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Ogni riferimento a fatti realmente accaduti o luoghi e/o a persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.

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Academic year: 2022

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Verde acqua

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Ogni riferimento a fatti realmente accaduti o luoghi e/o a persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.

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Antonietta Falco

VERDE ACQUA

Racconto

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www.booksprintedizioni.it

Copyright © 2021 Antonietta Falco Tutti i diritti riservati

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A Mimì, luce tra fitte nuvole.

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Presentazione

Ci sono tanti modi di scrivere, tanti modi per raccontarsi.

Tutti in egual misura meravigliosi, se chi toc- ca la pagina e prova a mischiare il proprio cuo- re con le parole che si susseguono, in un per- corso che inizia quasi per gioco, finisce con la lacrima che sterra la guancia.

C’è un solo modo di leggere… ed è quello di entrare in un mondo che si ha voglia di cono- scere, per scoprire un pezzetto di più attraverso immagini a volte folli, attraverso personaggi che riprendono i nomi di qualche vecchio giocatto- lo, consumato, riposto in una scatola che rima- ne in cantina fino al trasloco, dimenticata.

Ci sono tante persone che, leggendo, si vesto- no di nuovi abiti, sorridono della solitudine che li accomuna a qualche personaggio o paesaggio, si spogliano di paure riconoscendole come co-

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muni; si ricoprono di ricchezza, scoprendo quanto della loro vita fino a quel momento hanno dato per scontato. Un libro è tante pagi- ne di una vita di qualcuno che, su un foglio bianco, ha scelto una mattina di agosto o una sera di novembre di fermarsi e dare un po’ del proprio animo a chi avrà voglia di carezzarlo, fino a prendersi un po’ di tempo per cogliere la magia dei pensieri che vi sono racchiusi.

Ci sono tanti modi di stare al mondo, uno so- lo di vivere: quello di cogliere il sentimento tra i gesti di questa società veloce. Perciò, fermati.

Siediti. Spegni tutto e leggi. Entra nel mio mondo… Magari, per qualche ora, diventerà il nostro!

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Tra gli schizzi e l’acqua zampillante, le gambe esili, salde a bordo piscina, reggevano i miei set- te anni e le voci e le grasse risate dei clienti che esageravano la felicità e che giungevano alle mie orecchie come palloncini scoppiettanti.

Restavo a fissare in silenzio quella che era la vita di tutti.

Non la mia.

Non sono mai stato un uomo che fa molte domande.

Anche da piccolo, spesso, restavo in silenzio a guardare.

Chi può dire quale fosse il motivo per cui mi ritrovavo ore intere a fissare il cielo.

Sono cresciuto con mia madre, una donna di modesta bellezza che vestiva sempre con la di- visa del resort. Non le ho mai chiesto che lavoro

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facesse, mi bastava sapere che la stanza 41 era casa nostra.

Come raccontarvi di questa mia infanzia ra- gionata nei silenzi e nella solitudine? Potrei dir- vi di come la mia “casa” fosse monouso. Sì, il bagno era monouso, il bagnoschiuma monouso, la cuffietta monouso, gli asciugamani bianchi con lo stemma del resort. Potrei dirvi che, come tutte le camere di vacanza, la mia casa era sem- pre molto ordinata e sterile. Non c’erano in giro oggetti personali.

Le vetrate erano sempre pulite. Avevo impa- rato a mie spese che le mani sui vetri non si mettono. Dei tendoni pesanti e marroni li co- privano la notte. E al mattino mia madre, al suono della sveglia, le apriva facendo entrare la luce a svegliare anche un orso in letargo pro- fondo. Di quella camera amavo il balconcino che andava su un pezzetto di giardino. Era stretto, a malapena ci stava un tavolino con due sedie. All’arrivo della primavera, su quel bal- concino passavo le mie ore di studio e di solitu- dine.

Daniele, il giardiniere del resort, era un tipo socievole: ogni volta che passava a rinvigorire il prato, sfoggiava dei sorrisi a mostrare una den- tiera bianca come il latte che faceva contrasto

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con la sua pelle nera. I suoi capelli ricci e scuri non erano quello che subito saltava agli occhi.

Il suo corpo sempre sudaticcio, anche in in- verno, rifiutava le maglie e il suo petto raccon- tava di muscoli e forza. Non ci volevano do- mande per capire che molte giovani presenti al resort chiamavano Daniele per ammirarlo e non per falciare il prato.

Il suo sguardo divertito e pungente la diceva lunga sul fatto che ne fosse consapevole.

L’unica che non mostrava alcun interesse era forse solo mia madre. Sì, mia madre non ri- spondeva ai suoi sorrisi, in verità difficilmente alzava lo sguardo.

Passava le giornate a trascinare il carrello del- le pulizie e ordinare e riordinare le camere che, per inciso, erano tutte uguali a quelle in cui vi- vevo. Anche a cercare tra i ricordi, non ram- mento di avere sentito mai mia madre lamen- tarsi.

Una volta, passando per la hall, mi capitò di sentire Sara che parlava a un alto giovane dalla valigia pesante e l’accento francese: «La 41 è oc- cupata, possiamo ospitarla nella 127.»

Sara era molto magra, ma aveva tanta forza e una voce squillante. Lei, come tutti i dipendenti del resort, passava la sua giornata ad accogliere

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i clienti col sorriso, si accertava che tutto fosse in ordine. Era efficiente. Portava sempre i suoi capelli neri legati con una lunghissima coda e la sua divisa era sempre impeccabile. Nei momen- ti di pausa cercava qualche posto meno affolla- to, per liberare i piedi dalle scarpe un po’ sco- mode e fumarsi una sigaretta.

Non mi era molto simpatica; sempre pronta al rimprovero: “Non occupare la sdraio, serve ai clienti… Hai lasciato i tuoi giochi in giro un’altra volta…”, perciò evitavo accuratamente i posti dove sapevo di poterla incontrare!!!

Mi frenò il numero 41. Mi sentii chiamato in causa nella sua breve discussione, poiché era della mia casa che quel signore chiedeva. Non mi venne da pensare come mai quel tipo chie- desse proprio di casa mia. A sette anni pensavo di avere forse la casa più bella e che quell’uomo la volesse.

Sara fu la mia paladina per un paio di setti- mane, almeno fino a quando non mi fece il rimprovero di rito.

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