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Academic year: 2021

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07-11-2020

3

Domani

I PeoTocoLu

SULLA

SICUREZZA

Ecco

perché

le fabbriche

non

chiudono

come

a

marzo

FRANCESCO SEGHEZZI ricercatore

Le fabbriche restano aperte. Nessu-no ha messo in dubbio, nell'este-nuante discussione che ha accom-pagnato il rito di definizione dei contenuti dell'ultimo Dpcm, que-sto fatto. Eppure ricordiamo anco-ra il dibattito intorno alla decisio-ne del governo nel marzo scorso di utilizzare i codici Ateco per indivi-duare i settori essenziali, che pote-vano continuare a operare. Questa seconda ondata non ha certo una portata inferiore, dunque cosa è cambiato?

Sicuramente la situazione econo-mica rende oggi ancor più insoste-nibile rispetto alla primavera una chiusura forzata dell'industria e, dal punto divista industriale, il loc-kdown italiano ha avuto una esten-sione e una durezza molto maggio-ri di ogni altro paese europeo. Ci so-no poi alcuni dati che potrebbero aver convinto il governo a tenere aperte le industrie. L'ultimo rap-porto annuale dell'Inps fornisce dati sui contagi nel settore mani-fatturiero: il contagio dei lavorato-ri di questi settori è stato in genera-le molto basso tanto che la diffe-renza pre e post misure dei diversi Dpcm è stata quasi nulla.

Molte industrie sono rimaste aper-te in virtù dalla scelta di lasciare ai prefetti la valutazione delle richie-ste unilaterali delle imprese in me-rito alla riapertura di attività «che sono funzionali ad assicurare la continuità delle filiere» rappresen-tate dai codici Ateco ritenuti essen-ziali

Soggetti, le prefetture, per i quali erano più che legittimi i dubbi in

merito alla loro capacità di valuta-zione preventiva di quali imprese fossero davvero essenziali perché inserite all'interno di filiere pro-duttive più ampie. E infatti si è pro-ceduto poi con il criterio del silen-zio-assenso: tutte le imprese che chiedevano deroghe le vedevano automaticamente accettate, anche a causa della quantità ingente di domande pervenute in breve tem-po. Ciononostante, tante fabbri-che hanno chiuso per alcuni perio-di e questo ha sicuramente inciso sulla performance del Pil italiano per il 2020 che proprio in questi giorni la Commissione europea ha posizionato al penultimo posto prima della Grecia.

Le intese con i sindacati C'è un ulteriore elemento che è ri-masto sullo sfondo ma che ha con-tribuito a non mettere neanche in discussione la chiusura delle fab-briche durante la seconda ondata. Si tratta delle migliaia di protocolli sottoscritti da sindacati e imprese nelle singole aziende e che hanno regolato, e tutt'oggi regolano, lo svolgimento delle attività lavorati-ve per garantire allo stesso tempo continuità nella produzione e sicu-rezza dei lavoratori.

Sono documenti che regolano, ad esempio, distanziamenti, numero massimo di persone, utilizzo dei di-spositivi di protezione e altro anco-ra. L'idea maturata (con una preci-sa volontà politica) negli ultimi an-ni di considerare le parti sociali e i corpi intermedi come realtà inuti-li e vetuste dovrebbe essere ampia-mente rivista alla luce di tutto que-sto. Oggi è molto raro sentire rap-presentanti sindacali chiedere una nuova chiusura delle

fabbri-che proprio perché consapevoli che il mito secondo cui salute e pro-duzione sarebbero inconciliabili è caduto di fronte all'impegno di en-trambe le parti nel costruire le con-dizioni perché questo nonfosse ne-cessario. Questo dovrebbe farci guardare in modo diverso al ruolo che le parti sociali oggi possono avere non solo nel contenimento del contagio ma anche nel sostene-re i fragili equilibri economici e so-dali all'interno di una fase in cui, anche a fronte di molte attività pro-duttive aperte, l'incertezza è eleva-ta, i consumi deboli e le produzio-ni ancora fortemente rallentate. L'esperienza della crisi del 2008 ci ha mostrato, anche se si tende a non ricordarlo, come siano stati proprio i contratti aziendali ad aver tenuto in piedi buona parte del tessuto produttivo. Contratti, che nelle ultime settimane stanno iniziando a tornare, in cui sindaca-to e imprese rinunciano rispettiva-mente a qualcosa per tentare di sal-vaguardare la stabilità occupazio-nale.

Allo stesso modo il "Fondo nuove competenze" introdotto dal gover-no per coprire il costo delle ore di lavoro in cui si svolgeranno attivi-tà formative necessiterà del ruolo centrale di un accordo collettivo aziendale o territoriale sottoscrit-to da sindacati e imprese.

Non si tratta certo di assolvere le parti sociali dai tanti limiti che non mancano di manifestare, quanto piuttosto provare a rivolge-re lo sguardo non solo alla dimen-sione nazionale quanto alle espe-rienze che avvengono nei territori e nelle singole aziende. Si potrebbe-ro scoprire risorse e esempi utili per tutto il paese.

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