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Il Regno di Dio è qui

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Academic year: 2022

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Lectio Divina – ottobre 2005

Padre Francesco Peyron

Il Regno di Dio è qui

(Marco 1,14-15)

E dopo che Giovanni fu consegnato, venne Gesù nella Galilea proclamando il Vangelo di Dio e dicendo:

“E’ giunto il momento: il Regno di Dio è qui!

Convertitevi!

E credete nel Vangelo!”.

Le Prime parole che troviamo nel Vangelo di Marco recitano: “E’ giunto il momento, il Regno di Dio è qui”. Gesù è presente, opera, c’è. Gesù vuol farci recuperare la concezione sapienziale del tempo, in antitesi con la concezione pagana, in base alla quale tutto aveva fine e il fine di tutto era la fine del tutto.

Su questa idea, io posso vivere qualunque esperienza, qualunque sensazione, ma, ad un certo punto, tutto ha fine, tutto ha un termine. E da questa concezione, così radicata oggi nella gente e così sostanzialmente vissuta, non a livello razionale, ma empiricamente, scaturisce l’angoscia esistenziale, la non speranza, il vuoto, la delusione e la depressione, il relativismo, l’approfittare del tempo presente. E questo genera la banalità, la superficialità, la stupidità dell’oggi e

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conduce ad una vita frammentata, composta da un insieme di avvenimenti che si susseguono uno dopo l’altro, ma non si collegano, non offrono risposte: ho vent’anni, venticinque, cinquanta, … ma chi sono, cosa faccio, che senso ha la mia esistenza?

“E’ giunto il momento”: questa frase detta da Gesù significa che con Lui la tua vita ha un senso preciso, va verso una meta, è realizzazione finale delle attese che ci sono nel cuore dell’uomo.

Quali sono oggi le attese delle persone?

Felicità Pace Altruismo Speranza Affetto

Comprensione Fiducia

Umiltà

Realizzazione Pienezza di Vita Perdono

Gioia

Immortalità

Sono tutte realizzate in pienezza? No, ma non sono illusioni, sogni, utopie, perché vanno verso un compimento e si realizzeranno in un completamento futuro, se ne iniziamo il cammino, imperfetto, sulla terra. Tutte le vocazioni sono tentativi di realizzare in

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pienezza dei grandi progetti e sono tentativi veri, reali, voluti da Dio. Sono scelte visibili, concrete che, se vissute alla luce del Signore, conducono a questa pienezza, a questa realizzazione in Gesù.

Ecco allora che è giunto veramente il momento in cui tu scopri, ti rendi conto che tutte queste attese non sono delle bugie, anche se spesso sono state interpretate come tali: la noia, la nausea, la tristezza introdotte da una certa letteratura nichilista o pessimista portano profezie di sventura, non colgono che il tempo è compiuto, colgono l’angoscia dell’uomo e la traducono in forme d’arte che ne interpretano il messaggio.

Ho chiesto, qualche giorno fa, ad una grande e famosa artista: “Il giovane artista contemporaneo, in genere, cosa esprime, per esempio, nella pittura?”. E lei mi ha risposto: “Esprime quello che vive dentro”. “E cosa vive dentro?”. “L’aggressività, la paura, l’angoscia…”. Ne è prova il forte uso di determinati colori, come il nero…

Quando Gesù viene a dirti: “Il tempo è compiuto! E’

giunto il momento”, vuole dirti: “Svegliati! Sono qua!

La tua vita è qualcosa di importante. Ora è il tempo di camminare verso la promessa di Dio. Adesso è il tempo di testimoniare!”. Allora la paura insita nel cuore umano viene liberata, ogni male viene sconfitto, il bene trionfa. Non è un’illusione, è la vittoria della risurrezione nel cuore dell’uomo. Questo uomo, a volte così bastonato, così disorientato, incontra la

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speranza in Gesù e viene guarito dentro: ecco la Parola che guarisce!

Allora nel presente ti giochi il tutto. E’ adesso il tempo per deciderti.

La fede cristiana non dà oppio per dimenticare il male e illudersi sul bene, ma ci chiede di vivere il presente in pienezza: da qui la speranza.

Vuoi deciderti?

Ci credi che è il tempo? Il tempo opportuno?

Recentemente è uscito un libro di un Autore francese,

“Dizionario dell’ateismo”, il quale cerca di dimostrare e spiegare che tutta la religione, la fede in Dio è una costruzione dell’uomo, è un suo tentativo di liberazione dall’angoscia esistenziale. La nostra testimonianza è alternativa a queste conclusioni, perché introduce la Parola che ci libera dalle ferite, dalle paure, dai non sensi che le persone portano nel cuore in seguito al peccato, alle esperienze, alle circostanze e alle delusioni della vita. E qui scopriamo la nostra dimensione di profeti di questa speranza, in ogni ambiente e situazione in cui ci troviamo. Per questo non dobbiamo avere paura di leggerci così come siamo e non dobbiamo avere paura di far entrare sul serio Gesù nella nostra vita e scoprire questa vita, ancora una volta, come dono e come chiamata e meta sicura a cui tendere. In questa dimensione comprenderemo l’Amore che muove le cose e l’impegno concreto di amare nell’oggi e raccoglieremo ciò che abbiamo seminato.

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Se in un cammino di coppia, sappiamo leggere la nostra storia alla luce di questa chiamata, di un completamento dell’eternità, in una dimensione di testimonianza di Amore, ci illuminiamo di preghiera, di dialogo, di perdono, di ascolto, di purezza e costruiamo un cemento che non potrà essere distrutto dalle fragilità e dalle insicurezze della società odierna:

costruiamo la famosa “casa sulla roccia”… E chi, invece, percepisce una chiamata di tipo diverso, di donazione totale al Signore e ai fratelli, rilegge e rivive la propria vita nell’ottica del dono, della preghiera, della fedeltà a Dio nella purezza del cuore, che è assenza di malizia o lotta contro la malizia.

I Santi sono uomini e donne assolutamente come noi, che, però, hanno vissuto questo “tempo compiuto”, questa speranza e sorriso della vita, pur nelle prove e nelle croci, perché avevano il senso della loro missione, del compimento della vita verso una pienezza e della preziosità dell’ “adesso” nel loro cammino; avevano questo senso dell’ “adesso” come tempo da vivere, da riempire del vino buono di Cana di Galilea, stando al miracolo di Gesù. Il Beato Giuseppe Allamano, a questo proposito, diceva:

“Non bisogna mai stare fermi, ma andare sempre avanti. Fermarci sarebbe segno di regresso”.

“Non stiamocene come automi, senza iniziative proprie per paura di sbagliare; non lasciamoci rimorchiare, no: avanti, camminiamo sempre per farci santi e salvare tante anime”.

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“Camminare in modo degno, conveniente, conforme alla propria chiamata, trottare …”.

“Non è tanto il cadere nella debolezza che è male, ma il non sollevarsi; invece bisogna sempre cominciare di nuovo, non stancarsi”.

Se leggiamo la vita di qualsiasi Santo troviamo sempre la pregnanza dell’ “adesso”: “il tempo è compiuto”, adesso tocca a me, adesso pongo la mia risposta, quasi come una spinta dello Spirito nel cuore a vivere l’ “adesso”, a vivere il momento presente come compiutezza. “Venne Gesù dalla Galilea proclamando il Vangelo di Dio”. Venne = Gesù viene.

L’Apocalisse termina con queste parole: “Vieni, Signore Gesù”. E’ l’ultimo grido della Scrittura, perché Gesù viene, entra nella tua storia, a te aprirgli la porta. La venuta di Gesù è storia incarnata nel tempo, nel tuo tempo, nella tua vita, nel tuo corpo, nel tuo cuore. “Io sono Colui che era, è, sarà, l’alfa e l’omega, il compimento, la totalità”. E’ un senso di pienezza assoluta, nonostante le nostre fragilità, i nostri sogni non realizzati, le ferite, le fatiche, le incomprensioni, le delusioni, le paranoie che ci portiamo dentro, gli interrogativi, le incertezze, le cadute, le fragilità, …nonostante le spine, le rocce, la strada della Parabola, che, però, termina con la “terra bella” che produce il cento.

Allora il Vangelo e Gesù stesso ci scuotono, ci stupiscono, ci rimettono in sesto, ci portano gioia, ci danno il perdono dei peccati e la figliolanza di Dio e la

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fiducia e l’abbandono a Lui e la sua pace: “Venne Gesù, proclamando il Vangelo di Dio”. Viene Gesù per proclamare la buona notizia che tu sei salvo, sei un figlio, sei chiamato per nome, sei importante, che il tuo nome è scritto sul palmo della sua mano.

La società di oggi vuole ignorare il Vangelo di Dio, non vuole riconoscerlo. Il Papa diceva, qualche giorno fa, che è ipocrisia voler cacciare Dio dal pubblico per relegarlo nella sfera del privato. Dio è pubblico, è il Dio della vita. A noi spetta di portare avanti questo messaggio. Questo ci induce a stare attenti alle mille reti che possono essere gettate sul nostro cammino dal relativismo, dal “fai da te”, dalle molte idolatrie, dal dubbio sulla reale venuta di Gesù. Benedetto XVI°, a Colonia, diceva: “Come i Magi, tutti i credenti e, in particolare, i giovani sono chiamati ad affrontare il cammino della vita alla ricerca della Verità, della Giustizia, dell’Amore; è un cammino la cui meta risolutiva si può trovare soltanto mediante l’incontro con Cristo, un incontro che non si realizza senza la fede, un cammino interiore”.

Ecco il nostro proposito: avviare questo cammino nel Signore.

“Il Regno di Dio è qui”, si realizza; Gesù stesso è il Regno; nessuno è escluso da questo Regno di Amore.

L’oggi, distratto e banale, va richiamato, con un messaggio di Amore, che a volte può essere un grido a questa pienezza di senso della vita: “Il Regno di Dio è qui, convertitevi”, cioè cambiate testa, cuore,

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direzione. La conversione è il ritorno a Dio, è l’attesa più bella di Lui su di te: “Vieni e seguimi”. Il Regno è qui, ma la porta per entrarci, la conversione è una scelta personale; nessuno la può violentare o può realizzarla per te: è tua e basta! Ecco la responsabilità!

E quanti rifiuti, quanta tiepidezza, quanti interessi religiosi, quanta ipocrisia, quante maschere, …

La conversione è un momento iniziale, spesso segnato da un episodio particolare: un ritiro, un incontro, un pellegrinaggio, una croce, una situazione, … oppure frutto di un cammino prolungato nel tempo, ma sempre un punto di partenza che si porta avanti nella perseveranza di tutta la vita, passo dopo passo, giorno dopo giorno, con pazienza e alla sequela di Gesù: ci vuole il cammello, non il cavallo per attraversare il deserto! E con questo percorso costante, passi l’aridità delle fatiche e delle oscurità, delle tenebre e scopri la luce, dall’egoismo scopri l’Amore, dalla vendetta il perdono, dalla pigrizia l’impegno, dall’impurità la purezza, dalla banalità la solidità delle decisioni e delle scelte. Certi monaci fanno il voto di

“Conversione Continua”. La conversione è per me, non da addossarsi agli altri e mi porta a credere, ad affidarmi, a fidarmi del Signore. Credere è Amore, è il rapporto continuo con Gesù, è il rapporto personale che porta a rispondere, è l’ “Eccomi” di Maria.

Silvano Fausti dice che “credere al Vangelo è la vittoria sulla solitudine radicale dell’uomo, uscita dal suo interno”. Questo credere è abbandonarsi

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veramente al Padre, superare gli ostacoli dei dubbi, delle ideologie, delle autosufficienze, della sensualità coltivata e amata, dell’egoismo, è aprirsi al dono.

Credere al Vangelo significa metterlo in pratica in qualsiasi stato o realtà: nella vita singola, nella vita di coppia, nella famiglia, negli ambienti della convivenza sociale. E qui spunta, come aurora, la figura di Maria, per condurci in questa conversione, definitiva e coerente.

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Lectio Divina – ottobre 2005

Padre Ugo Pozzoli

Il Figlio di Dio è Gesù

(Marco 1,1-8)

“Inizio del Vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio.

Come è scritto nel Profeta Isaia: ecco, io mando il mio messaggero davanti a te; egli ti preparerà la strada. Voce di uno che grida nel deserto: <Preparate la strada del Signore, raddrizzate i suoi sentieri>. Si presentò Giovanni a battezzare nel deserto, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. Accorreva a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Giovanni era vestito di pelli di cammello con una cintura di pelle attorno ai fianchi, si cibava di locuste e miele selvatico e predicava: <Dopo di me, viene Uno che è più forte di me e al quale io non sono degno di sciogliere i legacci dei sandali. Io vi ho battezzati con acqua, ma Egli vi battezzerà con lo Spirito Santo>.

Il primo versetto di questo Vangelo è come l’ouverture di un’Opera lirica, che serve a richiamare, da parte dell’orchestra, i temi fondamentali dell’Opera

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stessa. Già dalle prime battute del Vangelo di Marco sono contenuti, in sintesi, i principi fondamentali di tutto il suo scritto.

Che cos’è questo Vangelo e come dobbiamo leggerlo?

Innanzitutto esso è nato come un catechismo, un manuale per poter dare un’istruzione ai primi cristiani che si preparavano al Battesimo (i catecumeni). E, per questo, sono stati recuperati tutti gli atti, gli atteggiamenti, le frasi, gli interventi di Gesù, che la comunità aveva ascoltato o aveva visto e che potevano servire per la formazione dei credenti. Ecco, il Vangelo di Marco nasce in questo contesto, nasce nel contesto della testimonianza. Anche noi vogliamo cercare di ascoltare, di fare esperienza di questo Gesù di cui il Vangelo ci parla, per poterlo annunciare, perché la nostra vita ne diventi specchio e ne sia fatta brillare.

Gesù è come un ciclone che passa sulla nostra vita, sulle nostre certezze e le stravolge completamente.

Chi è questo Gesù di Nazaret? Cosa vuole da noi?

Cosa vuole da me? Chi è per me? Questo ciclone che entra nella vita della prima comunità e la cambia, che prende un pugno di gente semplice, mal assortita, paurosa come erano gli Apostoli e la fa diventare il pilastro della Chiesa, capace di annunciare questa Lieta Novella e di vivere veramente la Missione.

Chi è Gesù di Nazaret per noi?

Marco la risposta ce la dà subito: Gesù è il Cristo, l’Unto, il Figlio di Dio.

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Ma, per me, chi è Gesù? Come sta cambiando la mia vita? Siamo chiamati costantemente e quotidianamente a farci questa domanda e a rispondere alla luce della nostra personale esperienza.

Il Vangelo è la Lieta Notizia, la notizia che dovrebbe riempirci di gioia, che dovrebbe diventare la nostra regola di vita. E il Vangelo è diverso dalla legge. La legge ci parla di norme, del modo in cui possiamo promuovere il bene e limitare il male, del modo di giudicare, ma non è esattamente quello che Gesù è venuto a darci. Noi siamo abituati a guardare molte volte la nostra vita, anche quella spirituale, in termini di legge, a giudicare il nostro positivo e il nostro negativo, a condannare quello che abbiamo fatto e soprattutto quello che hanno fatto gli altri, ma il Vangelo è più che questo: è un andare oltre ogni limite, anche il limite tra il bene e il male. Il Vangelo non segna semplicemente un limite, ma lo supera e ci spinge ad andare oltre: è Buona Notizia, è Amore senza limiti, è forza dello Spirito. Dio non è solo un Padre che giudica, ma è prima di tutto un Dio Padre- Madre, misericordioso, che accoglie, che perdona, che abbraccia. Il Vangelo è Buona Notizia; davanti ai limiti, alle ferite della mia vita, alle circostanze che non riesco ad accettare, qual è la buona notizia che il Signore vuole comunicarmi oggi? Oggi può essere l’inizio di una vita nuova, l’inizio di un Vangelo per me. La parola “inizio” ci ricorda l’inizio dei tempi, come già c’era stato un “in principio” (Dio creò il

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cielo e la terra …). L’azione di creazione di Dio che entra con forza nella storia dell’uomo si ripete. Al principio di tutto c’è Dio, entriamo nuovamente nella sua storia. Anche io come creatura sono immerso in questa storia: Dio mi vede, mi ha fatto, io sono importante per Lui. E quindi, nonostante quello che può essere stata la mia vita finora, c’è un nuovo Vangelo, c’è un nuovo inizio, c’è una nuova possibilità. C’è un richiamo ad un passato che è da conoscere per poterlo cambiare oggi, affinché possa aprirsi ad un futuro diverso domani. E soprattutto questo Vangelo è di Gesù Cristo, Figlio di Dio: il nostro nuovo inizio ha un timbro che ne diventa garanzia, perché viene direttamente dal Signore, attraverso Gesù. La Buona Novella non è solo la storia di un uomo, sia pure straordinario, ma è anche la storia di Dio che ha affidato a Gesù l’annuncio del suo messaggio. E’ questo che rende il Vangelo attuale oggi come era attuale duemila anni fa. La predicazione di Gesù è la predicazione del Regno di Dio, che è liberazione, è messaggio di salvezza, è vita nuova, è armonia, l’armonia delle origini, un mondo, creato da Dio, in cui si stava bene, non un mondo come quello in cui viviamo, che non abbiamo imparato a rispettare come Lui ce l’ha dato, affidandocelo come a persone incaricate di custodirlo, di volergli bene. Noi lo abbiamo maltrattato, spremuto, così come molte volte abbiamo spremuto le altre persone, che sono parte di questo mondo. Gesù ci annuncia un Vangelo nuovo

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che ci mette in allerta, che ci dice: basta. E, nello stesso tempo, il Vangelo non è solo il messaggio che Gesù annuncia, ma è anche Lui stesso: è Gesù stesso la Buona Notizia; è Lui il principio a cui riandare, questo inizio di cui ci parla il Signore. Vedere Gesù è vedere Dio; nel momento in cui io mi avvicino a Gesù, io vedo Dio; nel momento in cui ascolto Gesù, io ascolto Dio; conoscere Gesù vuol dire conoscere Dio, amare Gesù vuol dire amare Dio; capire chi è Gesù, un uomo che cammina nella storia, vuol dire capire che Dio ha una presenza, molte volte nascosta, nella mia vita.

Qual è la lieta notizia che Gesù vuole annunciare nella mia vita?

Come posso segnare un nuovo inizio della mia esistenza? Da dove posso ricominciare affinché la mia vita possa incontrare il suo senso più completo?

Questo inizio del Vangelo come viene segnato nella mia vita? Quale può essere il mio nuovo inizio?

Se mi rivolgessero la stessa domanda che Gesù fece ai suoi discepoli: “Voi, chi dite che io sia?”, io cosa risponderei?

Mi sono reso contro qualche volta della presenza di Dio nella mia vita, nella storia?

Se Cristo, la Buona Notizia, è annuncio di salvezza ai poveri, che impatto ha questa affermazione sulle mie azioni quotidiane? In che cosa mi sento io povero, bisognoso di liberazione? Ma, nello stesso tempo, come posso anche rendermi annunciatore di salvezza?

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La lettura del Vangelo di Marco tocca due piani: da una parte abbiamo la domanda: chi è Gesù?. Dall’altra parte abbiamo un’altra domanda: chi è il discepolo?

Perché Gesù, nel Vangelo, chiama, invita a seguire, invia qualcuno; allora, chi è questo qualcuno? E se io sono il discepolo, come mi pongo di fronte a questo Gesù che mi chiama, che mi invita a restare con Lui e che mi invia?

E dopo l’ annuncio, il Vangelo inizia il suo racconto e ci presenta la storia di Giovanni il Battista, il Precursore.

Proviamo ad immergerci nella realtà del deserto, come fanno i Gesuiti, sull’invito di S.Ignazio di Lojola, che utilizzano una meditazione basata sui cinque sensi:

entrare in un brano vuol dire quasi diventarne un personaggio, che vive, che ascolta, che interagisce;

significa ascoltare le voci, vedere le persone e le azioni nei dettagli più segreti, annusarne gli odori, toccare la scena e venirne toccati. Quindi proviamo ad immergerci in questa scena che Gesù ci presenta. Il deserto, al di là del fiume Giordano, dove Giovanni battezza e tutti accorrono; escono da Gerusalemme, dalla Giudea, per poter andare sulla spiaggia dove Giovanni sta battezzando. Pensiamo che noi potremmo essere uno di questi tutti, una di queste persone che, attirata da qualche cosa, si avvicina al Battista. Anch’io potrei aver bisogno di muovermi per incontrare questa “voce che grida”, perché sento di dover incontrare una voce diversa nella mia vita. E’

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importante che Giovanni sia la “Voce”, perché Cristo è la “Parola” e la Parola ha bisogno di una Voce per poter essere udita e ascoltata, così come una Voce ha bisogno di una Parola per potersi riempire di significato e per non restare un urlo strozzato.

Ci sono molte voci oggi nel mondo, però forse noi abbiamo bisogno di sentirne una in particolare; ci sono molte voci che annunciano messaggi, che presentano modelli, pubblicità, icone, stili di vita e da alcune di queste voci potrei anche essere attratto, però perché sono qui, invece, in un deserto per ascoltare una Voce differente? Che cosa mi aspetto da questa Voce di Giovanni che grida nel deserto, cioè in quel luogo dove non si odono altre voci, dove regna il silenzio?

Per ascoltare la Voce di Giovanni Battista, che vuole dirmi qualcosa oggi, devo cercare di spegnere le altre voci, liberarmi dalle altre voci che intasano la mia vita. Il deserto è il luogo del silenzio, della precarietà, dell’assenza di mezzi. Pensiamo anche un po’ a tutte le cose di cui noi siamo pieni e che, molte volte, ci impediscono il cammino. Giovanni il Battista è un uomo radicale, sobrio, povero, essenziale, ma con una cintura ai fianchi, che vuol dire “pronto a partire”, pronto a lanciarsi nella missione. Giovanni ci offre un Battesimo, un nuovo inizio, un’immersione e un’emersione per la nuova vita, per una vita nuova che noi, liberamente, scegliamo di intraprendere. E’ un Battesimo di conversione, una sterzata radicale, un cercare di vedere che cosa posso veramente cambiare,

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qual è ciò che mi renderebbe libero e mi condurrebbe a intendere la mia vita in un modo rinnovato. Il Battesimo di Giovanni non è solo una purificazione ritualistica, ma comporta l’idea di un cambio che mi spinge verso Dio, a sognare la mia vita così come la sogna Lui, come Lui l’ha pensata per me. E’ un Battesimo che ci converte e che Giovanni ci offre anche per il perdono dei peccati: il perdono è un regalo gratuito di Dio, che Egli ci fa indipendentemente dalla nostra azione di conversione;

Dio è già lì, pronto a perdonarci, perché possiamo iniziare, come il figliol prodigo della Parabola, una vita nuova. Se scaviamo dentro di noi, tutti possiamo trovare qualcosa che può dare alla nostra vita più profumo e più senso.

Quali sono le voci dalle quali mi sento più attratto?

Come vivo il Sacramento del Battesimo che ho ricevuto? E soprattutto il Sacramento della Riconciliazione che mi ridona più volte, nel corso della vita, l’esperienza del Battesimo e che dovrebbe essere quello strumento messo a disposizione dalla Chiesa per farmi sperimentare questo nuovo Vangelo che il Signore mi propone?

Che atteggiamenti, che cose, che relazioni, che situazioni dovrei tagliare per poter essere, come il Battista, un segno di radicalità evangelica?

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