consultare il National Security Archive della George Washington University

presso il sito https://nsarchive2.gwu.edu/nukevault/ebb221/.

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accettazione che, nell’interpretazione di Pechino, è implicita nell’accordo.

Nell’interpretazione dei principali esperti di Cross Strait Relation (Chiang, 2017; Alagappa, 2002) si tratta di un espediente semantico che le parti usarono per aprire una relazione ufficiale. Contestualmente con il Taiwan Relations Act (TRA) del 1979 gli Stati Uniti si sono impegnati a difendere la sovranità dell'isola, fornendo «materiale per la difesa e servizi in quantità necessaria affinché Taiwan protegga sé stessa» (TRA, 1979). La quantità e le modalità di vendita o cessione di armamenti non sono specificate e l’atto stabilisce inoltre che gli Stati Uniti

prenderanno in considerazione qualsiasi tentativo di determinare il futuro di Taiwan con mezzi diversi da quelli pacifici, inclusi boicottaggi o embarghi, una minaccia per la pace e la sicurezza dell'area del Pacifico occidentale e di grave preoccupazione per gli Stati Uniti Stati (TRA, 1979).

In sostanza si tratta di un altro espediente strategico, redatto all’indomani

dell’instaurazione delle relazioni ufficiali tra Washington e Pechino, volto a dissuadere

azioni belligeranti della Repubblica Popolare Cinese ma anche eventuali decisioni taiwanesi

legati ad istanze indipendentistiche. Il TRA e i tre comunicati congiunti sino-americani,

redatti nel 1972, 1979 e 1982, costituiscono la base della One China Policy statunitense e la

cornice di riferimento delle relazioni tra Stati Uniti e Taiwan. Una cornice che, secondo la

letteratura scientifica (Bush, 2016), è stata più volte analizzata e interpretata dalle singole

parti, a causa della natura volutamente aperta e fluida del linguaggio usato. Il quadro delle

relazioni tra Taiwan e Cina fu poi ulteriormente organizzato intorno ad un incontro semi

ufficiale nel 1992 nella Repubblica Popolare Cinese tra i rappresentanti dei due paesi. Il

1992 consensus è una tacita intesa raggiunta tra il Partito Comunista Cinese e la leadership

del Kuomintang di Taiwan sull’esistenza di “una sola Cina”, ma nessuna delle parti ha

specificato il significato preciso della locuzione mantenendo la libertà di una libera

interpretazione. Tale escamotage è stato frequentemente contestato dal DPP di Taiwan, il

partito vicino a posizione identitarie e indipendentiste al governo con la presidente Tsai Ing-

wen. L’accettazione del 1992 consensus è il prerequisito che Pechino ha esplicitamente

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chiesto al governo guidato da Tsai Ing-wen per intavolare un dialogo. La presidente ha risposto suggerendo l’opportunità di una rimodulazione dell'intesa, col risultato che, ad oggi, i rapporti tra l’Amministrazione Tsai e la controparte cinese sono ufficialmente inesistenti.

4. Un quadro storico dei rapporti tra gli Stati Uniti e Taiwan

La vicinanza della Repubblica Popolare Cinese determina una costante sensazione di accerchiamento a Taiwan, a livello strategico e geografico ma anche diplomatico e di comunicazione. Ogni proiezione esterna del paese, sia nelle organizzazioni internazionali sia al livello sportivo o culturale, è oggetto di contestazione o di boicottaggio. Durante il diciannovesimo Congresso del Partito Comunista Cinese il premier Xi Jinping ha esplicitamente fatto riferimento a Taiwan in varie occasione con toni particolarmente duri, dichiarando che «gli sforzi separatisti saranno condannati dal popolo cinese e puniti dalla storia e [...] che ogni centimetro del territorio della nostra grande patria non può e non deve rimanere separato dalla Cina» (Xi, 2017). La scelta di Xi Jinping può essere spiegata attraverso l’interpretazione di Hall che descrivendo la rabbiosa reazione cinese a seguito del discorso del premier taiwanese Lee Teng-hui alla Cornell University coniò il termine

«diplomacy of anger» (Hall, 2011). Il ruolo delle emozioni all’interno delle Cross Strait

Relation secondo Hall è riconducibile a una duplice valenza quella sociale, che intende

sottolineare una violazione normativa emotivamente rilevante, e quella strategica che è

invece volta a evidenziare i rischi impliciti di una rottura delle relazioni internazionali e

dell’eventuale possibilità di generare un vero e proprio conflitto (Hall, 2011). Il processo di

democratizzazione della politica taiwanese ha introdotto un ulteriore elemento di instabilità

nelle relazioni tra Cina, Stati Uniti e Taiwan. Washington pur mostrando un evidente

apprezzamento per la costante crescita della partecipazione democratica ha dovuto

contenere qualsiasi spinta eccessiva nei confronti di dinamiche indipendentistiche. Un

compito portato avanti nel rispetto degli accordi presi con le “sei assicurazioni”, una

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dichiarazione unilaterale con cui l’amministrazione Reagan assicurò nel 1982 il sostegno

statunitense a Taiwan nella quale il governo di Washington si impegna a non avviare

mediazioni tra la Repubblica Popolare Cinese e la Repubblica di Cina. L’approccio di Bill

Clinton nei confronti di Taiwan è stato determinato dal riconoscimento della possibile

ascesa della Cina al ruolo di potenza mondiale, senza però intuire la reale dimensione di

questo ruolo, e dalla necessità di un coinvolgimento inclusivo di Pechino evitando ogni

dinamica di contenimento o isolamento. Nel giugno del 1998 a Shanghai il presidente

Clinton, al termine di un viaggio presidenziale in Cina, affermò la politica dei cosiddetti “tre

no” riferiti alle aspirazioni di Taiwan. I dinieghi statunitensi riguardavano il sostegno a

qualsiasi aspirazione di indipendenza taiwanese, alla possibilità di un sistema “una Cina,

una Taiwan” e la rappresentanza taiwanese in organizzazioni internazionali per cui la

statualità sia un requisito. La dichiarazione fu aspramente criticata negli Stati Uniti sia per

aver sancito un allineamento totale con la politica di Pechino su Taiwan sia per aver

mostrato una eccessiva accondiscendenza nei confronti delle richieste cinesi. Nell’analisi di

Rigger durante il suo mandato il presidenziale George W. Bush espresse un giudizio duro

nei confronti di ogni dichiarazione del presidente taiwanese Chen Shui-bian legata ad un

cambiamento dello status quo, sia nel 2003 durante la campagna che portò alla seconda

elezioni di Chen sia nel 2008 quando il premier di Taiwan si apprestava a lasciare la sua

carica (Rigger, 2006). L’amministrazione Bush adottò una politica della doppia deterrenza

sia nei confronti della Cina per scoraggiare eventuali atti di forza nello Stretto sia nei

confronti di Taiwan per evitare ogni atto provocatorio. Mentre la politica di Obama rispetto

a Taiwan fu caratterizzata dalla temporanea normalizzazione dei rapporti sino taiwanesi, i

suoi mandati presidenziali coincisero esattamente con i due mandati di Ma Ying-jeou. In

quegli otto anni le Cross Strait Relation vissero un inedito periodo di cooperazione e

sinergia, all’insegna di una minore pressione internazionale su Taiwan ed intensificazione

degli scambi commerciali tra Pechino e Taipei. Washington approvò tuttavia tre consistenti

vendite di armamenti per un valore totale di circa 14 miliardi di dollari, a riprova della

cruciale importanza che l’Amministrazione statunitense ha sempre riconosciuto nei

confronti dell’alleato taiwanese.

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5. Taiwan nella National Security Strategy 2017

Per la prima volta in assoluto, da quando la Casa Bianca ha iniziato a produrre la NSS nel 1990, Taiwan viene esplicitamente menzionata. C’è un chiaro riferimento alla continuità nel supporto nei confronti di Taipei attraverso il Taiwan Relations Act e una esplicita dichiarazione dell’impegno statunitense nella difesa di Taiwan. La citazione si trova ovviamente all’interno dell’analisi sulla regione Indo Pacifico. Già la denominazione dell’area è un cambio di rotta rispetto all’approccio obamiano, la regione che «si estende dalle coste occidentali dell’India alle sponde occidentali degli Stati Uniti» ( Trump, 2017, pp. 45-46) risulta cruciale nella strategia statunitense. La contrapposizione con la Cina è evidente, sin dalle prime righe sono citati gli incentivi e le sanzioni usate per influenzare gli stati della regione e, soprattutto, le manovre militare nel Mar Cinese Meridionale sono esplicitamente menzionate come una minaccia sia per la stabilità regionale sia per la sovranità delle altre nazioni (Trump, 2017, p. 46). Durante il suo viaggio in Asia dell’ottobre 2017 il Segretario di stato Rex W. Tillerson ha citato esplicitamente la visione di Washington per un «free and open Indo-Pacific» (Tillerson, 2017), costituito da rapporti sempre più strette tra le democrazie del quadrante, Stati Uniti, India, Australia e Giappone.

Un contesto totalmente distinto dal rebalancing obamiano che prefigura un possibile ruolo attivo per la democrazia taiwanese. A parte il nuovo approccio nei confronti della Cina, i contenuti e le linee guida della parte dedicata all’Indo Pacifico non differiscono molto dalla NSS redatta dall’amministrazione Obama. L’enfasi sugli organismi multilaterali regionali, l’Association of South East Asian Nations (ASEAN) e l’Asia-Pacific Economic Cooperation (APEC) e l’importanza dei paesi del Sud est Asiatico per gli scambi economici statunitensi, sono assimilabili all’approccio delle precedenti amministrazione. Taiwan non è citata direttamente tra gli alleati ma all’interno del capitolo Military and Security:

Manterremo i nostri forti legami con Taiwan in conformità con la nostra One China policy, inclusi i nostri

impegni ai sensi del Taiwan Relations Act per sipportare le legittime esigenze di difesa di Taiwan e

scoraggiare la coercizione (Trump, 2017, p. 46).

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C’è anche nelle prime righe dell’introduzione dello stesso presidente Donald Trump un

richiamo ai valori universali, riferimento che a Taiwan è stato letto con particolare

attenzione. Le stesse modalità della citazione di Taiwan nella NSS-17 si scontrano con il

protocollo richiesto dalla Cina, si tratta di un riferimento diretto al Taiwan Relations Act e

non è presente nessuna menzione dei tre comunicati congiunti sino-americani. La RPC esige

una esplicita menzione dei comunicati ogni qual volta ci sia un riferimento alle relazioni tra

Taiwan e Stati Uniti o tra Pechino e Washington e pretende l’omissione del TRA. La

menzione stessa di Taiwan e le circostanze in cui la citazione avviene segnano un nuovo

corso nelle relazioni tra Washington e Taipei. Con le amministrazioni Bush e Obama il

sostegno statunitense a Taiwan è stato costante, così come lo sono state le approvazioni di

armamenti del Congresso. Tuttavia talvolta la percezione a Washington, durante il decennio

precedente, di una sensazione di fastidio nei confronti dell’alleato taiwanese, in particolare

rispetto alle continue polemiche tra Stati Uniti e Cina per ogni questione riguardante Taiwan

era palpabile. Una attitudine che è sempre stata bilanciata dall’attivissima lobby taiwanese a

Washington, probabilmente tra i gruppi di pressione più radicati nell’amministrazione

statunitense. Brett Benson ha analizzato la teoria generale degli impegni di alleanza

applicandola al contesto delle Cross Strait Relation, evidenziando due parametri nella

descrizione dell'impegno statunitense per la sicurezza di Taiwan (Benson 2012): il grado in

cui l'intervento degli Stati Uniti modellerebbe l'esito di una guerra nello Stretto e il grado in

cui una soluzione favorevole agli Stati Uniti nel conflitto sia concorde a una soluzione

favorevole a Taiwan. La normalizzazione dei rapporti tra gli Stati Uniti e la Repubblica

Popolare Cinese è il principale elemento dell’ambiguità di Washington rispetto all’impegno

incondizionato, piuttosto che probabilistico o condizionale nei confronti dell’alleato

taiwanese. Il processo di democratizzazione taiwanese e la conseguente trasformazione della

soluzione ottimale per Taipei, da una Cina controllata dalla RDC a una Taiwan indipendente

e democratica ha determinato una maggiore ambiguità dell’impegno statunitense. Un

cambiamento generato dalla possibilità concreta di un raggiungimento dell’obiettivo, e di un

conseguente contrasto aperto con la RDC. La NSS del 2015, oltre a non menzionare Taiwan,

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traccia un quadro del rapporto con la Cina molto diverso dal documento redatto durante la presidenza Trump. La policy obamiana si propose di sviluppare una relazione «positiva, cooperativa e comprensiva» nei confronti di Pechino (Obama 2015). L’enfasi su una competizione con la Cina è invece presente in molti passaggi della NSS-17, la più evidente è quella riferita alle potenze rivali che minacciano in maniera aggressiva gli interessi statunitensi nel mondo. Una citazione principalmente diretta alla Repubblica Popolare cinese che verrà nuovamente ripetuta proprio all’interno della parte dedicato alla regione.

Probabilmente una dei passaggi più significativi riguarda quelle che Washington giudica come le modalità di competizione economiche con la Cina, dove si specifica che gli Stati Uniti non tollereranno più aggressioni economiche. La NSS-17 fa un riferimento diretto alle precedenti politiche nei confronti della Repubblica Popolare Cinese:

per decenni, la politica degli Stati Uniti è stata incentrata sulla convinzione che il sostegno all'ascesa della Cina e la sua integrazione nell'ordine internazionale postbellico avrebbero avviato un processo di riforme liberali in Cina. Contrariamente alle nostre speranze, la Cina ha esteso il suo potere a spese della sovranità degli altri (Trump, 2017).

La citazione della sovranità è stata letta con estrema attenzione a Taiwan, così come i vari passaggi riguardanti un rinnovato approccio statunitense contro i processi di egemonia regionale:

Attiveremo una competizione con tutti gli strumenti del potere nazionale per garantire che le regioni del mondo non siano dominate da un solo potere. […] Alleati e partner accrescono il nostro potere. Ci aspettiamo che si assumano una parte equa dell'onere della responsabilità per proteggere le minacce (Trump, 2017).

L’implicita critica dell’amministrazione Trump all’eccessivo ottimismo e ad un

approccio ritenuto passivo nei confronti delle altre potenze è stata interpretata a Taipei come

un segnale positivo. In particolare i riferimenti ai valori universali della democrazia e della

libertà costituiscono un indicatore importante per Taiwan. Le minacce all’egemonia

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statunitense non vengono classificate esclusivamente in base alla potenza dei singoli stati ma da una prospettiva che appare molto più ideologica rispetto ai documenti programmatici delle precedenti amministrazione.

6. L'amministrazione Trump nei rapporti con il partner taiwanese

Negli scorsi decenni i tentativi di Pechino di costringere gli Stati Uniti all’accettazione

dell’interpretazione cinese della One China Policy non hanno prodotto risultati significativi

e un approccio flessibile nei confronti dello status quo dell’isola è stata una prerogativa di

qualsiasi amministrazione. Sin dalla sua elezione Trump ha mostrato di non volere accettare

a priori la cornice diplomatica che ha circondato i rapporti tra Cina, Taiwan e Stati Uniti

dalla fine degli anni settanta. Uno dei primissimi gesti pubblici del presidente Donald

Trump fu la celebre telefonata a Tsai Ing-wen, un evento che scatenò l’ira di Pechino e colpì

l’opinione pubblica internazionale per la rottura del protocollo rituale nelle comunicazioni

tra Washington e Pechino. Un atto che fu interpretato inizialmente come una scelta

estemporanea del neopresidente ma si rivelò nelle settimane successive il frutto di una

precisa strategia. La telefonata ebbe delle forti ripercussioni a Taipei, generando

simultaneamente una soddisfazione per la momentanea attenzione mondiale nei confronti

delle vicende taiwanesi e una sensazione di fragilità dovuta alla eccessiva esposizione

mediatica dei rapporti tra Taiwan e Cina. Tutti gli indicatori dello stato delle relazioni tra

Stati Uniti e Taiwan mostrano dei segnali molto positivi per Taipei. John Bolton, il nuovo

Consigliere per la Sicurezza Nazionale nominato da Trump, è un sostenitore di lunga data

della causa taiwanese e si è espresso a più ripresa in difesa della necessità statunitense di un

supporto sempre maggiore a favore della Repubblica di Cina. Mike Pompeo, il nuovo

Segretario di Stato, ha criticato con frequenza il debole appoggio di Obama nei confronti di

Taiwan. La recente inaugurazione della de facto ambasciata statunitense, l’American

Institute in Taipei, un imponente e avveniristico edificio costato più di 220 milioni di euro è

un ulteriore segnale del ruolo che Washington sta delineando per Taiwan negli equilibri

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futuri della regione. Segnali che sono rassicuranti sul supporto incondizionato a Taiwan da

parte del principale alleato diplomatico, anzi descrivono una attenzione nei confronti di

Taipei che non si registrava da molto tempo a Washington. Una dinamica che appare

impostata su una comunicazione costante tra Washington e Taipei. Washington ha persino

emanato un nuovo atto che si va ad aggiungere alla cornice normativa che regola i rapporti

tra gli Stati Uniti e il suo alleato. Il Taiwan Travel Act (TTA), approvato all'unanimità da

entrambe le Camere del Congresso statunitense e firmato dal Presidente Trump nel marzo

2018, arriva a mettere in discussione i comunicati congiunti sino-americani secondo

l’interpretazione di Pechino. Il TTA dichiara che «il governo degli Stati Uniti dovrebbe

incoraggiare le visite tra funzionari degli Stati Uniti e di Taiwan a tutti i livelli» inclusi gli

incontri con «funzionari di sicurezza nazionale a livello di gabinetto, ufficiali generali e altri

funzionari di ramo esecutivo» (Taiwan Travel Act, 2018). A seguito di una intensa e

sotterranea trattativa diplomatica con la Cina l'amministrazione Trump ha ufficialmente

espresso la volontà di attenersi alla One China Policy, come stabilito nei comunicati

congiunti sino-americani e nel Taiwan Relations Act. Il TTA ha registrato un supporto

unanime e incondizionato, sia alla Camera sia al Senato: una situazione inedita rispetto al

primo anno della presidenza Trump che è stata caratterizzato da una forte polarizzazione. Il

presidente statunitense non avrebbe potuto fare a meno di firmare l’atto, che non può essere

ascritto esclusivamente alla volontà di Donald Trump ma segna una nuova direzione nei

rapporti tra Washington e Taipei. Un approccio che sembra apparentemente condiviso sia

dall’opinione pubblica sia da entrambi gli schieramenti politici (Campbell e Ratner, 2018),

ed è legato alla chiara volontà di ribilanciamento dell’egemonia cinese nella regione, anche

sul piano della promozione degli ideali democratici. Una situazione che appare propizia per

Taiwan ma che presuppone un innalzamento della conflittualità e in generale una sempre

maggiore attenzione sulle Cross Strait Relation, una dinamica giudicata in maniera negativa

a Taipei. La politica estera di Taiwan ha sempre rifuggito l’eccessiva esposizione mediatica,

visto il complesso quadro delle norme che regolano le relazioni tra le due sponde dello

stretto e la necessaria dimensione aperta e non vincolante dei singoli accordi. Le

esportazioni di Taiwan verso la Cina ammontano a più del triplo di quelle verso gli Stati

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Uniti e insieme a quelle dirette ad Hong Kong hanno costituito più del 40 per cento

dell’export taiwanese nel 2017. L’intercambio economico tra Cina e Taiwan è immenso e la

maggior parte delle aziende taiwanesi da decenni delocalizza le proprie attività sul territorio

cinese. Analisti hanno sottolineato come questo flusso di investimenti, mai osteggiato da

Taipei, sia un segnale che mostri la volontà taiwanese «di non cercare l’indipendenza e non

fomentare una tensione militare e politica con Pechino visti gli altissimi costi che

comporterebbe» (Chan, 2012) e come l’intercambio economico aumenti in maniera

esponenziale le eventuali conseguenze di un conflitto per Taiwan rendendo i leader molto

cauti (Li, 2013). Il governo sta cercato di modificare questa tendenza ma difficilmente le

iniziative intraprese come la New Southbound Policy, volte a dirigere gli imprenditori

taiwanesi nei paesi del Sud Est Asiatico, potranno registrare un successo significativo nel

medio termine. Gli imprenditori di Taiwan si sentono a loro agio, sia a livello culturale sia

linguistico, nella Repubblica Popolare Cinese e la possibilità di cambiare queste condizioni

nel futuro prossimo è molto lontana. La stessa New Southbound Policy sembra una strategia

di diplomazia pubblica legata a una rappresentazione del nuovo corso politico del DPP

piuttosto che un reale piano di diversificazione dei flussi di investimento. Tuttavia i

profondi legami economici e l’intercambio commerciale tra Taiwan e Cina non sembrano

essere determinanti per modificare l’approccio taiwanese nelle Cross Strait Relation. Alcune

ricerche hanno evidenziato come le politiche economiche cinesi rivolte a specifici gruppi

non abbiano prodotto risultati significativi (Kastner e Pearson, 2016), ad esempio nella zone

che hanno beneficiato maggiormente delle concessioni agricole cinesi il supporto al DPP è

rimasto immutato (Kastener, 2018). Ossia il costante allontanamento dei cittadini taiwanesi

dalla identità e cultura cinese non è collegato agli incentivi economici cinesi o agli eventuali

benefici di una cooperazione commerciale tra i due lati dello stretto. Il paradosso delle Cross

Strait Relation, che vede una convergenza economica e una divergenza politica (Li, 2014),

viene spesso analizzato attraverso la cornice interpretativa del costruttivismo per consentire

una enfasi nei processi di costruzione dell’identità nazionale e superarne le problematiche

(Wu, 2000). Lai e Wei in un recente studio hanno sviluppato una teoria che spiega la

specificità dell’approccio taiwanese nelle relazioni con la Cina proprio partendo dalla

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parziale irrazionalità delle questioni identitarie (Lai e Wei 2017).

7. Conclusioni

La Security Strategy non ha registrato un brusco cambiamento nell’approccio nei

confronti di Taiwan ma ha certamente mostrato la volontà di un impegno più attivo nei

confronti dell’alleato. In particolare, gli Stati Uniti hanno chiaramente comunicato,

attraverso la NSS-17, che non verrà lasciato spazio a Pechino per imporre la propria politica

su Taiwan. Si tratta di un atteggiamento non totalmente ascrivibile all’amministrazione

Trump, piuttosto sembra il frutto di un clima che si era instaurato sia negli ambienti della

difesa e della politica estera ben prima della candidatura dell’attuale presidente. Pur non

essendo uno degli attori principali della politica statunitense nell’Indo-Pacifico, il

cambiamento dell’approccio strategico di Washington nella regione ha creato i presupposti

per un ruolo centrale di Taiwan. Rimane una dose di scetticismo, dovuto alla naturale

instabilità dei rapporti tra le due sponde dello Stretto di Taiwan e alla nuova politica

assertiva di Xi Jinping. Tuttavia la sempre maggiore interdipendenza economica nella

regione mostra chiaramente come i costi - politici e materiali - di un eventuale conflitto

nello Stretto non siano sostenibili per nessuno degli attori coinvolti. Il principale timore a

Taipei resta quello di vedere trasformata la difesa dell’isola in una pedina di scambio nelle

delicate e sempre più agitate relazioni sino americane. La menzione all’interno della NSS e

la piena congruenza dell’assunto teorico del documento con un ruolo attivo per Taiwan nella

regione hanno fugato qualche dubbio a Taipei. L’impegno statunitense, soprattutto alla luce

dell’inclusione dell’universo valoriale di democrazia e libertà nella strategia per la regione,

alla difesa di Taiwan appare ampiamente confermato.

(16)

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