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LA COLPA GRAVE. di Nicola Monfreda

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Academic year: 2022

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LA COLPA GRAVE

1. La concezione psicologica e la concezione normativa della colpa; 2. I criteri di individuazione della colpa grave; 3. Brevi considerazioni finali.

di Nicola Monfreda

1. La concezione psicologica e la concezione normativa della colpa.

L’ordinamento giuridico, al fine di poter affermare la sussistenza della responsabilità di un soggetto1 in conseguenza della commissione di un’azione illecita, richiede che vi sia il preventivo e necessario accertamento della colpevolezza; questa rappresenta il momento della rimproverabilità soggettiva, in quanto si deve verificare che l’evento dannoso possa essere attribuito personalmente al suo autore in base alla sua capacità di intendere e di volere, al nesso psichico con cui ha realizzato il fatto, ed alle circostanze in cui si è formata la sua volontà. Il nesso psichico tra l’agente e l’azione da questi realizzata viene meno nel momento in cui sussiste il difetto di uno dei presupposti su cui si regge l’imputazione.2

Nel campo civilistico, sia che si tratti di responsabilità aquiliana ( art.2043 c.c.) che contrattuale (artt.1176, 1218 e 2236 c.c.), è necessario che l’evento dannoso sia la conseguenza di un comportamento doloso o colposo dell’agente. Pertanto, la colpa, assieme al dolo, rappresenta uno dei criteri di imputazione del danno. Una definizione di colpa non è contenuta nel codice civile per cui usualmente si procede, per la sua definizione, in analogia con quanto disposto dal codice penale. Mentre il dolo è l’intenzione e la consapevolezza di agire in modo illegittimo (l’atto e l’omissione sono quindi

1 A prescindere dal fatto che la responsabilità sia civile, penale o amministrativa, tenuto comunque conto delle differenze di cui si parlerà nel prosieguo.

2 PADOVANI T., Diritto penale, quinta edizione,Giuffrè editore,Milano, 1999,pag. 293, a tal proposito sottolinea che “non vi sarebbe dunque, da un punto di vista astrattamente logico, alcuna necessità di prevedere autonome cause di esclusione, le quali non possono costituire che l’aspetto negativo di ciò che è richiesto in termini positivi. In pratica, però, la situazione è diversa: la legge si occupa di definire le cause di esclusione del nesso psichico, proprio al fine di far emergere in modo rigoroso e puntuale il contenuto positivo che esso assume.”

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voluti, e talora attuati mediante inganni e raggiri per cui in certi casi si può sconfinare nella truffa), il delitto colposo invece è l' illecito commesso senza deliberata volontà ma in base a condotte scorrette per negligenza, imperizia, imprudenza, inosservanza di leggi, regolamenti, ordini e discipline. In altre parole, se il fatto è posto in essere con l’intenzione di nuocere, si avrà dolo;

se, invece, questa intenzione manca perchè l’atto ingiurioso non è stato voluto dall’agente, oppure, se voluto, non se ne vollero le conseguenze perchè non prevedute, ovvero ancora, pur se prevedute, apparve impossibile l’avverarsi, si avrà invece colpa3. In prima analisi, è fondamentale porre in risalto il fatto che, in una prima “fase interpretativa”, il concetto di colpevolezza civile è stato generalmente considerato come unitario rispetto alla nozione di colpevolezza penale4; in altri termini, ai criteri di valutazione soggettivi e concreti sul piano penale, si contrapponevano i criteri oggettivi ed astratti su quello civile. Pertanto, si riteneva che nel valutare la colpa il giudice civile dovesse confrontare, sulla base di standard medi, fissi ed assoluti, il comportamento del danneggiante con quello che sarebbe stato esigibile, nella medesima situazione, dal buon padre di famiglia (art.1176 c.c.), senza ritenersi opportuna una valutazione di tipo soggettivo, che tenesse cioè conto delle specifiche caratteristiche fisiopsichiche del convenuto, al quale si sarebbe potuto chiedere di volta in volta un grado di diligenza superiore o inferiore alla media. Dalle considerazioni de quibus, possiamo giungere alla conclusione che il sistema codicistico della colpa è evidentemente informato alla concezione psicologica, e, quindi, fondato sul modello astratto del buon padre di famiglia. L’art. 1176 c.c. prescrive che

"nell’adempiere l’obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia". Si precisa tuttavia, al secondo comma dello stesso articolo, che "nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di una attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata", e a tale precisazione fa da contrappunto l’art. 2104, precisando che "il prestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall’interesse dell’impresa

3 CHIRONI, La colpa del diritto civile odierno. La colpa contrattuale. Torino 1897, pag. 5 ss.

4 Vgs. sul punto Cass. 2593/72.

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e da quello superiore della produzione nazionale". Quindi, si distingue l’attività normale da quella professionale con esplicito riferimento sia al professionista che al prestatore di lavoro subordinato. Si deve inoltre sottolineare che la figura del buon padre di famiglia si traduce spesso, nel linguaggio legislativo, nell’espressione "normale" o "ordinaria diligenza".

L’art. 1227, secondo comma, a proposito del fatto colposo del creditore, sancisce che "il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza", mentre l’art. 1341, relativo alle condizioni generali del contratto, precisa che queste, qualora siano "predisposte da uno dei contraenti, sono efficaci nei confronti dell’altro, se al momento della conclusione del contratto questi le ha conosciute o avrebbe dovuto conoscerle usando l’ordinaria diligenza"; ed ancora l’art. 1838, concernente il deposito dei titoli in amministrazione, al quarto comma, sancisce che "è nullo il patto col quale si esonera la banca dall’osservare, nell’amministrazione dei titoli, l’ordinaria diligenza". Il legislatore del 1942, pertanto, come già sottolineato, abbraccia una concezione psicologica ovvero astratta ed obiettiva della colpa, in modo che la colpevolezza viene concepita come un nesso psichico astratto, fisso ed uguale in tutti i casi, perciò non graduabile, che fonda ed esclude, ma non gradua la responsabilità; necessario per stabilire l’an, ma estraneo alla valutazione del quantum di essa, che doveva essere determinato solo in base agli elementi obiettivi o obiettivabili, non ai motivi e situazioni personali, appartenenti invece al giudizio morale. “Merito della presente teoria è di avere posto in luce l’imprescindibile base naturalistico-psicologico della colpevolezza. Essa però presenta due limiti. Non solo è fallita nello sforzo dommatico di costruire la colpevolezza come concetto di genere, astraendo gli elementi comuni del dolo e della colpa, trattandosi, dal punto di vista psicologico, di due realtà irriducibili: il dolo è un’entità psicologica reale (coscienza e volontà) e la colpa un’entità psicologica potenziale (prevedibilità). Ma soprattutto tale teoria non ha mai consentito una reale graduazione della colpevolezza, imposta dalla insopprimibile esigenza di commisurare la responsabilità anche ai motivi dell’agire.. “5 Pertanto,

5 Sono le considerazioni di MANTOVANI, Diritto Penale, Padova 1992, pag.294 ess.

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l’interpretazione tradizionale, improntata ad una normalità statica, era essenzialmente fondata su un modello generale di diligenza astratta, criterio oggettivo ed unico di imputazione del danno in ragione del quale la colpa dipendeva da una valutazione astratta che prescindeva dalla situazione particolare del soggetto e, quindi, non “individualizzabile”. In realtà, sia la dottrina che la giurisprudenza hanno da tempo abbandonato il sistema astratto e statico de quo, per abbracciare la c.d. concezione normativa della colpa, in ragione della quale la colpevolezza è vista come il giudizio di rimproverabilità per l’atteggiamento antidoveroso della volontà che era possibile non assumere. “Anzichè una realtà psicologica, essa è un concetto normativo, che esprime il rapporto di contraddizione tra la volontà del soggetto e la norma: non dunque volontà di ciò che non doveva essere, ma volontà che non doveva essere, una volontà illecita. Da modi di essere della colpevolezza dolo e colpa ne diventano solo elementi, costituendo oggetto del rimprovero. Rinunciando a costruire la colpevolezza come il genus, astraendo gli elementi comuni del dolo e della colpa, la presente teoria si sforza di costruire un concetto unitario di colpevolezza, incentrato sulla comune essenza, cioè sull’atteggiamento antidoveroso della volontà che qualifica sia il dolo che la colpa. Il fatto doloso è un fatto volontario che non si doveva volere: si rimprovera alla volontà di averlo prodotto. Il fatto colposo è un fatto involontario che non si doveva produrre: si rimprovera alla volontà di non averlo impedito. In entrambi i casi il soggetto ha agito in modo difforme da come l’ordinamento voleva che agisse.”6 Tale teoria, quindi, non solo fonda ed esclude la responsabilità, ma la gradua: vuole offrire un concetto graduabile di colpevolezza secondo criteri di valore, essendo la volontà diversamente rimproverabile in ragione della sua maggiore o minore antidoverosità. E ciò al fine di soddisfare quelle esigenze di individualizzare la colpevolezza, di rapportarla alla varietà delle situazioni umane attraverso la valutazione dei processi interni di motivazione, come del resto la prassi giudiziaria quotidianamente fa nella commisurazione concreta della pena. In altre parole, l’attuale concezione della colpevolezza non può più sostenere che la colpa consista in un nozione obiettiva che

6 Sono le considerazioni di MANTOVANI, op.cit. pag.294e ss..

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prescinde dalla cattiva volontà del soggetto e dalla sua attitudine di emettere lo sforzo diligente voluto, così come non è possibile affermare che il soggetto che tiene un comportamento non conforme ai canoni obiettivi della diligenza è in colpa anche se abbia fatto del suo meglio per evitare il danno, senza riuscirvi a causa della sua inettitudine personale (imperizia, mancanza del normale grado di diligenza, età avanzata, ecc.) od economica7. Questo perché quando valutiamo la condotta del soggetto secondo un modello astratto, così come diamo un certo vantaggio all’uomo particolarmente esperto e capace, nello stesso momento addossiamo al soggetto capace meno della media questo sua deficienza, perchè lo valutiamo con la stessa severità con cui valutiamo l’uomo medio. Pertanto, viene ritenuto colpevole un soggetto anche se, dal punto di vista soggettivo, dovremmo concludere che in realtà da lui, date le sue modeste capacità e la sua modesta esperienza, non era umanamente possibile pretendere di più. In conclusione, la concezione normativa della colpa e, quindi, la valutazione della colpa in concreto, permette di sostenere che se la colpevolezza equivale a volontà riprovevole, la logica del sistema esige che si tenga sempre conto del livello delle doti individuali, in quanto non si può certamente rimproverare al soggetto di non aver fatto quello che non poteva realizzare; “va rilevato che questa conclusione non porta in nessun caso a dimenticare lo scopo di un’equa distribuzione dei danni, poichè, fondando la responsabilità sulla colpa, si dice che giusta è quella ripartizione per cui un soggetto sopporta l’incidenza economica di quei soli danni che egli poteva e doveva evitare..."8 Il giudizio sulla colpa è necessariamente relativo visto che l’evento può essere prevedibile ed evitabile per un tipo di soggetto e non per un altro.

Pertanto, la prevedibilità ed l’evitabilità rappresentano indefettibili elementi di imputabilità della colpa che devono essere ancorate al c.d. parametro relativistico dell’agente-modello “eiusdem professionis et condicionis”. In sostanza, alla luce delle considerazioni de quibus, si è abbandonata la concezione psicologica della colpa, secondo la quale ciò che conta è il nesso psichico tra agente e fatto dannoso, e si è accettata la concezione normativa,

7 Vgs. BIANCA, Diritto civile, vol. V. La responsabilità, Milano, 1994, pag. 575.

8 Sono le considerazioni di CIAN, Antigiuridicità e colpevolezza, Padova 1966, pag. 207 ss..

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secondo la quale è rilevante il rapporto di contraddizione tra la volontà del soggetto e la norma, cioè l’atteggiamento antidoveroso della volontà.

2. I criteri di individuazione della colpa grave.

La concezione normativa della colpa permette una sua graduazione9 in base alla maggiore o minore antidoverosità del comportamento; graduare la colpa significa, pertanto, porre in corrispondenza la gravità della colpa e l’entità dei danni da risarcire10. Tra l’altro, una distinzione della colpa è rilevante ai fini della determinazione della responsabilità di determinati soggetti giuridici; basta pensare al professionista11 che, in ottemperanza della disposizione di cui all’art.223612, “se la prestazione implica la

9 Sembra opportuno sottolineare che non sono mancate posizioni contrarie alle teorie dei gradi della colpa. MAIORCA, voce “Colpa civile (Teoria generale)”, Enciclopedia del Diritto VII, Milano 1960, pag. 568 sostiene che "la teoria tradizionale dei gradi della colpa è errata, in quanto tende a portare sul piano giuridico diversità che non toccano il momento giuridico della colpa, bensì il momento di fatto della diligenza, della cui valutazione è questione...la gravità non è relativa ai pretesi diversi gradi della colpa, intesi quali figure (forme) di qualificazione giuridica, ma semplicemente alla valutazione della diligenza riferita alle circostanze. Il giudice cioè potrà valutare una negligenza più grave o meno grave in relazione alle circostanze in cui il comportamento del soggetto siasi svolto, ma il momento di valutazione sarà pur sempre quello del buon padre di famiglia; e sarà pur sempre uno ed uno solo, chè altrimenti non avrebbe neppur senso di ricercare cosa voglia dire gravità maggiore o minore, o rigore di valutazione maggiore o minore.. ciò che qui ci preme stabilire è che la colpa, come forma di qualificazione giuridica e come criterio di qualificazione e di imputazione causale, è pur sempre una”.

10 Si tratta del resto di un principio che è già sancito nel vigente codice civile a proposito del concorso di colpa del danneggiato e della azione di regresso fra condebitori solidali. Per quanto riguarda il primo caso, l’art. 1227 prescrive che "se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate". Per quanto riguarda il secondo caso, il secondo comma dell’art.

2055 sancisce che "colui che ha risarcito il danno ha regresso contro ciascuno degli altri, nella misura determinata dalla gravità della rispettiva colpa e dall’entità delle conseguenze che nel sono derivate".

11 Vgs. sul punto MONFREDA N., La responsabilità professionale, in Rivista della Scuola Superiore dell’Economia e delle Finanze n.3/2005.

12 La sentenza della Cass. civ., sez. II, 17 marzo 1981 n. 1544 ha sostenuto che: “L'art. 2236 c.c.- a norma del quale, se la prestazione implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficolta', il prestatore d'opera risponde dei danni solo in caso di dolo e colpa grave - sebbene collocato nell'ambito della regolamentazione del contratto d'opera professionale, e' applicabile, oltre che nel campo contrattuale, anche in quello extracontrattuale, in quanto prevede un limite di responsabilita' per la prestazione dell'attivita' professionale in genere, sia che essa si svolga sulla base di un contratto, sia che venga riguardata al di fuori di un rapporto contrattuale vero e proprio”.

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soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà”..”non risponde dei danni, se non in caso di dolo o colpa grave”13. Altro riferimento al dolo o colpa grave si rinviene nell’art. 414 del codice della navigazione, relativo al trasporto amichevole da parte del vettore marittimo. E si può citare in proposito anche l’art. 1229 c.c. secondo il quale "è nullo qualsiasi patto che esclude o limita preventivamente la responsabilità del debitore per dolo o colpa grave" ed "è nullo altresì qualsiasi patto preventivo di esonero o di limitazione di responsabilità per i casi in cui il fatto del debitore o dei suoi ausiliari costituisca violazione di obblighi derivanti da norme di ordine pubblico". Altre volte il codice non parla di dolo o colpa grave ma dispone che la responsabilità debba essere valutata con "minor rigore". E’ il caso di cui all’art. 1710 c.c., secondo il quale "il mandatario è tenuto ad eseguire il mandato con la diligenza del buon padre di famiglia; ma se il mandato è gratuito, la responsabilità per colpa è valutata con minor rigore"; ed è ancora il caso di cui all’art. 1768, secondo il quale "il depositario deve usare nella custodia la diligenza del buon padre di famiglia. Se il deposito è gratuito, la responsabilità per colpa è valutata con minor rigore". Formula diversa, ma che nella sostanza non differisce da quella del cosiddetto "minor rigore" è usata dal codice a proposito delle obbligazioni del gestore. Dispone l’art. 2030 c.c. che "il gestore è soggetto alle stesse obbligazioni che deriverebbero da un mandato. Tuttavia il giudice, in considerazione delle circostanze che hanno indotto il gestore ad assumere la gestione, può moderare il risarcimento dei danni ai quali questi sarebbe tenuto per

13 E’ bene precisare che la giurisprudenza e la migliore dottrina hanno operato, all'interno della previsione dell'art. 2236 cod. civ., una distinzione che merita di essere ricordata: la norma si applicherebbe soltanto quando in discussione sia la perizia del professionista, non quando, al contrario, ci si trovi di fronte all'imprudenza o all'incuria, auspicandosi, in relazione a queste ultime, giudizi improntati a criteri di normale severità. Infatti, la Cass. civ. sez. III, 1 agosto 1996, n.

6937 ha sostenuto che: “La disposizione di cui all'art. 2236 c.c. -che, nei casi di prestazioni implicanti la soluzione di problemi tecnici di particolare difficolta', limita la responsabilita' del professionista ai soli casi di dolo o colpa grave - non trova applicazione ai danni ricollegabili a negligenza ed imprudenza, essendo essa circoscritta, nei limiti considerati, ai casi di imperizia ricollegabili alla particolare difficolta' di problemi tecnici che l'attivita' professionale, in concreto, renda necessario affrontare. (Nella specie, e' stata esclusa l'applicabilita' della menzionata disposizione in relazione al comportamento di un avvocato che, pur avendo ricevuto dal proprio assistito un foglio in bianco contenente una procura, aveva omesso di impugnare il licenziamento subito dall'assistito stesso, cagionandogli, cosi', danni risarcibili).”

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effetto della sua colpa". Per quanto riguarda la responsabilità amministrativa dei dipendenti pubblici l'art. 1 della legge 14 gennaio 1994, n.

20, (modificato dalla legge 23 ottobre 1996 n. 543) sancisce la regola secondo la quale gli amministratori ed i dipendenti pubblici rispondono solo dei fatti e delle omissioni connotati da dolo o da colpa grave. Nell’ipotesi di colpa lieve, invece, il dipendente è esente da responsabilità amministrativa e contabile; il rischio dell’eventuale danno ricade interamente sulla P.A.

Pertanto, in tale ambito, la distinzione tra colpa grave e colpa lieve è particolarmente importante, perché mentre la colpa lieve potrà essere moralmente censurabile, ma non comporta alcuna conseguenza giuridica, la colpa grave, invece, comporta la responsabilità giuridica e il conseguente obbligo del risarcimento del danno. La graduazione della colpa, inoltre, come sottolineato in precedenza, rileva ai fini della determinazione dell’entità del danno risarcibile. A tal proposito la Corte dei Conti, abbracciando la concezione normativa della colpa, riconnette l’azione produttiva di un evento dannoso alle circostanze di fatto ed alle condizioni e capacità (anche economiche) proprie del soggetto. Nella sentenza n. 17 dell’2 marzo 1976, della Seconda Sezione Giurisdizionale, la Corte dei Conti ha affermato che, "nell’uso del potere equitativo di riduzione dell’addebito, il giudice contabile può utilizzare gli elementi contemplati dall’art. 133 c.p. e, in via sussidiaria, i criteri di graduazione delle sanzioni disciplinari, propri della normativa interna di ogni apparato amministrativo"; nella sentenza n. 662, del 19 aprile 1990, ha sancito che "il potere di riduzione dell’addebito che spetta alla Corte dei conti ha un fondamento di diritto pubblico, poichè nella relativa valutazione equitativa deve tenersi conto delle circostanze ambientali e soggettive (non solo al momento della causazione del danno, ma anche in momenti precedenti o successivi) quali emergono dalla valutazione della posizione e condizione personale del responsabile nell’ambito del rapporto di servizio che lo lega alla Pubblica Amministrazione; ne consegue che possono essere favorevolmente valutati - tenuti anche presenti i princìpi cui si ispirano gli artt. 54 e 97 della Costituzione e l’art. 133 c.p. - i precedenti di carriera, la particolare tenuità della (eventuale) condanna penale riportata, nonchè la modestia delle

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condizioni economiche in rapporto all’aliquota di rischio inerente in ogni modulo organizzatorio". Ad ogni modo, appare evidente la necessità di individuare i criteri al ricorrere dei quali è ravvisabile la sussistenza della colpa grave. Questa sussiste nella condotta di colui che agisce con straordinaria ed inescusabile imprudenza, e che omette di osservare non solo la diligenza del buon padre di famiglia, ma anche quel grado minimo ed elementare di diligenza che tutti osservano (Cass. 2260/70). In altre parole, è frequente (ad es. Corte dei Conti sez. II n. 73 del 1997) il riferimento allo scostamento dal basilare parametro del “buon padre di famiglia”, che concretizzerebbe quella “culpa lata” propria di chi non “intelligit quod omnes intelligunt”. Al fine della individuazione della colpa grave, inoltre, si è ritenuto (Corte dei Conti Sez. Molise, sentenza n.89/2001) che possa farsi riferimento alle norme che precisano questo livello di colpevolezza, quali l’art. 5 del d.lvo 472/9714 (sulle sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie), nel testo sostituito dall’art. 2 del d.lvo 203/98, secondo il quale “la colpa è grave quando l’imperizia o la negligenza del comportamento sono indiscutibili e non è possibile dubitare ragionevolmente del significato e della portata della norma violata e, di conseguenza, risulta evidente la macroscopica inosservanza di elementari obblighi tributari”, oppure l’art.2 della legge 117/88 (sulla responsabilità dei magistrati) che definisce grave la violazione di legge “determinata da negligenza inescusabile”. Infatti, in quest’ambito normativo più determinato si giustificano le varie specificazioni della gravità della colpa proposte dalla giurisprudenza, quali: l’inosservanza del minimo di diligenza;

la prevedibilità e prevenibilità dell’evento dannoso; la cura sconsiderata e arbitraria degli interessi pubblici; il grave disinteresse nell’espletamento delle funzioni; la totale negligenza nella fase dell’esame del fatto e dell’applicazione del diritto; la macroscopica deviazione dal modello di condotta connesso alla funzione; la sprezzante trascuratezza dei doveri di ufficio resa ostensiva attraverso un comportamento improntato alla massima negligenza o imprudenza ovvero ad una particolare noncuranza

14 Le violazioni commesse nell’esercizio dell’attività di consulenza tributaria e comportanti la soluzione di problemi di speciale difficoltà sono punibili solo in caso di dolo o colpa grave.

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degli interessi pubblici ( Così Corte dei Conti SS.RR. 14 settembre 1982, n.313; 22 febbraio 1997, n.27/A). Non tutti i comportamenti censurabili integrano gli estremi della colpa grave, ma soltanto quelli contraddistinti da precisi elementi qualificanti che vanno accertati volta per volta in relazione alle modalità del fatto, all’atteggiamento soggettivo dell’autore, nonché al rapporto tra tale atteggiamento e l’evento dannoso. Andrebbe cioè rapportato il comportamento dell'agente con quello che sarebbe stato necessario in ossequio a specifiche prescrizioni normative o comunque desumibili dalle comuni regole di cautela; ed il raffronto va effettuato utilizzando due criteri di valutazione, l'uno oggettivo (relativo all'individuazione dello standard di diligenza richiesto) e l'altro soggettivo (relativo alla valorizzazione delle cause che hanno indotto l'agente a discostarsi dalle prescritte regole di prudenza). A tal proposito, un fondamentale contributo è apportato dalla giurisprudenza contabile. Indici di riconoscimento di tale grado della colpa sono stati ritenuti, infatti, la previsione dell’evento dannoso (c.d. colpa cosciente), più in generale la sua prevedibilità, ovvero il superamento apprezzabile dei limiti di comportamento dell’uomo medio, o anche il notevole superamento di detti limiti, per chi riveste una figura professionale alla quale vanno richieste particolari doti di diligenza, prudenza e perizia. Pertanto, anche nell’ambito della responsabilità amministrativa dei dipendenti pubblici, il relativo giudizio deve ispirarsi ad una considerazione globale di tutti gli elementi di fatto e di diritto ricorrenti nelle singole fattispecie concrete, con particolare riferimento all’atteggiamento tenuto dal convenuto in relazione agli obblighi di servizio ed alle regole di condotta relativi allo svolgimento degli specifici compiti di ufficio affidati alla sua responsabilità (Corte dei conti, SS.RR.

7/1/98, n. 1/A). La giurisprudenza della Corte dei Conti ha elaborato una serie di figure sintomatiche al fine di semplificare l’attività ermeneutica. Si è parlato, quindi, di inosservanza del minimo di diligenza; prevedibilità e prevenibilità dell’evento dannoso; assenza di difficoltà oggettive ed eccezionali nell’ottemperare ai doveri di servizio violati ; violazione di quei comportamenti che anche i meno diligenti e cauti sogliono osservare;

atteggiamento di grave disinteresse nell’espletamento delle funzioni, agendo

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senza le opportune cautele; deviazione macroscopica dal modello di condotta connesso ai propri compiti, senza il rispetto delle comuni regole di comportamento; comportamento gravemente negligente sia riguardo all’esame del fatto (omissione di tale esame o aver limitato questo ad aspetti marginali), sia riguardo all’applicazione del diritto (nelle diverse forme dell’imperizia, dell’inosservanza, o dell’erronea interpretazione delle norme). La colpa grave consisterebbe, quindi, in una sprezzante trascuratezza dei doveri d'ufficio resa palese da un comportamento improntato alla massima negligenza o imprudenza, ovvero da una particolare noncuranza dell'interesse della p.a. o ancora da una grossolana superficialità nell'applicazione delle norme di diritto. La Corte dei Conti, come visto in precedenza, abbracciando un indirizzo relativistico che tiene in considerazione tutte le circostanze che possono influire sull’atteggiamento psicologico dell’agente, ha più volte affermato che la determinazione del grado della colpa deve essere compiuta tenendo conto delle qualità dell’agente, al fine di stabilire il quantum di esigibilità dell’osservanza delle regole che si assumono violate, venendo, pertanto, in rilievo la qualifica professionale del soggetto, la posizione funzionale nonchè le specifiche competenze ed attribuzioni ed in relazione a tali elementi potrà esigersi un maggior o minor grado di diligenza e perizia.(sez. Toscana n. 313 del 1997).

Inoltre per le SS.RR della Corte ( sentenza n. 66 del 1997) il significato della colpa grave deve porsi in rapporto diretto con la qualità dell’organizzazione amministrativa, nel senso che in organizzazioni di livello buono o ottimale la valutazione della gravità della colpa sarà corrispondentemente più rigorosa.

I giudici hanno affermato, altresì, che non vanno sanzionati solo quei comportamenti che costituiscono macroscopiche inosservanze dei doveri di ufficio, ma la colpa va valutata in concreto in base ai criteri della prevedibilità ed evitabilità della serie causale produttiva del danno ed al principio di ragionevolezza, che è alla base della limitazione di responsabilità di cui trattasi, e che si collega alla necessità di garantire un più sollecito ed efficiente svolgimento dell’azione amministrativa. La sentenza n. 178 del 1999 della I sez. giur., ha affermato che, per la valutazione della colpa grave, “si tratta di procedere all’analisi, sulla base

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degli atti di causa, della condotta del soggetto nel contesto in cui è stata posta in essere, individuando i fatti e le circostanze influenti sul processo formativo e determinativo della volontà, interni ed esterni al soggetto stesso…; a tal fine non è dubitabile che assumono rilevanza la situazione di fatto nella quale è stata posta in essere la condotta, costituita da tutti quegli elementi che abbiano variamente condizionato la volontà dell’agente…”. La sentenza delle SS.RR della Corte n. 56 del 1997, pur partendo dalla usuale affermazione che la colpa grave consiste nella evidente e marcata trasgressione di obblighi di servizio o di regole di condotta che si concretizza nell’inosservanza di quel minimo di diligenza richiesto nel caso concreto, in una marcata imperizia o una irrazionale imprudenza, indica come connotazioni di tale trasgressione: che sia ex ante astrattamente riconoscibile per dovere professionale di ufficio; che non sussistano oggettive ed eccezionali difficoltà nello svolgimento dello specifico compito di ufficio; che nel caso di potenziale e particolare pericolosità delle funzioni esercitate dal soggetto, questo non si sia attenuto all’obbligo di usare il massimo della cautela e dell’attenzione; che nel caso di illecito che si concreti in comportamento omissivo, questo sia pervicace ed ingiustificato, tale da rendere ostensiva la volontà del soggetto di disinteressarsi deliberatamente di adempimenti che gli fanno carico. La sentenza de quo, inoltre, ha permesso di individuare un profilo più preciso di colpa grave distinguendo la colpa grave nella applicazione di norme giuridiche, quando si verifica un errore nell’interpretazione di una norma, nonostante l’obbiettiva certezza interpretativa, ovvero quando la scelta sia stata fatta in base ad opinioni soggettive, senza tener conto di direttive, istruzioni, indirizzi, prassi e pronunce giudiziali conoscibili; la colpa grave nelle scelte tecniche individuabile nell’errore professionale (inescusabile allorchè vengano violate regole precise) oppure nella mancata attivazione del procedimento di aggiornamento culturale che avrebbe consentito di conoscere la regola d’azione da seguire; la colpa grave nelle scelte discrezionali, essendo decisivo, per la sussistenza della colpa grave, l’inescusabilità dell’errore nell’individuazione delle regole da seguire, l’obbiettiva rilevabilità dell’evento dannoso, e la conoscenza del

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comportamento diverso che doveva essere seguito; la colpa grave nell’attività di organizzazione e direzione (Tenuto conto delle recenti riforme sul pubblico impiego che hanno dato, almeno ai vertici dirigenziali, nuovi poteri in materia di disciplina degli uffici e dotazioni organiche, una attività gravemente colposa, in tale ambito, potrebbe ravvisarsi nelle ipotesi in cui manchino provvedimenti organizzativi, o gli stessi siano solo apparenti, ovvero non si siano apportati dei correttivi, nonostante l’emergere di nuove esigenze. Strettamente connessa è la problematica della colpa grave per omessa o inadeguata vigilanza). Inoltre, dall’analisi della sentenza 29 maggio 2001, n. 1135 della Corte Dei Conti, sez. Emilia-Romagna, che sanzionava come colpa grave il comportamento di un Primario ospedaliero che ricoverava ripetutamente la propria madre ultraottantenne nel suo ospedale per periodi eccessivamente prolungati e, in un caso, saltando il parere del medico di accettazione, si evince che costituiscono criterio di individuazione della colpa grave la reiterazione prolungata del comportamento illecito, il comportamento diffusamente noncurante delle normative in vigore e la macroscopica violazione delle norme di appropriatezza, ingiustificabile in base ai comuni criteri di diligenza15. In conclusione riportiamo la sentenza 15 gennaio 2001 8/EL/2001 della Corte Dei Conti, Sezione Puglia , a proposito del comportamento non collaborativo di uno specialista causato dalla mancanza o dall’assoluta inadeguatezza degli strumenti messi a disposizione del dipendente, nella quale si stabilisce che

"Costituisce colpa grave non aver curato il tempestivo acquisto di attrezzature, occorrenti per lo svolgimento dell’attività professionale da parte di un medico specialista convenzionato, nonostante la disponibilità

15 “Lo scostamento rilevabile, ad un esame comparativo, tra la condotta in astratto prescritta dalla normativa vigente e la condotta in concreto tenuta dal convenuto (come provata dalle cartelle cliniche disponibili) è di tale evidenza da essere di per sé ostensivo dell'esistenza di un atteggiamento psicologico improntato ad assoluta indifferenza nei confronti dei vincoli posti dall'ordinamento a tutela dell'interesse pubblico: si deve allora affermare che, anche se il soggetto agente non ha voluto l'evento dannoso, lo ha però determinato grazie alla sua negligenza, negligenza così marcata da imporre la necessità di configurare il suo operato come gravemente colposo. Costituiscono indici eloquenti della gravità della colpa: la reiterazione di ricoveri impropri, il loro perdurare per un tempo da 5 a 11 volte superiore alla degenza media di reparto … ed il mancato rispetto persino delle disposizioni vigenti in materia di ammissione al ricovero ospedaliero".

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dei fondi e la conoscenza della necessità dell’acquisto. Costituisce colpa grave, sotto il profilo dell’ingiustificabile negligenza, il ritardo nell’esecuzione di un adempimento, quando vi è un’evidente e macroscopica sproporzione tra l’assoluta semplicità dell’adempimento ed il tempo impiegato per attuarlo, (nella specie sono stati impiegati circa otto mesi far pubblicare l’avviso dell’indizione di una trattativa privata)."

3. Brevi considerazioni finali.

La legge della Provincia autonoma di Bolzano recante "Responsabilità amministrativa degli amministratori e del personale della Provincia e degli enti provinciali", rinviata dal Governo e riapprovata, nella seduta del 3 febbraio 2000, a maggioranza assoluta dal Consiglio provinciale, ha introdotto tramite l’art. 2, c. 316, una tipizzazione dei casi di colpa grave, tipizzazione che, ancorché attenuata in sede di riapprovazione attraverso la introduzione della locuzione "in particolare", che renderebbe tale tipizzazione esemplificativa e non esaustiva, è stata dichiarata incostituzionale dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 340 del 24 ottobre 2001, in quanto “la norma viene ad alterare il concetto di colpa grave, riducendo la portata della relativa responsabilità senza alcun riferimento al contenuto delle funzioni dei dipendenti ed amministratori e attribuzioni degli uffici". Come è stato autorevolmente sottolineato17

“l’affidamento al giudice, in base alla motivata valutazione delle circostanze concrete, del compito di qualificare i comportamenti

16 L’art. 2 al n.3 prevede quattro specifiche ipotesi di colpa grave:

· la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile;

· l’affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento;

· la negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento;

· l’emissione di un provvedimento concernente la libertà delle persone fuori dai casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione.

E’ poi, ulteriormente, specificato, all’art.2 n.2, che non può dar luogo a responsabilità l’attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove.

17 Vgs. Antonio Ciaramella, Vice Procuratore Generale della Corte dei conti Spunti per una riflessione sulla colpa grave nella responsabilità amministrativa. Riferimenti anche alla dottrina e giurisprudenza civilistica e penalistica.

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gravemente colposi, costituisce una garanzia non solo per l’ordinamento, ma per gli stessi operatori pubblici, in quanto elimina il rischio che una cristallizzazione delle ipotesi di colpa grave possa far rivivere delle responsabilità “formali”.

13 giugno 2014 Nicola Monfreda

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