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TL MILITARE FANFARONE

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Academic year: 2022

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(1)

TITO MACCIO PLAUTO

TL MILITARE FANFARONE

(MILES GLORIOSVS)

Versione MetRICA

DI

S. COGNETTI DE MARTIIS

SEZ IUNA? >

AVI MA Dj d5 a

TORINO

ERMANNO LOESCHER

FIRENZE -_ ROMA

Via Tornabuoni, 20 Via del Corso, 807

1890

(2)

CLOSE

PROPRIETÀ LETTERARIA

Torino — Vincenzo Boxa, Tip. di S. M. e de' RR, Principi,

(3)

i

A GIOSUÈ CARDUCCI

A te, cantore eccelso dell'Umbria verde, sia gradito questo picciolo volume. Te l’invia un amico che venera in te il poeta ed ama

l’uomo, e un pegno d'affetto sincero offrirti brama.

È un dramma tra più belli del grande Sarsinate onor d'Umbria e d'Italia. — Se non ho menomate le bellezze del testo, recandolo in volgare,

meglio di chicchessia tu lo puoi giudicare.

La commedia di Plauto è scritta in metro vario;

io l'ho tradotta tutta col doppio settenario.

Ho fatto bene? ho fatto male? — Feci così - traducendo i Captivi e allora ci fu chi

non approvò. Un censore competente e cortese di questo con benevoli parole mi riprese.

— Nella commedia antica, scrisse, la varietà de metri rispecchiava la moltiformità

de’ momenti drammatici, de pensieri ed affetti e mirava a produrre diversità d’effetti.

Il traduttore a questa varietà rinunziò, ed al testo plautino solo in parte serbò

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la fedeltà poetica che “ le immagin’ preserva e il colorito e il tono dell'autore conserva ,. —

Oppongo a questa critica che il teatro italiano moderno ammette il solo metro martelliano per la commedia in versi e serba al melodramma

la varietà de’ metri che nega a ogn’altro dramma.

Il Goldoni, il Ferrari, il Giacosa hanno usato il settenario doppio costante ed invariato

quando han scritto commedie in versi. C'è, lo s0, l’amico mio Franchetti che il metro vario usò con arte squisitissima e gaia nel tradurre Aristofane e seppe in tutto riprodurre le grazie originali del Comico sovrano.

Ma il teatro di Tito Maccio Plauto è lontano da quello d’ Aristofane. Per Plauto è forma esterna la lirica; ne drammi dell'altro è forma interna.

Invero la commedia greca del tipo antico si tenne con la lirica in accordo più amico che non facesser poi quella del tipo medio e la Commedia Nuova, quando vennero a tedio la parabdsi e il coro, s'invigorì l’azione drammatica e intreccio e languì la canzone.

Ma fu come Aristofane anche Menandro insigne;

Aristofane canta e Menandro dipigne.

Sul tipo medio e nuovo Andrénico formò litalica commedia, — e Plauto l'imitò.

Drammatica non lirica è la musa plautina.

Drammatica fu tutta la commedia latina,

vestisse il pallio greco od il romano ammanto:

(5)

n Yu

azione, tipi, intreccio curò più assai che il canto ;

più del verso che suona curò il verso che dice. 3 (E ben più di Terenzio fu Plauto in ciò felice).

Un bel testo di Tullio mi giova qui citare:

“I senarii de Comici, che vogliono imitare si

“ il discorso ordinario, sono così dimessi ? Î

“ che spesso il suono e il verso senti a fatica in essi , (1). «i A Orazio non piacevano punto i ritmi di Plauto. <A Eppure egli nel biasimo doveva andar più cauto! fai i

Nelle Epistole e nelle Satire sono belli À

gli esametri suoi sempre? corron sonanti e snelli?

No; perchè riproducono lo stile epistolare

ed il discorso semplice e alla buona. — Ti pare?

x

fin

Persona a me carissima, dopo d'avere letto

SI

i Captivi tradotti, mi fece un rabbuffetto :

“ Ma ciò che non approvo, che mì par tempo perso,

VA. »

“ Fu quel togliere al verso ogni armonia di verso;

“ Il che, ben lo comprendo, nè uopo è che tel dica,

“ Dev'esserti costato una enorme fatica.

«“ Insomma i tuoi Captivi, a voler dir la cosa,

“ Con sommo ingegno sì, ma son tradotti in prosa.

“ Solo che questa prosa tagliata è in tali fette

“ Che dà sempre le sillabe legate a sette a sette.

“ Tutto questo egli è fatto con tarito accorgimento

“ Che chi sentisse a leggerla s’ avvede molto a stento

“ Come quella Commedia da te tradotta sia

(1) Cio. De Orat., 183. At comicorum senarii propter similitudinem sermonis sic saepe sunt abiecti, ut non nunquam vix în eis.numerus et versus intellegi possit.

(6)

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PAT

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“ Con un inappuntabile rigor di prosodia ,.

L'osservazione è arguta. Ma sono tutelato da Plauto stesso a cui fu ciò rimproverato;

ed ai versi di Plauto potrei mettere accosto quelli delle commedie di Ludovico Ariosto.

E qui fo punto. Grazie rendo di tutto cuore pubblicamente all'uno ed all’altro censore

e a quanti m'animarono, cortesi, a seguitare nell'impresa di mettere Plauto, così, in volgare.

Tu non badar se quello che t'offro poco vale, ma seguita a volermi bene, 0 Carducci, et vale.

ERRATA-CORRIGE

Pag. 20 linea ultima: mi calunnii - mi si calunnii.

8087 11 Sce. Hovisto- Sorn.: Ho proprio visto.

(7)

PERSONAGGI

PIRGOPOLINICE, militare.

MANGIAPANE, parasito.

PALESTRIONE, servo di Pirgopolinice.

PERIPLECÒMENE, vecchio, amico di Pleusicle.

FILOCOMASIA, ganza di Pirgopolinice.

PLÈUSICLE, giovanotto, amante di Filocomasia.

LUCRIONE, sguattero in casa di Pirgopolinice.

(A CROTELÈUZ cortigiana.

MILFIDIPPA, cameriera di Acroteleuzia.

UN RAGAZZO.

CARIONE, cuoco di Periplecomene.

SCELEDRO, servo di Pirgopolinice.

AGUZZINI.

Una via in Efeso innanzi alle case contigue di Pirgopolinice e Periplecomene.

NB. La versione è stata eseguita sul testo del Fieckeisen (Lipsia, 1881), ma in parecchi punti il traduttore s'è giovato della 2? edizione di quello del TyrrreLL (Londra, 1885).

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(9)

Piro.

Mana.

Pino.

Maxo.

ATTO PRIMO

SCENA UNICA °

Pircororinice, MaxnGraPANE, un drappello di reclute.

(Sulla soglia della sua casa, parlando verso l'interno)

Abbiate cura che lo splendor del mio scudo rifulga più de’ raggi del sole quand'è nudo di nubi l'orizzonte. Voglio, se si dà ‘il caso di venire alle mani, agitarlo sul naso a' nemici e abbagliarli. E voglio consolare la mia spada; son stanco d’udirla lamentare il tempo perso e l’ozio e vederla andar giù, mentre vorrebbe moversi e sbizzarrirsi su' nemici e assalsicciarli. — Mangiapane dov'è?

È quì, vicino all'uomo che somiglia ad un re, vicino al fortunato eroe. — Lo stesso Marte non ardisce affermarsi uguale a te nell'arte della guerra, nè fare il menomo confronto tra il suo valore e il tuo,

Di', e come fui pronto a salvarlo sui campi gargotténidi, dove

comandava il nipote del fratello di Giove, del dio Nettuno, il grande Mugghione di Culagna!

Me ne ricordo, quello che andava in pompa magna coll'armatura d’oro. Gli dissipasti tutte

le squadre con un soffio, come le foglie asciutte o le canne dei tetti quando c'è tramontana.

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—2 —

Prro. Fu una cosa da nulla, com'è vero Diana.

Max. Certo è un nulla in confronto del resto che dirò, — (aparte) e che non hai mai fatto. To davvero non s0 se c'è nessuno ch’abbia visto un essere più tronfio e spergiuro di quest'uomo; se c'è..., su, mi prenda; vo' servirlo, con un unico piatto d’'olive per pietanza, allegro come un matto.

Piro. Dove sei?

Mass. Qua. — E in India, come, per Ercolaccio, col pugno all’elefante hai fracassato il braccio!

Pire. Il braccio?

Masa. _ Volea dire il femore.

Piro. Lo diedi

senza badarci.

Masa. Per i due Gemelli! vedi

un po’ se ti sforzavi; gli avresti trapassato il cuoio, le interiora e\in fine attraversato le ganasce.

Pira. Ora basta, non ne vo’ più sentire.

Max. Hai ragione. A che serve ch'io stia quì a ridire a me stesso le tue prodezze? Le so già.

(aparte) Il ventre me le crea queste calamità.

Bisogna ben che assorbano le orecchie perchè i denti non suonino. Bisogna bene che mi contenti

di lusingare questo bugiardo.... —

Piro. * Cosa stavo

dicendo ?

Mara. Eh! so benissimo cid che vuoi dire, bravo!...

è già fatto, per Ercole, me ne ricordo.

Pire. Che?

Maxe. Quel ch'è.

Pira. Hai le tabelle?

Mana. Tabelle e stilo. Gli è

per far gli arrolamenti?

Pira. Come stai sempre attento

a' miei ordini!

Mana. T'ho studiato in tutto e sento nel naso i desiderii tuoi.

Pina. Dunque dimmi un po'

di che ti ricordasti?

(11)

Sie

Maxs. Io mi ricordo e so:

Cencinquanta in Cilicia, cento in Crifiolatronia, trenta in Sardi di Lidia, sessanta in Macedonia...

tanti furono quelli i quali in un sol giorno, uccisi di tua mano, ti cadder morti intorno.

Piro. E il totale quant'è?

Maso. Settemila.

Pre. È così;

se' un bravo ragioniere, Mangiapane.

Maxa. Non li

ho scritti questi numeri, sai; ma li ho tutti in mente.

Pino. Per Polluce, la tua memoria è sorprendente.

Max. Eh! gli è il boccone che fa da rammentatore.

Piro. Seguita in questo modo e avrai sempre l'onore

di trovare al mio desco il postò apparecchiato.

Maxo. E in Cappadocia? dove, se non era spuntato il tuo stocco, n’avresti ucciso cinquecento

con un unico colpo e tutti in un momento, ì

Pir6. M'accorsi, Mangiapane, che ormai avevo a fare i con grami fantaccini e li lasciai campare,

Maxa. Ma cosa ti sto a dire quello che ognuno dice?...

Sei unico nel mondo, o Pirgopolinice,

e in valore, in bellezza, in gesta impareggiabile.

Tutte le donne t'amano. Sfido! sei bello e amabile... — To!... ieri... quelle che mi preser pel mantello...

Pira. Che ti dissero?

Mana. È Achille? dice una. — È suo fratello, dico. E l'altra: Che bella figura da signore,

per Castore! ha la zazzera ch'è davvero un amore.

Quelle che se lo godono son proprio fortunate! — Piro. Dicevano così, neh?

Maxs. S'erano scaldate

al punto che mi fecero un mondo di preghiere perchè ti conducessi oggi a farti vedere di là per quella via.

Piro. O che gran seccatura

è per un uomo avere troppo bella figura! 16

Maxe. Le ho io le seccature: mi pregano, mi vengono De attorno, mi scongiurano; poverine, ci tengono l Di a vederti, ti vogliono. Non ti lascian badare n

alle faccende ch'hai per le mani. ve

È Lasi

145%.

(12)

— Ai

Piro. Mi pare

che sia tempo d'andarcene verso la piazza; c'è da dar la paga a tutti questi giovani, che sono già messi a ruolo, Mi pregò caldamente il re Seleuco che gli procurassi gente

per la guardia del corpo, e adesso la giornata a finir di servirlo dev’esser dedicata.

Così voglio e comando.

Mass. Su, dunque, andiamo via.

Piro. (alle reclute) Dietro di me voialtri; avanti compagnia È

(13)

RT ROS

ATTO SECONDO

SCENA I.

ParestRIONE s0/0.

Avrò il piacere di narrarvi l'argomento, se ognun di voi mi fa quello di stare attento.

Chi non vuol ascoltare, s'alzi e vada, Così sui troverà posto da stare a sedere chi

vuol ascoltare. Adesso, spettatori, dirò

il tema e il nome della commedia che tra un po'

vi rappresenteremo e in causa della quale dos siete raccolti in questo sito così geniale.

In greco la commedia s'intitola A/az4n.

Noi diciamo, in volgare, Fanfarone. Ecco, son

queste le case d'Efeso, quì è nato il mio padrone (accenna la casa di Pirg.), quel milite che è andato al foro: uno spaccone, uno sfacciato, un sudicio, ch'è tutto uno spergiuro e un adulterio. Lui vi dice a muso duro

che gli corrono dietro tutte le donne. Oh giusto!

Per dove passa, tutte lo burlano. Che gusto vedere la più parte di quelle sgualdrinacce stravolgersi le labbra per fargli le baccacce!

Vo' che sappiate come son diventato schiavo suo, lasciando il servizio dove una volta stavo.

Non è già molto che son suo servo. Badate che vengo all'argomento; state cheti e ascoltate.

Avevo per padrone in Atene un bravissimo

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(14)

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giovanottino, il quale era innamoratissimo d'una certa sgualdrina allevata in Atene dell’Attica e costei gli voleva un gran bene. —

È l’amore più bello che ci sia. — Si dà il fatto

che, come ambasciatore, è mandato a Naupatto il giovane per gravi faccende dello Stato.

Ed ecco che in Atene capita quel soldato e s'insinua nell'animo della ragazza amante del mio padrone. Prima cominciò a fare tante garbatezze alla mamma; le pagava da bere, e poi monili e cene squisite. Ebbe il piacere così il furbo d'entrare in grande intimità con la mezzana. Quando poi l'opportunità lo favorì, lui subito fa il tiro alla mezzana...

Sicuro!.. alla mammina della bella puttana che avea fatto girare il capo al mio padrone.

Di nascosto alla mamma il soldato birbone imbarca la ragazza e la conduce qui in Efeso, per forza. Ma io, appena mi fu narrato qualmente avean portato via la ganza padronale, metto tutta la mia attività in moto, mi procuro un battello,

m'imbarco, ed a Naupatto me n'andavo bel bello per raccontare il caso al padrone. Ma ohimè essendo in alto mare, gli Dii vollero che i corsari pigliassero la nave in cui viaggiavo.

Fui rovinato prima che al sito dove andavo e dov'era il padrone, io ritornassi. Chi mi prese, mi cedette al soldato che mi condusse a casa sua, E là vedo la ganza del mio padrone, quella d’Atene, che s’'avanza, mi pianta gli occhi in faccia e subito m'ammicca.

di non chiamarla a nome. E la furba ch'è ricca d’astuzie, tanto fece, tanto non fece che seppe trovare il modo di sfogarsi con me de’ suoi guai, dichiarando che voleva scappare di casa del soldato e tosto ritornare

ad Atene; che amava il mio buon padroncino come quando in Atene l’avea sempre vicino, e che per lei non c'era persona più antipatica

(15)

7T-

del soldato. Saputo ciò, presto avviai la pratica per contentarla; scrissi una lettera, e, senza farmi scorgere, con la massima prudenza la diedi ad un mercante per portarla in Atene all’amato padrone, che un tempo tanto bene voleva alla ragazza. Io lo sollecitavo a venire. All'annunzio del suo fidato schiavo

non fece il sordo il giovane. Venne ed è quì (indica ? la casa di Peripi.) alloggiato presso un vecchietto allegro che aveva già ospitato suo padre e che di cuore s'interessa pel caro giovane innamorato. Ei non è punto avaro d’aiuti e di consigli per noi, ci fa coraggio continuamente ed opera sempre a nostro vantaggio.

Ho potuto così, là in casa (indica ta casa di Pirg.) preparare certi miei colossali imbrogli e procurare

de’ convegni agli amanti. C'è una stanza che diede il soldato alla donna, dove non mette il piede altri che lei; in quella stanza ho forato il muro e così la ragazza entra ed esce al sicuro.

Il vecchio sa la cosa, anzi l’ha suggerita lui. Per fortuna la donnina è custodita

da un certo tale mio compagno di servizio

che nella zucconaccia non ha punto giudizio.

E noi gli offuscheremo con curiose invenzioni la vista e con garbugli da veri dottoroni.

E in tal modo faremo che non si sarà avvisto di ciò che tuttavia avrà guardato e visto.

Ora chi ben m'ascolta in sbaglio non cadrà.

La ragazza quest'oggi due parti sosterrà:

una qui fuori e l’altra lì dentro; sarà lei sempre, ma viceversa sarà pure colei.

In cotesta maniera noi sapremo gabbare il custode melenso. — Ma ho sentito picchiare all’uscio del buon vecchio, qui vicino, un colpetto.

Eccolo, gli è quel vecchio faceto che v'ho detto. (si ritira in disparte).

(16)

Pex.

Pan.

Par.

Per.

Par.

Per.

Pan.

SCENA II PeripLECOMENE e detto.

(parlando ai suoi servi verso Vinterno)

A voi, se d’ora innanzi non rompete i garretti ad ogni estraneo che vedrete andar su' tetti, ne fo corregge della vostra pelle. I vicini son diventati miei padroni, stanno chini su' tegoli a guardare giù in cortile e a spiare che si fa in casa. Ebbene, m'intendo d'ordinare a tutti che chiunque della gente di questo soldato sia veduto sul nostro tetto, presto venga buttato in strada. Faccio un eccezione per Palestrione solo. Chi dirà che un piccione o una scimmia 0 una chioccia rincorre, non gli date retta; giù sulla groppa legnate e poi legnate a finirlo, e se no, guai a voi. Quando avranno l’ossa in frantumi, a tavola certo non giuocheranno agli aliossi e non faran truffe.

(a parte) A sentire,

il vecchio un qualche torto ha dovuto patire, e glielo ha fatto gente di casa nostra, se

vuol che si rompan l'ossa a miei compagni. Me, del resto, m' ha eccettuato. Con gli altri faccia mo’

come crede. Lo voglio abbordare...

: È sì o no Palestrione che viene verso la mia persona?

Che c’è, Periplecomene?

Guarda proprio che buona fortuna! Non son molti quelli ch'oggi avrei tanto volentieri veduto ed incontrato quanto

te,

Cosa c'è? Che hai da gridare con la gente di casa nostra?

Siam rovinati.

Gua’, che affare è questo mai?

(17)

Per.

Pan.

Per.

Par.

Per.

Pan.

Per.

Par.

Pen.

Pan.

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Par.

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Par.

Per.

Par.

—F2—-

La faccenda è scoperta.

Che faccenda è scoperta?

C'era dianzi sull'erta del tetto non so chi de’ vostri a far la spia e attraverso il cortile sbirciava in casa mia.

Figrirati,.. ha veduto, guardando e riguardando, Filocomasia e l'ospite che si stavan baciando.

E chi è costui che ha visto?

Un tuo compagno.

Chi?

Non lo so; quel briccone in un lampo sparì.

(aparte) Mi vado figurando che son perduto.

Lui fuggiva, io grido: Cosa fai sul tetto? — E colui, scappando, mi risponde: Rincorro uno scimmiotto.

Ecco, per una bestia da nulla son ridotto alla disperazione. O disgraziato me!

Dimmi un poco:... e là dentro Filocomasia c'è adesso ?

C'era quando uscii.

Per carità, presto, Periplecomene, falla tornare là.

Bisogna che la vedano in casa i servitori, se non ci vuol vedere innalzati agli onori della croce noi servi per cotesto amoretto.

Ecco, se non vuoi altro, questo gliel'ho già detto.

Dille pure che guardi di non smettere mai le pratiche dell’arte, altrimenti son guai.

In che modo?

Per dare ad intendere a chi

l’ha vista che non può averla vista qui. (accenna la casa L'abbia pur vista centolvolte, ella dee negare. [4 Peripl.) Ha faccia e lingua, astuzie non le devon mancare, ha malizia e prontezza, è sicura di sè;

per garbugli e costanza chi la valga non c'è.

Di colui che l’ha vista dee vincer gli argomenti con le smentite sue e co' suoi giuramenti.

Ella ha in casa le frodi, ha in casa le moine, ha in casa le bugie. Credi a me, le donnine del suo stampo non chiedono aiuto ai semplicisti.

(18)

Per.

Par.

Per.

ea

L'orto ce l'hanno in casa e filtri e succhi tristi per ogni malefizio.

Sè c'è in casa, le porto quest'imbasciatà. — Ma cosa hai? Se' tutto assorto in te stesso, che mediti?

Sta zitto un momentino.

Ho chiamato a raccolta i pensieri e mulino quello che debba farsi per ingannare il mio compagno che l'ha vista in colloquio. Se io potessi fargli credere che non ha visto ciò che ha visto...!

Cerca; intanto che tu pensi, starò costì in disparte. (si aztontana e seguita a parte) — Guardalo

là come s'è piantato...

con che faccia severa! com'è preoccupato !...

Si picchia il petto con le dita;... credo che

vuol chiamar fuori il cuore. To’... si volta. — Oh! cos'è?

Sul femore sinistro mette la mano manca

e con l’altra fa il conto;... ora si batte l’anca,...

scuote forte la destra,... s'agita,.., non si sente di star cheto...; ecco che scerolla la testa;... in mente gli era certo sbocciato qualche progetto, ma,

senza dubbio, è un progetto che a genio non gli va, Però, comunque sia, è cucina sicura

la sua; ci darà roba di perfetta cottura.

Gua)... fabbrica,... mette una colonna sotto il mento.

Eh! non mi piace mica quella fabbrica;... sento che un poeta romano ha il viso appuntellato e due guardie gli stanno continuamente allato... (1)

— Evviva!... Egregiamente per Ercole! sta lì

come un servo in commedia. Certo l'’omo non si cheta se oggi non trova quello che sta cercando. — L'ha trovato, mi pare... — (a Palestr.) Bada, ti raccomando di stare all’erta; non sonnecchiare, se pure

non preferisci d'essere svegliato a suon di dure nerbate. — Ehi! a te dico, da bravo, non star più in ozio; non son ferie, Palestrione, su!

(1) Allusione probabile alla prigionia del poeta Nevio.

(19)

Par:

Per.

Pan.

Per.

Par.

Pan.

Per.

Par.

Per.

pro (ge

Parlo con te; mi senti? Ti dico di star desto ti dico; andiamo, sbrigati,... dico che si fa presto giorno chiaro...

Ho sentito.

Il nemico, non vedi?

è vicino; t'assalta alle spalle; provvedi:

airitati con tutte le tue forze perchè vada bene cotesta faccenda. Quì non è il caso d’andar piano, ci vuol sveltezza. Prendi il disopra; l’esercito al più presto distendi intorno, fa che accerchi il nemico a difesa de' nostri, affinchè siano coperti da ogni offesa.

Intercetta la strada agli avversari; tieni ben guardata la tua, affinchè i carri pieni di viveri e foraggi possan giungere intatti a te ed alle nostre legioni. Su, via, datti da fare, tu sei colto all'improvviso; trova, inventa, e, per cavartela da furbo, metti a prova l'ingegno. Qui bisogna provare che non s'è visto quel che si dice d'aver veduto e che il fatto non è fatto. Senti, brav'omo, tu ti se’ messo a una grossa impresa e tiri su una muraglia enorme. — Ma se dici: La piglio a cuore —, mettiam certo il nemico in scompiglio.

Lo dico e lo farò.

E allora sto garante che ci riuscirai.

Così Giove tonante

ti voglia bene!

Amico, mi metti a parte adesso de' tuoi progetti?

Dunque silenzio neh? ch'io stesso t'introduco nel campo delle mie furberie

perchè tu sappia come me le trovate mie.

Non dubitar di nulla.

Tu sai che il mio padrone di cuoio d’elefante ha coperto il groppone e non di pelle umana. Quanto a giudizio poi, ce n'ha come un macigno.

So da me questo.

(20)

ORAL:

Per.

Par.

Per.

Par.

Pen.

Par.

Per.

Par.

— 12/—

Vuoi sapere in che maniera comincierò il mio giuoco?

Con una invenzione: dicendo che da poco giunse a Filocomasia da Atene una sorella gemella con un tale, ganzo della donzella.

E aggiungerò che queste brave sorelle si

somiglian come gocce di latte, e alloggia qui (addita za

da te la coppia giunta da Atene... [casa di Peripl.).

Ma: benone!

bravissimo! graziosa! approvo l'invenzione.

E così se quel mio compagno accuserà la ragazza al soldato, pretendendo che l'ha vista baciarsi con un estraneo, dirò che ha visto la sorella, e alla spia proverò che non Filocomasia, ma quell'altra abbracciava

nella tua casa il proprio amante e lo baciava.

Magnifica! E lo stesso dirò anch'io se il soldato m'interroga.

Di certo; ma ve’, resti avvisato, caro Periplecomene, d’insistere nel dire che son somigliantissime, e subito avvertire Filocomasia che se il soldato le chiede schiarimenti, non esiti.

Palestrione, si vede che negli imbrogli sei dotto. Però, mettiamo che lui voglia vederle insieme..., che facciamo noi due?

La cosa è facile. Si trovano trecento

pretesti — “ Non è in casa,... proprio in questo momento è andata a spasso,... dorme, :.. s'abbiglia,... adesso no : fa il bagno,... pranza,... beve,... è occupata,... non può, non ha tempo ,. — Si tira in lungo quanto vuoi.

Ora si tratta, amico, d'incamminarlo coi nostri raggiri a credere tutte le baggianate che dalle nostre labbra gli saran raccontate.

Mi piace ciò che dici.

Dunque va dentro, e se c'è la donna, rincasi presto; poi tocca a te di dirle, d'insegnarle, di ordinarle che stia a’ consigli che le diamo e ben ferma sia sull’invenzione delle due sorelle.

(21)

— 13 -

Per. Farò

io da maestro e, credimi, te la consegnerò ammaestrata bene. C'è altro?

PAT. No, rincasa.

Prr. Vado (esce).

SCENA III PaLestRIONE s000.

Par. Adesso bisogna che anch'io ritorni a casa e, senza farmi scorgere, m’ingegni d'appurare chi de' compagni andò sul tetto ad acchiappare la scimmia. Non può essere che non abbia svelato a qualche confidente d’avere oggi osservato che in casa del vicino la ganza del padrone

— scambiava allegramente baci con un garzone forestiero. Io conosco le abitudini! — Ciò che son solo a sapere nascondere non so. — Se la trovo la spia, su! gallerie d’approccio e parapetti; ho tutto in pronto. E se m'incoccio, a forza di combattere dicerto piglio l’omo.

Ma se non mi riesce di trovare quel tomo, andrò qua e là fiutando come un cane da caccia sinchè non mi sarò messo sopra la traccia della volpe. — Ma sento stridere l'uscio di casa; adesso bisogna sbassar la voce, è qui Sceledro camerata mio e custode della

Filocomasia (si tira in disparte).

SCENA IV.

SceLEDRO e detto.

Scet. (guardando ta casa di Perip.) Eppure là, propriamente in quella n

casa accanto, sio oggi non camminai dormendo su’ tetti, per Polluce! senza dubbio m'intendo

(22)

Pan.

SoeL.

Pan.

Scr.

Pan.

Scr.

Par.

Scet.

Par.

Scet.

Par.

Scr.

PAL, Scer.

Pax,

Scr.

Pat, Scen.

Pan.

— 14—-

d'aver visto l'amica del padrone, la brava Filocomasia che da sè s'apparecchiava un qualche brutto guaio.

(a parte) È lui, a quel che sento,

che ha visto la ragazza e lo sbaciucchiamento.

Chi c'è?

(avanzandosi) Un tuo compagno, Sceledro: che si fa?

Se tu Palestrione? È bene che sii qua.

O perchè mai, Sceledro? Cosa t’è capitato?

Su, raccontami tutto, voglio essere informato a puntino.

Ho paura...

Di cosa?

Che gran brutti salti dovremo fare, per Ercole, oggi tutti

noialtri servi. \

Salta pure tù solo; a me non mi vanno cotesti sgambetti.

Tu non se' informato del caso che quest'oggi è successo...

Che caso?

Sporco assai.

E tu dillo a te stesso e non a me, non voglio saperlo.

Eppure tu l'hai a sapere. Dunque stamane stavo su que’ tegoli per prendere la nostra scimmia...

Un vero imbecille sei stato a dar dietro a quel nero

mostricciattolo. ,

Va in malora!

Piuttosto tu ch' hai voluto metterti a discorrere.

/ , Tosto

che fui lassù, per caso, guardando nel cortile del vicino, figurati che vedo la gentile Filocomasia fare baci a un giovane che non so chi sia.

Sceledro, che scelleraggin'è questa che mi racconti?

(23)

stan

Scen.

Par.

Scen.

Pan.

Scer.

Pax.

Scet.

Scen.

Par.

Pax.

Scr.

Par.

Scet.

ida

L'ho vista,

Tu neh?

Io stesso con questo paio d’occhi.

Quello che dici adesso, sai, non è verosimile, non l'hai visto..., va via!

Ti paio guercio forse?

Questo mi par che sia meglio che lo domandi al medico. Gli Dei ti voglian bene come è vero che non dèi spacciar cotesta favola. Un tiro micidiale

giuochi a tuoi stinchi ed alla tua testa; ti va male in un modo o nell'altro, se tu non smetti di raccontare insulsaggini.

Palestrione, di’

un po’ cosa significa “ In un modo o nell'altro? , Te lo spiego: Se per farti credere scaltro

calunnii la ragazza, t'accoppan; se è successo quel che m'hai raccontato, t'accoppano lo stesso, perchè l'hai in custodia.

Cosa sarà di me non lo so; so dicerto che l'ho vista,

Ma che persisti, disgraziato ?

Cosa vuoi che ti dica se non quello che ho visto? Ora, vedi, l’amica del padrone è costì in casa del vicino. - To’ non è in casa nostra?

Su, mettiti in cammino e va a vedere, In quanto a me, sai, non pretendo che tu mi debba credere.

Gli è proprio ciò che intendo fare.

Io t'aspetto. Intanto farò la posta qua, perchè a momenti la giovane tornerà

dal pascolo alla stalla. (Palestrione entra nella casa di Pirg ).

E adesso cosa fo?

Il soldato in custodia la ganza m'affidò.

Ohimè son rovinato certamente se faccio la spia; son rovinato parimente se taccio

(24)

Si e

Pan.

Scer.

Screr.

Par.

Scen.

Pio

Scer.

at:

Scer.

Pac.

Scen.

Par.

SceL.

Pari

Scel.

Pan.

SceL.

YU

e l'affare si scopre. Ma che c'è mai di più tristo o sfacciato d'una donna? Mentr'io sto su' tetti, lei scappa fuori di casa. — Corpo!... L'ha fatta grossa davvero. Se il soldato lo sa, sono certo che questa casa, così com'è, alla croce l'appende, perdinci,... ed anche me.

Comunque sia, per Ercole! piuttosto che morire malamente, sto zitto. Già non posso impedire ch'ella si venda.

(Torna fuori Palestrione).

Olà, Sceledro, c'è mai stato sulla terra, o Sceledro, un uomo più sfacciato di te? più in odio a'numi fin da quando nascesti ? Cos'è?

Vuoi che ti cavino gli occhi con cui vedesti ciò che non è successo?

\Cid che non è successo ?!

Non comprerei per un guscio di noce adesso la tua vita.

Che affare è questo?

To'!... che affare?!...

E fai questa domanda?

Perchè non l'ho da fare?

Non cerchi chi ti strappi quella lingua ciarliera?

Perchè ?

Filocomasia... tu mi dicevi ch'era qui dal vicino e avevi veduto che baciava

un giovane straniero... n'è vero?... e l'abbracciava...?

Ebbene, è in casa.

(con ironia) E come?! è tanto a buon mercato il frumento e tu mangi il pane adulterato!

Che vuoi dire?

Che sei guercio.

Tu, brutta schiena da legnate, per Ercole! hai la gotta serena,

altro che guercio! È in casa ti dico.

In casa?

Già;

in casa, per Polluce!

Palestrione..., ma tu scherzi.

(25)

Par, SceL.

Pat.

SceL.

Par.

Sce.

Pan.

SceEL.

Pan.

Scel.

Pax.

Scen.

Pit.

SceL.

Pan.

Scel.

Par.

Scet.

Par.

. che ti meriti un fracco di legnate?

In militare fanfarone.

2

— 17.

Infatti ho le mani sporche.

Com è?

Perchè scherzo col fango.

Palestrione, ve’!

Guai alla testa tua

Alla tua certamente,

se non baratti gli occhi e la lingua... Da’ mente:...

uno strepito all’uscio di casa nostra...

Io vo’

tener d'occhio quell'altra porta; colei non può rincasare se non uscendo dalla porta

Ma se è in casa! la tua coscienza storta ti mette su, Sceledro.

To guardo per mio conto, so per mio conto e a credere a me solo son pronto.

Nessuno mi dà a intendere che la donna non si

là (casa di Peripl.); voglio farla guardia perchè non scappi vi®, senza ch'io me n’accorga.

(a parte) E adesso ho l’uomo in mano;

ora lo snido dalla fortezza. (forte) Di’, baggiano,

ti vuoi proprio convincere che poco fa pigliasti

lucciole per lanterne?...

Prova, su.

Che impiegasti male occhi e testa?

‘ Avanti.

Sei sempre d'opinione

ch'è andata in quella casa (casa di Per.) l'amante del padrone?

E aggiungo che l'ho vista sbaciucchiarsi colà (come sopra)

con un estranio.

Sai che quel sito non ha comunicazione con casa nostra ...

So.

... pel solaio o per l'orto, ma pel cortile ?

; Lo

s0.

Dunque dimmi: g'ella sta lì, (e. s.) come ritieni, ed io te la conduco fuori di qua (casa di Pirg.); convieni

(26)

— 8 —

Scet. D'accordo.

Par. Bada a quell'uscio dunque... Che non giri di bordo “x e se ne torni in casa inosservata.

SceL. (eseguendo); Bene;

seguo il consiglio. 5

Pan. Guarda che a momenti ti viene

dinanzi qui con me (entra nella casa di Pirg.).

Scen. Fa pure.

SCENA V.

SceLEDRO solo.

Scen. Vo’ sapere

se ho visto ciò che ho visto 0 s'egli sa tenere

l'impegno d'accertarmi ch'è in casa. Ho gli occhi, anch'io,

nè occorre che li pigli in prestito perdio!

Già lui sempre la liscia, le sta sempre vicino, lo chiaman primo al rancio, gli danno il bocconcino

prima degli altri. Questo servo non è da più di tre anni con noi e nella servitù

non c'è chi sia trattato meglio di lui. Però quello che il mio dovere mi comanda farò:

tener d'occhio quell'uscio. — Mi metto di piantone, deciso a non lasciarmi trattare da minchione.

SCENA VI.

ParestRIONE @ FILOCOMASIA (venendo fuori dalla casa di Pirg.) - e detto.

Pax. (sottovoce a Fit.) Non scordar le istruzioni.

Fin. (c. 8.) Mi meraviglio che

tu mi ripeta questo tante volte.

Pan. Perchè

temo che non sii furba abbastanza.

(27)

Fr.

Pan.

Scen.

Pax.

Scet.

Par.

. Scrl.

Par.

Scet.

Pan.

Pan.

Scet.

Fu.

Scen.

Fr.

Scen.

Fn.

Scen.

— 19 —

Ma sì;

potrei scaltrire dieci ingenue; non c'è chi

mi superi... Tu seguita la burla; io m'allontano. (si tira (forte) Cosa dici, Sceledro? [in disparte) (quarà. sempre ta casa di Per.) Fo quel ch'ho a fare. Ho sano l'udito, parla pure.

Io credo che a momenti te n'andrai fuor di porta ai dolci abbracciamenti della croce.

Per cosa?

Guarda a sinistra; quella donna chi è?

(voltandosi) Pe' numi immortali! è la bella del padrone.

Così pare anche a me. Su, lesto, fa pure quando vuoi.

Che ho da fare?

Più presto che tu puoi devi correre a crepare.

(avanzandosi) Olà dove

è mai quel bravo servo che calunnia, per Giove!

in modo così infame un’innocente?

(indicando Scel.) È qui;

lui me l'ha detto.

(a Scel.) Dici che m' hai veduto lì in casa del vicino dar baci?

E a un giovinetto forestiero, sostiene.

Per Ercole, l'ho detto.

M'hai vista?

Con questi occhi.

Te li faran cavare perchè vedon più di ciò che stanno a guardare, No, per Ercole santo, giammai mi lascerò persuadere da te ch'io veduto non ho quello che pure ho visto. È

Oh come sono sciocca a parlar con un pazzo che tra poco mi tocca

mandare sulla croce! «SA

Non far minacce. So

(28)

PAL:

ScrL.

Pan.

Scet.

Pau.

Fr.

Par.

Fin.

Pat.

Fr.

Par.

Fur.

—- 20-

pur troppo che la croce per sepoltura avrò.

Lì giacciono i miei vecchi; il mio babbo, il mio nonno, il mio bisnonno ed anche il padre del bisnonno.

Non possono le tue minacce abbacinarmi.

Da’ retta, Palestrione; ti scongiuro, non farmi disperare: costei di dove è uscita?

Di dove se non di casa?

Di casa?

Olà, non mi vedi?

Ti vedo. Eppure gli è un caso strano che sia riuscita a passare di lù qui. Se non c'è nè solaio, nè orto da noi! c'è l’inferriata

a tutte le finestre! Per altro t'ho squadrata (a Fit.) ben bene: eri là dentro (indica ta casa di Peripl.).

E seguiti, furfante, a calunniarla ancora? |

(a Pal.) To’ per le sacrosante teste de’ due Gemelli! Ma dunque non è stato falso il sogno che ho fatto stanotte!

Ch° hai sognato ? Lo dico; ma, di grazia, state attenti. Ho veduta in sogno mia sorella gemella. Era venuta

qui in Efeso da Atene col su’ amante e avean preso stanza entrambi qui dal nostro vicino.

(a parte) Ho inteso ;

è il mio sogno (forte a Fit.). Continua.

Ero lieta, perchè era venuta mia sorella...: ma, tant'è,

diventavo, per lei, vittima d'un sospetto.

Mi sentivo accusare dal mio amico diletto

d'aver baciato un giovane straniero; (a Sce1.)la tua ciancia...!

mentr'era mia sorella che aveva sulla guancia dell'amante scoccato un bacio. — Calunniata iniquamente in sogno!

La cosa s'è avverata come l'hai vista in sogno. Il sogno è reiiltà.

Su, va a far la preghiera ai numi. Ora dovrà saper tutto il soldato.

Di certo. Non intendo

che impunemente mi calunnii (rientra nella casa di Pirg.).

(29)

— 21 —

SCENA VII.

‘ SceLeDRO @ PALESTRIONE.

Scer. (da sò) È un tremendo

affaraccio codesto; mi prude già il groppone.

Pax. (a Scet.) Capisci che se’ ito ?

Scer. Ora, non c'è questione,

ell'è in casa. Bisogna tener d'occhio la porta (si mette presso la porta della casa di Pirg.).

Par. Il sogno s'è avverato, Sceledro; è ciò che importa.

Ella ha prevista in sogno l'accusa che le fai de’ baci dati.

Scet. Credi ch'io non l'ho vista?

Par. : E dài.

Cocciuto sino all'ultimo! Bada, se n'è informato il padrone, o Sceledro, tu se' bell'e spacciato.

Scr. Eh! m'accorgo che avevo la nebbia innanzi agli occhi.

Par. Su questo non c'è dubbio, e con mano lo tocchi, per Castore e Polluce! che la ragazza sino ad ora è stata in casa e non lì dal vicino.

cer. Non so che dire. Non l'ho vista... eppur l'ho vista.

Par. Guarda un po' per la tua buîiggine che trista sorte ci preparavi! Per fare lo zelante col padrone, a momenti finivi con le piante de' piedi penzoloni. — Ha strepitato un poco la porta del vicino. Silenzio.

SCENA VII

FrLocomasia (che esce travestita dalla casa di Peripl.) @ detti.

Fix. (parlando verso l'interno) Metti il fuoco sull’ara. Con la gioia ch’ ho in core vo’ cantare lodi e grazie a Diana d'Efeso ed onorare con soave profumo d’incenso la potente dea che m'ha salva nelle dimore turbolente

- MERA

x .

(30)

Scet, Par.

Scen.

Pax,

Scet.

Scen.

Pit.

SceL.

Fin.

Scen, Fu.

Scel.

Fr.

Pax.

Fr.

Scet.

Pin.

SceL.

PAL:

SceL.

— 22. —

sacre a Nettuno, dove la rabbia de’ marosi m'ha fatto, ohimè, passare momenti assai penosi.

(guardandota) Palestrione, o Palèstrio...

O Seeledro, Scelè...

che vuoi?

Cotesta donna ch'è uscita ora non è la ganza del padrone? È o non è colei Filocomasia ?

Corpo di Polluce! direi di sì. Ma gli è un bel caso mirabolano, to’, che sia potuta andare di là qui...: se però è proprio lei.

Che ne dubiti?

Quella pare.

Su, su, avanti, accostiamoci; proviamo un po' a chiamare.

Olà, Filocomasia, ch'è questo? hai debitori in quella casa là? ci hai interessi? Su, fuori la vocina, con te parlo.

Parli con te, per Ercole! Ella non risponde verbo.

Neh!

dico a te, sgualdrinaccia bighellona, che vai pel vicinato a zonzo.

(a Scel.) Di’ un po’ con chi ce l'hai?

Con chi? Con te.

Chi sei? Cos’ hai da far con me?

Ah! domandi chi sono?!

Se non lo so, perchè non l’ho da domandare?

(a Fil.) Non conosci costui,

ed io dunque chi sono?

Un noioso tu e lui, chiunque siate.

Non ci conosci proprio?

Nè l'un nè l'altro.

(a Pal.) Ho paura...

E paura di che?

Che noi ci siam cacciati in un gran brutto imbroglio.

Dice che non conosce nè te nè me,

(31)

GY

Pat. Io voglio

vedere un po’ se noi siam proprio noi, che a volte

qualche burlone de’ vicini avesse tolte 4

e barattate le persone nostre. 4

SceL. To sono I

certo che siamo noi. 7

Par. Ed io pure, Iddio buono!

Scet. (a Fit.) Donna, tu ti rovini: Filocomasia, intendi ? Dico a te.

Fix. Che ti gira? Che vuoi? cosa pretendi

* che mi chiami con un nome strambo?

Scel. Di' su:

come ti chiami?

Fit. Ho nome Glicera.

Scret. Ehi, dico, tu

fai male, molto male, Filocomasia, a prendere un nome falso. Andiamo, birbona, non t'intendere di farla così grossa al mio padrone.

Fr. To?

SceL. Già.

Fi. Ma se solo iersera sono arrivata qua

in Efeso da Atene col mi’ amante, un garzone ateniese.

Scet. Dimmi: vo’ saper che ragione avevi di venire in Efeso.

Fix. ; Avvertita

che la sorella mia gemella è stabilita quì, son venuta a farle visita.

Scel. Oh come sei

briccona !

Fin, Anzi una stupida sono, pei santi Dei, a discorrer con voi. Vado via.

SceL. (trattenendola) Niente affatto, cara mia, non ti lascio andare a nessun patto.

Fi. Lasciami. i

SceL. Sei scoperta. Non ti lascio.

Fu Se tu

non mì lasci, ti fo provar le mani.

SceL. (a Palest.) Su, É

malanno, te ne stai? Tienila di costì. d

are UL IA Ù

ii so Pr

(32)

er

vat ei, el

Par.

Scen.

Sce.

Fi.

Scet.

Fu.

Scet.

Fr.

Scer.

Pat.

Soen.

Par.

Scen.

Par.

Scen.

Pat.

Scr.

— 24 —

Marameo! Non vo' guai per le mie spalle. Chi mi dice che costei sia propriamente la Filocomasia o un’altra che le somigli?...

(a Scet.) Olà,

mi lasci o non mi lasci?

Se tu non vai di buona voglia in casa, ti ci porto a forza, birbona, con le brutte.

(ind. ta casa di Per.) Ma qui sto d'alloggio soltanto;

la casa l’ho in Atene,

Il padrone è quì intanto (indica la M'importa un fico di quella casa e di voi; [casa di Pirg.) - non so chi siate e non l'ho mai saputo, oh poi!

E tu fammi la causa. Ma non ti lascio andare se non.ti sento prima sul serio assicurare

che se ti lascio vai dentro. (indicando la casa di Pirg.)

\È soperchieria

cotesta che mi fai, chiunque tu sii. La mia

parola do, se mi lasci, che me n’andrò

dentro dove tu vuoi.

Ecco, ti lascio.

Io vo, già che mi lasci andare. (corre nella casa di Peripl.)

Proprio parola di donna!

Sceledro, t'è sfuggita ormai così la preda dalle mani. Eppure, è proprio quella la ganza del padrone. Vuoi tu fare una bella

cosa? 4

Ch'ho a fare?

Va dentro e portami qua la sciabola. °

Che vuoi farne?

Mi slancio là in casa difilato e chiunque ci sia

a sbaciuechiar la donna, ziffe... gli porto via la testa in un secondo.

‘ T'è parsa proprio lei?

È lei, non c'è alcun dubbio, pe’ santissimi Dei!

Come sapeva fingere!

(33)

Pan.

Scen

Scex.

Par.

Scet.

Par.

Scet.

SceL.

Pax.

SceL.

va

Va presto, torna con la sciabola.

Te la porto subito. (va in casa di Pirg.)

SCENA. IX.

ParestRIONE s0/0.

Non c'è in verità, soldato nè di cavalleria, nè della fanteria che tanto audace sia e con tanta fidanza faccia qualunque cosa come le donne. Ve’ quanto fu maliziosa

e brava sfringuellando l'uno e l’altro sproloquio!

Come ha saputo darla a bere nel colloquio col suo cauto custode mio conservo! Che liete scenate per quel transito traverso la parete!

SCENA X.

SceLEDRO e detto.

Ehi, ehi, Palestrione, della sciabola ve' non ce n’è più bisogno.

Ch'è stato, cosa c’è?

Ecco è lì dentro in casa la ganza padronale.

In casa dici?

A letto, col capo sul guanciale.

O perdinci, Sceledro, a come stai parlando, temo che l’abbi fatta grossa.

In che modo?

Osando metter le mani addosso qui, dianzi, alla vicina.

Già che ho una gran paura. Certo, quella donnina nessuno farà mai che non sia la sorella

germana di colei.

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(34)

Pa.

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SceL.

Per.

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E, per Polluce! quella tu vedesti costì sbaciucchiarsi; oramai

è chiaro, e quando dici ch'è la sorella, ecco hai proprio ragione,

Andavo, certo, incontro al supplizio, se parlavo al padrone.

Dunque se hai giudizio, acqua in bocca. Dee dire men di quello che sa un servo. Ora ti lascio, perchè, sai, non mi va di mescolarmi in questa faccenda. Vado qui dal vicino. Gl’imbrogli tuoi, Sceledro, non mi piacciono. Caso mai dovesse capitare

il padrone a cercarmi, son là, vienmi a chiamare. (entra nella casa di Peripl.)

SCENA XI.

SceLepro solo.

Se n'è ito, e trascura gli affari del padrone, come s'egli non fosse nella condizione di servo! Ora la donna son sicuro che c'è in casa; io stesso a letto l'ho veduta testè.

Adesso devo mettermi a far la guardia. (si colloca presso Ia porta della casa di Pirgopol.)

SCENA XII. _

PrrIPLECOMENE e detto.

(forte, ma fing. di part. tra sè) No, questo servidorame del militare ch'ho per vicino mi erede proprio una femminetta, non un uomo. S'è messo a farmi la burletta.

Come? pigliarsi giuoco d'una donnina ammodo ch'è in casa mia, ch'è libera, e trattarla in quel modo appena giunta qui da Atene coll'amico

ch'è pure in casa mia?

(35)

Scet.

Per.

SceL.

Per.

Scer.

Per.

Scet.

Per.

SceL.

=.

(da sè) Ercole santo! io dico che son morto. Costui vien proprio difilato verso di me. Ho paura ve’ d’essermi tirato addosso un gran malanno per cotesta faccenda.

La canzone che canta quel vecchietto è tremenda, Accostiamoci all’omo. Olà, Sceledro, di’,

scellerato: tu ardisti di farti giuoco qui, davanti alla mia casa, della signora ch'è ospite mia?!

Vicino, senti, ti prego...

Te ho da star a sentire io?

Mi vo’ discolpare.

Discolparti con me, tu ch’hai potuto osare di compiere un misfatto cotanto madornale e ignominioso? No, non ti starebbe male un fracco di legnate. Che forse vi credete di far quel che vi salta in testa perchè siete bravacci?

Mi permetti ?... O

M'assistano gli Dei e le dee com'è vero che pagarmela dèi con un lungo e continuo supplizio di vergate che dall'alba alla sera ti saranno applicate, perchè mi fracassasti le tegole e il condotto dell’acqua per dar dietro a quel brutto scimmiotto pari tuo; e perchè ti se’ messo a osservare l'ospite che in mia casa si spassava a baciare l’amante sua, tenendola tra le braccia; e perchè

calunniasti l'amica del tuo padrone, ch'è una brava donnina, e me pure, incolpando entrambi di robacce; e infine perchè, quando dianzi incontrasti l'ospite mia davanti alla mia casà, tu le mettesti le mani addosso. Orvia, se non mi s’'indennizza frustandoti a dovere, come meriti, sai, mi piglierò il piacere di gettare più scorno sul tuo signor padrone che non ha ondate il mare quando soffia aquilone.

Senti, Periplecomene: mi trovo in tale stretta che non intendo se conviene ch'io mi metta

> SAR I)

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(36)

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Per.

Scen.

Per.

Scen.

Per.

Scen.

Per.

— 28.

a querelarmi teco, o se, quando costei

non sia questa e non abbian veduto gli occhi miei proprio questa, mi tocchi discolparmi con te.

Anche adesso non so cosa ho visto testè, . tanto quella che hai in casa è simile alla nostra,

se pur non è la stessa.

Va in casa e te lo mostra - il fatto.

Che si pud?...

Son io che ti ci mando;

va tranquillo ed informati.

Eseguo il tuo comando.

(va nella casa di Peripl.)

SCENA i

PERIPLECOMENE (verso la casa di Pirg.).

Olà, Filocomasia, passa subito in casa

mia di corsa e poi, subito ve' e di corsa, rincasa quando uscirà Sceledro. Ecco quel che va fatto. — (a parte) To temo, per Polluce, che, se quell'arfasatto non la trova qui in casa, s'intorbidi l'affare.

BEE RISE RR E IRR TR)

S'apre l'uscio.

SCENA XIV.

SceLepRro e detto.

O immortali Numi! non sì può dare che creino gli Dei donna più somigliante,

più tale e quale in tutto..., negli atti, nel sembiante che lei stessa non sia.

Ebbene dunque?

(1) Lacuna nel testo,

(37)

SceL

Per.

Scen.

Per.

Scen.

Per.

SceL.

Per.

SceL.

Per.

Scr.

Per.

Scet.

Per.

SceL.

Per,

SceL.

Per.

SceL.

— VI

Affè me le merito.

Insomma è lei?

È lei, eppur non è

lei, È

L'hai vista costei?

L'ho vista: se ne stava coll'ospite che la baciava ed abbracciava.

È dunque lei?

Non so. :

Te ne vuoi persuadere ? Lo bramo.

Corri in casa tua di volo a vedere se c'è la vostra donna.

Sicuro, ben pensato ! Vado e torno in un lampo (esegue).

Non ho mai adocchiato per Giove! un individuo che sì facetamente si lasci corbellare e così stranamente.

Ecco che torna fuori.

Per gli uomini e gli Dei

ti scongiuro, per la mia stoltezza, per quei tuoi ginocchi, o vicino,...

Ch'è successo ? Pietà della mia balordaggine, dell’imbecillità

mia... M'accorgo alla fine che fui uno stordito, o buon Periplecomene, un cieco, un rimbambito.

Filocomasia è dentro.

E adesso, mascalzone, le hai viste tutte e due?

Le ho viste.

Va, il padrone fa venir fuori subito.

Mi merito il peggiore castigo, lo confesso; ho offesa nell'onore, lo dico schietto, l'ospite tua. Ma, sai, fu perchè la presi per l'amica del mio padrone, che dal mio padrone stesso, dal soldato, mi fu data in custodia. No, non tirerai mai su

(38)

Per.

Scen.

Pen.

Scen.

Per.

Scet.

Pen.

Scen.

Per.

ScEL.

Per.

Scr.

Per.

SceL.

Per.

SceL.

— 30 —

da un pozzo due secchiate d’acqua che sian così somiglianti com'è con quella che sta qui la forestiera tua. E ancora ti confesso che attraverso il cortile a spiar mi son messo in casa tua...

Confessi cid che ho visto!

. e ho veduto là quell’ospite tua col damo, ch'è venuto

insieme a lei, baciarsi.

Hai visto?

Ho visto;

perchè dovrei negare ciò che ho visto? Ma insisto che credetti vedere Filocomasia,

Penso che tu già non mi reputi un uomo sì melenso da tollerar che a mia saputa a' miei vicini, in casa mia, si facciano tiri sì malandrini.

Lo so, lo riconosco, l'ho fatta da minchione;

ma non ci fu malizia.

L’hai fatta da briccone.

Un uomo ch'è a servizio deve tenere a segno gli occhi, la lingua e le mani.

Ebbe’, mi rassegno ad esser messo in croce"se d'ora innanzi ardiseo fiatare anche di quello che so. Mi costituisco da me stesso. Ora dammi, in grazia, il tuo perdono, Non vo'lasciarmi vincere dalla collera. Sono dunque disposto a credere che non ci fu malizia;

ti perdòno.

Gli Dei ti colmin di letizia!

Ma d’ora in poi, per Ercole! tieni la lingua a freno, con l'aiuto del cielo. Non dèi saper nemmeno quello che sai, non devi veder quello che vedi.

Mi dai un buon consiglio. Farò così. — Non credi che ho pregato abbastanza?...

Va.

; Vuoi altro da me?

(con intenzione) Eha, tu non mi conosci, Sceledro,... bada ve"!

(da sè) Vuol darmela ad intendere. Con che benignità m'ha graziato per mostrare che non ha

(39)

Per,

— Fitto

ira contro di me! Ma ho capito il giochetto.

Si vnole che il soldato mi prenda per il petto, tornando all'improvviso dal Foro. Palestrione ed il vecchio mi credono novizio. So benone ch'è così, l'ho capito da un pezzo. Ma, perbacco!

all’esca ch'è in cotesta nassa oggi non m'attacco.

Fuggirò in qualche luogo, me ne starò nascosto un po’ di giorni, sin che si sia ricomposto l'affaraccio e dian giù le collere. N'ho assai d’essermi meritato un cumulo di guai col maledetto mio pigolio. E perciò sia di me quel che sa essere, me ne vo

a casa (parte).

SCENA XV.

PeRIPLECOMENE solo.

È andato, Spesso, per Ercole! un maiale

macellato ha, non c'è dubbio, molto più sale.

Gli si fa dir persino che non ha visto quello che certamente ha visto e stravisto. Bel bello occhi, orecchi, giudizio Sceledro ci ha ceduto.

Fino a questo momento l’affare è proceduto assai egregiamente. La donna poi ci ha dato mano con molto spirito. — Ora torno al senato.

Palestrione a quest'ora è in casa mia di già;

Sceledro adesso è fuori; il senato sarà al completo. Vo dentro. Io non vorrei che lì si assegnasser le parti mentre me ne sto qui.

(40)

Par.

Per.

ATTO TERZO

SCENA I.

PaLestrIonE poi PreusicLE © PERIPLECOMENE.

(uscendo dalla casa di Per.\e parlando verso Vinterno)

Tu e Pleusicle restate, di grazia, un pochettino dietro all'uscio; vo’ prima guardare per benino se non ci sono insidie contro il convegno che

dobbiam tenere. D'un luogo sicuro c'è |

d’'uopo, perchè il nemico non ci abbia a portar via le deliberazioni. Sapete come sia

spesso aceaduto che buoni divisamenti

fosser mandati a male perchè non si fu attenti a sceglier con le debite cautele il sito della radunanza. Una buona pensata, se di quella ha sentore il nemico, diventa un’imprudenza, e ciò che giova a lui nuoce di conseguenza a te. Perchè se mai il nemico è informato del tuo progetto, col tuo stesso ritrovato

e’ ti tappa la bocca e ti lega le mani,

e contro te si vale de' medesimi piani immaginati a danno suo. Frattanto vo’ dare un'occhiatina, in caso ci fosse, ad acchiappare, con le orecchie distese, ciò che qui si combina, un qualche cacciatore a dritta od a mancina (guarda intorno).

Bravissimo! È deserta l’area sino laggiù

in fondo della piazza. Posso chiamarli: Su, fuori, Periplecomene, olà, Pleusicle, fuori!

Eccoci ad obbedirti.

(41)

Par.

PLeu.

Per.

Pan.

PLEU.

Per.

PLeu.

Per.

Prev.

Per.

Pat.

Preu.

LS

Comandar lor signori, tanto buoni, è assai facile. E adesso vo’ sapere se noi dobbiamo agire secondo quel parere che s'è adottato dentro.

Più adatti non ce n'è.

(a Pleu.) E a te che te ne pare?

Può dispiacere a me quello che piace a voi? C'è altri che mi sia

intimo come te? (a Peripl.)

Parli con cortesia e giusto.

È quel che deve fare.

Mah! questa cosa mi contrista: m'è al fisico e al morale incresciosa.

Che cos'è che ti crucia? Sentiamo.

Ch'io ti metta all'età tia in questa faccenda poco netta da giovanotti e ti chieda un servizio indegno di te e delle tue qualità, e a tal segno

* ti veda infervorarti per aiutarmi in questo amore e far di quelle cose che un uomo onesto all’età tua più che cercare suol fuggire.

Dar tali brighe a un vecchio! Io mi sento arrossire.

Il tuo amore è d’un genere nuovo se tu arrossisci di qualsivoglia cosa che intraprendere ardisci.

No, non ami: se’ l'ombra, Pleusicle, d’un amante, non un amante vero.

Ma come? darti tante brighe per amor mio quell'età ?

Che dici?

O che proprio ti paio un di que' de' felici pagsi di Plutone? roba da cataletto ?

Trovi forse che al mondo ci sto già da un pezzetto?

Ho cinquantaquattr’anni e non più, per la bella Venere! ho buona vista, man sciolta e gamba snella.

Capelli bianchi ha lui, non anima senile:

conserva inalterata l’indole giovanile.

(a Pal.) Di questo che tu dici ne faccio l’esperienza, Palestrione mio; la sua condiscendenza

è da giovanottino.

1 militare famfarone. 3

(42)

Per.

Puev.

Per.

Prev.

PLeu.

A (00

(a Pleu.) Anzi, ospite, più andrai avanti con la prova, meglio conoscerai l'affetto che ti porto, mio bell’innamorato.

C'è bisogno d’apprendere quello che s'è imparato?

Mi mostrerò gentile più a fatti che a parole.

ded ak se amo e ® e & £ £ & * #

Cosa sia gentilezza quei che t'ospita vuole che tu lo provi in casa e non lo chieda fuori.

Solo chi è stato amante sa tollerar gli umori degli amanti. Un tantino in corpo m'è restato e d’amore e d'umore, nè ancor m'han disseccato i piaceri e i sollazzi. Mi trovi, in modo uguale, motteggiatore arguto e allegro commensale.

Gli altrui discorsi a tavola non interrompo mai, ed opportunamente sempre mi ricordai

di non esser molesto ai convitati. Ciarlo

quando mi tocca; quando parla un altro non parlo.

Non sputacchio, non scracchio, non ho la goccia al naso, tengo le mani a posto se mi trovo, per caso , seduto, in un convito, presso l’innamorata d'un altro; non arraffo la tazza o la portata.

Tafferugli, per causa d’'ubbriachezza, non ne ho fatti nascere mai: piuttosto me ne vo

a casa, dando un taglio alle chiacchiere, se

qualcuno mi dà noia. È un dovere per me,

stando a mensa, mostrarmi amabile, giulivo, graziosissimo. E ciò perchè sono nativo d’Efeso, non pugliese d'Animula.

O il vecchietto garbatissimo! se possiede, come ha detto, .

‘queste virtù; gli ha dato il latte, in verità,

la dea Venere, non c'è dubbio.

(a Plew.) A quest’età

tu non ne trovi un altro pronto a tutte le parti com'è l’amico nostro, e più disposto a darti splendide prove di vera amicizia.

(a Per.) To dico

che tutte queste tue virtù, mio buon amico, ti fanno un vero tipo di cortesia. Per me, sono pronto a pagare a peso d'oro tre uomini che ne siano dotati.

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