Non esistono scorciatoie per ridurre il rischio del debito
Il rendimento dei Btp non è mai stato così basso e questo potrebbe creare l'illusione di esserci lasciati alle spalle il problema del debito pubblico italiano. Eppure, le improvvide dichiarazioni sulla sua cancellazione, o consolidamento, da parte di David Sassoli, presidente dell'Europarlamento, e di Riccardo Fraccaro, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, ci ricordano ancora una volta come il fantasma del debito infesti ancora i corridoi dei palazzi governativi. Perchè cancellare o consolidare il debito, anche se solo quello detenuto dalla Banca centrale europea, equivale pur sempre ad un default. Meglio non evocarne il fantasma: quando, nel loro contratto di governo, Lega e M5S espressero concetti simili (non ci sono vincoli di bilancio perchè tanto il debito lo compra la Banca centrale europea, che poi lo consolida), ebbene, lo spread schizzò a 440 punti.
Ma proposte come quelle di Sassoli e Fraccaro, oltre che dannose, sono anche inutili. Questo perchè di fatto, già oggi, la Bce ha congelato i titoli di Stato che ha in bilancio, poiché reinveste quelli arrivati a scadenza e tutte le cedole. E, realisticamente, continuerà a farlo, sebbene non lo chiamerà mai “consolidamento” in modo esplicito.
Secondo molti economisti, per ancora parecchio tempo la Bce non si troverà nella necessità di ridurre la dimensione del proprio bilancio per combattere l'inflazione (deve vendere attività, come i titoli, per poter ridurre i mezzi monetari in circolazione, le sue passività). Il Giappone insegna che anni di tassi negativi (il tasso dell'euro è negativo da 6 anni) e crescita nulla, se non negativa, dei prezzi creano nel pubblico e tra le imprese aspettative di stagnazione dei prezzi difficili da sradicare.
Oggi l'Eurozona è in deflazione, e l'inflazione media da 10 anni è appena 1,2%. Se mai in futuro la Bce si trovasse a dover fronteggiare la crescita dei prezzi potrà ridurre la dimensione delle attività di bilancio senza
smobilitare i propri titoli di Stato. Basta guardare al suo stato patrimoniale : da fine 2019 a oggi le attività della Bce sono cresciute di 2.176 miliardi, ma di questi solo 968 per acquisto di titoli. La maggioranza della crescita monetaria (le passività della Bce) è avvenuta a fronte di finanziamenti alle banche. Sarà questo il rubinetto da chiudere in caso di inflazione.
È importante sottolineare che il rischio di una crisi del debito italiano rimarrebbe anche se la Bce consolidasse ufficialmente il debito pubblico acquistato per combattere le conseguenze economiche della pandemia da Covid. Gli investitori privati, escludendo le banche italiane, detengono
oggi 1.230 miliardi di titoli di Stato (di cui 700 in mano a stranieri): sono felici di detenerli a prezzi correnti perchè, tra i titoli governativi, sono tra quelli che rendono di più e la Bce di fatto pone un limite ai ribassi di prezzo.
Ma gli equilibri finanziari sono instabili e quello che vale oggi potrebbe non valere domani: basterebbe un drastico deterioramento delle aspettative di crescita, un qualsiasi shock economico, una crisi finanziaria nel mondo, o l'instabilità politica da noi, per far sì che una parte degli investitori
decida di vendere. Se non ci sono abbastanza acquirenti sul mercato, i prezzi continuano a scendere (e i rendimenti a salire), spingendo altri investitori a vendere, e rafforzando il ribasso dei prezzi.
Se la Bce a quel punto non si dichiara disposta ad agire da compratore di ultima istanza (poco probabile se la crisi è solo italiana) aver congelato o cancellato il debito pubblico da Covid non sarebbe servito a nulla.
L'unico modo per scongiurare una crisi del debito è ricominciare a crescere. Tutto il resto sono solo sterili polemiche. Come lo sono le due questioni che hanno alimentato il dibattito sul Fondo salva stati Mes:
l'utilizzo dei finanziamenti per la spesa sanitaria; e la ratifica del trattato che lo modifica. Quanto alla prima, le argomentazioni a favore (risparmio sugli interessi) e contro (stigma e timore di future condizionalità) sono deboli: il risparmio di interessi è risibile rispetto all'onere complessivo del debito, e irrilevante per il problema della sua sostenibilità; mentre, la paura di future condizioni è fuorviante, perchè anche senza Mes, se dovesse
venir meno la fiducia degli investitori e lo Stato non riuscisse più a
rifinanziare il debito esistente, ed emetterne di nuovo, sarebbe costretto ad adottare misure economiche di austerità, volontariamente o imposte da altri. A meno che non si faccia implicitamente, ma erroneamente,
affidamento sull'ombrello senza condizioni della Bce. Lo stigma, poi, non viene certo dal ricorso al Mes, bensì da un debito ormai al 160% del Pil.
I finanziamenti del Mes, senza condizioni, per l'emergenza sanitaria, andrebbero presi soprattutto per minimizzare il futuro ricorso al mercato, per le ragioni espresse prima, tenuto conto che quelli di Sure e Next
Generation Eu, al netto dei contributi italiani, sono ben inferiori alle cifre sbandierate, sono soggetti a condizioni, e hanno tempi ancora incerti di erogazione; né si potrà continuare a contare per sempre sulla Bce.
L'Italia finirà col firmare il nuovo trattato sul Mes: tirarsi indietro dopo che i negoziati si sono conclusi un anno e mezzo fa ci infliggerebbe, questo sì, uno stigma di inaffidabilità. Ma il problema vero è un altro. Il Mes è una istituzione del passato, nata per gestire la ristrutturazione del debito greco,
ma resa incongruente dalla storica decisione della Commissione europea di emettere debito proprio.
Il Mes, come già messo in evidenza da molti osservatori, non dipende affatto dalla Commissione ma dai governi. Ci sono dunque due entità che agiscono in parallelo con potere decisionale autonomo, anche se un
coordinamento è previsto, per finanziare i Paesi europei, emettendo entrambe debito garantito in solido dagli Stati membri.
Il nuovo trattato prevede che il Mes sia un organismo tecnico (mentre la Commissione è un'istituzione politica basata sulla rappresentatività) per gestire le crisi finanziarie dei Paesi e, se del caso, la ristrutturazione del loro debito pubblico, nonché le crisi bancarie che una ristrutturazione inevitabilmente andrebbe ad innescare. Ma, soprattutto, il Mes agisce con modalità di intervento di tipo “privatistico”, in quanto richiede il rientro dai propri crediti in pochi anni.
Con la creazione di un debito comunitario, si è creata una duplicazione di istituzioni europee, che in parte collidono, in parte si sovrappongono, e che operano con modalità e finalità diverse. Sarebbe dunque logico che il Mes divenisse una struttura di Bruxelles, agendo come quella Agenzia del debito di cui la Commissione dovrà prima o poi dotarsi, per facilitare la creazione di un vero titolo privo di rischio dell'Eurozona, e superare così gli inevitabili problemi di coordinamento in caso di crisi. Una proposta simile, ad esempio, è stata avanzata dal Centro Jacques Delors. Ed è su proposte come questa che il governo italiano dovrebbe essere in prima linea, invece di continuare a litigare su questioni marginali.
Il dibattito sulla cancellazione del debito pubblico, o di un suo
consolidamento, così come quello sul Mes dovrebbero essere incentrati su pochi fatti certi e chiari, senza deroghe alle polemiche e agli argomenti sterili che portano solo confusione e non vanno al nocciolo dei problemi.
Riguardo al debito pubblico italiano, ad esempio, sarebbe fondamentale sottolineare che un qualsiasi suo ridimensionamento, cancellazione, consolidamento, o che dir si voglia, per quanto si parli solo di quello detenuto dalla Bce, rappresentebbe, né più ne meno, che un default
programmato per il Paese. E anche solo lo spettro di un default del debito italiano creerebbe panico sui mercati e una esplosione dello spread che causerebbe ulteriori conseguenze disastrose per l'economia del Paese. Uno scenario drammatico e neanche lontanamente auspicabile. Dunque,
sarebbe bene smetterla di evocare soluzioni di questo tipo, anche perchè il debito pubblico italiano, per quanto mastodontico (attorno al 160% del Pil), è ad oggi perfettamente sostenibile. L'unica strada per attutire la crescita del debito pubblico e ridimensionarlo - evitando soluzioni
fantasiose che creerebbero più danni che potenziali benefici -, è questa: la crescita economica. Il debito deve tornare su una traiettoria discendente, attraverso l'istituzione di una prospettiva di finanza pubblica lungimirante e politiche di crescita espansive. Da qui il richiamo all'utilizzo del Mes: i fondi del Recovery Fund, per quanto massicci e votati a programmi che innescerebbero una crescita ambiziosa nel Paese, sono purtroppo ancora lontani. Quelli del Mes sarebbero invece già a disposizione. Ecco dunque perchè molti economisti e analisti spingono in questa direzione,
sottolineando come sia impossibile disgiungere i due argomenti: debito e crescita economica vanno insieme, sono intrinsecamente legati,
rappresentando l'uno la soluzione dell'altro.
Certo, il percorso di riduzione del debito è lungo e tortuoso, e non si può fare affidamento solo ai fondi europei e al sostegno della Bce per tornare a crescere. È chiaro che il governo dovrebbe avere piani di crescita più
lungimiranti e, soprattutto, coraggiosi. Particolarmente adesso, mentre il Paese è flagellato dalla seconda ondata pandemica e la tenuta economica del Paese è di nuovo sotto pressione.
Ma è questo ora il compito del governo, così come di tutti i governi europei: in attesa dell'arrivo dei vaccini e della ripresa della crescita, è necessario mettere in atto riforme ambiziose. L'Italia ha un problema in più, che è proprio l'ammontare del debito, che come un macigno, con i suoi interessi, drena risorse fondamentali. E pone, questo sì, ribadiamolo, uno stigma sul Paese. Al momento il Patto di Stabilità è stato annullato e
Francoforte è in prima linea nell'acquisto di titoli di Stato. Ma cosa accadrà quando la situazione tornerà stabile e si dovrà lentamente riprendere una
“nuova normalità”? È adesso, con riforme che puntino alla crescita e all'accesso a fondi europei subito disponibili, come quelli del Mes, che l'Italia può preparare le basi per il suo futuro. E più crescita significa anche ridimensionamento del debito pubblico.
Infine, un'ultima annotazione. La reazione gelida di Paesi come la
Germania alla proposta di una cancellazione del debito italiano in mano alla Bce dovrebbe renderci particolarmente cauti con le dichiarazioni, in un momento in cui l'Italia conta molto sull'Europa per uscire dalla crisi, (come l'attesa per i massicci fondi europei a noi destinati dimostra).