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MATERIALE DIDATTICO INTEGRATIVO

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Academic year: 2022

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1 UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI NAPOLI “FEDERICO II”

DIPARTIMENTO DI ARCHITETTURA Corso di Laurea magistrale in Architettura 5UE

Anno Accademico 2019-2020

CORSO DI

TECNICA DELLA PIANIFICAZIONE URBANISTICA E TERRITORIALE C PHD. ARCH. FRANCESCO VARONE

Con la collaborazione dell’Arch. Cetty Giordano

MATERIALE DIDATTICO INTEGRATIVO

(2)

2

I

L

P

AESAGGIO E LA SUA DECODIFICAZIONE NELLA

P

IANIFICAZIONE

C

OMUNALE

1.

INTRODUZIONE

La Convenzione Europea del Paesaggio (CEP) ha posto, con grande determinazione, quale obiettivo prioritario, la necessità di promuovere un elevato grado di attenzione nei confronti del paesaggio nel suo insieme, inteso come un bene collettivo, riconoscendo che il paesaggio è, in ogni luogo, un elemento importante della qualità della vita delle popolazioni:

nelle aree urbane e nelle campagne, nei territori degradati, come in quelli di grande qualità, nelle zone considerate eccezionali, come in quelle della vita quotidiana; e che rappresenta un elemento chiave del benessere individuale e sociale, la cui salvaguardia, gestione e pianificazione comportano diritti e responsabilità per ciascun individuo.

In tal senso la Convenzione con il termine di "Paesaggio designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni” (art. 1) prevede la salvaguardia di tutti i paesaggi, indipendentemente da prestabiliti canoni di bellezza o originalità, ed include espressamente: “(…) paesaggi terrestri, le acque interne e marine. Concerne sia i paesaggi che possono essere considerati eccezionali, sia i paesaggi della vita quotidiana sia i paesaggi degradati” (art.2)

Alla definizione di paesaggio la Convenzione associa e definisce un insieme di “strumenti”

volti alla protezione, alla gestione, alla pianificazione dei paesaggi: 1.la “politica del paesaggio” da parte delle autorità pubbliche ai fini della salvaguardia, della gestione e della pianificazione; 2. “l’obiettivo di qualità paesaggistica” e “la salvaguardia dei paesaggi” con azioni di conservazione e di mantenimento degli aspetti significativi o caratteristici di un paesaggio, giustificate dal suo valore di patrimonio derivante dalla sua configurazione naturale e/o dal tipo d'intervento umano volte al mantenimento delle aspirazioni delle popolazioni per quanto riguarda le caratteristiche del loro ambiente di vita; 3. la “gestione dei paesaggi” volta alla prospettiva dello sviluppo sostenibile ed infine 4. la “pianificazione dei paesaggi” dedicata a azioni fortemente lungimiranti volte alla valorizzazione, al ripristino o alla creazione di paesaggi. (art. 1).

Inoltre, la Convenzione, tra i provvedimenti generali impegna “ad integrare il paesaggio nelle politiche di pianificazione del territorio, urbanistiche e in quelle a carattere culturale, ambientale, agricolo, sociale ed economico, nonché nelle altre politiche che possono avere un'incidenza diretta o indiretta sul paesaggio”. (art. 5,d)

Tale definizione connessa alla pianificazione sottolinea il passaggio da una visione

“restrittiva” di protezione di “singoli” paesaggi ritenuti eccezionali o “sublimi” (B. Croce) in una considerazione meramente estetica caratterizzata dalla bellezza, ad una visione

“estensiva” volta al conseguimento delle qualità dell’intero territorio, allo scopo di conservarne i caratteri di identità diffusa caratterizzanti i luoghi della vita quotidiana (Antinori S., Mavian L., 2006), attraverso atti di pianificazione consapevoli.

La Convenzione si pone inoltre non solo come uno strumento giuridico internazionale, ma anche come l'espressione di un progetto comune europeo, consapevoli del fatto che il paesaggio coopera all'elaborazione delle culture locali e rappresenta una componente fondamentale del patrimonio culturale e naturale dell'Europa, contribuendo così al benessere e alla soddisfazione degli esseri umani e al consolidamento dell'identità europea.

Per la Convenzione dunque ogni parte del paesaggio è portatrice di significati: le parti di particolare bellezza, i paesaggi della vita quotidiana e quelli degradati. Ad ognuno di questo tipo di paesaggi corrisponde un tipo di intervento: salvaguardia, gestione, pianificazione.

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3 Segno di questa mutata interpretazione è il "Codice dei beni culturali e del paesaggio" (DLgs 22 n. 42 del 2004), che riprende le due leggi Bottai del 1939 (nn.1497 e 1089) e la Galasso del 1985 (L. 431), ispirandosi inoltre al dettato dell'art. 9 della Costituzione della repubblica Italiana. Nella versione 2008 (d.lgs. n. 63) esso accoglie anche i principi della Convenzione Europea del Paesaggio, ratificata dall'Italia nel 2006 (legge n. 14). ove (art. 131, comma 1) recita: “ (…) per paesaggio si intende una parte omogenea di territorio i cui caratteri derivano dalla natura, dalla storia umana o dalle reciproche interrelazioni”.

Il Codice crea un positivo rapporto tra vincoli e prescrizioni. All'articolo 2, definisce il patrimonio culturale come insieme dei beni culturali e paesaggistici riprendendo esplicitamente il dettato costituzionale e all'articolo 131 afferma che per paesaggio "si intende il territorio espressivo di identità, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni", la cui tutela, "volta a riconoscere, salvaguardare e, ove necessario, recuperare i valori culturali che esso esprime", è diretta "a quegli aspetti e caratteri che costituiscono rappresentazione materiale e visibile dell'identità nazionale".

Altresì gli articoli 136 e 142 dettagliano quali siano i beni che devono essere tutelati per il loro particolare interesse pubblico e all'articolo 135 fornisce, attraverso i piani paesaggistici, gli strumenti fattivi per riconoscere ed interpretare gli aspetti e le caratteristiche dei luoghi, dando indirizzi per una pianificazione paesaggistica che unisce la "conservazione degli elementi costitutivi e delle morfologie dei beni paesaggistici sottoposti a tutela" alla

"riqualificazione delle aree compromesse o degradate", alla "salvaguardia delle caratteristiche paesaggistiche degli altri ambiti territoriali, assicurando, al contempo, il minor consumo del territorio", alla "individuazione delle linee di sviluppo urbanistico ed edilizio, in funzione della loro compatibilità con i diversi valori paesaggistici riconosciuti e tutelati, con particolare attenzione alla salvaguardia dei paesaggi rurali e dei siti inseriti nella lista del patrimonio mondiale dell'UNESCO".

Se i piani territoriali paesistici e i piani territoriali di coordinamento hanno il ruolo di contenere indirizzi, direttive e norme di salvaguardia fra l’altro per le aree di valore paesaggistico, i Piani Urbanistici Comunali sono lo strumento più adeguato per consentire una vera e propria pianificazione rispettosa delle esigenze paesaggistiche.

Di conseguenza la pianificazione urbanistica comunale deve indagare i valori del paesaggio decodificandone i caratteri di insieme, i caratteri specifici, i caratteri relazionali, la sua pedagogia come risorsa irriproducibile se compromessa, valutandone le implicazioni nel governo della sua evoluzione, con progetti di valorizzazione, idonei a sollecitare lo sviluppo delle attività economiche e dell'occupazione, legittimati attraverso la disciplina di uso del suolo (Forte F., 2004).

La decodificazione dei caratteri di paesaggio appare dunque indispensabile requisito per la valutazione della compatibilità delle azioni di conservazione o trasformazione, assentite attraverso il piano urbanistico.

Di seguito si propone un metodo di decodificazione dei caratteri del paesaggio per i Piani Urbanistici Comunali e la sua applicazione per il Piano Urbanistico Comunale del Comune di Quarto in Campania.

2.

I RIFERIMENTI DISCIPLINARI PER LA DECODIFICAZIONE DEL PAESAGGIO

Il quadro metodologico che si è andato consolidando nei Piani Territoriali Paesistici e in quelli di Territoriali di Coordinamento pur essendo piuttosto vasto ed articolato, è stato indirizzato alla decodificazione di due specifiche parti emergenti:

• il territorio: inteso come campo di ricerca concreto, formatosi attraverso una specifica alternanza di processi naturali e di trasformazioni antropiche indotte dall’uomo, che hanno generato una struttura unitaria caratterizzata da notevoli fattori di complessità;

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• il paesaggio: inteso come insieme delle parti visibili del territorio, caratterizzato da manifestazioni naturali ed umane che generano un complesso sistema di relazioni tra le forme che lo costituiscono.

Alla luce di quanto definito dalla Convenzione Europea del Paesaggio, come recepito poi nella modifica al Codice dei beni culturali e del paesaggio nel 2008, per paesaggio, si intendono tutti gli aspetti e gli elementi che caratterizzano un territorio: rilievi, idrografia, vegetazione, fauna, attività umane (intese come complesso delle manifestazioni culturali, economiche, sociali, ecc.), e le loro interferenze, concorrono alla costituzione delle diverse forme del paesaggio.

In relazione a questa definizione, le elaborazioni e le analisi cognitive indirizzate alla descrizione del paesaggio, devono essenzialmente partire tenendo in considerazione il comune denominatore costituito dal complesso insieme degli elementi che, visibilmente, possono essere percepiti nel territorio.

A tal proposito Turri afferma: “È possibile leggere il paesaggio? Solitamente, quando si parla di lettura, ci si riferisce ad un insieme di segni da decifrare. Il paesaggio è fatto segni? A questa domanda si può rispondere ricorrendo ad una delle formule fondamentali della semiologia: ogni oggetto anche se preminentemente creato come oggetto d’uso nel momento stesso in cui è riconoscibile come tale assume il valore di segno. Il paesaggio è formato da tanti segni riconoscibili e può dunque essere letto ed interpretato, non solo nei singoli elementi ma nel loro insieme.” (Turri E. 1994)

Sulla base di tale affermazione si può sostenere che l’analisi paesaggistica può coerentemente spiegare l’origine e il significato dei “segni” che caratterizzano il territorio (in senso spaziale ed evolutivo), come espressione concreta, sia delle dinamiche naturali, sia dell’attività umana e dei suoi modi di rapportarsi e di fruire l’ambiente.

L’analisi paesaggistica, altresì, deve essere inevitabilmente considerata come punto di incontro delle diverse discipline con le quali normalmente sono affrontate le tematiche territoriali e ambientali.

Il paesaggio, infatti, dovrà essere sempre di più studiato alla stregua di un’entità che sì, è

principalmente recepita tramite la percezione visiva, ma che altresì è necessario considerare, attraverso i contributi disciplinari più diversi forniti da geografi, geologi, agronomi, urbanisti, storici, sociologi, economisti, ecc., come il risultato dell’interazione delle varie componenti fisiche, biologiche ed umane.

3.

LA METODOLOGIA ADOTTATA

Le analisi del territorio che devono essere elaborate per la stesura del “quadro conoscitivo”

inerente agli aspetti paesaggistici nell’ambito del Piano Urbanistico, devono tenere conto, sia gli aspetti oggettivi del paesaggio (più facilmente acquisibili poiché provengono da dati tecnici specifici), sia degli aspetti percettivi oggettivamente molto più difficili da ricercare poiché soggettivi.

Il metodo che di seguito si propone è stato sperimentato dall’arch. Paola Pignalosa sia in Piani Territoriali Paesistici (Regione Basilicata P.T.P. Sellata – Volturino, P.T.P Regione Campania Campi Flegrei- Ischia- Capri- Posillipo) sia in piani urbanistici comunali (PRG Comune di Melfi), sia in Piani Paesistici Esecutivi (Regione Basilicata P.P.E. del Volturino- Madonna di Viaggiano e P.P.E. Ambientale di Pignola).

Constatata la validità del metodo, lo stesso è stato innovato alla luce dei nuovi paradigmi che ha assunto il paesaggio per le questioni esposte nei precedenti paragrafi e di seguito se ne ripropongono le caratteristiche metodologiche e tecniche.

L’analisi paesaggistica messa a punto considera le seguenti tecniche di rilevamento:

• le tecniche di tipo geografico: con le quali descrivere gli elementi del paesaggio tramite l’osservazione diretta e l’elencazione per tipologie dei diversi elementi paesaggistici;

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• le tecniche di tipo visivo – percettivo: imperniate sul concetto di percezione visiva intesa come strumento essenziale per individuare gli elementi peculiari che caratterizzano il paesaggio;

• le tecniche di tipo naturalistico: tramite le quali individuare zone o elementi che presentano particolari peculiarità di tipo geologico, botanico, faunistico, ecc.;

• le tecniche di tipo storico: con le quali descrivere le diverse forme che il paesaggio ha assunto nel tempo allo scopo di studiare le trasformazioni paesaggistiche in funzione delle cause che hanno generato i processi evolutivi ancora evidenti e riconoscibili sul territorio.

Si tratta di conseguenza di una metodologia finalizzata alla rappresentazione integrata delle caratteristiche del paesaggio.

Il paesaggio, infatti, è considerato come un complesso di vari sistemi (naturali, artificiali, ecc.) mutuamente tra loro integrati in modo, per esempio, da poter analizzare lo stesso fenomeno in rapporto, sia all’ambito naturale, sia a quello antropico, tramite l’impiego di tecniche di rilevamento di tipo diretto e di tipo indiretto.

Il fine ultimo della metodologia per l’analisi paesaggistica è quello di organizzare il processo di sintesi tramite il quale, partendo dalle informazioni rilevate con l’applicazione delle indagini settoriali, elaborare una stesura conclusiva dei risultati (sinteticamente efficace per la descrizione degli aspetti paesaggistici), potenzialmente utilizzabile per la formazione del

“quadro conoscitivo” da impiegare nelle complesse attività finalizzate alla tutela, valorizzazione, progettazione e gestione delle risorse territoriali.

Processo di sintesi consente di individuare delle significative zone omogenee (insiemi e sottoinsiemi), tramite le quali rappresentare e descrivere le peculiari e specifiche caratteristiche dei paesaggi analizzati.

4.

LE ELABORAZIONI

I risultati di questo studio si possono ordinare in due tipi di tavole:

• la tavola degli “elementi di interesse paesistico” che raccoglie e ordina tutti gli elementi, fisici e misurabili, dedotti dalle analisi tematiche e dall’indagine diretta;

• la tavola degli “insiemi e sottoinsiemi paesistici” che articola il territorio in parti, a loro volta suddivise in aree più piccole. In tale suddivisione ad ogni parte (componente) si attribuisce una sintetica denominazione che la caratterizza e distingue dalle altre e pone in evidenza le sue specificità e i suoi valori.

Tali proprietà non sono dedotte necessariamente da qualità fisiche, percettive o culturali, ma piuttosto da “valori di relazione delle specificità” ossia da quelle immagini forti, emerse da “un processo di astrazione, condensazione e interiorizzazione dell’esperienza sensibile”.

In definitiva precisano quegli elementi utili per lo sviluppo armonico e compatibile del territorio, in cui l’ambiente piuttosto che bene da tutelare, diventa fonte di suggerimenti per uno sviluppo futuro.

4.1 La tavola degli elementi di interesse paesistico

La tavola ha come finalità la individuazione, la catalogazione e la descrizione degli elementi di interesse paesistico rilevanti, significativi, riconoscibili, omogenei, misurabili e che costituiscono riferimento per intrinseche qualità visive. (Pignalosa P. 2000)

Gli elementi si possono ordinare gerarchicamente e suddividere secondo il loro ruolo semantico:

• Segni strutturanti che concorrono alla definizione della parte essenziale e ordinatrice del paesaggio. Rappresentano i caratteri più rilevanti del territorio e quelli che influenzano ed ordinano anche i modi di vita biologici e culturali. Sono quindi da inserire

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6 in questa tipologia i grandi sistemi morfologici, ad esempio una rilevante catena montuosa, una imponente incisione idrografica, una vasta area piana, un territorio marino, un crinale che divide due bacini, o anche i segni non particolarmente rilevanti per caratteri fisici, ma di rilevante e riconosciuto significato al punto da influenzare fortemente il luogo in cui sono situati: un esempio è quello dell’Abbazia di monte Cassino che riveste di per sé importanza, per il significato storico, culturale e simbolico che ha influenzato anche i modi d’uso dell’area.

• Segni complementari che concorrono alla definizione dei caratteri diffusi del paesaggio rappresentano in generale gli elementi morfologici, vegetali e antropici che o per la loro diffusione o per le loro proprietà intrinseche caratterizzano o esaltano alcuni aspetti del territorio: per esempio la copertura boscata o le pareti terrazzate di un monte. Gli elementi complementari sono i più numerosi e diffusi e rappresentano una grande ricchezza di segni: gli elementi morfologici minori, le coperture vegetali, alcune importanti tipologie antropiche, le aree urbanizzate, le aree industriali, le aree archeologiche, etc.

• Segno di dettaglio che concorrono alla definizione dei caratteri particolare del paesaggio. Rappresentano gli elementi minuti per la loro dimensione o per la loro rilevanza o per la scarsità (es: insenatura, approdo, scogliera, duna, giardino, percorso secondario, chiesa, torre, palazzo, grotta, viale alberato). In alcuni casi questi segni, data la piccola dimensione, non vengono rappresentati in cartografia ma solo catalogati e/o corredati di scheda.

Il raggruppamento delle categorie non rappresenta un sistema rigido, ma l’appartenenza o meno ad un gruppo dipende dal ruolo semantico dell’elemento in rapporto all’area di studio.

Inoltre si possono ordinare gli elementi riunendoli nei tre grandi ordini:

• elementi morfologici;

• elementi vegetali;

• elementi antropici.

A loro volta queste categorie possono essere suddivise considerando gli elementi per la loro geometria prevalente e dividerli in:

• areali;

• lineari;

• puntuali.i

Per individuare il contorno di un elemento si possono distinguere tre casi:

1. L’elemento è riportato da altre carte tematiche e quindi già perimetrato, (es. Lago, fiume, isola, etc.);

2. L’elemento è riferito ad una parte geografica chiaramente individuabile dalla cartografia, (es. Bosco, cima, crinale, valle, collina, etc.);

3. L’elemento appartiene a una categoria non consueta, ma comunque riferita ad un elemento fisico deducibile dalla cartografia ordinaria.

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7 Fig. 1 – Tavola degli elementi paesaggistici (Quadro conoscitivo preliminare di Piano del Comune di Quarto (NA)

4.2 La tavola degli insiemi e sottoinsiemi paesistici

La tavola degli insiemi e sottoinsiemi paesistici ha come scopo quello di individuare "i modi di relazione spazio temporale che tra gli elementi si instaurano, riconducendoli alla percezione visiva " (Pignalosa P. 2000).

Per il processo formativo della carta degli insiemi si procede nel seguente modo:

dall'osservazione diretta e con riferimento all'analisi sviluppata dagli altri tematismi (antropico, morfologico, culturale, ecc.) si sono rapportati gli elementi significativi a categorie interpretative del paesaggio tipiche dell'indagine percettiva e quindi soggettive, in grado di attribuire significato complesso ai singoli elementi semplici e di restituire immediatamente il significato delle relazioni.

Per l'approfondimento delle articolazioni formali del territorio la carta è stata costruita tenendo conto di due livelli: un primo livello in cui si sono attribuiti a parti del territorio generalmente piccole le categorie sopra specificate, un secondo livello in cui si sono individuate aree più ampie che, pur presentando al loro interno zone omogenee del primo livello diverse tra loro, ne individuano un carattere preminente perché omogenee dal punto di vista dei più ampi caratteri ambientali in termini di complessità di relazioni (culturale, storico, percettivo ecc.), cioè per il ruolo strategico che svolgono o possono svolgere nel territorio onde proporre una concezione strutturata della realtà territoriale. Tali aree sono state definite "insiemi paesistici" e possono a loro volta essere scomposti in sottoinsiemi.

L'individuazione degli insiemi assume un ruolo prioritario quale tramite fra l'analisi concernente le caratteristiche costitutive del paesaggio e le decisioni sui modi d'uso dello spazio, in quanto sottendono regole coerenti con il complesso intreccio di relazioni che si determinano fra i diversi elementi costitutivi.

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8 Pertanto si ritiene di dover cogliere nelle sotto specificate definizioni il sistema delle procedure adottate.

Sono da intendersi quali insiemi e sottoinsiemi paesaggistici quelle "parti territoriali di grandezza media o ampia, di carattere complesso, caratterizzate da estensione tridimensionale, in cui l'osservatore può entrare, riconoscibili per specifiche caratteristiche morfologiche. Identificate dal di dentro, configurano anche riferimenti esterni, se visibili.

Esse possono essere percepite dall'osservatore nella loro interezza, staticamente o dinamicamente"; o quelle "parti di territorio definite da un complesso sistema di relazioni di tipo morfologico, antropico, biologico, culturale” (Caputi P. 1993).

Gli insiemi sono individuati come porzioni di territorio che riportano alcune parti significative, elaborazione di sintesi degli elementi della tavola precedente. Pertanto le perimetrazioni corrispondono a quelle di uno o anche più elementi già individuati che qui sono riportati per il ruolo che svolgono.

Fig. 2 – Tavola degli Insiemi paesistici (Quadro conoscitivo preliminare di Piano del Comune di Quarto (NA)

Bibiografia sintetica

Antinori S., Linda Mavian L. (2006), Il paesaggio naturale e culturale del Veneto, in Economia e Ambiente, Anno XXV - N. 6 Novembre-Dicembre

Caputi P.G. (1993), Piano territoriale paesistico di area vasta del complesso montuoso della Sellata Volturino della Basilicata interna, in P.G. Caputi, F. Forte, La pianificazione paesistica il caso Basilicata, Electa, Napoli

Clementi A. (2002), Interpretazioni di paesaggio, Meltemi, Roma

Forte F, Forte F.S. (2004), Paesaggio, comunicazione, rappresentazione, perequazione urbanistica: Criteri fondativi del piano, ESI, Napoli

Gambino R. (2002), Maniere d'intendere il paesaggio, in Alberto Clementi, op.cit.

Macchi Cassia C. (2002), Progettare per il paesaggio, in Alberto Clementi, op.cit.

Pignalosa P. (2000), Studiare e rappresentare il paesaggio, in P.G. Caputi , Insegnare Urbanistica, Fiorentino Editore Sereni E. (1961), Storia del paesaggio agrario italiano, Laterza, Bari

Turri E. (1979), Semiologia del paesaggio, Longanesi, Milano

Turri, E. (1994), La lettura del paesaggio. In M.C. Zerbi (eds), Il paesaggio tra ricerca e progetto, Giappichelli, Torino

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NUOVE TENDENZE DELL’URBANISTICA NEGLI STATI UNITI D’AMERICA:IL NEW URBANISM

La Nascita del New Urbanisrm

Il movimento del New Urbanism prende origine da un congresso tenutosi ad Alexandria (Virginia) nel 1993 e coordinato da Peter Katz a cui parteciparono alcuni dei maggiori architetti e urbanisti americani nel tentativo di confrontare idee e trovare soluzioni ai principali problemi delle città americane, tra cui l’inquinamento ed il degrado della qualità della vita.

Il Congress for the New Urbanism, che periodicamente si riunisce per discutere nuove soluzioni urbanistiche, produsse un vero e proprio manifesto in cui venivano elencate le linee guida ed i principi che guidavano i nuovi progetti e interventi a livello urbanistico nelle città americane.

La volontà espressa nel manifesto è quella di produrre le migliori condizioni di vita per le persone che vivono in un determinato quartiere con grande attenzione all’ambiente e all’architettura tradizionale del luogo. Questo movimento si diffuse rapidamente perché ci si era resi conto che il modello convenzionale di pianificazione urbana applicato nel secondo dopoguerra era inadatto alla società contemporanea e produceva sempre più spesso realtà degradate con conseguente aumento del disagio sociale e della criminalità.

Questo nuovo modo di costruire garantiva innegabili benefici di un ambiente urbano

“a misura d'uomo”.

Il primo progetto, che divenne poi il simbolo del movimento del New Urbanism, fu la pianificazione e la realizzazione della città di Seaside (1981) in Florida da parte di Andres Duany ed Elizabeth Plater-Zyberk.

Furono proprio questi successi che mostrarono la necessità di coordinare il nuovo modello di sviluppo urbanistico attraverso un'organizzazione (C.N.U. - Congress for the New Urbanism) che mostrasse ai cittadini e alle amministrazioni l'enorme “valore aggiunto” che questo nuovo modo di costruire aveva dato alla qualità architettonica delle città, allo sviluppo commerciale e alla crescita sociale degli abitanti, che iniziavano ad apprezzare sempre più spesso gli innegabili benefici di un ambiente urbano “a misura d'uomo”.

Il Movimento nasce in antitesi le politiche del rinnovamento urbano, il massiccio programma federale per riformare gli “SLAMS” urbani negli anni ’50 e ’60 molto criticate anche dai sociologi come Jacobsn onchè con i modelli di sviluppo urbano che erano andati in crisi, da un lato la città industriale monofunzionale e dall’altro lo sprowl urbano. Queste ultime modalità di sviluppo urbano possono essere rappresentate da due grandi esempi: Detroit e Los Angeles.

Nel caso di Detroit si era avuto nel corso degli anni ’70 il boom del settore automobilistico con conseguente aumento della popolazione impegnata nell’industria e quindi ampia domanda di alloggi; si scelse di sviluppare un modello di quartieri fatti di grattacieli e di autostrade per facilitare lo spostamento di quella ingente massa di operai, con il risultato che alla fine degli anni ’80, in piena crisi del settore, le industrie dovettero chiudere lasciando vuoti gli enormi edifici che avevano costruito e la città iniziò a spopolarsi.

L’abbattimento di questi grattacieli, resosi necessario per problemi di sicurezza legati alla mancata manutenzione, fu così diffuso da produrre una vera e propria “decostruzione” di Detroit che oggi rimane con ampie zone inutilizzate e incontrollabili che spesso diventano luogo di aggregazione per la delinquenza locale. In questo caso l’errore fu quello di densificare al massimo il tessuto urbano senza preoccuparsi dello sviluppo sostenibile del territorio e senza dotare la città di infrastrutture capaci di favorire questo sviluppo.

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10 Detroit – Midtown – si denota la presenza di vuoti urbani dovuti all’abbattimento

Nel caso di Los Angeles il problema era l’esatto opposto. A parte il centro, la downtown, costituito in prevalenza di grattacieli di uffici e negozi, la città non è altro che una distesa di chilometri di villette mono-familiari (sprowl urbano) che producono un tessuto urbano a bassissima densità, dove è impossibile inserire linee di trasporto pubblico, antieconomiche perché le fermate dovrebbero essere troppo diffuse, e dove gli stessi esercizi commerciali non potrebbero avere le condizioni di clientela minime per sopravvivere. La città diffusa crea infatti più problemi di quanti ne cerca di risolvere: questo modello di pianificazione impone l’uso dell’automobile per gli spostamenti verso i luoghi di lavoro, in genere accorpati nei centri della città, o verso gli ipermercati, creando così problemi di traffico e di inquinamento, ottenendo in questo modo l’effetto contrario che si voleva ottenere costruendo villette immerse nel verde.

Los Angeles – Wellington Heights – esempio di sprowl urbano

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11 Questi due modelli opposti di pianificazione, i grattacieli ad alta densità e le “villettopoli”

a bassa densità, sono la conseguenza di tendenze nate dopo la IIa Guerra Mondiale sia in Europa che negli Stati Uniti con la chiara volontà di tagliare ogni legame col passato e di inventare qualcosa di nuovo, non solo nell’architettura, ma in ogni ambito sociale e culturale. Per questo iniziò a dilagare la corrente del Modernismo che, rifiutando ogni elaborazione architettonica precedente, proponeva uno stile scarno ed essenziale, privo di personalità e staccato spesso dalla realtà che lo circondava.

Gli importanti insegnamenti urbanistici raggiunti dalle città tradizionali ottocentesche non andarono tuttavia persi ma rimasero impressi nel carattere di molti quartieri di Parigi, Londra, Barcellona, Washington, Boston, Manhattan e di tutte quelle metropoli che avevano sperimentato, affrontato ed in gran parte risolto i problemi relativi alla società di massa sviluppatasi durante quel secolo. Quando il Modernismo mostrò i suoi difetti fu a queste tipologie tradizionali che ci si rivolse, poiché erano le massime espressioni della civiltà urbana prodotte nel mondo occidentale, prima che fosse sconvolto dalle due Guerre Mondiali.

La nascita del New Urbanism negli Stati Uniti è quindi la diretta conseguenza di una volontà diffusa di abbandonare i vecchi modelli convenzionali di pianificazione.

I Principi del NEW URBANISM

Per fissare le linee principali che dovevano guidare la progettazione degli interventi urbanistici, il Congress for the New Urbanism produsse un proprio manifesto che mostrava le vaste possibilità di pianificazione offerte dal nuovo modello per conseguire i seguenti obiettivi:

• uno sviluppo urbano innovativo, compatto, orientato alla mobilità pedonale;

• la tutela degli elementi di valore ambientale e culturale;

• l’unità di quartiere complessa come elemento base della città;

• la dimensione di quartiere fissata a partire da bacini pedonali in cui il centro è facilmente raggiungibile dalla maggior parte dei residenti;

• servizi commerciali per i bisogni domestici quotidiani reperibili entro il quartiere;

• posti di lavoro, inclusi quelli fisicamente integrati con gli alloggi, disponibili entro o a breve distanza dal quartiere;

• integrazione fra diverse tipologie residenziali, adatte a persone giovani e anziane, a chi abita solo e alle famiglie;

• investimenti equilibrati nei trasporti e infrastrutture urbane, mirati alla realizzazione di spazi ed edifici pubblici;

• scuole dell’obbligo disponibili nelle vicinanze della maggior parte degli alloggi;

• possibilità di trasporto che comprendano l’automobile, i mezzi pubblici e la bicicletta;

• una rete articolata di arterie stradali che disperdano il traffico e si connettano al sistema regionale;

• strade concepite allo stesso modo per pedoni, ciclisti, automobilisti;

• fronti stradali che nascondano i parcheggi e favoriscano le attività pedonali

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12 LA VISIONE TERRITORIALE

La struttura del territorio è analizzata partendo dal generale (pianificazione a livello regionale e intercittadino) e procedendo verso il particolare (l’isolato urbano e le infrastrutture relative), passando attraverso un attento studio del modello di quartiere che diventa la cellula fondamentale dell’apparato urbano e che come tale ne determina il buon funzionamento.

La regione: metropoli, città e villaggi.

Il nuovo modello cerca di proporre soluzioni alternative di sviluppo che incoraggino la riqualificazione delle aree urbane esistenti invece di continuare l’espansione indiscriminata delle periferie verso le zone agricole e naturali, con un’attenta pianificazione che preveda l’insediamento di tutta una serie di servizi e di infrastrutture finalizzati a ridurre la dipendenza degli abitanti dall’automobile e quindi a ridurre il tasso di inquinamento che questo mezzo produce.

Gli incentivi sono legati allo sviluppo di una struttura di mezzi di trasporto pubblico efficiente ed economica che permetta alla società di massa che vive nelle grandi città di spostarsi velocemente evitando problemi come il traffico e la ricerca del parcheggio che oggi riducono molto la qualità della vita delle persone.

LA VISIONE URBANA

Il quartiere, il distretto e il corridoio.

L’equilibrio tra una città ed il suo territorio è determinato dai corridoi di accesso che costituiscono l’asse portante dei flussi di persone e di prodotti tra le due zone. Queste infrastrutture di viabilità (viali, autostrade e linee ferroviarie) sono indispensabili per rendere efficiente l’accessibilità e gli interscambi tra i quartieri, i distretti ed il territorio rurale, che rappresentano le tre aree fondamentali di una regione e che come tali devono essere sempre in stretto rapporto le une con le altre.

I distretti rappresentano aree adibite ad un singolo uso (aeroporti, campus universitari, poli industriali, ospedalieri o amministrativi) che per motivi logistici devono essere collocate in punti specifici del territorio.

Il quartiere invece rappresenta il nucleo vitale delle città, il luogo in cui si svolge la vita delle persone.

La rete viaria, la collocazione degli edifici pubblici e di quelli residenziali, le tipologie urbane e la morfologia edilizia, le infrastrutture, le zone pubbliche e le aree verdi dovrebbero essere progettate secondo parametri che massimizzano la qualità della vita e facilitino lo sviluppo economico e sociale, determinando così un tessuto urbano appetibile da privati e aziende che, insediandosi, ne determinando la prosperità ed elevano il valore di quel territorio.

La teoria di divisione delle funzioni urbane (abitativa, lavorativa e commerciale) viene quindi abbandonata a favore di un più intelligente utilizzo di edifici e isolati “misti” che contengano appartamenti, uffici e negozi, creando così un luogo urbano frequentato durante tutto l’arco del giorno e della notte. Il centro del quartiere è il cuore della vita sociale ed economica e qui si dovrebbero quindi accentrare le amministrazioni pubbliche locali, mentre nelle zone di confine tra più quartieri è auspicabile che sorgano edifici pubblici a livello cittadino, mettendo così in relazione le varie parti del tessuto urbano.

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13 LA LETTURA DELLA CITTÀ E DEL TERITORIO: IL TRANSECT

• il Transect è una tassonomia a base ambientale che si estende dalle zone naturali a quelle centrali urbane.

• il suo continuum, quando suddiviso in sezioni, si presta alla creazione di categorie di azzonamento.

• le zone di Transect si specificano per elementi coerenti, a favorire habitat immersi negli ambienti naturali, e/o insediamenti adatti alla vita urbana.

• le specifiche norme sono di tipo parametrico, a riflettere gli eco-toni autentici degli ambienti naturali e urbani.

• la complessità governata delle zone di Transect assicura un tipo di diversità simile a quello degli ambienti evoluti organicamente.

• il Transect integra metodologie di zoning e ambientali, in modo tale da eliminare i confini professionali degli approcci ecologico e sociale, consentendo agli ambientalisti di valutare il progetto dell’habitat umano, e agli urbanisti di favorire la vitalità di quello naturale.

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14 Esempio di Transect Zone

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15 IL CODICE URBANO

Il New Urbanism introduce uno strumento di pianificazione tanto semplice quanto efficace:

il Codice Urbano. Si tratta di tavole grafiche in cui si descrive un campo di possibilità di intervento tramite l’introduzione di misure di riferimento nella progettazione degli edifici, di schemi di pianificazione di isolati tipo e di prescrizioni tecniche ed architettoniche finalizzate al raggiungimento di un risultato urbano omogeneo e funzionante. Tipologie edilizie e relative lottizzazioni, materiali costruttivi e particolari architettonici caratteristici, rapporti di altezze e di superfici, metodi di aggregazione degli edifici e disposizione dei parcheggi sono rappresentate tramite significative tavole che tracciano così le linee guida di ogni presente e futuro intervento.

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16 Esempi di tavole del Codice: tipologie di sistemazione tra spazio pubblico (marciapiedi) e spazio privato (facciate degli edifici)

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17 Esempi di tavole del Codice: parcheggi, tipologie edifici, verde pubblico

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18 Esempi di Piani Metropolitani e progetti urbani

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22 Bibliografia sintetica

Duany, Plater-Zyberk & co, The Lexicon of the New Urbanism, New York1999 Dutton J.A., New American Urbanism, Skira Editore, Milano, 2000

Caltorpe P, Fulton W, The regionale City, Island Press, Washingtown, 2001

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La rigenerazione urbana* in Europa – dalla città post- industriale alla città contemporanea

La prima fase della Regeneration: Le aree industriali dismesse

l fenomeno delle aree industriali dismesse è emerso, negli anni Settanta, con chiara evidenza dapprima nei paesi maggiormente industrializzati, per tradizione come l'Inghilterra, la Francia, la Germania, gli Stati Uniti, venendo a significare un momento di grande transizione della società a partire dai suoi aspetti produttivi: si è passati dalla società industriale a quella post-industriale con una marcata accentuazione del settore terziario, creando i prodromi del processo detto appunto di terziarizzazione.

Le aree industriali dismesse testimoniano con la loro presenza/assenza la predominanza, a volte arrogante, dell'industria che, specialmente in città sviluppate sul modello fordista come Torino, aveva impostato, in base alle proprie esigenze, lo sviluppo urbano e l'immagine conseguente.

Mentre il processo di formazione di grandi e piccoli vuoti urbani aumentava sempre più la sua consistenza è "improvvisamente emersa nella coscienza collettiva la dimensione del fenomeno, il suo ritmo di crescita e la carenza di strumenti per affrontarlo, anche per effetto di alcuni casi emblematici divenuti argomento di discussione estesa ad un pubblico vasto e non specializzato. (Spaziante 1996)

L'attenzione esercitata anche sui non addetti ai lavori ha avuto un feed-back di interesse da parte di ricercatori ed operatori che ha prodotto fino alla fine degli anni Novanta molti studi, sia pure con il limite di una scarsa sistematizzazione.

La tendenza più esplicita da parte dell'operatore pubblico, convergente con la linea d'azione dei privati è stata quella di affrontare il riutilizzo delle aree dismesse legandolo al caso singolo e quindi in modo occasionale e casuale non sovrastato da una visione più ampia e preoccupata del fenomeno in via più generale.

Nel frattempo la situazione economica generale era divenuta molto avversa agli investimenti che negli anni Ottanta erano parsi il più naturale sbocco della trasformazione di aree urbane dismesse: gli investimenti nel settore edilizio, in particolare nel terziario.

II tema delle aree dismesse per le sue molteplici valenze ha intersecato le altre problematiche sulle quali si è appuntata l'attenzione degli urbanisti ma anche di sociologi, geografi, giuristi, ecc.

Inoltre, il problema del degrado nel quale versavano questi territori li ha resi protagonisti del tema della "riqualificazione urbana" anche se "è stato il cambiamento della società, il tipo di domanda che ha espresso e, soprattutto le condizioni oggettive del cambiamento socio- economico e demografico avvenuto che hanno di fatto portato alla scelta prioritaria della riqualificazione urbana in ogni paese d'Europa."(Gabrielli 1993)

La riqualificazione urbana è stata vista come l'occasione per ridisegnare e ridefinire parti rilevanti della città per riprogettarla insieme all'intera area metropolitana.

La dismissione industriale è stata affrontata in Europa soprattutto, inizialmente, dalle città capitale (Parigi e Londra) o città di importanza predominante all’interno della nazione di appartenenza (Barcellona), ma ha interessato anche intere regioni (Renania-Westfallia in Germania), le immagini che seguono sintetizzano i maggiori interventi che hanno interessato la Regeneration di queste città e della regione della RUUR in Germania.

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54 Lo Sviluppo sostenibile e la rigenerazione della città

Se il passaggio dalla città industriale densa e compatta, spesso caratterizzata da condizioni di scarsa vivibilità, ad una post-industriale infinitamente dilatata nello spazio e senza più – perlomeno apparentemente – alcuna relazione tra forma e funzioni, ha segnato le trasformazioni urbane del territorio europeo specie nel corso della seconda metà del Novecento, è grosso modo nello stesso periodo che hanno iniziato a manifestarsi i primi problemi legati ad un’eccessiva pressione delle attività umane sull’ambiente.

I processi di globalizzazione delle economie fanno delle città il centro di processi rapidi di cambiamento strutturale e le immergono in un accentuato clima competitivo.

Le città hanno attratto risorse umane e sviluppato posti di lavoro, riorganizzando le attività, produttive e residenziali, secondo modelli a scala territoriale ampia.

La rapidità del cambiamento strutturale impatta su ruoli urbani tradizionali consolidati, imponendo non facili riconversioni produttive.

Le riflessioni sull’opportunità di perseguire forme insediative più compatte subiscono un’accelerazione a seguito degli impegni globali assunti prima dalla World Commission on Environment and Development delle Nazioni Unite, nel 1987 (Rapporto Bruntland) e dopo l’incontro dei Capi di Stato e di Governo, in occasione della Conferenza di Rio de Janeiro sull’Ambiente tenutasi in Brasile nel 1992, tutta la società ha attribuito una maggiore importanza all’ambiente, ai suoi problemi ed al concetto di sviluppo sostenibile.

La pianificazione urbanistico/territoriale, già riconosciuta nella Agenda 21 come uno strumento di fondamentale rilevanza per promuovere uno sviluppo sostenibile (ONU, 1993), è stata ulteriormente rilanciata nella Conferenza Habitat II di Istanbul (ONU, 1996). Il processo di piano, quindi, è il momento nel quale si possono raccordare le istanze, gli obiettivi, i valori molteplici, eterogenei ed anche conflittuali. Il piano è lo strumento che può combinare le istanze della conservazione e dello sviluppo, ordinando l’insieme degli elementi che compongono l’ambiente naturale e costruito. In quest’ottica l’approccio della pianificazione per lo sviluppo sostenibile deve essere integrato.

Da almeno una quarantina d’anni la consapevolezza attorno ai limiti che la pressione esercitata dallo sviluppo umano sull’ambiente ha raggiunto e spesso superato si è

enormemente accresciuta. E non è certo la fin troppo citata definizione di sviluppo sostenibile del Rapporto Brundtland, redatto nel 1987 a completamento dei lavori della World Commission on Environment and Development, che ricordandoci le nostre responsabilità nei confronti delle generazioni future, pur senza rinunciare al diritto alla ricerca del benessere presente, ha reso più consapevole l’uomo dei suoi limiti.

In tempi più recenti il passaggio sempre più marcato dall’economia industriale a quella post- fordista ha reso la localizzazione urbana un fattore sempre meno strategico per le imprese.

Nei loro processi di de-verticalizzazione – ovvero esternalizzazione di funzioni ed attività di produzione in precedenza svolte internamente, con conseguente costruzione di reti interconnesse di attività – esse hanno trovato nella dispersione insediativa non pochi elementi di attrazione: aree a costi più ridotti, minore congestione urbana, disponibilità di mano d’opera grazie alla più o meno contemporanea dispersione residenziale.

In una buona parte di questi impatti negativi la dispersione urbana gioca un ruolo di rilievo ed i suoi devastanti effetti sono divenuti una costante della nostra vita quotidiana:

conversione irreversibile di suoli ad usi urbani in continua crescita, perdita di risorse agricole, ambientali e paesaggistiche, consumi energetici ed inquinamento alle stelle a causa, anche, di un traffico automobilistico ingovernabile.

Se guardiamo oggi ai principi ed alle pratiche più avanzate dello sviluppo urbano sostenibile, quasi sempre non ci troviamo di fronte a qualche cosa di veramente nuovo, che non sia già stato detto e talvolta praticato. Ad esempio l’unità di vicinato di Clarence Perry reinterpretata

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55 dalla corrente New Urbanism negli USA, o ancora la forma base dell’esance del piano ottocentesco per Barcellona di Ildefonso Cerdà (isolati aperti), infine la stessa Garden City che mirava a fondere in modo equilibrato città e campagna potrebbe essere oggi più modernamente interpretata come una soluzione verso la sostenibilità grazie ad una ricerca di equilibrio tra economia ed ambiente. Dunque le teorie che nel corso del Novecento hanno prodotto significativi risultati sia sotto il profilo disciplinare che, talvolta, delle pratiche progettuali, hanno certamente contribuito a porre le fondamenta per la visione e costruzione di una città maggiormente sostenibile.

La “sostenibilità” ha forse avuto il merito di contribuire a divulgare maggiormente il ruolo e l’importanza dell’urbanistica – disciplina spesso considerata lontana dai cittadini ancorché essa si occupi (o dovrebbe occuparsi) di molti degli aspetti che incidono quotidianamente sulla loro qualità della vita – esplicitando i suoi obiettivi in una dimensione più percepibile per le persone e che coinvolge, per il loro raggiungimento, i singoli comportamenti umani.

Quegli stessi comportamenti la cui somma genera i tanti problemi legati al raggiungimento di una maggiore qualità della vita che l’urbanistica si prefigge di ottenere attraverso una migliore organizzazione dello spazio. Così dovremmo sempre ricordare la lezione di Lynch:

Ё necessario imparare ciò che è desiderabile quanto studiare ciò che è possibile: agire senza scopo può essere inutile quanto l’idealismo senza potere. Persino la gamma delle cose possibili può essere estesa da una maggiore conoscenza di ciò che è desiderabile.

Oppure il lavoro di Jane Jacobs, riassunto nel suo The Death and Life of Great American Cities, un inno alla città spontanea, densa e compatta, ricca di funzioni e di diversità. Nel libro si analizza e descrive cosa effettivamente fa funzionare i quartieri urbani e come le pratiche del moderno city building tendano in sostanza a cancellare ciò che li fa vivere, riducendone la capacità di uso pedonale, i contatti di vicinato e l’economia di quartiere fondata su mille piccole diverse attività.

Il suo lavoro è stato di grande importanza in quanto ha contribuito allo sviluppo della ricerca nell’environmental design – nel cui ambito si è cercato di comprendere come effettivamente le persone usino gli edifici, le strade ed i quartieri della città – al fine di poter sviluppare un tipo di progettazione in grado di superare la schematicità di semplici criteri architettonici.

Certamente poi il suo lavoro è stata fonte di ispirazione per il movimento americano del New Urbanism ed è stato recentemente rivalutato nel dibattito fra città compatta e città diffusa e dispersa.

La convinzione, a livello accademico ed istituzionale, che si è andata affermando è che certamente il modello della città dispersa non rappresenta una soluzione di sviluppo sostenibile.

In Europa, una chiara posizione istituzionale – ancorché non da tutti condivisa – è stata assunta dall’Unione Europea, che si è apertamente dichiarata a favore della città compatta e del rafforzamento dello sviluppo policentrico. Così lo sviluppo urbano sostenibile e la progettazione urbana sostenibile sono divenuti nel corso degli anni Novanta temi chiave della pianificazione urbanistica e parte integrante, talvolta un pochino ridondante e ripetitiva, del suo lessico. Le politiche e le pratiche poste in essere a seguito di una maggiore consapevolezza dei guasti prodotti dallo sviluppo in termini di disuguaglianze economiche, sociali ed ambientali – originate dalla presa di coscienza istituzionale innescata del citato Rapporto Brundtland – si collocano forse per la prima volta nell’ambito di un punto di vista unificante e (relativamente) nuovo per affrontare problemi in qualche modo vecchi.

La rigenerazione urbana per l’Europa: le carte urbane

La nuova definizione degli interventi di rigenerazione urbana è frutto di una riflessione culturale in linea con il concetto di qualità urbana espresso dall’Unione Europea, concetto strettamente connesso alla sostenibilità, nelle sue tre principali accezioni: ambientale,

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56 sociale ed economica. Ci troviamo di fronte al formarsi di una base culturale europea sul tema della qualità urbana. Infatti i tratti generali presenti nei documenti prodotti negli ultimi anni dall’Unione Europea possono essere sintetizzati nel crescente riconoscimento del ruolo cruciale che rivestono le politiche urbane per affrontare le sfide che l’Europa ha di fronte in campo ambientale, economico e sociale; nell’abbinamento del concetto di qualità urbana a quello di sostenibilità (di nuovo ambientale economica e sociale); nella necessità di approcci integrati e olistici, e quindi nei principi di integrazione alla base delle politiche urbane per il perseguimento degli obiettivi di qualità e sostenibilità.

Si tratta di un’evoluzione concettuale costruita in varie tappe che hanno nelle carte urbane europee un percorso culturale non secondario che dovrebbe essere meglio considerato in Italia. È un percorso ormai lungo, che va dalla danese prima Carta di Aalborg sulle città europee verso la sostenibilità del 1994, all’Accordo di Bristol del 2005 sulle comunità sostenibili in Europa che fissava le otto caratteristiche che devono possedere le comunità sostenibili (attive, inclusive e sicure; ben gestite; ben connesse; ben servite; sensibili all’ambiente; prospere; giuste); alla carta di Lipsia, elaborata sotto la presidenza tedesca nel maggio 2007 dall’assemblea dei ministri dei vari stati dell’Unione competenti sulle aree urbane, che impegna all’implementazione di politiche per la sostenibilità dell’ambiente urbano, puntando in particolare su due aspetti: approcci integrati nelle politiche di sviluppo urbano e necessità di porre particolare attenzione alla riqualificazione delle aree urbane svantaggiate. Il percorso è continuato con la Dichiarazione di Marsiglia del 2008 sulle città sostenibili e coese, che riprende i concetti di sviluppo urbano integrato e sostenibile, riconoscendo, tra l’altro, il ruolo chiave dell’architettura e della qualità urbana nelle politiche integrate di sviluppo sostenibile; l’attenzione al cambiamento climatico nelle politiche urbane, anche perché si riconosce che il 69% delle emissioni di gas serra proviene dalle città.

A oggi l’ultima tappa è la Dichiarazione di Toledo del 2010 che esprime la necessità per le aree urbane europee di affrontare e approfondire la Strategia Europa 2020 per una crescita sostenibile, inclusiva e intelligente. La dichiarazione di Toledo chiama le politiche urbane delle città e degli Stati membri a supportare il processo di Marsiglia e a implementare i principi della Carta di Lipsia, anche attraverso la creazione di un References framework for european sustainable cities (RFSC), da costruire attraverso un processo aperto e collettivo che deve essere inteso come uno strumento generale, adattabile e non vincolante per le politiche urbane fondate sui principi della sostenibilità. Inoltre, si sottolinea il bisogno di consolidare un’agenda urbana europea che rafforzi la dimensione della rigenerazione urbana nelle politiche di coesione, supporti una maggiore coerenza tra le agende territoriali e quelle urbane, continui a promuovere la ricerca, gli studi comparativi e lo scambio di dati, la condivisione di best practices e la diffusione di conoscenze sui temi urbani, promuovendo lo sviluppo urbano sostenibile e gli approcci integrati; e infine spinga verso una maggiore attenzione alle sfide che le aree urbane dovranno affrontare nel futuro: il cambiamento climatico e l’impatto dei cambiamenti demografici. Tra le nazioni più attive in Europa verso le politiche ambientali e di rigenerazione urbana si segnalano Germania, Svezia, Finlandia, Olanda, che per prime hanno avviato politiche e programmi, e di seguito si propongono tre

“Eco-quartieri” che rappresentano casi di “best practices” europei.

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Ecoquartiere: "GWL-terrain" (Amsterdam)

GWL-terrain rappresenta un caso importante di trasformazione e riqualificazione di un’area urbana dismessa, utilizzata precedentemente come sede della Compagnia Municipale dell’Acqua. Il progetto del nuovo isolato GWL è integrato nel programma di recupero urbano di Amsterdam lanciato alla fine degli anni ’80, in concomitanza all’aumento della popolazione della capitale seguita al trasferimento di aziende nell’area cittadina e la crescita della presenza studentesca. Il nuovo isolato GWL, è composto da 600 unità residenziali e da alcune attività terziarie. Il sito è contiguo al capolinea del percorso tranviario del Westerpark, che consente un facile collegamento alla rete di mobilità pubblica, e si trova sulla strada per Haarlem. Il consorzio dei costruttori che ha appoggiato il recupero dell’area voleva conciliare “un edificato a alta densità con il desiderio degli abitanti di vivere nel verde.

Inoltre il car-free contribuisce in modo significativo a farlo distinguere per le sue caratteristiche di unicità e sostenibilità.

Fig.1 e 2 - L’area di intervento prima e dopo la trasformazione

Aspetti qualitativi e descrittivi

L’obiettivo del progetto, stabilito fin dalla prima fase dei lavori (1989-1993) per la riqualificazione dell’area dismessa della Compagnia Municipale dell’Acqua di Amsterdam, non era solo quello di creare un’area residenziale, ma la costruzione di un “eco-distretto”. Il progetto non è stato inteso solo in termini di recupero funzionale, ma in termini di sostenibilità ambientale, sociale ed economica, ristabilendo allo stesso tempo la continuità e dialogo tra questo intervento e il tradizionale tessuto urbano del diciannovesimo secolo.

Il quartiere è stato concepito in relazione ai dettami del Programma urbanistico “SPvE” che stabiliva i requisiti che dovessero avere i materiali, gli edifici e il quartiere stesso in termini di sostenibilità ambientale, con particolare riferimento al:

- Riduzione del consumo di acqua e di energia;

- Quartiere car free;

- Materiali ecocompatibili per le costruzioni considerando l’intero ciclo di vita del materiale stesso,

- Progetto di un centro ambientale per la raccolta differenziata (mai realizzato)

Inoltre il quartiere è ad alta densità (600 abitazioni/6 ettari), per consentire un minore consumo di suolo con la possibilità di garantire una superficie per aree verdi maggiore.

L’attenzione per l’aspetto ecologico è evidente anche nella cura per l’orientamento solare delle abitazioni, nella raccolta e riciclaggio dell’acqua piovana, nell’impianto combinato per il calore e l’elettricità destinato a risparmiare energia, nel sistema sotterraneo per la raccolta

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58 differenziata dei rifiuti ed infine nella scelta di realizzare un quartiere privo internamente di posteggi per auto.

Il nuovo isolato è molto diverso da quelli che lo circondano che sono a corte chiusa; più della metà delle abitazioni sono contenute in un lungo edificio, da quattro a nove piani, che si allunga sul lato ovest, proteggendo l’insediamento dai venti dominanti e dividendolo dalle aree industriali ancora presenti, mentre verso nord un edificio di nove piani protegge dall’inquinamento acustico della via per Haarlem. Gli altri edifici sono di massimo cinque piani e si dispongono su un asse est-ovest per favorire il guadagno passivo di energia solare. Il quartiere, sui lati nord e nord ovest è delimitato da edifici di grandi dimensioni, che fungono da barriera per il vento ed i rumori. Gli edifici della parte centrale del lotto sono esposti tutti verso sud, e le facciate con tale esposizione presentano finestre di dimensioni rispetto a quelle della facciata nord.

Fig.3 e 4 – Assi di impianto e destinazioni d’uso

La costruzione del distretto è stata avviata nel 1994, per svolgersi successivamente in tre fasi e concludersi dieci anni dopo. Per primo è stato realizzato il blocco residenziale progettato da DKV: 130 alloggi in 20 tipologie differenti in un complesso “a forma di serpente” ed altezza variabile dai 5 ai 9 piani, i primi cinque dei quali raggiungibili attraverso portici esterni. Il secondo grande complesso edificato, quello che disegna la parte perimetrale angolare dell’area, progettato da Neutelings Riedijk, è composto per lo più da appartamenti di proprietà. Nella terza fase di progetto, sono stati riqualificati alcuni degli edifici preesistenti, localizzando in essi le destinazioni collettive. Quattordici sono i blocchi residenziali di minore estensione che costellano la planimetria del sito e conservano, nelle differenze di conformazione tipologica, la somiglianza ed omogeneità attribuite loro dal rosso mattone olandese.

Il quartiere non prevede la presenza di soli alloggi, ma anche altri servizi necessari per la comunità – e la pluralità tipologica delle residenze e delle forme di fruizione delle stesse corrispondono alle esigenze di un sistema sociale complesso, misto e diversificato. Il programma ha stabilito, infatti, questa suddivisione: 150 alloggi a libero mercato, 350 di social housing, 300 in affitto a canone agevolato e 150 in vendita a prezzi calmierati.

L’area di progetto è divisa in due da un canale. La zona più popolata è quella a nord e si sviluppa attorno a due piazze: su una affacciano, sul lato nord e ovest, i giardini degli alloggi e sull’altra affacciano i negozi ricavati all’interno degli ex edifici industriali, così come in negozi si sono trasformati la vecchia torre dell’acqua e due ex edifici industriali. Il grande

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59 edificio recuperato situato lungo il canale interno ospita uno studio televisivo e alcuni caffè/ristorante.

Fig.5 e 6 – Il canale centrale e l’edificio “a serpente”

Fig.7 e 8 vista assonometrica e immagine satellitare del quartiere

A sud del canale si dispongono, invece, le case isolate, tutte con giardino privato. In questa zona dell’intervento gli edifici in prossimità della strada ospitano attività come atelier, un asilo, uffici e un circolo creativo. Gli alloggi sono di diverse metrature, questo per garantire la presenza di diversi nuclei familiari, con una particolare attenzione nei confronti delle famiglie al cui interno vi sono componenti disabili.

Per sfruttare i vantaggi della compattezza gli edifici dispongono di un unico gruppo scale per cui l’accesso ai singoli appartamenti è garantito dai ballatoi. Questi in alcuni casi si allargano per fungere da terrazzo. Tutti gli edifici, compreso l’edificio alto, al piano terreno presentano dei giardini in parte a uso collettivo dei residenti e in parte a uso privato degli appartamenti al piano terreno.

La percorrenza automobilistica è permessa solo lungo il perimetro del lotto, mentre quella pedonale non trova ostacoli al passaggio in tutte le direzioni. La strada tangente sul lato est, che collega ai quartieri esistenti, è stata ridisegnata in modo da creare piste ciclabili e punti di attraversamento individuati da dossi che inducono la riduzione della velocità delle auto.

La particolarità dell’area è che, seppure estesa, è stata progettata in modo da essere car- free, cioè libera dalle automobili. La scelta, oltre che per motivazioni ambientali, deriva anche da considerazioni di tipo economico: l’alta qualità ambientale, infatti, rende il quartiere più attraente agli occhi delle famiglie più agiate che altrimenti non si sarebbero trasferite in una zona precedentemente nota per essere tra le più povere della città.

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65 Casi Studio: Finlandia - Helsinki - Quartiere Ekoviikki

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*DEFINIZIONE (Enciclopedia Treccani)

rigenerazióne urbana- Locuzione che, traducendo l’inglese urban regeneration,designa i programmi di recupero e riqualificazione del patrimonio immobiliare alla scala urbana che puntano a garantire qualità e sicurezza dell’abitare sia dal punto di vista sociale sia ambientale, in particolare nelle periferie più degradate. Si tratta di interventi che, rivolgendosi al patrimonio edilizio preesistente, limitano il consumo di territorio salvaguardando il paesaggio e l’ambiente; attenti alla sostenibilità, tali progetti si differenziano sostanzialmente da quelli di urban renewal, o «rinnovamento urbano», spesso rivelatisi interventi prevalentemente di demolizione e ricostruzione, a carattere più o meno apertamente speculativo. I quartieri o le parti di città oggetto di interventi di r. u. vengono pertanto sottoposti a una serie di miglioramenti tali da renderne l’edificato compatibile dal punto di vista ambientale, con l’impiego di materiali ecologici, e il più possibile autonomo dal punto di vista energetico, con il progressivo ricorso alle fonti rinnovabili; ma anche tali da limitare l’inquinamento acustico e raggiungere standard adeguati per i parcheggi, gli esercizi commerciali, i trasporti pubblici, la presenza di luoghi di aggregazione sociale, culturale e religiosa, di impianti sportivi e aree verdi ecc., in modo da ottenere un complessivo innalzamento della qualità della vita degli abitanti.”

Bibliografia sintetica

De Franciscis G., Rigenerazione urbana: il recupero delle aree dismesse in Europa, Eidos, 1997 Galanti A. Forma urbana, sostenibilità,pianificazione, Aracne editrice, Roma, 2009

Piemontese A. , a cura di, Insediamenti Ecosostenibili vivibilità e innovazione, Giannini Editore, Napoli, 2013,

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