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Crescita di rivestimenti di varieta' a curvatura negativa

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Università di Pisa

Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali

Corso di Laurea in Matematica

Anno Accademico 2008/2009

Elaborato finale

Crescita di rivestimenti di varietà a curvatura

negativa

Candidato Andrea Pustetto

Relatore Controrelatore

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Indice

Introduzione 5

1 Prerequisiti 9

1.1 Azioni di gruppi e rivestimenti . . . 10

1.2 Varietà Riemanniane come spazi di lunghezze . . . 16

1.3 I modelli a curvatura costante e alcune loro proprietà . . . 20

1.4 Spazi CAT(κ) . . . 22

1.4.1 Curvatura sezionale e curvatura di Alexandrov . . . . 23

1.4.2 Convessità della metrica negli spazi CAT(0) . . . 25

1.4.3 La proiezione su convessi accorcia le distanze . . . 26

1.4.4 Classificazione delle isometrie . . . 27

1.5 Raggio di iniettività e sistola per spazi geodetici . . . 29

1.6 Il teorema di Cartan-Hadamard ed un teorema di confronto . 32 1.7 Proprietà trigonometriche di varietà Riemanniane a curvatura negativa . . . 33

1.8 Dominii di Dirichlet . . . 37

2 Growth tightness 43 2.1 Entropia vs entropia topologica . . . 44

2.2 Proprietà delle funzioni di crescita e dell’entropia . . . 47

2.3 Growth tightness . . . 55

2.4 Conseguenze . . . 56

2.5 Prodotto riflessivo . . . 59

2.5.1 Simmetria riflessiva . . . 61

2.5.2 Prodotto riflessivo . . . 65

2.5.3 Esistenza dell’immersione 1-Lipschitz . . . 72

3 Growth tightness algebrica 75 3.1 Presentazione di gruppi e piccola cancellazione . . . 76

3.1.1 Presentazione di un gruppo . . . 76

3.1.2 Metrica delle parole . . . 76

3.1.3 Grafo di Cayley . . . 77

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3.1.5 Gruppi di piccola cancellazione . . . 85 3.1.6 Struttura dei diagrammi di Van Kampen per gruppi

C′(λ) . . . 88 3.2 Growth tightness di gruppi di superfici . . . 93 A Connessioni e curvatura sezionale 99

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Introduzione

Il termine entropia fu per la prima volta usato dal fisico Rudolf Clausius nel suo “Trattato sulla teoria meccanica del calore” del 1864 per descrivere una proprietà comune a tutti i sistemi fisici noti allora: ogni trasformazione all’interno di un dato sistema avviene in modo da aumentare il “disordi-ne” del sistema in questione. Negli anni il concetto espresso da Rudolf si evolse e venne espresso in termini matematici. Oggigiorno in matematica esistono più definizioni di entropia a seconda del contesto in cui si opera, ma in ogni caso con il termine entropia si intende sempre una grandezza che stimi la “complessità” di un dato sistema matematico: per esempio nella teoria dell’informazione l’entropia stima la difficoltà, la complessità di in-viare un messaggio, è infatti la misura dell’ammontare dell’informazione che viene persa prima di essere ricevuta. In geometria con il termine entropia si fa solitamente riferimento all’entropia topologica di un sistema dinamico, ovvero dato uno spazio topologico compatto X0 e una funzione continua

f : X0→ X0 l’entropia topologica stima la complessità delle orbite dei punti

di X0 tramite f . Più precisamente l’entropia topologica stima quanto

ve-locemente cresca il numero di orbite (n, δ)-separate di f : se la crescita non è esponenziale l’entropia è nulla, altrimenti è una stima dell’esponente “me-dio” di crescita delle orbite. Noi invece con la parola entropia intenderemo l’entropia volumetrica di una varietà Riemanniana (o di un suo opportuno sottoinsieme discreto) che stima la crescita dei volumi delle palle di centro un punto fissato. Tale nozione di entropia ci fornisce pertanto una stima della complessità delle varietà in termini di quanto velocemente crescano all’infi-nito i volumi delle palle: se i volumi delle palle crescono esponenzialmente in funzione del raggio l’entropia volumetrica non è altro che il limite del rap-porto tra l’esponente di tale funzione ed il raggio quando quest’ultimo tende a +∞. Per esempio una varietà Riemanniana compatta “non è affatto com-plessa” in quanto i volumi di tutte le palle sono limitati dall’alto dal volume della varietà e quindi l’entropia risulta ovviamente nulla, mentre una varietà Riemanniana “infinita” può avere entropia maggiore di zero. Osserviamo che così come l’entropia topologica dipende fortemente dalla funzione f , quel-la volumetrica dipende, oltre che dalquel-la varietà, anche dalquel-la metrica definita sulla stessa. Ciò che è sorprendente è che le due nozioni di entropia, quella topologica e quella volumetrica, apparentemente così distinte, sono invece

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intimamente legate. Anthony Manning dimostra infatti in [13] che l’entropia volumetrica del rivestimento universale di una varietà Riemanniana compat-ta X0 è sempre minore o uguale dell’entropia topologica del flusso geodetico

di X0 e che vale l’uguaglianza nel caso in cui X0 abbia curvatura minore o

uguale a zero (vedi anche il Sezione 2.1).

In questa tesi intendiamo mostrare come l’entropia (volumetrica), che indicheremo con ω, di ogni rivestimento metrico normale di una varietà Rie-manniana compatta sia strettamente inferiore all’entropia del rivestimento universale metrico della stessa. Tale risultato è dovuto ad Andrea Sambu-setti, il quale dimostra in [9] il seguente teorema:

Teorema. Sia X0 una varietà Riemanniana chiusa, di dimensione n e a

curvatura negativa. Per ogni rivestimento metrico normale X di X0, diverso

dal rivestimento universale eX, si ha che ω( eX) > ω(X).

L’idea della dimostrazione è la seguente. Il gruppo Γ + Aut(X → X0)

risulta essere isomorfo al quoziente del gruppo fondamentale di X0per quello

di X e agisce tramite isometrie in modo libero e propriamente discontinuo su X. È quindi possibile identificare Γ con l’orbita Γx di un punto x di X tramite la sua azione. Scelto un particolare sottoinsieme S ⊆ Γx contenente il punto x si dimostra che l’entropia di S coincide con quella di X. Inol-tre, posto S∗ = Sr{x} si definisce l1

ν(S∗) come l’insieme delle successioni

finite di elementi di S∗ dotato di una particolare norma dipendente dalla

costante positiva ν e si dimostra l’esistenza di un’applicazione 1-Lipschitz j : l1

ν(S∗) → π1(X0) per ν abbastanza grande. Si calcola poi l’entropia di

tale spazio di successioni che risulta essere maggiore o uguale all’entropia di S con sommata una quantità positiva. Analogamente a Γ il gruppo fonda-mentale di X0, isomorfo a Aut( eX→ X0), risulta essere immergibile in eX ed

avere entropia pari a quella di eX quindi, grazie all’immersione 1-Lipschitz sopra menzionata, l’entropia di eX risulta essere maggiore o uguale di quella di l1

ν(S∗) che a sua volta è maggiore di quella di X, da cui la tesi. Peculiarità

importante di questa dimostrazione è l’introduzione di un particolare pro-dotto, il prodotto riflessivo, definito tra le isometrie di eX indotte da elementi di π1(X0), ed introdotto al fine di definire l’immersione 1-Lipschitz tra lo

spazio l1

ν(S∗) ed il gruppo fondamentale di X0.

Grazie a tale disuguaglianza tra l’entropia di un qualunque rivestimen-to metrico normale di una varietà Riemanniana compatta e quella del suo rivestimento universale è possibile stimare la lunghezza, detta sistola, della curva chiusa più breve non omotopicamente banale di una generica varietà Riemanniana. Ovvero, se X è una varietà Riemanniana che riveste in modo metrico e normale una varietà Riemanniana compatta X0, è possibile

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Introduzione differenza tra l’entropia del rivestimento universale eX di X0 e quella di X.

Più precisamente mostreremo valere una disuguaglianza del seguente tipo: sys(X)≥ C log

 1 Ω(X)



ove C è una costante dipendente solo da X0 e Ω(X) = ω( eX)− ω(X) è il

deficit asintotico di X. Sebbene tale disuguaglianza non sia molto utile nel caso in cui il deficit asintotico sia molto grande risulta esserlo nel caso in cui Ω(X) sia piccolo.

Al fine di mostrare esaurientemente al lettore i risultati prima espressi e le loro dimostrazioni abbiamo ritenuto necessario riportare alla memoria tutta una parte di teoria matematica indispensabile per una corretta e com-pleta comprensione degli argomenti trattati in questa tesi. Di conseguenza procederemo nel modo seguente: il primo capitolo sarà dedicato ai prerequi-siti necessari al secondo capitolo, nucleo della nostra tesi, in cui enunceremo e dimostreremo, come già preannunciato, il risultato di Sambusetti e le sue conseguenze; nel terzo capitolo riporteremo invece un caso particolare del-l’equivalente algebrico del risultato principale.

Più precisamente nel primo capitolo tratteremo la teoria dei rivestimenti, definiremo l’azione di un gruppo su uno spazio topologico e vedremo come un’azione possa determinare un rivestimento e viceversa. Nel seguito par-leremo della metrica Riemanniana, definiremo quella delle lunghezze e mo-streremo come queste coincidano in ambito Riemanniano; riporteremo poi alla memoria del lettore alcuni fatti fondamentali circa le varietà a curvatu-ra costante. Successivamente faremo un breve excursus sugli spazi CAT(κ): dopo averli definiti spiegheremo il motivo per cui li abbiamo introdotti e, in funzione di ciò, dimostreremo alcune loro proprietà. Definiremo poi la si-stola ed il raggio di iniettività di una varietà Riemanniana e ne mostreremo il legame, riporteremo poi gli enunciati del Teorema di Cartan-Hadamard e di un teorema di confronto tra i volumi delle palle di varietà Riemanniane, teoremi che saranno indispensabili per poter giustificare le costruzioni e le stime che faremo in seguito. In conclusione al primo capitolo dimostreremo alcune proprietà trigonometriche delle varietà Riemanniane semplicemente connesse a curvatura negativa, definiremo i dominii di Dirichlet e dimostre-remo alcune loro proprietà fondamentali.

Nel secondo capitolo, dopo qualche ulteriore precisazione circa l’entro-pia topologica e volumetrica, dimostreremo alcuni lemmi tecnici riguardanti l’entropia (volumetrica) di una varietà Riemanniana. Tali lemmi giocheran-no un ruolo fondamentale per la dimostrazione del risultato principale che dimostreremo subito dopo. Infine parleremo delle conseguenze del teorema principale e stimeremo la sistola in funzione del deficit asintotico.

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Per concludere riporteremo nel terzo capitolo un caso particolare dell’e-quivalente algebrico del risultato di Sambusetti.

Arzhantseva e Lysenok dimostrano infatti in [15] che l’entropia di un generi-co gruppo iperboligeneri-co finitamente presentato rispetto alla metrica delle parole indotta da un qualsiasi sistema finito di generatori è strettamente maggiore dell’entropia di un suo quoziente rispetto alla metrica indotta. Noi riporte-remo (e dimostreriporte-remo) il risultato di Sambusetti il quale dimostra che vale la stessa proprietà per i gruppi fondamentali delle superfici compatte orien-tabili di genere g ≥ 2 rispetto al sistema canonico di generatori e relazioni (tali gruppi risultano essere infatti iperbolici). Per farlo introdurremo ini-zialmente le definizioni ed i risultati indispensabili per la dimostrazione di tale risultato quali ad esempio le definizioni di presentazione di un gruppo, grafo di Cayley, metrica delle parole, diagrammi singolari e di Van Kampen e gruppi di piccola cancellazione. Dimostreremo poi alcuni risultati che de-termineranno la struttura di particolari semplificati dei diagrammi di Van Kampen relativi a triangoli geodetici in grafi di Cayley, struttura che ci sarà indispensabile nel corso della dimostrazione del risultato principale di questo capitolo.

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Capitolo 1

Prerequisiti

In questo capitolo intendiamo fornire al lettore gli strumenti necessari per poter poi comprendere i capitoli seguenti. Inizieremo con un breve excursus sulla teoria dei rivestimenti: dopo aver ricordato la nozione di rivestimen-to ne tratteremo brevemente le proprietà, mostreremo come i sotrivestimen-togruppi del gruppo fondamentale di uno spazio topologico ne “determinino” i rivesti-menti (Proposizione 1.1.6). Dopo aver definito l’azione di un gruppo su un insieme mostreremo come il gruppo fondamentale di uno spazio topologico possa agire su un spazio che lo rivesta e come una particolare azione di un gruppo su di uno spazio topologico determini un rivestimento (Proposizione 1.1.11). Nella seconda sezione tratteremo le analogie e le differenze, a livel-lo metrico, tra le varietà Riemanniane e gli spazi di lunghezze; nella terza descriveremo alcuni fatti fondamentali circa i modelli a curvatura costan-te. Nella quarta sezione faremo un breve excursus sugli spazi CAT(κ). Dopo averli definiti (Definizione 1.4.3) spiegheremo il motivo per cui li abbiamo in-trodotti: sfruttare le proprietà degli spazi CAT(κ) per studiare la geometria delle varietà Riemanniane semplicemente connesse di curvatura negativa. Il Teorema 1.4.4 ci assicurerà infatti che le varietà Riemanniane di curvatura sezionale negativa sono spazi localmente CAT(κ) e mostreremo che sono glo-balmente CAT(κ) nel caso siano anche complete e semplicemente connesse. In tal caso tali spazi verificano quindi tutte le proprietà vere per gli spazi CAT(κ). In quest’ottica enunceremo e talvolta dimostreremo alcuni teoremi che sfrutteremo nella Sezione 1.7. Dedicheremo la Sezione 1.5 al raggio di iniettività e alla sistola di una varietà Riemanniana e alle loro primissime proprietà che ci serviranno nel Capitolo 2, mentre la Sezione 1.6 sarà de-dicato dede-dicato ai Teoremi 1.6.1 e 1.6.2. Il Teorema 1.6.1 ci assicurerà che una varietà Riemanniana semplicemente connessa e completa di dimensione n è diffeomorfa aRntramite la mappa esponenziale in ogni punto (teorema che in particolare sarà fondamentale per definire la struttura riflessiva nella Sezione 2.5), mentre il Teorema 1.6.2 fornisce una stima tra i volumi delle palle in varietà di curvatura negativa che ci servirà invece nel corso della

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dimostrazione della Proposizione 2.2.3. Nella Sezione 1.7 tratteremo alcune proprietà trigonometriche di varietà Riemanniane complete e semplicemen-te connesse sfruttando quanto già dimostrato per gli spazi CAT(κ), mentre nella sezione successiva parleremo dei dominii di Dirichlet e ne dimostreremo le proprietà fondamentali.

1.1

Azioni di gruppi e rivestimenti

Definizione 1.1.1. Sia X0 uno spazio topologico, allora un rivestimento

per X0 è il dato di uno spazio topologico X insieme ad un’applicazione

p : X → X0 per cui esista un ricoprimento aperto {Uα}α∈A di X0 tale che

per ogni α ∈ A l’insieme p−1(U

α) consti dell’unione disgiunta di aperti di X

ognuno dei quali sia omeomorfo tramite p a Uα.

Diremo inoltre che una applicazione continua p : X → x0 ha la proprietà

del sollevamento dei cammini se per ogni x ∈ X e ∀γ : I → X0 cammino

continuo che inizia da p(x) ∃!¯γ : I → X che solleva γ nel senso che p ◦ ¯γ = γ. La proprietà del sollevamento dei cammini contraddistingue in un certo senso i rivestimenti, si può dimostrare infatti che se p : X → X0è una applicazione

localmente invertibile tra spazi topologici connessi che ha la proprietà del sollevamento dei cammini, allora è un rivestimento nel senso della Definizione 1.1.1.

Più in generale si dimostra che, dato un rivestimento p : X → X0 tra spazi

topologici connessi, uno spazio topologico Y , una omotopia tra lacci ft: Y →

X0 ed un sollevamento ¯f0 di f0 esiste un unico sollevamento ¯ft dell’intera

omotopia che inizi da ¯f0. Da ciò si deduce che l’applicazione p∗: π1(X, x)→

π1(X0, x0) indotta dal rivestimento p è iniettiva, il che chiaramente implica

che si può sempre identificare π1(X, x) con un sottogruppo di π1(X0, x0).

Detto localmente connesso per archi uno spazio topologico Y tale che ∀y ∈ Y e ∀U intorno aperto di y ∃V ⊂ U aperto tale che V è connesso per archi e y ∈ V , enunciamo due importanti teoremi che stanno alla base della teoria dei rivestimenti riguardanti il sollevamento delle applicazioni in genere e, nel caso esista, l’unicità di tale sollevamento:

Proposizione 1.1.2. Sia p : (X, x)→ (X0, x0) un rivestimento, Y uno

spa-zio connesso per archi e localmente connesso per archi e sia f : (Y, y) → (X0, x0) un’applicazione continua. Allora esiste un sollevamento ¯f di f ⇔

f(π1(Y, y))⊆ p∗(π1(X, x)),

Proposizione 1.1.3. Sia p : (X, x)→ (X0, x0) un rivestimento, f : (Y, y)→

(X0, x0) un’applicazione continua e ¯f1, ¯f2: (Y, y)→ (X, x) due sollevamenti

di f coincidenti in un punto. Allora ¯f1≡ ¯f2 in tutta la componente connessa

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1.1 Azioni di gruppi e rivestimenti D’ora in poi ci restringeremo a considerare solamente spazi connessi e localmente connessi per archi (e quindi anche connessi per archi).

Fissato uno spazio topologico X0(connesso e localmente connesso per

ar-chi) consideriamo l’applicazione che ad un generico rivestimento p : X → X0

associa il sottogruppo (ricordiamo che p è sempre iniettiva) p(π1(X, x)) <

π1(X0, x0). Viene spontaneo chiedersi se tale applicazione sia “iniettiva”, nel

senso che se due rivestimenti di X0a cui è associato lo stesso sottogruppo del

gruppo fondamentale di X0siano o meno “identificabili”, o se sia “surgettiva”,

ovvero se per ogni sottogruppo H del π1(X0, x0) esista sempre uno spazio

puntato (X, x) che rivesta (X0, x0) (tramite il rivestimento p) e tale che

l’immagine tramite p del suo gruppo fondamentale sia esattamente H. Le risposte a queste domande sono entrambe affermative, inizieremo mostrando la surgettivià (Proposizione 1.1.4) mentre mostreremo in seguito l’iniettività (Proposizione 1.1.5).

A riguardo della surgettività, ci si chiede in particolare se esista sempre uno spazio eX che rivesta X0 e tale che p∗(π1( eX, ex)) ={e} < π1(X0, x0).

Notiamo innanzitutto che, per l’iniettività di p, richiedere che p(π1( eX, ex)) =

{e} equivale a richiedere che π1( eX, ex) ={e}, notiamo inoltre che se p: eX→

X0 è un rivestimento e eX è semplicemente connesso allora per ogni y∈ X0

esiste un intorno aperto U di y ben rivestito, ovvero tale che p ristretto ad una qualunque componente connessa di p−1(U ) sia un omeomorfismo. Esiste

perciò un aperto eU ⊂ eX che si proietta (in modo omeomorfo) su U , pertanto ogni laccio in U si solleva a un laccio in eU omotopo ovviamente al laccio banale. La proiezione di tale omotopia tramite p fornisce un’omotopia in X0

con il laccio banale, pertanto i(π1(U, y)) ={e}, ove i: U → X0 è

l’inclusio-ne. Abbiamo quindi dimostrato che una condizione necessaria all’esistenza di un rivestimento semplicemente connesso per X0 è che X0 sia semilocalmente

semplicemente connesso, ovvero che∀y ∈ X0 ∃U intorno di y tale che

l’appli-cazione i: π1(U, y)→ π1(X0, y) indotta dall’inclusione sia banale. Diremo

invece che uno spazio topologico X0 è localmente semplicemente connesso

se per ogni punto y ∈ X0 e per ogni intorno aperto U di y esiste un

intor-no aperto V di y contenuto in U e semplicemente connesso. Chiaramente localmente semplicemente connesso implica semilocalmente semplicemente connesso ma non è vero il viceversa, infatti il cono su uno spazio non lo-calmente semplicemente connesso è contrattile e quindi chiaramente è anche semilocalmente semplicemente connesso ma non è localmente semplicemente connesso.

Proposizione 1.1.4. Sia X0 connesso, localmente connesso per archi e

se-milocalmente semplicemente connesso, allora ∀H < π1(X0, x0) esiste XH e

p : XH → X0 rivestimento tale che p∗(π1(XH, x)) = H per un’opportuna

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Rispondiamo alla domanda se tale corrispondenza tra sottogruppi del gruppo fondamentale di X0 ed i suoi rivestimenti sia in qualche modo

“uni-ca”, la risposta a questa domanda è, come già preannunciato, affermativa a meno però “di opportuni isomorfismi”. Siano p1: X1 → X0 e p2: X2 → X0

due rivestimenti, diremo allora che un omeomorfismo f : X1 → X2 è un

isomorfismo di rivestimenti se p1 = p2◦ f.

Proposizione 1.1.5. Se X0 è connesso, localmente connesso per archi e

semilocalmente semplicemente connesso e se p1: (X1, x1)→ (X0, x0) e

p2: (X2, x2) → (X0, x0) sono due rivestimenti, allora tali rivestimenti sono

isomorfi con un isomorfismo che preserva i punti base ⇔ p1∗(π1(X1, x1)) =

p2∗(π1(X2, x2)).

Proposizione 1.1.6. Sia X0 connesso, localmente connesso per archi e

se-milocalmente semplicemente connesso. Allora esiste una bigezione tra l’in-sieme degli spazi connessi per archi che rivestono X0 a meno di isomorfismi

che preservano i punti base e l’insieme dei sottogruppi del π1(X0, x0). Se i

punti base sono ignorati la corrispondenza ci dà una bigezione tra i rivesti-menti connessi per archi di X0 a meno di isomorfismi e le classi di coniugio

dei sottogruppi di π1(X0, x0).

Vogliamo ora mostrare come possa il gruppo fondamentale di uno spa-zio topologico X0 “agire” su uno spazio che lo riveste, sia pertanto p : X →

(X0, x0) un rivestimento (notiamo che non abbiamo fissato in punto base in

X) e poniamo G = π1(X0, x0). Preso allora un generico cammino (non

neces-sariamente chiuso) γ : [0, 1] → X0 in X0 tale che γ(0) = x0 e fissato un punto

x∈ p−1(γ(0)) esiste, come già notato, un unico sollevamento a partire da x di γ. È quindi ben definita un’applicazione γ7→ ςγ: p−1(γ(0))→ p−1(γ(1)). Si

mostra facilmente che ςγè una bigezione tra gli insiemi p−1(γ(0)) e p−1(γ(1)),

che ςγ dipende solo dalla classe di omotopia a estremi fissi di γ e che se δ

è un altro cammino in X0 per cui sia ben definito il concatenamento δ ⋆ γ

(ovvero tale che δ(0) = γ(1)) allora ςδ⋆γ = ςδ◦ ςγ. Notiamo che abbiamo

de-finito il concatenamento tra lacci come la composizione tra funzioni, ovvero con a ⋆ b intendiamo che il laccio b precede, nel concatenamento, il laccio a e non viceversa; solo grazie a ciò vale che ςδ⋆γ = ςδ◦ ςγ (altrimenti sarebbe

ςδ⋆γ = ςγ◦ ςδ).

Invece che considerare cammini qualunque si può considerare solamente i lacci chiusi, così facendo otteniamo una applicazione ς da G nel gruppo delle permutazioni della fibra F = p−1(x

0) sopra il punto base associando ad ogni

g ∈ G la permutazione ςg: F → F e che associa ad ogni x ∈ F il punto

finale del sollevamento, a partire da x, di un generico laccio rappresentante l’elemento g. Per quanto accennato sopra ςg è effettivamente una

permuta-zione e ς è un omomorfismo di gruppi da G nel gruppo delle permutazioni di F . Tale omomorfismo è detto omomorfismo di monodromia. In particolare notiamo che abbiamo definito un’azione del gruppo fondamentale di X0sulla

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1.1 Azioni di gruppi e rivestimenti Definizione 1.1.7. Sia X uno spazio topologico e G un gruppo. Diremo che è fissata un’azione continua di G su X (o che G agisce su X con con-tinuità) se è stato fissato un morfismo ς : G → Omeo(X → X) dal gruppo G nel gruppo degli omeomorfismi di X. Ovvero ς associa ad ogni elemento g∈ G una applicazione continua ςg: X → X in modo che se g, h ∈ G valga

che ςgh = ςg ◦ ςh e che ςgg−1 = ςid = IdX. Nel caso in cui X non sia uno

spazio topologico ma semplicemente un insieme diremo comunque che è fis-sata un’azione (non continua) di G su X se è stato fissato un omomorfismo ς dal gruppo G nel gruppo delle applicazioni biunivoche di X in se, ovvero nel gruppo delle permutazioni di X.

Una azione ς su X definisce in modo naturale una relazione di equivalenza, infatti diremo che x, y ∈ X sono equivalenti, e scriveremo x ∼ y se ∃g ∈ G tale che ςg(x) = y. In tal caso denoteremo con X/G il quoziente di X tramite

tale relazione di equivalenza.

Diremo inoltre che un’azione ς è propriamente discontinua (o che G agisce in modo propriamente discontinuo) se per ogni coppia di punti x, y ∈ X ∃U, V intorni di x e y tali che ςg(U )∩ V 6= ∅ solo per un numero finito di g ∈ G.

Diremo inoltre che l’azione è cocompatta se il quoziente X/G è compatto. Infine diremo che l’azione è libera o priva di punti fissi se per l’appunto l’uguaglianza ςg(x) = x per un dato g ∈ G e qualsiasi x ∈ X implichi

che g = id mentre diremo che è effettiva nel caso in cui l’applicazione ς : G → Omeo(X → X) sia iniettiva e si possa perció identificare G con un sottogruppo degli omeomorfismi di X.

Notiamo infine che la seguente condizione implica chiaramente che l’azio-ne sia libera e propriamente discontinua (e quindi anche effettiva in quanto un’azione libera è in particolare effettiva)

∀x ∈ X ∃U intorno di x tale che ςg(U )∩U = ∅ per ogni g ∈ Gr{id}. (1.1)

Il viceversa vale solo se aggiungiamo l’ipotesi che per ogni g ∈ G r {id} l’applicazione ςg non abbia punti fissi.

D’ora in poi, nel caso in cui l’azione sia evidente, scriveremo semplicemente gx (ove g∈ G ed x ∈ X) invece di ςg(x).

Osservazione 1.1.8. Sia X uno spazio topologico localmente compatto e G un gruppo che agisce in modo cocompatto su X e sia p : X → X/G la mappa di passaggio al quoziente, mostriamo che esiste un compatto K la cui orbita tramite l’azione di G è tutto X, ossia tale che G · K = X. Sia pertanto {Ki}i∈N una successione esaustiva numerabile di compatti di X,

ovvero una successione di compatti tali che Ki ( Ki+1 e Si∈NKi = X. Sia

n0 + min{n ∈ N ∪ {∞} | G · Kn = X} (ove K∞ + Si∈NKi). Se n0 ∈ N

segue ovviamente la tesi, altrimenti p({Kn}n∈N) è un ricoprimento di X/G

che non ammette sottoricoprimento finito, il che è chiaramente assurdo. Viceversa sia p ◦ i: K −→ Xi −→ X/G la composizione dell’inclusione con lap proiezione al quoziente, chiaramente p ◦ i è continua e se G · K = X è anche

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surgettiva, quindi X/G è compatto in quanto immagine di un compatto tramite una applicazione continua.

3 Si può dimostrare che l’omomorfismo di monodromia determina univo-camente, a meno di isomorfismi, il rivestimento. Più precisamente si può mostrare come i rivestimenti di X0 siano determinati dalle classi di

equiva-lenza degli omomorfismi di monodromia ς : π1(X0, x0) → P(I), la relazione

di equivalenza identifica ς con tutti i suoi coniugati h−1ςh per elementi h del

gruppo delle permutazioni P(I) dell’insieme I + p−1(x0).

Dato, come sempre, un rivestimento p : (X, x) → (X0, x0) l’insieme

Aut(X → X0) +{f : X → X | f isomorfismo di rivestimenti }

è un gruppo per l’operazione di composizione ed è chiamato gruppo degli automorfismi del rivestimento. Notiamo che se X è connesso per l’unicità dei sollevamenti, un automorfismo del rivestimento è univocamente determinato dall’immagine di un punto (poiché se due tali automorfismi coincidono in un punto allora coincidono ovunque).

Definizione 1.1.9. Sia p : (X, x) → (X0, x0) un rivestimento. Diremo allora

che il rivestimento p è normale se ∀z ∈ X0e ∀y1, y2∈ p−1(z)∃f ∈ Aut(X →

X0) tale che f (y1) = y2.

Notiamo che la definizione di rivestimento normale equivale a richiedere che p(π1(X, x)) sia un sottogruppo normale del π1(X0, x0), vale infatti la

seguente:

Proposizione 1.1.10. Sia p : (X, x) → (X0, x0) un rivestimento, siano X

connesso per archi, X0 connesso, localmente connesso per archi e

semilo-calmente semplicemente connesso e H = p(π1(X, x)) < π1(X0, x0) = G.

Allora

1. Il rivestimento è normale ⇔ H ⊳ π1(X0, x0).

2. Aut(X → X0)≃ N(H)/H.

Dove il simbolo ⊳ è quello di sottogruppo normale, mentre con N(H) (o talvolta con NG(H)) intendiamo il normalizzatore (in G) di H che

ricordia-mo è definito come NG(H) +{g ∈ G | g−1Hg = H}.

Mostriamo l’isomorfismo espresso nel punto 2 della proposizione sopra. Scel-to un generico punScel-to x1 ∈ p−1(x0)⊂ X è facile vedere che p∗(π1(X, x1))

diffe-risce da p(π1(X, x)) per il coniugio per un elemento g∈ π1(X0, x0) (un

rap-presentante per g sarà infatti la proiezione di cammino in X congiungente x a x1), ovvero p∗(π1(X, x)) = g−1p∗(π1(X, x1))g. Pertanto g∈ NG(H) se e solo

(15)

1.1 Azioni di gruppi e rivestimenti se p(π1(X, x)) = p∗(π1(X, x1)) se e solo se (vedi Proposizione 1.1.2) è

possi-bile sollevare l’applicazione p : (X, x) → (X0, x0) ad una f : (X, x)→ (X, x1)

in modo che p ◦f = p, ovvero se e solo se f è l’automorfismo del rivestimento che manda x in x1.

In particolare se il rivestimento è normale il normalizzato di H coincide con G e quindi, per il punto (2) della Proposizione 1.1.10, Aut(X → X0)≃

G/H. Inoltre il gruppo dei automorfismi del rivestimento Aut(X → X0) ≃

N(H)/H, definisce un’ovvia azione su X, infatti un elemento f del gruppo degli automorfismi del rivestimento è anche un omeomorfismo di X in se, ed inoltre è facile vedere che tale azione è libera e propriamente discontinua.

Concludiamo la teoria dei rivestimenti con la seguente proposizione. Proposizione 1.1.11. Se l’azione di un gruppo Γ su uno spazio topologico X soddisfa la (1.1) allora:

1. la mappa di passaggio al quoziente p : X → X/Γ è un rivestimento normale.

2. Se X è connesso per archi allora Γ coincide con il gruppo degli auto-morfismi del rivestimento.

3. Γ è isomorfo a π1(X/Γ, Γx)/p∗(π1(X, x)) se X è connesso per archi e

localmente connesso per archi.

Nel caso in cui X sia semplicemente connesso e l’azione di Γ soddisfi la (1.1), per quanto detto prima vale che

Aut(X → X/Γ) ≃ N(p∗(π1(X, x))) p(π1(X, x))

= π1(X/Γ, Γx) {id} .

Inoltre chiaramente il gruppo degli automorfismi del rivestimento Aut(X → X/Γ) è isomorfo a Γ, basta infatti associare ad un automorfismo f del ri-vestimento tale che f (x) = x1, ove x1 ∈ p−1(Γx) (ricordiamo infatti che un

automorfismo del rivestimento è univocamente determinato dall’immagine di un singolo punto), l’unico elemento gf ∈ Γ tale che gfx = x1 (tale gf

chiaramente esiste ed è unico in quanto l’azione è per ipotesi libera). Vale perció che

Aut(X → X/Γ) ≃ π1(X/Γ, Γx)≃ Γ

Tutto quanto già detto circa i rivestimenti può essere riformulato nel caso in cui gli spazi topologici vengano sostituiti dalle varietà Riemanniane. In tal caso richiederemo che l’applicazione di rivestimento, anziché essere un locale omeomorfismo, sia una locale isometria e diremo che il rivestimento è metrico o Riemanniano. Analogamente tutte le definizioni e proposizioni rimango-no invariate a merimango-no di considerare tutto nell’ambito degli spazi metrici, per

(16)

esempio gli automorfismi del rivestimento non saranno più omeomorfismi, ovvero isomorfismi di spazi topologici, ma diventeranno isomorfismi di spazi metrici, cioè isometrie; oppure l’azione di un gruppo su un insieme non sarà più un’applicazione ς : G → Omeo(X → X) ma ς : G → Isom(X → X) e così via.

Prima di concludere vediamo come si possa definire una distanza su di un gruppo che agisce su uno spazio metrico.

Osservazione 1.1.12. Notiamo che un gruppo G che agisce in modo con-tinuo su uno spazio metrico (X, d) può essere sempre dotato di una metrica, a cui nel seguito ci appelleremo con il nome di metrica geometrica, indotta dalla sua azione sullo spazio X, vediamo come. Fissiamo un generico punto x ∈ X, definiamo allora dG(g, h) + d(gx, hx) per ogni coppia di elementi

g, h∈ G. In generale l’applicazione dGnon è una distanza ma solo una

pseu-dodistanza, se però l’azione di G su X è libera (o priva di punti fissi, vedi Definizione 1.1.7) dG è a tutti gli effetti una distanza. In pratica abbiamo

identificato il gruppo G con il sottoinsieme Gx di X e lo abbiamo dotato della metrica indotta, per questo tale metrica è chiamata metrica geometri-ca, per distinguerla con altri tipi di metriche, più algebriche, che è possibile definire su di un gruppo. Notiamo che dG dipende, oltre che da come G

agisce su X, anche dal punto x ∈ X che abbiamo scelto per “immergere” G in X.

In generale tratteremo solamente al caso più specifico in cui l’azione, oltre ad essere libera e tramite isometrie, è anche propriamente discontinua, in tal caso Gx risulta essere uno spazio metrico discreto. In particolare, come vedremo in seguito (Osservazione 1.2.9), se p : eX → X il rivestimento uni-versale metrico allora il gruppo degli automorfismi associati al rivestimento Aut( eX → X) (e dunque il gruppo fondamentale di X) agiscono tramite isometrie su eX, pertanto si può applicare quanto detto precedentemente.

3 Consideriamo infine la seguente costruzione che ci verrà utile in seguito: sia X una varietà Riemanniana connessa e sia p : eX → X il suo rivestimento universale metrico. Posto G = π1(X) possiamo considerare il rivestimento

metrico ep: eX→ eX/G, allora segue banalmente che X è isometrico a eX/G.

1.2

Varietà Riemanniane come spazi di lunghezze

Scopo di questa sezione è introdurre gli spazi di lunghezze e fare alcune precisazioni riguardanti le connessioni esistenti tra tali spazi e le varietà Riemanniane. Iniziamo pertanto con due definizioni.

(17)

1.2 Varietà Riemanniane come spazi di lunghezze Definizione 1.2.1. Sia (X, d) uno spazio metrico. Allora la lunghezza l(c) di una curva c: [a, b] → X è

l(c) = sup a=t0<t1<...<tn=b n−1 X i=0 d(c(ti), c(ti+1))

ove il sup varia tra tutte le possibili partizioni {t0, ..., tn} di [a, b] con a =

t0 < t1 < ... < tn = b. Diremo rettificabile una curva c : [a, b] → X per cui

l(c) < +∞.

Definizione 1.2.2. Sia (X, d) uno spazio metrico, diremo allora che d è una metrica delle lunghezze se la distanza tra due punti x, y∈ X è pari all’estre-mo inferiore delle lunghezze dei cammini continui rettificabili congiungenti x ad y, ovvero se d(x, y) = inf{l(γ) | γ cammino rettificabile di estremi x ed y}. In tal caso (X, d) è chiamato spazio di lunghezze.

Notiamo che se (X, d) è uno spazio metrico, possiamo comunque definire ¯

d(x, y) + inf

γ {l(γ) | γ cammino tra x ed y}

ove l(γ) = supPd(γ(ti), γ(ti+1)) (ove ℘ è una partizione del dominio di

γ). Chiaramente la funzione ¯d definisce una metrica (infatti è positiva, vale la disuguaglianza triangolare e ¯d(x, y) = 0 se e solo se x = y), inoltre per via di come è definita chiaramente si ha che d(x, y) ≤ ¯d(x, y) per ogni coppia di punti x, y ∈ X. Si può inoltre dimostrare che ogni curva rettificabile in (X, d) di lunghezza l è rettificabile anche in (X, ¯d) ed ha sempre la stessa lunghezza ed infine che ¯¯d = ¯d. Da ciò si deduce che lo spazio (X, ¯d) è uno spazio metrico di lunghezze, che chiameremo spazio di lunghezze associato a (X, d) (e chiaramente ¯d sarà la metrica di lunghezze associata a d). Notiamo infine che ¯d = d se e solo se (X, d) è di lunghezze.

Poiché intendiamo porre l’attenzione sullo studio delle varietà Rieman-niane dal punto di vista della metrica, ricordiamo velocemente cosa sia una varietà Riemanniana ovvero cosa significhi porre una metrica Riemanniana su di una varietà differenziabile. Sia pertanto X una varietà liscia, se su ogni spazio tangente TxX ad X è stato fissato un prodotto scalare in modo

che vari, da tangente a tangente, in modo differenziabile al variare di x ∈ X diremo che X è una varietà Riemanniana. Più precisamente se (x1, ..., xn) è

un sistema di coordinate locali in un aperto U di X, allora per ogni x ∈ U la metrica sullo spazio tangente TxX è data da una formula del tipo:

ds2=

n

X

i,j=1

gij(x)dxidxj

ove l’applicazione gij(x) è differenziabile nelle x su U . Ciò implica, in

(18)

appartenenti a TxX, allora il prodotto scalare tra tali vettori non è altro che

hv, wiR=Pni,j=1gij(x)vi(x)wj(x).

Se inoltre c: I → X è un cammino differenziabile in X, denoteremo con ˙c(t)∈ Tc(t)X il suo vettore velocità all’istante t e conk ˙c(t)kR la sua norma

rispetto al prodotto scalare sopra definito su Tc(t)X.

Definizione 1.2.3. Se c(t), s(t): [a, b] → X sono due curve differenziabili in X tali che c(a) = s(a), ˙c(a)6= 0 e ˙s(a) 6= 0 allora l’angolo Riemanniano tra i vettori ˙c(a), ˙s(a) ∈ Tc(a)X è l’unico α tale che

cos α = h ˙c(a), ˙s(a)iR k ˙c(a)kRk ˙s(a)kR

.

Nel seguito indicheremo tale angolo con ∠R

c(a)(c, s) nel caso volessimo

foca-lizzare l’attenzione sulle geodetiche o con ∠R

c(a)( ˙c(a), ˙s(a)) nel caso volessimo

invece porre l’attenzione sui vettori dello spazio tangente in c(a) di cui cal-coliamo l’angolo.

La lunghezza Riemanniana lR(c) è definita invece come

lR(c) =

Z b a k ˙c(t)k

Rdt.

Si definisce allora la distanza (Riemanniana) tra due punti come dR(x, y) + inf

γ {lR(γ)| γ è una curva tra x e y}.

La proposizione seguente ci assicura allora che è effettivamente una metrica e che con tale metrica (X, dR) è uno spazio di lunghezze.

Proposizione 1.2.4. Sia X una varietà Riemanniana connessa. Allora 1. dR definisce una metrica su X;

2. la topologia indotta da dRcoincide con la topologia di X (come varietà);

3. (X, dR) è uno spazio di lunghezze.

Notiamo che per quanto detto precedentemente il punto (3) equivale a dire che ¯dR(x, y) = infγl(γ)≡ dR ove

l(γ) = sup ℘ X i dR(γ(ti), γ(ti+1)) = sup ℘ X i inf ηi Z bi ai kηikRdt

Definizione 1.2.5. Se X è uno spazio metrico diremo che una curva γ : [a, b] → X è una geodetica se è la curva più breve congiungente γ(a) con γ(b), diremo invece che γ è localmente geodetica se per ogni t ∈ [a, b] esiste un intorno U di t tale che γ|

(19)

1.2 Varietà Riemanniane come spazi di lunghezze Diremo che uno spazio metrico è geodetico se per ogni coppia di punti esiste una geodetica che li congiunge. Diremo invece che uno spazio metrico è unicamente geodetico nel caso in cui per ogni coppia di punti esista un unica geodetica che li congiunge. Notiamo inoltre che gli spazi metrici geodetici sono, in entrambi i casi, spazi di lunghezze ma che non vale il viceversa. Sfruttando il teorema di Hopf-Rinow, segue la Proposizione 1.2.7.

Teorema 1.2.6 (Hopf-Rinow). Sia (X, d) uno spazio di lunghezze local-mente compatto e completo. Allora

- ogni chiuso e limitato di X è compatto;

- X è geodetico.

Proposizione 1.2.7. Ogni varietà Riemanniana connessa, completa è uno spazio metrico geodetico.

Infatti una varietà Riemanniana connessa e completa è anche localmen-te compatta e quindi per Hopf-Rinow è uno spazio geodetico, ma allora è chiaramente uno spazio di lunghezze (in quanto l’essere geodetico implica l’essere di lunghezze) e segue perciò che dR= ¯dR.

Si può inoltre dimostrare che la lunghezza Riemanniana di una curva (de-finita nella 1.2.3) coincide con la lunghezza de(de-finita nella 1.2.1 (chiaramente per come sono definite l(γ) ≤ lR(γ)). Inoltre ogni isometria Riemanniana

(ovvero ogni applicazione il cui differenziale preserva il prodotto scalare Rie-manniano) è un’isometria dell’associato spazio di lunghezze (X, dR), infatti

se una applicazione ϕ è tale che hdpϕ(v), dpϕ(w)iR = hv, wiR ∀p ∈ X e

∀v, w ∈ TpX allora chiaramente dR(φ(x), φ(y)) = dR(x, y) per ogni coppia

di punti x, y. Si può però mostrare che è vero anche il viceversa (vedi per esempio [3]).

Dato uno spazio (metrico) di lunghezze (X, d), uno spazio topologico eX ed un locale omeomorfismo p : eX → X mostriamo come si possa si possa definire una metrica anche su eX. Per ogni fissato cammino c : [0, 1] → eX definiamo la lunghezza ˜l(c) + l(p ◦ c) e infine definiamo come sempre la distanza tra due punti x, y ∈ eX come ˜d(x, y) = infc˜l(c) ove come sempre c

è un cammino congiungente x con y. Si verifica facilmente che, nel caso in cui eX sia di Hausdorff, ˜d è effettivamente una metrica su eX e prende perciò il nome di metrica indotta da p su eX.

In particolare, poiché i rivestimenti sono sempre locali omeomorfismi, se eX riveste uno spazio metrico (X, d) si può sempre definire una metrica ˜d su eX. Vale inoltre la seguente.

Proposizione 1.2.8. Sia (X, d) uno spazio di lunghezze e eX uno spazio topologico T2. Sia p : eX → X un locale omeomorfismo e ˜d la metrica indotta

(20)

1. p : ( eX, ˜d)→ (X, d) è una locale isometria. 2. ( eX, ˜d) è uno spazio di lunghezze.

3. ˜d è l’unica metrica che soddisfa (1) e (2).

Osservazione 1.2.9. In particolare per il punto (3) richiedere, nel caso di varietà Riemanniane, che un rivestimento p : eX → X sia una locale isome-tria, ovvero che il rivestimento sia metrico (vedi l’ultima parte della sezione riguardante i rivestimenti per le definizioni), equivale ad affermare che la metrica su eX coincide con la metrica indotta da p.

Notiamo inoltre che in tal caso Aut( eX → X) < Isom( eX). Infatti per definizione di isomorfismo associato a un rivestimento (definito tra le Propo-sizioni 1.1.4 e 1.1.5), se f ∈ Aut( eX → X) allora f è un omeomorfismo di eX in se tale che p = p ◦ f. Pertanto se mostriamo che f è una locale isometria abbiamo finito.

Sia x ∈ eX un generico punto e sia U un intorno di tale punto tale che p|U sia un’isometria, sia inoltre x′= f−1(x) e sia V tale che f (V )⊂ U e p

|V sia

un’isometria, allora ∀y, z ∈ V :

d(y, z) = d(p(y), p(z)) = d(p◦ f(y), p ◦ f(z)) = d(f(y), f(z)).

Quindi f è una locale isometria ed essendo anche un omeomorfismo globale è un’isometria.

3

1.3

I modelli a curvatura costante e alcune loro

proprietà

Definizione 1.3.1. Dato un numero reale κ ≤ 0, indicheremo con Mκn i seguenti spazi metrici:

1. se κ = 0 allora Mn

0 è lo spazio euclideo, ovvero Rn dotato dell’usuale

metrica.

2. se κ < 0 allora Mn

κ è ottenuto da Hn moltiplicando l’usuale metrica

(vedi punto (2) sotto) per 1/√−κ.

Ricordiamo brevemente alcune prorpietà degli spazi Mn κ.

1. Sono varietà Riemanniane complete, sono inoltre contrattili ed unica-mente geodetiche.

(21)

1.3 I modelli a curvatura costante e alcune loro proprietà 2. Se κ = −1 si costruisce un modello per Hn immerso in Rn+1

co-me segue: si definisce una forma bilineare in Rn+1 come hx|yi =

−x0y0+Pni=1xiyi, ci si restringe al luogo dei punti di Rn+1 tali che

hx|xi = −1 e x0 ≥ 0 e si mostra che tale luogo di punti definisce una

varietà immersa differenziabile chiamata iperboloide. Si mostra poi che la forma lineare ristretta all’iperboloide definisce un prodotto scalare e munito di tale prodotto scalare l’iperboloide diventa una varietà Rie-manniana a curvatura sezionale costantemente pari a −1. Inoltre la me-trica indotta da tale prodotto scalare è tale che cosh d(x, y) = − hx|yi (vedi Figura 1.1).

x

y z

Figura 1.1: Modello dell’iperboloide per H2 immerso in R3

3. Se κ < 0 l’angolo tra due segmenti geodetici aventi il punto di par-tenza in comune e velocità iniziali non nulle v e w in Mn

κ è definito

come l’unico α ∈ [0, 2π] tale che cos α = kvkkwkhv|wi . Se invece κ = 0 allora l’angolo è l’usuale angolo euclideo tra v e w. In entrambi i casi, poiché gli spazi Mn

κ sono unicamente geodetici, tali angoli sono univocamente

determinati dal punto iniziale (comune alle due geodetiche) e dai punti finali, pertanto dati tre punti x, y, z in Mn

κ indicheremo con ∠ (κ) x (y, z)

l’angolo in x tra i segmenti geodetici [x, y] e [x, z]. Nel caso in cui κ < 0 chiameremo tale angolo angolo iperbolico.

4. Se è stato fissato un triangolo in Mn

κ di vertici A, B, C i cui lati opposti

misurano rispettivamente a, b, c e posto γ l’angolo in C, allora valgono le seguenti leggi del coseno:

(22)

(nel caso euclideo vale invece che c2 = a2+ b2− 2ab cos(γ)).

5. Se ∆(A, B, C) è un triangolo in Mn

−1 i cui angoli ai vertici sono

rispet-tivamente α, β e γ e se d(B, C) = a, d(A, B) = c e d(A, C) = b allora vale la seguente legge del seno:

sinh a sin α = sinh b sin β = sinh c sin γ .

Chiaramente, con opportune modifiche, la stessa legge vale anche in Mκn per i κ negativi.

6. La forma di volume nel caso in cui κ = −1 risulta essere dx1...dxn

p

1 + (x2

1+ ... + x2n)

.

Ricordiamo infine che la metrica di Mn

κ per κ < 0 si ottiene da quella di

M−1n moltiplicando la funzione distanza per la costante 1 −κ.

1.4

Spazi CAT

(κ)

Iniziamo innanzitutto definendo la nozione di triangolo geodetico in uno spa-zio metrico. Sia X uno spaspa-zio metrico, allora un triangolo geodetico consiste nella scelta di tre punti x, y, z ∈ X, detti vertici, e di tre segmenti geodetici [x, y], [y, z], [z, x], detti lati, congiungenti i vertici, il tal caso indicheremo con ∆([x, y], [y, z], [z, x]) tale triangolo geodetico. Nel caso in cui X sia unica-mente geodetico allora un triangolo geodetico è determinato solo dai vertici e lo indicheremo perciò con ∆(x, y, z).

Definizione 1.4.1. Se ∆ = ∆([x, y], [y, z], [z, x]) è un triangolo geodetico allora chiameremo triangolo di confronto in Mn

κ per ∆ l’unico, a meno di

isometrie, triangolo ∆ = ∆(x, y, z) (o ∆(¯x, ¯y, ¯z)) in M2

κ e tale che dX(x, y) =

dM2

κ(¯x, ¯y), dX(y, z) = dMκ2(¯y, ¯z) e dX(z, x) = dMκ2(¯z, ¯x). Un punto ¯a∈ [¯x, ¯y]

è detto punto di confronto se dX(x, a) = dM2 κ(¯x, ¯a).

Chiameremo inoltre angolo di confronto (o κ angolo di confronto) in x tra y e z, e lo indicheremo con ∠(κ)x (y, z), l’angolo ∠(κ)¯x (¯y, ¯z) in ¯x del triangolo di confronto ∆(x, y, z) ∈ M2

κ.

D’ora in poi, se sarà chiaro dal contesto, ometteremo di scrivere sempre dX o dM2

(23)

1.4 Spazi CAT(κ) distanza stiamo intendendo.

Riportiamo di seguito una proposizione che ci assicura l’esistenza dei triangoli di confronto in M2

κ e quindi che la definizione precedente sia una

buona definizione.

Lemma 1.4.2(Esistenza dei triangoli di confronto). Sia κ ≤ 0 e p, q, r tre punti in uno spazio metrico X. Allora esistono tre punti ¯p, ¯q, ¯r∈ M2

κ tali

che d(p, q) = d(¯p, ¯q), d(q, r) = d(¯q, ¯r) e d(r, p) = d(¯r, ¯p).

Definizione 1.4.3. Sia X uno spazio metrico geodetico e sia κ un numero reale non positivo. Sia ∆ il triangolo di confronto in M2

κ per il triangolo ∆

in X. Diremo allora che ∆ soddisfa un disuguaglianza CAT(κ) se per ogni x, y∈ ∆ vale che

d(x, y)≤ d(¯x, ¯y).

Se ogni triangolo geodetico in X soddisfa una tale disuguaglianza diremo che X è uno spazio CAT(κ).

Diremo invece che uno spazio metrico X ha curvatura di Alexandrov ≤ κ, e scriveremo (X) ≤ κ, se è localmente CAT(κ), ovvero se per ogni punto x∈ X esiste r(x) > 0 tale che la palla B(x, r(x)) dotata della metrica indotta è uno spazio CAT(κ).

1.4.1 Curvatura sezionale e curvatura di Alexandrov

Sebbene la definizione di curvatura sezionale (Definizione A.8) sia molto diversa da quella di curvatura di Alexandrov (Definizione 1.4.3), si può di-mostrare che, nel caso delle varietà Riemanniane, le due nozioni di curvatura sono in un certo senso “equivalenti”. Vale infatti il seguente teorema: Teorema 1.4.4. Sia X una varietà Riemanniana. Allora X ha curvatura di Alexandrov (X)≤ κ ⇔ ha curvatura sezionale K(p, σ) ≤ κ per ogni p ∈ X e ogni piano σ⊂ TpX.

In particolare si può dimostrare che nel caso in cui X sia una varietà Rie-manniana completa, unicamente e continuamente geodetica allora localmente CAT(κ) implica globalmente CAT(κ). Infatti tutti i triangoli sufficientemen-te piccoli sono CAT(κ) mentre per quelli grandi è sufficiensufficientemen-te mostrare che “l’unione” su un lato di due triangoli CAT(κ) contigui è ancora un triangolo CAT(κ). Vale infatti la seguente proposizione di cui riportiamo l’enunciato generale valido per gli spazi metrici geodetici in genere; notiamo che la nozio-ne di angolo a cui il testo della proposizionozio-ne fa riferimento è ovviamente più generale di quella di angolo Riemanniano (è infatti possibile introdurre una nozione di angolo, l’angolo di Alexandrov, in ogni spazio metrico geodetico) ma fortunatamente coincide nel contesto delle varietà Riemanniane.

(24)

Proposizione 1.4.5. Siano ∆(A, B, D) e ∆(A, C, D) due triangoli geodetici in uno spazio metrico geodetico. Se gli angoli di tali triangoli sono minori o uguali dei relativi angoli dei triangoli di confronto ∆(A, B, D) e ∆(A, C, D) in M2

κ, allora lo stesso vale per ∆(A, B, C).

Grazie a tale proposizione, la cui dimostrazione si basa essenzialmente sul Lemma di Alexandrov (Lemma 1.4.6), segue che anche i triangoli “grandi” in Y sono CAT(κ) e pertanto Y è (globalmente) CAT(κ).

Lemma 1.4.6 (Alexandrov). Siano A, B, B′, C ∈ M2

κ quattro punti

di-stinti e supponiamo che B e B′ siano da parti opposte rispetto alla ret-ta geodetica passante pe A e C. Consideriamo poi i triangoli geodetici ∆ = ∆(A, B, C) e ∆′ = ∆(A, B, C), siano α, β, γ gli angoli in A, B, C

del triangolo ∆ e α′, β′, γ′ quelli in A, B′, C di ∆′. Sia ∆ il triangolo in Mκ2 di vertitici ¯A, ¯B, ¯B′ e tale che d( ¯A, ¯B) = d(A, B), d( ¯A, ¯B) = d(A, B)

e d( ¯B, ¯B′) = d(B, C) + d(C, B), sia inoltre ¯C un punto sul lato [ ¯B, ¯B] con

d( ¯B, ¯C) = d(B, C) e ¯α, ¯β, ¯β′ gli angoli in ¯A, ¯B, ¯Bdi ∆. Assumiamo infine

che γ + γ′≥ π. Allora

1. d(B, C) + d(B′, C)≤ d(B, A) + d(B′, A)

2. ¯α ≥ α + α′, ¯β ≥ β e ¯β≥ β, inoltre una sola uguaglianza implica

anche le altre e vale se e solo se γ + γ′ = π.

A B C B′ α′ α β γ γ′ β′ Figura 1.2

In particolare nel caso in cui X sia (una varietà Riemanniana completa e) semplicemente connessa, grazie al Teorema di Cartan-Hadamard 1.6.1, è diffeomorfa a Rn tramite la mappa esponenziale e quindi è in particolare

unicamente e continuamente geodetica. Pertanto se X è semplicemente con-nessa e localmente CAT(κ) si deduce che lo è globalmente.

(25)

1.4 Spazi CAT(κ) Proposizione 1.4.7. Sia X uno spazio metrico e κ≤ 0 allora CAT(κ) ⇒ CAT(κ′) per ogni κ≤ κ′.

Infatti se X è CAT(κ), allora ogni triangolo ∆ di X soddisfa la disugua-glianza CAT(κ) con il triangolo di confronto ∆ in Mn

κ, ma, essendo Mκnuna

varietà Riemanniana semplicemente connessa completa localmente CAT(κ) (Mn

κ ha infatti curvatura sezionale = κ in ogni punto), è anche localmente

CAT (κ′) per ogni κ≥ κ (ha infatti curvatura sezionale = κ ≤ κ) e, per

quanto osservato precedentemente, è perciò globalmente CAT (κ′). Si deduce

che X è CAT (κ′) per ogni κ≥ κ. In particolare, grazie alla precedente

pro-posizione, ogni proprietà che vale per gli spazi CAT(κ) vale anche per ogni spazio CAT(κ′) per κ≤ κquindi se una proprietà vale per gli spazi CAT(0)

allora vale in ogni spazio CAT(κ) per κ negativo. Nel seguito sfrutteremo implicitamente tale osservazione.

D’ora innanzi, sebbene riporteremo gli enunciati generali, per noi X sarà sempre una varietà Riemanniana e gli angoli di Alexandrov, che indichere-mo semplicemente con ∠p(q, r) o con ∠p([p, q][p, r]), saranno sempre quelli riemanniani.

Prima di prosegiure riportiamo una proposizione che ci fornisce alcuni criteri per capire quando uno spazio sia o meno CAT(κ), per esempio l’equi-valenza del primo con il secondo punto della proposizione ci assicura che è sufficiente verificare la disuguaglianza espressa nella Definizione 1.4.3 per un vertice ed i punti del lato opposto anziché per tutte le coppie di punti del triangolo.

Proposizione 1.4.8.Sia κ≤ 0, X uno spazio metrico e ∆([p, q], [q, r], [r, p]) un triangolo geodetico in X. Allora le seguenti affermazioni sono equivalenti:

1. X è CAT(κ);

2. d(p, x)≤ d(¯p, ¯x),∀x ∈ [q, r];

3. ∠(κ)p (x, y)≤ ∠(κ)p (q, r),∀x ∈ [p, q] e ∀y ∈ [p, r] con x, y 6= p;

4. ∠p([p, q], [p, r])≤ ∠(κ)p (q, r), se il triangolo non è degenere; 5. se ∆(ˆp, ˆq, ˆr) ⊂ M2

κ è un triangolo geodetico con d(ˆp, ˆq) = d(p, q),

d(ˆp, ˆr) = d(p, r) e ∠pˆ(ˆq, ˆr) = ∠p(q, r) allora d(ˆq, ˆr)≤ d(q, r).

1.4.2 Convessità della metrica negli spazi CAT(0)

Proposizione 1.4.9. Se X è CAT(0), allora la funzione distanza d : X × X→ R è convessa, ovvero per ogni coppia di geodetiche c, c′[0, 1] → X si ha

(26)

Come conseguenza della proposizione precedente si ha che: Proposizione 1.4.10. Se X è uno spazio CAT(κ) con κ≤ 0, allora

1. X è unicamente geodetico.

2. Ogni geodetica locale è una geodetica.

3. Le palle in X sono contrattili e contengono il supporto di ogni geodetica congiungente due punti interni alla palla.

Corollario 1.4.11. Ogni spazio CAT(κ), per κ≤ 0, è contrattile.

1.4.3 La proiezione su convessi accorcia le distanze

Vogliamo definire la proiezione su sottoinsiemi convessi di spazi CAT(0) e mostrare come questa abbia la proprietà di non aumentare le distanze. In-nanzitutto chiariamo cosa si intende per sottoinsieme convesso nell‘ambito degli spazi metrici.

Definizione 1.4.12. Se X è uno spazio metrico, diremo che un suo sottoin-sieme C è convesso se per ogni coppia di punti x, y ∈ C il supporto di ogni geodetica congiungente i due punti è interamente contenuto in C.

Proposizione 1.4.13. Sia X uno spazio CAT(0) e sia C un convesso di X, completo con la metrica indotta. Allora

1. per ogni x∈ X esiste un unico punto π(x) ∈ X tale che d(x, π(x)) = d(x, C) = infy∈Cd(x, y);

2. se y appartiene al segmento geodetico [x, π(x)] allora π(y) = π(x);

3. dato x6∈ C e y ∈ C, y 6= π(x) allora ∠π(x)(x, y)≥ π/2;

4. l’applicazione x 7→ π(x) è una retrazione di X in C che non aumenta le distanze.

Il punto π(x) è detto “proiezione di x su C”.

x

π(x) y C

(27)

1.4 Spazi CAT(κ) Dimostrazione. (Cenni) Per l’esistenza è sufficiente dimostrare che una qua-lunque successione di punti yn ∈ C tali che d(x, yn) →n→∞ d(x, C) è di

Cauchy. Infatti in tal caso per la completezza di C si avrebbe che yn

conver-gerebbe necessariamente a π(x). Per l’unicità supponiamo che esista un altro punto π(x)′ tale che d(x, π(x)) = d(x, C) = d(x, π(x)), allora la successione

yn i cui termini di indice pari sono uguali a π(x) e quelli dispari a π(x)′ è

tale che d(x, yn)→n→∞d(x, C) ma non è di Cauchy.

Il secondo punto deriva direttamente dalla disuguaglianza triangolare. Per il terzo punto (vedi Figura 1.3) è sufficiente osservare che se ∠π(x)(x, y) è minore di π/2 allora, per il punto (3) della Proposizione 1.4.8, esiste x′ ∈ [x, π(x)] e y′ ∈ [π(x), y] tali che l’angolo in π(x) del triangolo di

con-fronto ∆(x′, π(x), y) in M2

0 è minore di π/2, allora esiste un ¯z ∈ [π(x), ¯y′]

tale che d(¯z, ¯x) < d(π(x), ¯x) e quindi anche d(z, x) < d(π(x), x) il che è chia-ramente assurdo.

Infine per il quarto punto scegliamo due generici punti x, y ∈ X che non appartengano a C e tali che π(x) 6= π(y), e dimostriamo che d(x, y) ≥ d(x(t), y(t)) ove con x(t) indichiamo l’applicazione che a t associa il punto a distanza td(x, π(x)) da x sulla geodetica [x, π(x)] (y(t) è definita in modo analogo). Consideriamo allora in M2

0 il quadrilatero composto dall’unione,

sul lato [¯x, π(y)], dei triangoli di confronto ∆(x, π(x), π(y)) e ∆(π(y), x, y). Allora per il punto (3) e per il punto (4) della Proposizione 1.4.8 segue che gli angoli in π(x) e π(y) del quadrilatero sono entrambi maggiori o uguali di π/2. Pertanto d(x, y)≥ d(¯x, ¯y) ≥ d(¯x(t), ¯y(t)) ≥ d(x(t), y(t)).

x y π(x) π(y) C x(t) y(t) Figura 1.4

1.4.4 Classificazione delle isometrie

Sia X uno spazio metrico e sia γ un’isometria di X in se. Definiamo allora la funzione lunghezza di traslazione di γ come il numero ℓ(γ) + infx∈Xd(x, γ(x)). L’insieme {x ∈ X | d(x, γ(x)) = ℓ(γ)} è denotato con Min(γ). Più in genera-le se Γ è un sottogruppo (a meno di isomorfismi) del gruppo delgenera-le isometrie di X indicheremo con Min(Γ) = Tγ∈ΓMin(γ). Diremo infine che una tale isometria è semisemplice se Min(γ) 6= ∅.

(28)

Proposizione 1.4.14. Sia X uno spazio metrico e sia γ un’isometria di X, allora

1. Min(γ) è γ-invariante;

2. se α è un’isometria di X allora ℓ(γ) = ℓ(αγα−1) e Min(αγα−1) =

α(Min(γ)). In particolare Min(γ) è α-invariante per tutte la α che commutano con γ;

3. se X è CAT(0) allora la funzione x 7→ d(x, γ(x)) è convessa e quindi Min(γ) è un sottoinsieme chiuso e convesso di X;

4. se C ⊂ X è non vuoto, completo, convesso e γ-invariante allora ℓ(γ) = ℓ(γ|

C) e γ è semisemplice se e solo se lo è γ|C.

Le prime due proprietà non sono altro che una semplice verifica, la terza discende dal fatto che negli spazi CAT(0) la funzione distanza è convessa (Proposizione 1.4.9) mentre per la quarta consideriamo la proiezione (orto-gonale) p di X in C, vale allora che p(γ(x)) = γ(p(x)) e che d(γ(x), x) ≥ d(p(γ(x)), p(x)) = d(γ(p(x)), p(x)). Infatti la diseguaglianza discende dal-la Proposizione 1.4.13 mentre per mostrare che p commuta con γ è suffi-ciente mostrare che d(γ(p(x)), γ(x)) = d(γ(x), C), ma dd(γ(p(x)), γ(x)) = d(p(x), x) = d(x, C) = d(γ(x), γ(C)) = d(γ(x), C). Pertanto Min(γ) è diverso dal vuoto se e solo se lo è Min(γ|

C).

Definizione 1.4.15. Sia X uno spazio metrico, diremo allora che un’isome-tria γ di X è

- ellittica se ha un punto fisso ovvero se Min(γ) 6= ∅ e ℓ(γ) = 0;

- iperbolica se x 7→ d(x, γ(x)) ammette minimo strettamente positivo ovvero se Min(γ) 6= ∅ e ℓ(γ) > 0;

- parabolica se x 7→ d(x, γ(x)) non ammette minimo ovvero se Min(γ) è vuoto.

Proposizione 1.4.16. Sia X0 uno spazio topologico localmente isometrico

a Mn

κ e compatto, allora π1(X0) è isomorfo a un sottogruppo Γ del gruppo

Isom(Mκn) e ogni elemento diverso dall’identità di Γ è iperbolico.

Dimostrazione. Chiaramente, grazie alla Proposizione 1.1.6, Mκn è, a meno di isometrie, il rivestimento universale metrico di X0, inoltre per il

Teore-ma 1.1.10 il gruppo degli automorfismi associati al rivestimento (metrico) p : Mκn → X0 è isomorfo al π1(X0). Pertanto, poiché il gruppo Aut(Mκn →

X0) può essere identificato con un sottogruppo del gruppo Isom(Mκn) delle

isometrie di Mn

κ, π1(X0) < Isom(Mκn).

Inoltre poiché X0 è risulta essere localmente contrattile (essendo localmente

(29)

1.5 Raggio di iniettività e sistola per spazi geodetici tale che ogni cammino η di lunghezza minore di ε risulta essere omotopica-mente banale. Se per assurdo esistessero z ∈ Mn

κ e γ ∈ Γ r {id} tali che

d(z, γ(z)) < ε allora la proiezione su X0 della geodetica di estremi z e γ(z)

sarebbe un cammino omotopicamente non banale (poiché γ ∈ Γ r {id}) di lunghezza inferiore a ε, assurdo.

Per concludere è sufficente osservare che Min(γ) 6= ∅ ∀γ ∈ Γ per compattezza di X0.

Concludiamo la sezione con un teorema di “struttura” per le isometrie iperboliche mostreremo infatti che tali isometrie agiscono come traslazioni se ristrette all’insieme di minimo. Iniziamo definendo cosa sia un asse per un’isometria.

Se X è uno spazio metrico geodetico, γ è un’isometria di X e c: R → X è una retta geodetica diremo che c(R) è un’asse per γ se γ agisce su tale insieme come una traslazione, ovvero se γ(c(t)) = c(t + ℓ) ove ℓ = ℓ(γ). Concludiamo la sezione con la seguente.

Proposizione 1.4.17. Sia X uno spazio CAT(0).

1. Un’isometria γ di X è iperbolica se e solo se ammette un’asse.

2. Se γ è un’isometria iperbolica allora gli assi di γ non si intersecano mai ed inoltre la loro unione è Min(γ).

Dimostrazione. Se γ ammette un’asse allora è iperbolica grazie al punto (4) della Proposizione 1.4.14. Viceversa se γ è iperbolica è sufficiente mo-strare che ogni punto x ∈ Min(γ) giace su un asse di γ, ovvero che, gra-zie al primo punto della Proposizione 1.4.10, Sn∈Z[γn(x), γn+1(x)] è una retta geodetica per ogni x ∈ Min(γ). Ovvero è sufficiente mostrare che [x, γ2(x)] è la concatenazione di [x, γ(x)] con [γ(x), γ2(x)], il che è

equivalen-te a mostrare che preso il punto medio m di [x, γ(x)] vale che d(m, γ(m)) = d(m, γ(x)) + d(γ(x), γ(m)) = 2d(m, x). Poiché per la Proposizione 1.4.14 Min(γ) è convesso, necessariamente m ∈ Min(γ) e quindi per definizione di asse d(m, γ(m)) = d(x, γ(x)), ma d(x, γ(x)) = 2d(x, m) da cui segue la tesi. Per mostrare che gli assi di γ non si intersecano mai consideriamo, dati due assi c, c′:R→ X, la funzione h: t 7→ d(c(t), c(t)). Poiché γ(c(t)) = c(t + ℓ)

e γ(c′(t)) = c(t + ℓ), segue che h(t) è periodica di periodo ℓ, in particolare

limitata e essendo anche convessa (vedi Proposizione 1.4.9) è costante.

1.5

Raggio di iniettività e sistola per spazi geodetici

Diamo innanzitutto la definizione di raggio di iniettività in un punto e raggio di iniettività per una varietà Riemanniana.

(30)

Definizione 1.5.1. Sia X una varietà Riemanniana completa e p ∈ X, definiamo allora il raggio di iniettività in p come

inj(X)p +sup{r > 0 | (expp)|

B(0,r) è un diffeomorfismo }.

Il raggio di iniettività di X è definito invece come l’inf di tutti i raggi di iniettività locali, ovvero come

inj(X) + inf{inj(X)p | p ∈ X}.

Notiamo che se (expp)

|B(0,r) è un diffeomorfismo per ogni p ∈ X allora

per ogni coppia di punti a distanza inferiore di r esiste un’unica geodetica che li congiunge, ovvero il raggio di iniettività fornisce una stima per la locale unicità delle geodetiche in X.

Definizione 1.5.2. Sia (X, d) uno spazio metrico. Chiameremo sistola di X, e la indicheremo con sys(X)∈ R, l’inf delle lunghezze delle curve chiuse non banali in omotopia. Diremo inoltre che una curva γ realizza la sistola se è chiusa, omotopicamente non banale e se l(γ) = sys(X).

Notiamo che nel caso delle varietà Riemanniane chiaramente si ha che sys(X)≥ 2inj(X), infatti se la mappa esponenziale ristretta alle palle di rag-gio r è un diffeomorfismo, in particolare l’immagine tramite l’esponenziale sarà (una palla di raggio r) semplicemente connessa e quindi non potran-no esistere curve chiuse potran-non omotopicamente banali di lunghezza mipotran-nore o uguale a 2inj(X).

Vogliamo ora mostrare che, nel caso in cui X sia una varietà Riemannia-na cocompatta, ovvero per cui ∃K ⊂ X compatto tale che Isom(X)·K = X, esiste sempre una geodetica che realizza la sistola. Prima ricordiamo la de-finizione di famiglia equicontinua e l’enunciato del teorema di Ascoli-Arzelà che sfrutteremo per la dimostrazione.

Definizione 1.5.3. Siano Z, Y spazi metrici e sia Z compatto. Diremo che una famiglia di applicazioni continue γn: Z → Y è equicontinua se ∀ε > 0

∃δ tale che ∀x, y ∈ Z e ∀n ∈ N d(x, y) ≤ δ ⇒ d(γn(x), γn(y))≤ ε.

Teorema 1.5.4. Siano Z, Y spazi metrici, Z compatto ed E un sottoinsieme dell’insieme C(Z, Y ) delle applicazioni continue da Z a Y . Se E è equiconti-nuo e l’insieme E(t) ={f(t) | f ∈ E} è relativamente compatto (ovvero se la sua chiusura è compatta) per ogni t in Z, allora E è relativamente compatto.

Proposizione 1.5.5. Sia (X, d) una varietà Riemanniana connessa e co-compatta allora esiste sempre una geodetica che realizza la sistola.

(31)

1.5 Raggio di iniettività e sistola per spazi geodetici Dimostrazione. Sia {¯γn}n∈N una successione di curve chiuse, continue, non

banali in omotopia tali che l(¯γn)−−−→ sys(X). Possiamo supporre che:n→∞

- l(¯γn)≤ l(¯γn−1) ∀n;

- ¯γn: [0, l(¯γn)]→ X sia parametrizzata per lunghezza d’arco ∀n.

Posto l = l(¯γ1), definiamo una nuova famiglia di curve γn: [0, l]→ X come

segue γn(t) = ( ¯ γn(t) se t ∈ [0, l(¯γn)] ¯ γn(l(¯γn)) altrimenti, allora si ha che - l(γn) = l(¯γn) e quindi l(γn)−−−−−→ sys(X);n→+∞ - l(γn)≤ l(γn−1) ∀n; - γn |

[0,l(¯γn)] è parametrizzata per lunghezza d’arco.

Mostriamo che la famiglia di funzioni {γn}n∈N è una famiglia equicontinua,

ovvero che

∀ε > 0∃δ tale che ∀x, y ∈ [0, l] d(x, y) ≤ δ ⇒ d(γn(x), γn(y))≤ ε ∀n ∈ N

Ma

d(γn(x), γn(y))≤ l(γn |[x,y]) = d(x, y)

e quindi è sufficiente scegliere δ = ε.

Poiché X è cocompatto, esiste un compatto K di X e esiste gn ∈ Isom(X)

tale che g−1

n (γn(0))∈ K per ogni n ∈ N. Consideriamo allora la successione

di curve (eγn)n∈N+(gn−1◦ γn)n∈N, allora l(eγn) = l(g−1n ◦ γn) = l(γn)−−−−−→n→+∞

sys(X), quindi se mostriamo che il supporto di ogni tale curva è contenuto in un opportuno intorno compatto K1 di K, per il teorema di Ascoli-Arzelà

esiste una sottosuccessione uniformemente convergente eγnk

k→+∞

−−−−→ γ. In-fatti, poiché X è cocompatto se ne deduce che in particolare è completo (poiché riveste tramite isometrie uno spazio compatto e quindi completo), basta pertanto prendere K1 = {x ∈ X | d(x, K) ≤ l(γ1)/2} che, essendo

chiuso e limitato in uno spazio completo, è compatto.

Resta da dimostrare che tale curva γ : [a, b] → X soddisfi le proprietà richie-ste: chiaramente l(γ) = limn→∞l(γn); inoltre se γ fosse localmente geodetica

allora, poiché il supporto di γ è compatto, ∃δ1 tale che γ|[x,y] è geodetica per

ogni x, y ∈ [a, b] tali che γ(x), γ(y) ∈ B(γ(t), δ1) per un qualche t. Inoltre

per lo stesso motivo esiste δ2 tale che B(γ(t), δ2) è contrattile per ogni t

ap-partenente al supporto di γ. Posto δ0 = min{δ1, δ2} supponiamo per assurdo

(32)

tali che γ|

[x,y] non sia geodetica. In particolare, scegliendo x, y

sufficiente-mente vicini, possiamo supporre che Im(γ|

[x,y])⊆ B(γ(t), δ0) per un certo t.

Esisterebbe perció una curva geodetica γ′ congiungente γ(x) con γ(y) (con

supporto distinto da quello di γ) omotopa a γ|

[x,y] con un’omotopia a estremi

fissi. Allora γ′′ +γ|

[y,b] ⋆ γ

⋆ γ

|[a,x] sarebbe una curva omotopa a γ ma di

lunghezza strettamente inferiore, assurdo per minimalità di l(γ).

Mostriamo infine che γ non è banale in omotopia. Supponiamo per assur-do che γ sia banale in omotopia e sia U un intorno tubolare di γ. Allora U si retrae su γ e perciò l’applicazione indotta dall’inclusione di U in X, i: π1(U, γ(t)) ֒→ π1(X, γ(t)), sarebbe banale per ogni t. Poiché γnk → γ

esiste un k tale che Im(γnk)⊂ U e quindi anche γnk sarebbe banale in

omo-topia, assurdo.

1.6

Il teorema di Cartan-Hadamard ed un teorema

di confronto

In questo capitolo enunceremo due importanti teoremi di geometria Rieman-niana che ci serviranno per giustificare alcune costruzioni o affermazioni che faremo in seguito.

Il primo che enunciamo è il teorema di Cartan-Hadamard, il quale afferma che, in curvatura minore o uguale a zero, ogni varietà Riemanniana completa e semplicemente connessa è diffeomorfa a Rn. Il secondo enunciato riguarda

un teorema di confronto per varietà Riemanniane: prese due varietà Rieman-niane di curvature sezionali diverse e confrontate tra di loro due palle di pari raggio risulta che la palla appartenente alla varietà con curvatura maggiore ha volume minore.

Teorema 1.6.1 (Cartan-Hadamard). Sia eX una varietà Riemanniana completa, semplicemente connessa e con curvatura sezionale K(p, σ)≤ 0 per ogni p∈ eX e ogni piano vettoriale σ ⊂ TpX. Allora ee X è diffeomorfa a Rn

(ove n = dim( eX)) tramite la mappa esponenziale expp: TpXe → eX.

Teorema 1.6.2. Siano M1 e M2 due varietà Riemanniane complete. Se le

curvature sezionali soddisfano K(p1, σ1)≥ K(p2, σ2) per ogni pi ∈ Mi e per

ogni sottospazio vettoriale di dimensione 2 σi ∈ TpiMi allora vol(B(p1, r))≤

(33)

1.7 Proprietà trigonometriche di varietà Riemanniane a curvatura negativa

1.7

Proprietà trigonometriche di varietà

Rieman-niane a curvatura negativa

In questa sezione indicheremo con eX una varietà Riemanniana semplicemen-te connessa, connessa e completa di curvatura sezionale (non necessariamensemplicemen-te costante) ≤ −1 in ogni punto.

Notiamo che per quanto già osservato nella Sezione 1.4, eX è in particolare CAT (−1) e quindi CAT(0); possiamo pertanto sfruttare tutte le proprietà degli spazi CAT(0).

Proposizione 1.7.1. Sia ∆(A, B, C) un triangolo geodetico in eX. Allora d(A, B)≥ d(A, C) + d(B, C) − d(ϑ),

ove ϑ = ∠C(A, B) e d(ϑ) = log(1−cos ϑ2 ). In particolare, quando ϑ≥ π/2 si ha sempre che d(A, B)≥ d(A, C) + d(B, C) − log 2.

A B C ϑ a b Figura 1.5

Dimostrazione. Sia a = d(A, C) e b = d(C, B) (vedi Figura 1.5), se ∆( ˆA, ˆB, ˆC) è il triangolo di confronto in Mn

−1 tale che d( ˆA, ˆC) = a e d( ˆC, ˆB) = b e

∠(−1)ˆ

C ( ˆA ˆB) = ϑ segue dal quinto punto della Proposizione 1.4.8 che d( ˆA, ˆB)≤

d(A, B) e quindi per la legge del coseno segue che

cosh d(A, B)≥ cosh d( ˆA, ˆB) = cosh a cosh b− sinh a sinh b cos ϑ. Vale inoltre che

cosh a cosh b− sinh a sinh b cos ϑ ≥ cosh(a + b − d(ϑ)), infatti l’espressione sopra è vera

⇔ (e

a+ e−a)(eb+ e−b)

4 −

(ea− e−a)(eb− e−b) cos ϑ

4 ≥

(ea+b−d(ϑ)+ e−(a+b−d(ϑ))) 2

⇔ ea+b+ e−(a+b)+ ea−b+ e−(a−b)ea+b+ e−(a+b)− ea−b− e−(a−b)cos ϑ − 2ea+b−d(ϑ)+ e−(a+b−d(ϑ))≥ 0,

Figura

Figura 1.1: Modello dell’iperboloide per H 2 immerso in R 3
Figura 3.10: Grafo di Cayley del gruppo abeliano di due elementi rispetto alla presentazione standard
Figura 3.12). B B v 1l1vl2 v 2 v 1l12 v 2 Figura 3.12
diagramma di Van Kampen ridotto.

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