Secondo capitolo
La politica monetaria com’è raccontata1
“The United States’ 1920-1985 official monetary policy doctrine was characterized by the idea of a control of the monetary base through open market operations, which would feed via the money multiplier into intermediate targets (some broad monetary aggregate) and eventually to ultimate targets” (Bindseil, 2014, p. 11-2)
“At least since joining central banking in 1994, the author has never heard any reference to the money multiplier in internal discussions on policy decisions or in public announcements from central banks, in particular with regard to open market operations” (Bindseil 2004, p. 21)
2.1. I libri di testo: sbagliati, anzi confusi
Se si esamina in maniera ravvicinata la manualistica macroeconomica convenzionale nei riguardi di moneta e politica monetaria si esce frastornati. In genere si è di fronte a quattro proposizioni caratterizzanti:
(i) Funzione delle banche: il ruolo delle banche è di intermediare i risparmi (depositi);
semplificando, possiamo assimilare questa proposizione a una versione ingenua della teoria dei fondi prestabili (loanable fund theory).
(ii) Risparmio e investimento: esiste un tasso di interesse (virtuale) denominati “naturale” al quale l’offerta di risparmio relativa al reddito di pieno impiego (risparmio di capacità) è assorbito dalle decisioni di investimento degli imprenditori;2
(iii) Moltiplicatore dei depositi: l’ammontare di depositi (credito) generati nell’economia dipende dall’ammontare di riserve fissato dalla banca centrale;
(iv) Politica monetaria: il tasso di interesse (monetario o di mercato) è fissato dall’intersezione dell’offerta di moneta decisa dalla banca centrale con la domanda di moneta che esprime la preferenza per la liquidità del pubblico.
// Lo studente registra in genere queste affermazioni senza chiedersi molto come stanno assieme (la proposizione (ii) non è inoltre ben spiegata nei moderni libri di testo).3 Ci si potrebbe infatti
1 Parti contrassegnate con // sono provvisorie.
2 Il reddito di pieno impiego è a sua volta definito come quello al quale lo stock di capitale è impiegato al livello considerato normale (desiderato) dagli imprenditori e lo stock di lavoro è occupato al livello compatibile con la stabilità dei prezzi (tasso naturale di disoccupazione o NAIRU).
3 Non è così per le due edizioni di Ackley (1961) (1978).
domandare come stanno assieme le determinazioni del tasso di interesse via (ii) e via (iv); inoltre, quale sia il legame fra (iii) e (iv), ovvero fra la fissazione dell’offerta di moneta in vista del
moltiplicatore dei depositi e in vista della determinazione del tasso di interesse? Infine,
l’ammontare di depositi desiderato dal pubblico ha a che fare coi risparmi o con la preferenza per la liquidità? //
// Equilibrio economico generale. Al meglio delle mie conoscenze una visione coerente delle quattro proposizioni potrebbe recitare come segue (supponiamo una economia chiusa senza pubblica amministrazione). Compito della banca centrale è di fare in modo, attraverso le operazioni di mercato aperto che il tasso di interesse di mercato sia uguale al tasso naturale in modo da assicurare piena occupazione e stabilità dei prezzi.4 Le variazioni dell’offerta di moneta sono lo strumento operativo della banca centrale anche se, nelle più recenti formulazioni, la banca centrale fissa il tasso obiettivo e accomoda l’offerta di liquidità alla domanda che il mercato
richiede a quel tasso (v. avanti sez. 4.4.2). Al tasso di interesse naturale l’offerta di risparmio è quella di pieno impiego; le banche intermedieranno tale offerta al tasso naturale sicché gli investimenti assicurano che la domanda aggregata sia adeguata al prodotto di pieno impiego (supponendo naturalmente che anche il salario reale sia al suo livello “naturale” determinato da un mercato del lavoro perfettamente flessibile). La preferenza per la liquidità, tuttavia, indicherà che, al tasso di interesse naturale, il pubblico desidera detenere i propri risparmi in una certa proporzione fra titoli e depositi. Si può dunque ritenere che le banche non intermedieranno tutto il risparmio, ma solo pro quota, mentre la restante parte verrà direttamente investita dalle famiglie in titoli emessi dalle imprese (le quali adegueranno le fonti di finanziamento, in un
qualche modo, alle decisioni di allocazione del risparmio, fra titoli e depositi, prese dalle famiglie).
L’ammontare di depositi detenuto dalle famiglie corrisponde dunque all’ammontare di credito desiderato dalle imprese. Dato il coefficiente di riserva obbligatorio (e l’ammontare di circolante desiderato dal pubblico come quota dei depositi) resta fissato l’ammontare di liquidità offerto dalla banca centrale. Avendo disponibile l’opportuna quantità di riserve, le banche genereranno un ammontare di credito precisamente uguale a quello desiderato dalle imprese e pari ai depositi desiderati dalle famiglie.//
4 Quindi il fatto che si sia vicini a questi obiettivi (in particolare al secondo) segnala che la banca centrale ha centrato il tasso di interesse naturale.
Esaminiamo ora criticamente (ma separatamente) i quattro aspetti sopra individuati.5 2.2. La funzione delle banche
C’è molta ambiguità nei libri di testo circa il ruolo delle banche.6 Il primo pilastro della visione tradizionale della politica monetaria riguarda la visione delle banche come intermediari che raccolgono risparmio sotto forma di depositi che impiegano per concedere prestiti a imprese e famiglie, una visione assimilabile a una versione ingenua della “teoria dei fondi prestabili”
(deposits create loans). Questa visione è precisamente all’opposto della teoria della creazione endogena di moneta bancaria/credito da parte degli istituti bancari esposta nel capitolo 1. Una semplice critica della teoria dei fondi prestabili è che se una banca deve ricevere un deposito da un’altra banca per concedere un prestito, la banca che ha perso il deposito dovrà a sua volta contrarre il credito di un medesimo ammontare, e il credito complessivo non varierà (Jakab e Kumhof 2015, p. 10). Non resta dunque che ritenere che le banche, prima di concedere nuovo credito, ricevano depositi da fuori del circuito bancario. Può sembrare che questo possa avvenire tramite un deposito di banconote: ma l’origine del circolante è un deposito che il pubblico ha ritirato sotto forma di banconote presso un’altra banca. Dunque, anche in questo caso, a una espansione di un deposito che consente un nuovo prestito in un punto del sistema, corrisponde una contrazione di un deposito e del relativo credito in un altro punto. Restano due strade per tentare di uscire da questa impasse.
5 L’analisi monetaria nella teoria marginalista sarà ulteriormente riconsiderata nel capitolo 3, sezione 1.1.
6 Blanchard definisce gli intermediari finanziari (che includono le banche) nel modo tradizionale di
“istituzioni che ricevono fondi dagli individui e dalle imprese e li usano per accordare prestiti e acquistare titoli” (ibid, p. 113). David Romer (2013, p. 131-2) precisa che: “Savers rarely make loans directly to the ultimate borrowers. Instead, they hold their assets through banks, money market mutual funds, pension funds, and other financial intermediaries. These intermediaries devote considerable resources to investigating possible uses of their deposits and, often, to making sure that their borrowers are using the funds they have obtained well”. Alla luce della teoria della moneta endogena gli intermediari finanziari vanno ben distinti fra quelli che sono in grado di creare credito ex nihilo (le banche) e i meri mediatori finanziari (per esempio fondi di investimento) che effettivamente intermediano risparmio (devono raccogliere fondi prima di prestarli). Sfortunatamente, David Romer (2000,p. 162) considera “confusing and painful the analysis on how the banking system ‘creates’ money” perpetuando così una visione distorta del sistema finanzario.
La prima è che il sistema bancario riceva depositi “in kind”, per esempio in grano, e presti “in kind”. Naturalmente qualcosa del genere potrebbe funzionare (con un po’ di immaginazione) solo in una economia di solo grano, in cui consumi, risparmi e investimenti consistano di soli cereali (Jakab e Kumhof 2015, p. 11).7 In una economia monetaria a più beni questa visione non ha senso.
In una economia monetaria il risparmio è il frutto delle decisioni di investimento. Come visto nella sezione 1.4 del capitolo 1, dal punto di vista del moltiplicatore keynesiano sono le decisioni di investimento, finanziate dalla creazione di credito bancario, a generare quelle di risparmio e non viceversa. Il risparmio non ha una esistenza indipendente dai beni (per esempio di investimento) in cui si incorpora (come disse una volta Dennis Robertson, il risparmio è l’unica cosa che non può essere risparmiata). Esso è il frutto dell’investimento.
Una difesa un po’ diversa e apparentemente più realistica dell’idea che le banche eroghino credito solo dopo aver ricevuto depositi, suggerisce che il settore bancario sconti un pagherò (un IOU) presentato dal settore privato e lo risconti a sua volta presso la banca centrale ottenendo riserve in cambio, e da qui si inneschi il cosiddetto moltiplicatore dei depositi bancari. In questo modo v’è una concessione all’idea delle banche come creatrici di credito subordinatamente al fatto di aver ricevuto nuove riserve. Il moltiplicatore dei depositi è esaminato più avanti.
C’è tuttavia una possibile versione meno ingenua della teoria dei fondi prestabili secondo cui, in equilibrio, dato il tasso di interesse naturale, a quel tasso le banche creano un ammontare di credito a favore degli investimenti programmati che è uguale precisamente uguale al risparmio potenziale di piena occupazione, risparmio che non si è ancora manifestato. Bertil Ohlin [1899- 1979] definirebbe tale risparmio virtuale come “planned” o ex-ante (v. avanti …). A fronte di
7 Così per esempio Stiglitz (2016, pp. 10-11): “Robertson [e Ohlin] had earlier proposed an alternative theory of interest determination, based on the demand and supply of savings. Some farmers decide not to consume or plant all their seeds, and some wish to use more than the seeds they have available, and the interest rate equilibrates the supply and demand of ‘loanable’ seeds.
(…) While such a theory may have made sense in a primitive agriculture economy, his theory does not describe a modern credit economy, where banks are central, and can create credit, within constraints imposed by government. In particular, there is no need for a bank to have seeds on deposit for it to create credit”. E’ interessante che Stiglitz sottoscriva la teoria della moneta endogena. Riteniamo tuttavia improbabile che Robertson o Ohlin (che proviene dalla scuola di Wicksell) abbiano sostenuto una versione così ingenua della teoria dei fondi prestabili. Bofinger e Ries (2017) ritengono che la debolezza della teoria dei fondi prestabili, valida solo in una “corn economy”, infirmi la teoria marginalista del tasso di interesse naturale. Questo non è giusto, basti ricordare come l’iniziatore di quest’ultima teoria, Knut Wicksell, avesse ben chiaro la capacità delle banche di creare credito ex nihilo (su Bofinger e Ries v. Cesaratto 2017b).
questo vi sono decisioni di investimento, che Ohlin definirebbe, analogamente, “planned” o ex- ante). Una volta che tali decisioni sono state effettuate, e reddito e risparmi di pieno impiego generati, si può dire che a fronte del credito creato (ex ante) che ha finanziato le decisioni d’investimento (ex ante) trasformandole in investimenti effettivi (ex post), questi hanno a loro volta generato risparmi (ex post) uguali al credito iniziale. Come si vede questa teoria dei fondi prestabili è compatibile sia con l’endogenità del credito che col moltiplicatore keynesiano (per cui sono gli investimenti a generare il risparmio). Economisti tradizionali come Wicksell,o più
recentemente come Claudio Borio e Piti Disyatat (2011) hanno qualcosa del genere in mente.8 Potremmo dunque riassumere la versione meno ingenua della teoria dei fondi prestabili così: se la banca centrale fissa il tasso di interesse al suo livello naturale (v. nota 3), la domanda di credito per finanziare gli investimenti sarà soddisfatta dalle banche purché la banca centrale provveda una adeguata provvista di riserve (cosa che non v’è da dubitare se la banca centrale vuole perseguire il suo tasso obiettivo).
A questo punto ci sono due questioni: (a) l’esistenza di un tasso naturale di interesse è plausibile?
(b) il moltiplicatore dei depositi è un elemento necessario del quadro? Questo ci riporta alle proposizioni (ii) e (iii) inizialmente elencate.
2.3. L’esistenza del tasso naturale dell’interesse.
Economisti ortodossi ed eterodossi possono entrambe credere nella teoria della moneta endogena: Moore e Graziani sono economisti postkeynesiani, Bindseil o Borio e Disyatat sono economisti wickselliani. La differenza fra le due scuole non risiede nell’endogenità della moneta e nel’illustrazione del funzionamento della politica monetaria, bensì nell’esistenza o meno del tasso di interesse naturale (o di piena occupazione). Per gli economisti Wickselliani esiste un tasso naturale al quale l’economia è in piena occupazione (data sufficiente flessibilità negli altri mercati), mentre per gli economisti eterodossi “la piena occupazione può essere realizzata a qualunque
8 I due noti economisti wickselliani argomentano per esempio: “in a closed economy, or for the world as a whole, the only way to save in a given period is to produce something that is not consumed, i.e. to invest. Because saving and investment are the mirror image of each other, it is misleading to say that saving is needed to finance investment. In ex post terms, being simply the outcome of various forms of expenditure, saving does not represent the constraint on how much agents are able to spend ex ante. The true constraint on expenditures is not saving, but financing.
… And it is only once expenditures take place that income, investment, and hence saving, are generated” (B&D 2011 p. 7, last italics are mine; sui due economisti si veda anche Cesaratto 2017b)
tasso di interesse” (Rochon e Rossi, 2017, p.8), per esempio con diverse combinazioni fra distribuzione del reddito,9 politica fiscale e monetaria. Questa differenza va scrupolosamente tenuto a mente. E’ però interessante che due approcci teorici, eterodosso e wickselliano, condividano il funzionamento della politica monetaria: questo conferma che nel guardare
realisticamente a quest’ultima parliamo di fatti, non di teorie.10 Permane un disaccordo profondo su altri aspetti “a valle”, come gli obiettivi e i canali di trasmissione della politica monetaria.
2.4. Il moltiplicatore dei depositi bancari.
Moore (1988, p. 45) nota come il moltiplicatore dei depositi risponda compiutamente alla logica
“riserve depositi prestiti”.
Il moltiplicatore dei depositi, esposto in tutti i libri di macroeconomia, è collegato all’idea che le banche “intermedino” il risparmio, cioè prestino i depositi che ricevono. L’idea è che una banca A che sia venuta in possesso di riserve – per esempio attraverso una operazione di sconto-risconto illustrata nella sezione precedente – possa creare un deposito-prestito, avendo trattenuto una quota di riserve per soddisfare all’obbligo di riserva e comunque per i pagamenti. Il cliente 1 (creditore) effettuerà dunque un pagamento a favore di un cliente 2 presso una banca B che verrà così in possesso di un deposito (e corrispondenti riserve). Anche questa banca, una volta
trattenuta una quota di riserve, elargirà un prestito a un cliente 3 che a sua volta effettuerà un pagamento verso una banca C e così via.
Si veda l’appendice al capitolo
L’enfasi del modello del moltiplicatore è sulla relazione quantitativa fra riserve e depositi, mentre non viene ben chiarificata la relazione con il tasso di interesse (Moore, 1988, p. 70). Come già illustrato, quello che gli economisti convenzionali hanno in mente è che, ad esempio, una politica monetaria espansiva determini sia un aumento della liquidità (riserve) che una diminuzione del tasso di interesse. Il combinato disposto delle forze determinano un aumento della richiesta di credito che viene soddisfatta, appunto, attraverso il dispiegarsi del moltiplicatore dei depositi.
Vi sono almeno tre errori in questo modello di trasmissione della politica monetaria.
(a) “Ripetete con me: le banche non prestano riserve”. Un errore diffuso nell’illustrare il moltiplicatore dei depositi è che una volta ricevuto un certo ammontare di riserve le banche possono prestarle a un creditore. L’errore è nel fatto che le riserve bancarie sono liquidità che
9 Una distribuzione del reddito più egualitaria sostiene la domanda aggregata.
10 Sono naturalmente convinto che i fatti sono percepiti e interpretati attraverso le teorie. Un dibattito fra le teorie economiche non sarebbe tuttavia neppure possibile se non vi fosse un accordo di massima attorno ad alcuni fatti, per esempio sulla contabilità nazionale.
risiede e circola solo fra i conti correnti che le banche commerciali posseggono presso la banca centrale, e mai e poi mai potrebbero essere trasferite nei conti correnti del pubblico (Sheard 2013). Si potrebbe invece sostenere che quando il sistema bancario, essendo venuto in possesso di un certo ammontare di riserve, sarà in grado di concedere del credito creando dei depositi. L’idea è che le riserve siano un presupposto della creazione di depositi. Anche questo è falso. Infatti, come vedemmo nel capitolo 1: () nei sistemi ove vige la riserva obbligatoria le banche hanno tempo per ottemperare al coefficiente di riserva (nel periodo di mantenimento successivo a quello in cui hanno concesso il prestito), mentre potranno nel frattempo ricorrere alle aste periodiche per rifornirsi di liquidità; () al contempo le riserve obbligatorie costituiscono un pool di liquidità a cui ricorrere per le esigenze di pagamento; () nei sistemi ove non vige l’obbligo di riserva, tale elasticità viene meno, e sarà allora compito della banca centrale intervenire più frequentemente nel mercato interbancario per rifornire le banche della liquidità necessaria per i pagamenti; () variazioni del coefficiente di riserva obbligatorio non mutano l’ammontare dei depositi e del credito; al massimo se le riserve non sono remunerate, esse comportano variazioni dei costi per gli istituti di credito che possono ricadere sul costo del credito alla clientela (Moore, 1988, pp. 65 e 96).
(b) Da un punto di vista post-keyenesiano la narrazione del moltiplicatore dei depositi si basa su una sorte di Legge di Say del credito bancario per cui l’offerta di prestiti genera una identica domanda.11
(c) Ma l’errore fondamentale, rileva Moore (1988, p. 82), è che la banca centrale non può manovrare a proprio piacimento l’ammontare di liquidità (l’offerta di moneta):
The crucial error of the multiplier approach is that it mistakenly assumes, because the base consists of the liabilities of the central bank, that the central bank has the ability to increase or reduce the quantity of the base at its discretion.
Questa critica ci riporta a quella fondamentale all’impianto della politica monetaria nella visione convenzionale: l’esogeneità dell’offerta di moneta, che riesaminiamo nella prossima sezione.
Concludiamo intanto con Moore (1988, p. 85, corsivo nell’originale) che
11 Naturalmente questo accade attraverso variazioni del tasso di interesse (ma questo non è in genere specificato nelle trattazioni manualistiche del moltiplicatore). Nel punto di equilibrio, quando il tasso di interesse è quello Wickselliano, l’ammontare di credito generato è pari ai risparmi generati dal reddito di pieno impiego.
The base multiplier can be regarded simply as a descriptive identity, without any behavioural or causal content whatsoever.
(rimandiamo al riguardo di nuovo all’appendice al capitolo).
Il moltiplicatore di Phillips. Il moltiplicatore dei depositi fu “scoperto” da C.A.Phillips nel 1920.
L’impiego delle riserve per controllare l’offerta di moneta fu difeso da Keynes (1930), ma fu soprattutto la lezione monetarista a fare da sfondo al moltiplicatore. Come nota Bindseil (2004a, pp. 25, 239, 247) per Friedman la politica monetaria si risolve nel controllo dell’offerta di base monetaria, via operazioni di mercato aperto, con cui governare la creazione di moneta bancaria attraverso il moltiplicatore dei depositi (il cui valore è ritenuto stabile e dunque prevedibile).
Com’è noto, l’obiettivo monetarista della politica monetaria è una crescita della quantità di moneta in linea con la crescita “naturale” del reddito. Bindseil (ibid, pp. 26, 235) osserva dunque come in Friedman vi sia scarsa curiosità circa il ruolo del tasso di interesse, per cui non si pone il problema dell’instabilità che inopportune variazioni dell’offerta di moneta (base money)
apporterebbero ai tassi. Dagli anni ottanta-novanta, tuttavia, gli economisti mainstream
riscoprono al contempo il ruolo (mai svanito nella pratica) del tasso di interesse come obiettivo della politica monetaria e la lezione di Wicksell. Quest’ultimo aveva assegnato alla politica monetaria il ruolo di fissare il tasso di interesse monetario al livello di quello “naturale”, con l’instabilità dei prezzi a segnalare la discrepanza fra i due tassi. Questo apre la strada a una descrizione più realistica della politica monetaria. Il percorso degli economisti ortodossi e l’evoluzione della pratica delle banche centrali sono narrati in Bindseil (2004a, cap. 7 e 8; 2014, cap. 3). Il percorso degli economisti eterodossi, avviato in largo anticipo dalle critiche di Kaldor (1970) al monetarismo, è evocato da Culham e King (2013, pp. 392).
Letture – Il moltiplicatore dei depositi bancari Bindseil (2004a, p. 237):
“when monetary growth is deemed insufficient and excess reserves are injected to make the banks expand credit, the result will be first that, in an efficient market, short-term inter-bank interest rates drop to zero (if there is not deposit facility). The fact that interest rates have
dropped to zero is, of course, relevant and, if judged to be permanent for a longer period of time, medium- and longer rates will also drop and economic decisions will be affected. However, once inter-bank rates have fallen to zero and the central bank continues to increase excess reserves through open market operations at zero interest rates, not much more should happen: that is the money multiplier should fall with every further reserve injection. [Come s’é visto col quantitative easing] It is to that extent difficult to really construct a story where an injection of reserves by the central bank through open market operations sets in motion monetary expansion independently of the interest rate channel”
Disyatat (2008,pp. 14-16):
One of the clearest manifestations of the proposition that monetary policy implementation can be described through a quantity perspective is in the concept of the money multiplier. Implicit in this view of the transmission mechanism is the assumption that central banks implement policy
through exogenous variations in the supply of reserves and in so doing, can exert a direct influence
on the amount of loans and deposits in the banking system. While being highly intuitive, the utilization of the money multiplier in expositions of monetary transmission can be misleading….
From a monetary policy implementation perspective, however, the problem is in assumption i).[ i) binding reserve requirements limit the issuance of bank demand deposits to the availability of reserves] This is premised on the notion that central banks set the level of reserves as the operational target of policy and that banks’ deposit base, and thus their supply of loanable funds, is linked directly to variations in reserves through the money multiplier mechanism. In fact, the true causal relationship actually runs in exactly the opposite direction. The banking system creates deposits as they are demanded by the private sector, and the central bank’s main liquidity management task is to ensure a sufficient supply of balances for the system as a whole to maintain reserve requirements, if any, associated with those deposits. It is the amount of deposits that the banking sector can attract that determines the level of reserves not the other way around…
That said, the mechanical link between reserves and the supply of loanable funds continues to inform much of the discussion on the role of banks in the transmission mechanism. The continued use of reserve requirements as a tool to control bank lending is a testament to persistent
adherence to this over-simplified intuition even at the policy level. Although such a policy could, in principle, reduce the supply of loanable funds if the supply of bank reserves is held constant, in practice, central banks typically accommodate the extra demand for reserves fully to maintain interest rate stability. Thus reserve requirements do not act as a direct constraint on the bank lending. The overall effect of higher reserve requirements is simply a higher tax on the banking system, and to the extent that this is passed on in the form of higher retail rates, loan demand may slow. One may well argue that the same effect could be achieved through raising the policy rate without imposing greater distortion on bank intermediation activity…
Given that central banks supply reserves endogenously, the existence of a bank lending channel in practice depends on whether changes in money market interest rates can have a independent impact on banks’ loan supply”.
Fullwiler (2008, pp. 22 e 27):
The mistaken belief that the central bank alters the quantity of balances in circulation in order to change the target rate erroneously implies that banks can “do” something with additional reserve balances when they are supplied, as with the money multiplier model. Again, however, from Principle 1, loans create deposits, and thus reserve balances do not provide additional “funding” for expanding the quantity of bank liabilities. As with previous principles, permanently changing the quantity of reserve balances in circulation would simply send the overnight rate to the central bank’s penalty rate or the rate paid on reserve balances if the change in quantity supplied were inconsistent with the quantity banks desired to settle payments and meet reserve requirements. Also, while there is evidence of a negative historical correlation over several weeks between reserve balances held and interest rates associated with reserve requirements—even as the demand for reserve balances for the current maintenance period is very interest inelastic—the causation is well-known to run from changes in the interest rate to changes in the public’s holding of interest bearing versus non-interest bearing assets, which, again, has nothing to do with a liquidity effect as defined here.
Of course, this point is all the more valid where the demand for reserve balances is due mostly or even purely to payment settlement, which, again, exhibits still greater interest inelasticity. In this case, there is clearly no point in attempting to add or subtract reserve balances to change an interest rate target, since banks only desire that quantity necessary to settle payments for the day…
In short, then, the quantity of reserve balances circulating primarily has to do with how the central bank achieves and maintains its target rate. It is unrelated to traditional notions of “tight” or
“easy” monetary policy as the money-multiplier model assumes.
2.5. La visione tradizionale della politica monetaria
Arriviamo infine al punto (iv) della lista dei punti caratterizzanti la teoria monetaria tradizionale (in questo caso influenzata dalla lezione di Keynes).
Due sono gli elementi della visione tradizionale della politica monetaria: una funzione di offerta di moneta esogenamente decisa dalla banca centrale e una funzione di domanda di moneta basata sulla teoria della preferenza per la liquidità dei soggetti. Trattiamo in questo paragrafo della prima funzione e della seconda nell’ambito nel capitolo 3.
2.5.1. Offerta di moneta: esogena o endogena?
Poiché ci stiamo muovendo a livello relativamente divulgativo, ci riferiamo per comodità a uno dei più diffusi testi di Macroeconomia, quello di Oliver Blanchard (2016). A pag. 110 del volume la politica monetaria è così descritta:
Nelle economie moderne, la banca centrale normalmente modifica l’offerta di moneta attraverso l’acquisto e la vendita di titoli nel mercato obbligazionario. Se desidera aumentare la quantità di moneta, compra titoli e li paga immettendo nuova moneta nel sistema. Se, invece, vuole diminuire la quantità di moneta, vende titoli e rimuove dalla circolazione la moneta che riceve in pagamento. Queste azioni sono chiamate operazioni di mercato aperto perché avvengono nel «mercato aperto» dei titoli.12
Qual è il problema di questa visione?
In primo luogo il tasso influenzato dalla banca centrale è un tasso overnight per cui gli effetti sui tassi a medio e lungo termine che rilevano per la domanda di credito al consumo e mutui delle famiglie - e secondo la teoria tradizionale, sulla domanda di credito delle imprese per finanziare gli investimenti – prenderanno del tempo per mutare, oltre a dipendere da altri fattori come
12 Similarmente Romer (2013, p. 17) sostiene che “By adjusting the money supply appropriately, [the central bank] can … set the interest rate”. Egli ritiene tuttavia irrilevante entrare nei dettagli:
“When I teach this material, I tell my students that, having shown that it is possible for the central bank to affect the real interest rate, we can leave the specifics of how it needs to adjust the money supply to follow its real rate rule to the professionals at its open-market desk” (Romer 2000, p.
164). Se Romer avesse consultato i professionisti dell’”open-market desk” avrebbe probabilmente appreso che la politica monetaria non agisce precisamente come lui la descrive.
l’incertezza sulla futura condotta della banca centrale e in generale sull’andamento dell’economia.13 Nel breve periodo, la domanda di riserve è dunque un dato e variazioni
dell’offerta di liquidità, in particolare sue riduzioni, non potranno non creare problemi al sistema dei pagamenti. In altri termini, non si può presumere che una riduzione dell’offerta di moneta volta ad accrescere il tasso di interesse sia precisamente seguita da una corrispondente diminuzione della domanda di riserve che consegue, a sua volta, dalla minore domanda di credito al più alto tasso. In secondo luogo, pur supponendo che la variazione del tasso a breve agisca con rapidità sui tassi a lunga, non è affatto detto che la variazione nei crediti/depositi e la nuova domanda di riserve sia precisamente tale da assorbire l’eccesso di riserve: anche da questo punto di vista il permanere di un eccesso (o di un difetto) di riserve nel mercato interbancario interferirebbe seriamente con la politica monetaria di determinazione del tasso a breve. In terzo luogo, come s’è visto, in pratica le banche centrali effettuano le variazioni nel tasso a breve obiettivo attraverso open mouth e non open market operations, lasciando che sia il mercato attraverso gli effetti della variazione sui tassi a più lunga scadenza e sulle decisioni di spesa e di allocazione dei risparmi a determinare il nuovo ammontare di riserve desiderato. La variazione delle riserve non può dunque essere una iniziativa della banca centrale la quale agisce invece sul tasso obiettivo asciando che sia il mercato a decidere l’ammontare di riserve desiderato.
Letture – “Liquidity effect” (offerta di moneta esogena) o banca centrale accomodante?
Bindseil 2004a, p. 4: “most if not practically all of the changes of outstanding open market operations are (and should be) reactions to changes in autonomous liquidity factors, and do not simply reflect changes of the monetary policy stance.” (v. anche pp. 178-8).
“an operational target variable should be a variable that can be controlled in the very short run by the central bank and for which a concrete figure is set by the decisions-making committee for the for the inter-meeting period to (a) tell the central bank’s implementation experts what to do, and (b) indicate the stance of monetary policy to the public. However, this obviously does not make sense for the monetary base. Its normally biggest component, banknotes in circulation, is in the short term purely demand-driven… Its second component, current account holdings, is mainly
13 “... in models embedded with a banking sector that plays a non-trivial role, the characterization of monetary policy through the control of money supply implicitly assumes that central bank actions have direct bearing over banks’ supply of loanable funds, and thus on their intermediation activity. This presumes that central banks are more powerful than they really are. In practice, the influence of monetary policy over financial intermediation relies more on the impact that changes in interest rates have on relative asset yields and bank funding conditions rather than on some ability to directly affect the quantities on intermediaries’ balance sheets. Clearly then, whether monetary policy is characterized through the control of interest rates or money is not innocuous to the ensuing analysis” (Dysiatat 2008, p. 9).
determined by reserve requirements. Under a lagged reserve-requirement system, required reserves are given …banks cannot easily change their lending and deposit taking in the very short run such as to correct their reserve requirements. In practice, open market operations, which push reserves on average for the reserve maintenance period below reserve requirements, will create a corresponding recourse to the borrowing facility, and hence will not even affect the monetary base. … it may seem inappropriate or even legally questionable that the central bank should use its powers to squeeze the market in a way that makes it impossible for the banks to comply with requirements… any attempt to control in the short run the monetary base lads to extreme volatility of interest rates since the market will, due to stochastic and seasonal fluctuations in the demand for base money, permanently either short or long of reserves…With extreme volatility of short-term rates, the volatility of longer-term rates will also increase. Such volatility will create noise in economic decisions, and hence lead the economy away from equiilbrium” (p. 236-7). [Vale a dire, la banca centrale deve soddisfare i fabbisogni di liquidità del sistema bancario non
pretendendo di fissure esogenamente l’offerta di moneta, pena creare instabilità del sistema dei tassi.]
Dysiatat 2008, pp. 11, 12, 15:
‘liquidity effects’ … refers to the proposition that changes in the money supply induce changes in short-term nominal interest rates of the opposite sign. The liquidity effect is held to be central to the monetary transmission mechanism and the broad assent that his proposition commands is illustrated by their prominence in leading macroeconomic textbooks….At its most basic level, the liquidity effect is the proposition that short-term interest rates are influenced by central bank liquidity. As discussed …, variations in central bank balances certainly have the potential to affect interest rates: if the central bank were to reduce balances to zero or flood the market with enormous amounts of liquidity, interest rates will obviously swing dramatically. In fact, for countries with no reserve requirements, relatively minor errors in central bank liquidity
management that leaves the system with an aggregate shortage/surplus of liquidity on any given day can lead to large deviations in the overnight rate. In cases where reserve requirements with averaging apply, similar forces operate on the last day of the maintenance period when the amount of reserves that banks require becomes determinate. As such, a liquidity effect defined narrowly as the ability for central bank balances to affect short-term interest rates undoubtedly exists and can, paradoxically, appear too powerful….
A central problem with most of the empirical research on this issue is that the potential for central bank liquidity to influence interest rates is recast in terms of a smooth and stable relationship between money supply, loosely defined, and interest rates together with a causal assumption running from the former to the latter. This neglects the fact that money is largely demand-
determined, especially at the daily or weekly frequency which pertains to the liquidity effect. With the operation desk adjusting the supply of balances to meet the system’s needs and given that the latter is driven by factors largely independent of the interest rate level, there will generally be no perceptible link between the two. Of course, for a sufficiently large change in the supply of balances, interest rates will move sharply but this would typically indicate large mistakes in forecasts of liquidity conditions made by the operation desk. Thus somewhat paradoxically, the ability to detect a liquidity effect is greater the less effective is the central bank’s liquidity management
Rather then being directly amenable to central bank action, the demand for deposits are driven more by the level of economic activity and the public’s relative preference for bank deposits versus other forms of assets.
Fullwiler (2008, p. 23): “A liquidity effect as defined here is the procedure for changing the target rate generally assumed by most economists and textbooks. In fact, however, a good deal of recent empirical research has generally concluded that there is no such liquidity effect in practice (…). The lack of evidence has led many to suggest there is instead an “announcement effect” at work when the central bank changes the target rate; that is, central banks simply announce a new target rate, rather than carrying out any actual operations to effect the change (…).
An understanding of modern central bank operations outlined in the foregoing principles makes clear that there is no liquidity effect related to target rate changes. As Sandra Krieger (head of domestic reserve management and discount operations, New York Fed) put it,
‘The conventional textbook view is that the Trading Desk buys and sells securities in response to easings and tightenings [i.e., the liquidity effect]. From the [Trading] Desk’s perspective, however, the supply-demand balance is primarily a function of the demand for required balances, which is almost completely insensitive to small changes in policy. Consequently, any change in the target has no effect on excess supply or demand in the funds market’. (Krieger 2002, 74)
Since there is no change in the supply-demand balance for reserve balances with a target rate change, there is no need for open market operations related to a liquidity effect as defined here.
Basil Moore (1988, p. 15-6 e passim) sottolinea l’asimmetria della politica monetaria, nel senso che la banca centrale può più facilmente espandere la propria balance sheet che contrarla. E’
quello che definimmo nel capitolo 1 balance sheet policy. Una volta che, infatti, la banca centrale adotti (o accetti de facto) un sistema a pavimento, essa può liberamente espandere l’offerta di liquidità - e anche ridurla purché il sistema rimanga in eccesso di liquidità. Al contrario, contrazioni tali da rendere la liquidità scarsa comporterebbero problemi al sistema dei pagamenti,
costringendo le banche alla vendita precipitosa di attività, determinando un aumento dei tassi di interesse a breve e costringendo le banche a ricorrere al prestito marginale (o discount window).
La banca centrale agirebbe, in un certo senso, in maniera opposta al suo mandato di prestatrice di ultima istanza.
Lettura – Moore sull’asimmetria nella politica monetaria.
Moore (1988, p. 15-6, corsivi nell’originale):
Central banks always possess the ability to increase the [monetary] base, so as to support any increases nominal volume of bank intermediation. But they in general do not have the same ability to reduce the base, and with it restrict the nominal volume of bank intermediation. There is thus an important asymmetry n the ability of central banks to initiate changes in the base… So long as there exist developed secondary markets for financial assets, central banks will always be able to initiate increases in the base simply by open-market purchases. As the customary analysis
indicates, this will provide commercial banks with non-interest-earning excess reserves. Ordinarily these excess reserves will be spent by the banks in the purchase of marketable interest-yielding securities, thus driving-up prices, reducing market interest rates, and expanding the level of bank assets and liabilities… It is in the case of reductions in the high-powered base the conventional explanations completely breaks down. The assumption that central banks can initiate base reductions by open-market sales, which will produce reserve deficiencies that bank will then eliminate at their initiative by the sale of assets, assumes implicitly that banks always have excess
holdings of marketable securities that they are at liberty to sell. …In periods of sustained expansion commercial banks.. typically have allocated most of their earning assets portfolio to customer loans. Such loans are generally nonmarketable instruments, since owing to their
heterogeneous lender’ risk no secondary markets exist on which they can be bought and sold. [in nota precisa: “In the United States there have recently developed interbank markets on which
‘bundles’ of heterogeneous instruments can be sold or rediscounted. This process is known as
‘securitization’. But insofar as they are interbank markets, they do not enable banks to reduce total loans at their discretion”].
Moore (1988, p. 79, 95, corsivi nell’originale):
As banks tried to improve their individual position by selling assets, they would force up interest rates… The conclusion of this line of argument is that strict control of the base would continually threaten massive movements in interest rates. This would throw onto private financial markets the whole burden of the adjustment presently borne by the central bank … central banks are in general able to increase the money supply at theory initiative as the conventional vie holds, simply by purchasing securities and providing banks with excess reserves. The only exception lies in those periods of extreme slumps when short-term interest rates have been driven to such low levels that banks prefer to hold excess reserves rather than acquire additional marketable securities.
Nevertheless, central banks are generally unable to decrease the money stock at theory initiative by selling securities and withdrawing reserves from the banking system. Although the Fed can, by selling securities to dealers, reduce nonborrowed reserves14 if it so chooses, this simply drives banks to the discount window. The Fed cannot quantity-control total reserves. The high-powered base will fall only if rising interest rates reduce the demand for money and credit. This
fundamental asymmetry in central bank monetary powers has not yet been fully recognized by the economics profession.
2.5.2. Sulla presunta equivalenza fra controllo offerta moneta e controllo del tasso di interesse Come già osservato, mentre nella visione più tradizionale le variazioni dell’offerta di moneta sono lo strumento operativo della banca centrale, nelle più recenti formulazioni la banca centrale fissa il tasso obiettivo e accomoda l’offerta di liquidità alla domanda che il mercato richiede a quel tasso.
Secondo quanto spiega Blanchard (2016, p. 113, mio corsivo) nel suo libro di testo la banca centrale può in maniera equivalente controllare la quantità di riserve o il tasso di interesse:
Finora abbiamo immaginato che la banca centrale scelga l’offerta di moneta e lasci che il tasso di interesse sia determinato dall’uguaglianza tra offerta e domanda. Alternativamente, avremmo potuto immaginare che la banca centrale scelga il tasso di interesse e aggiusti l’offerta di moneta in modo tale da raggiungere quel tasso. Perché è utile pensare che la banca centrale decida il tasso d’interesse invece che l’offerta di moneta? Perché questo è quello che le banche centrali moderne (come la Bce o la Fed) generalmente fanno. Tipicamente, prima decidono il tasso di interesse obiettivo e poi aggiustano l’offerta di moneta al fine di raggiungerlo.
14 Per borrowed Moore intende le riserve ottenute dal discount window [prestito marginale] (v p.
121-2)
Quindi, secondo Blanchard, i due modi di agire della banca centrali non differiscono in teoria, ma solo nella pratica.
In verità, un influente paper di William Poole (1970) aveva ritenuto di dimostrare sulla base di un semplice modello IS-LM che sarebbe stato desiderabile utilizzare il controllo dell’offerta di moneta nel caso di shock provenienti dal settore reale, e impiegare invece il controllo dei tassi a fronte d shock provenienti dal settore finanziario. Per esempio, nel caso di un surriscaldamento della domanda aggregata (uno spostamento verso destra della funzione IS), il controllo dell’offerta di moneta (che viene mantenuta costante) fa in modo che il tasso di interesse aumenti contribuendo dunque a smorzare almeno parzialmente lo shock di domanda e stabilizzando così l’economia. Per contro, una euforia finanziaria potrebbe determinare attraverso la maggiore domanda di titoli una discesa dei tassi di interesse con un pericolo di destabilizzazione dell’economia reale (la diminuita preferenza per la liquidità determinerebbe uno spostamento verso destra della funzione LM). In questo caso, quindi, la stabilizzazione dei tassi sarebbe l’obiettivo più opportuno per la politica monetaria.
Bindseil (2004, p. 2) non esita a definire questo di Pool come un contributo “a perpetuare la confusione esistente”. Il punto è che Pool considera come un possibile “policy variable” o target operativo della banca centrale quello che è un mero strumento, ovvero il controllo della base money da parte della banca centrale (per la distinzione fra “operational target” e strumenti nella politica monetaria si veda sopra il capitolo 1 - sezione 2.1). Il controllo della liquidità da parte della banca centrale non implica, da un lato, che per suo tramite essa possa controllare aggregati monetari più ampi con cui avrebbe una relazione stabile (data in sostanza dal moltiplicatore monetario) al punto che tale strumento (il controllo della base money) possa esso stesso essere identificato come obiettivo operativo. Dall’altro lato, variazioni inopportune della base money possono destabilizzare i tassi di interesse col risultato che, come nell’esperimento americano di controllo delle quantità nel periodo 1979-82, finirono in una “estrema volatilità non solo dei tassi di interesse di tutte le scadenze ma persino delle quantità medesime” (Bindseil 2004, p. 31).15 La
15 Rifacendosi alla lezione di Bagehot, Bindseil (2004, p. 17) argumenta che “if the central bank does not systematically neutralize exogenous money market shocks, short-term rates would regularly be either zero or be extremely high. This assessment is confirmed by modern central bank experience. Expectations of the likelihood of the two states in the future would determine longer-term interest rates, which would probably also fluctuate wildly and most of the time have rather extreme values. This obviously does not provide the best environment for a systematic and sensitive control of credit, money, and prices. The observation of Bagehot, together with the fact that the short-term supply and demand shocks that constantly hit the money market have nothing
sola maniera attraverso cui la banca centrale può orientare gli aggregati monetari è attraverso il tasso di interesse, il solo obiettivo operativo sui cui la banca centrale - in quanto monopolista dell’offerta di riserve precisa Moore (1988, p. xii) – ha reale presa. Come ripetutamente spiegato sopra, le variazioni delle base money sono funzionali a soddisfare la domanda di liquidità che si esprime, nei tempi dovuti, al tasso obiettivo. Come precedentemente ricordato, infatti, la banca centrale europea mantiene un retaggio monetarista nel suo obiettivo intermedio di crescita di M3 al 4.5% annuo, ma la sequenza che essa presuppone nel suo perseguimento passa attraverso il controllo del tasso di interesse a breve: “first the observation of news on the appropriate monetary policy stace (for example, news on monetary quantities), and then decisions to adjust the operationa target, namely, the short-term interest rate, such as to bring the (intermediate) target variable back on track” (Bindseil 2004, p. 32).16
Quindi quello di fissare il tasso di interesse e di lasciare che sia il mercato a manifestare la
domanda di liquidità sembra essere l’unico game in town: l’alternativa prospettata da Blanchard (e dai molti libri di testo che citano Poole 1970) fra le due modalità di conduzione della politica monetaria semplicemente non c’è.17
Va infine per completezza rammentato che quando la banca centrale annuncia un nuovo obiettivo di tasso di interesse a breve, questo è in generale sufficiente perché quel tasso prevalga nel mercato interbancario (o dei Fed funds negli Stati Uniti), senza che essa “aggiusti l’offerta di moneta in modo tale da raggiungere quel tasso” (come invece erratamente sostenuto da
Blanchard nel passo sopra citato). Quando il nuovo tasso avrà esplicato la sua influenza sui tassi a lunga, sulla domanda di credito e sulla domanda di riserve e circolante, ecco che la banca centrale
to do with macroeconomic textbook shocks (such as, for example, shifts of the IS and LM curves), will be key to understanding why the Poole (1970) approach is eventually misleading.”
16 Per una sintetica valutazione dell’insuccesso e, da ultimo, dell’irrilevanza di tale obiettivo intermedio s veda De Grauwe (2016, p. 250-2). Il punto ora discusso non è, tuttavia, tanto l’inconsistenza teorica e pratica di questo obiettivo intermedio, ma che persino un obiettivo monetarista andrebbe perseguito adottando il tasso di interesse come obiettivo operativo.
17 Acutamente Cottrel (1994, p. xxx) definì già molti anni fa la presunta facoltà della banca centrale di scegliere fra il controllo della quantità di moneta o del tasso di interesse come una “political endogeneity of money”, “since it is seen as arising from a deliberate choice on the part of central banks not to exercise a quantitative control over money that is nonetheless within their power”
(corsivi dell’autore).
dovrà soddisfare le esigenze di liquidità del sistema affinché il tasso obiettivo continui ad affermarsi nel mercato a breve delle riserve.
Letture – Sulla presunta equivalenza fra politica di controllo delle quantità o del prezzo della liquidità.
Moore (1988, p. xii, p. 92, corsivo nell’originale)
Economists generally have a model of a downward-sloping demand curve at the back of their minds for the commodity in question. In any market where policymakers intervene, they may choose to control Q and accept P, or control P and accept Q. At the most general theoretical level these two interventions appear to be completely equivalent. Assuming that the demand curve is independently give and the quantity rationing is excluded so that buyers will end up somewhere on their demand curve, it appears immaterial whether the authorities chose to control Q or P. The shape of the supply curve is simply changed under the two regimes. In the first the supply function is vertical, and in the second is horizontal. Nevertheless, it appears that the final outcome is
indifferent to the choice of intervention, since any target point on a given demand curve can always be intersected by a horizontal or vertical line. Credit money, however, is not like other commodities. It is unique in several respects. Banks create credit money whenever they extend loans. They hold cash reserves to maintain the convertibility of credit money into fiat money (legal tender). This is how bank or credit money retains its moneyness and general acceptability as a means of payment. The production of fiat money is monopolized by central banks, and its unit exchange value is unrelated to its cost of production. As a result central banks, insofar as they are the sole residual supplier of fiat money, cannot not set it supply price.
The notion that the monetary authorities have a policy choice between financial quantities or financial prices is simply incorrect (Poole 1970). Both the high-powered base supplied by the central bank and the volume of deposits supplied by the banks are supplied on demand at existing interest rates and security prices. The central bank or the commercial banks can merely change the terms on which they are willing to supply reserves or deposits. During the period for which these terms have been set, both reserves and deposits are necessarily supplied as a tap issue.
Disyatat (2008, pp. 9-10):
…, the assumed interchangeability between interest rates and money in representations of
monetary policy – embedded in the conventional LM curve – is more apparent than real. It is often argued that through such a relation, the same equilibrium outcome can be achieved either by setting the path of interest rates and letting money supply be endogenous, or setting the path of money supply to achieve the same path of interest rates.
…While this follows from a mathematical point of view, it is distinctly at odds with the reality of interest rate determination in the money market. In the market for balances, interest rates are largely anchored to perceived targets set by the central bank and the amount of balance
outstanding is primarily determined by exogenous needs of the system (reserve requirements and payments uncertainty). There is no sense in which a given path of interest rates can be attained through a particular path of balances since a given amount of balances can and does support a large range of interest rates. When the notion of money is broadened to include cash and bank deposits, whose demand depends on the interest rate (either directly or through its effect on the level of economic activity), the link between money and interest rates may be more apparent.
However, the fact that central banks provide as much cash and commercial banks as much deposits as are demanded implies that the dynamics of such monetary aggregates would reflect
prevailing rates of interest rather than determine them... Flipping the relationship around to obtain the appropriate level of monetary aggregate to set in order to achieve a given level of interest rates is an exercise in reverse causality”.
// Ci siamo sinora occupati della critica all’idea che la banca centrale abbia come obiettivo
operativo il controllo dell’offerta di moneta. Dobbiamo ora occuparci dell’altro capo della visione tradizionale della politica monetaria come presentata nei libri di testo più diffusi: la domanda di moneta. Nei libri di testo quest’ultima domanda si basa sulla teoria keynesiana della preferenza per la liquidità. Questa riguarda la scelta dei soggetti su come ripartire la propria ricchezza
finanziaria fra moneta (depositi) e titoli. Si apre dunque la questione di che ruolo assegnare a tale teoria nella visione moderna della moneta e della politica monetaria. Come vedremo il punto è stato soprattutto discusso dagli economisti post-keynesiani, sia perché l’economia eterodossa si è rivelata in anticipo nella comprensione della politica monetaria che per il (giusto) rispetto verso la lezione di Keynes. Questi aspetti sono trattati in Cesaratto & Di Bucchianico (2020).//
APPENDICE
La fiaba del moltiplicatore dei depositi bancari Alcune relazioni di base
Le grandezze monetarie soggette al controllo della banca centrale sono evidenziate nei tre stati patrimoniali della figura 118 (omettiamo il settore dell’amministrazione pubblica):
Figura 1
Fra le passività della banca centrale notiamo che la base monetaria (o base money) emessa consiste di circolante (banconote) e riserve:
BM = CR + R
La quantità di moneta presso il pubblico, contabilizzata fra le sue attività, è pari alla somma di banconote e moneta bancaria (depositi).
M = CR + D.
La BM è una passività emessa dalla banca centrale. I depositi sono una passività emessa dalle banche commerciali.
Dividendo le due espressioni:
R CR
D CR BM
M
18 Si veda anche la sezione 2.4 del capitolo 1.
Banca centrale
Attività Passività
Crediti della BC Base monetaria (BM)
= Riserve (R) + Circolante (CR)
Banche commerciali Settore privato
Attività Passività Attività Passività
Riserve (R) Depositi (D) Circolante (CR) Debiti (crediti
Crediti Depositi (D) dalle banche)
e supponendo che CR = D e R = D, dove è la quantità di circolante rispetto ai depositi desiderata dal pubblico, e è il coefficiente di riserva obbligatorio, si ottiene:
BM M
1
che mostra la relazione fra base monetaria (moneta emessa dalla banca centrale) e quantità di moneta disponibile al pubblico (circolante e moneta bancaria).
Dividendo membro a membro le due espressioni D = M – CR e BM = CR + D si ottiene:
1
D D
D R
CR CR M BM
D , ovvero
BM D 1
(1)
Questa equazione è talvolta definita, per le ragioni che vedremo, come moltiplicatore dei depositi bancari o moltiplicatore della moneta. La relazione, per come è presentata nei libri di testo (letta da destra verso sinistra), sembrerebbe infatti suggerire che l’ammontare di depositi creato dal sistema bancario dipenda dall’ammontare di base monetaria emessa dalla banca centrale.
In questa visione la moneta è esogena, vale a dire sia la “moneta ad alto potenziale” (BM) che quella bancaria (D) dipendono da ultimo da una decisione esogena della banca centrale.19 Tuttavia, un numero crescente di economisti, inclusi importanti economisti della BCE, riconosce che questa non è una rappresentazione corretta della realtà e che l’espressione (1) è una mera relazione contabile. La quantità di moneta sarebbe invece endogena, decisa cioè dal mercato, dato il tasso di interesse (v. il capitolo 1, sezione 1.3). Vale a dire il mercato decide la quantità di
depositi (moneta bancaria) mentre la banca centrale adegua la base moneta in modo da
soddisfare la domanda di riserve che ne consegue. L’endogenità della moneta è importante non solo di per sé (le banche non intermediano il risparmio ma creano credito), ma perché consente di spiegare correttamente come funziona la politica monetaria (v. il capitolo 1, sezione 2.2).
Consideriamo più da vicino il cosiddetto moltiplicatore dei depositi bancari mostrando perché è sbagliato.
Moneta esogena e moltiplicatore dei depositi bancari
19 BM è definita moneta ad alto potenziale perché, appunto, farebbe da base alla generazione di un multiplo di depositi bancari.
Cominciamo col ricostruire la logica del moltiplicatore dei depositi bancari, che è poi quella della moneta esogena riassumibile nel detto:
le riserve creano i depositi, e i depositi creano il credito.
La storia è nota dai libri di testo di macroeconomia: se la banca centrale accresce la base
monetaria (money base) diBM, quindi di “moneta ad alto potenziale” a disposizione delle banche, esse possono prestare l’eccesso di riserve. Come è noto dai libri di testo, l’ammontare di depositi creato dal sistema bancario sarà un multiplo di BM, secondo la formula del moltiplicatore dei depositi bancari (equazione 1).
In questa visione la domanda di credito dipende fondamentalmente dall’offerta di credito (se le banche possono dare a prestito, vi sarà qualcuno che prenderà a prestito, una sorta di Legge di Say del credito). Se la banca centrale incrementa la base monetaria di BM attraverso
un’operazione di mercato aperto che conduce, inoltre, a una diminuzione del tasso di interesse, al minor tasso il settore privato chiederà più prestiti. Se ne deriva dunque che, in base a questa teoria, dato il tasso di interesse, la base monetaria vincola l’ammontare di depositi che il sistema può creare.20
Vediamo il funzionamento del moltiplicatore dei depositi bancari via un esempio.
Si rammenti che, come visto sopra, la moneta a disposizione del pubblico (noi) è M = CR + D.
Attraverso questa moneta, circolante più banconote, i privati effettuano pagamenti. Come abbiamo visto nel capitolo 1, quando il pubblico ordina alla propria banca - con un bonifico, un assegno, la carta di credito ecc. - di effettuare un pagamento a favore di un correntista di un altro istituto v’è corrispondentemente un passaggio di riserve (R) fra le banche (ovviamente questo non è richiesto se i due privati hanno il proprio C/C presso il medesimo istituto bancario). Le banche commerciali detengono le riserve in conti correnti presso la banca centrale. Esse effettuano dunque i pagamenti fra di loro ordinando alla banca centrale (banca centrale) di trasferire riserve dal proprio conto di riserva a quello di un altro istituto. I conti delle banche commerciali presso la banca centrale sono infatti, s’è anche detto, denominati conti di riserva e di regolamento. Questo modo di regolare i pagamenti interbancari risponde al principio generale che qui rammentiamo, vale a dire che il pagamento fra due soggetti avviene in una moneta emessa da un terzo soggetto a loro “superiore”:
20 Si veda per esempioBegg, D, Fischer, S., Dornbusch (2005), p. 362: “I depositi delle banche dipendono dalle riserve di liquidità del sistema bancario”.
fra due soggetti privati il pagamento avviene con un trasferimento di depositi bancari o in banconote; fra due banche in moneta emessa dalla banca centrale (vale a dire con trasferimento di base monetaria); i pagamenti fra le banche centrali avvengono con trasferimenti di “monete di riserva”,21 dunque divise - come il dollaro o l’euro - che sono liberamente accettate per i pagamenti internazionali e costituiscono monete di riserva.
Come sappiamo, per esempio, se un cliente (1) della banca commerciale A (BCA) ordina al proprio istituto di effettuare un pagamento a favore di un cliente (2) della BCB, la banca centrale trasferirà dunque un corrispondente ammontare di riserve dal conto di riserva della prima banca a quello della seconda (figura 2).
Figura 2
Per capire la logica del moltiplicatore dei depositi bancari, si supponga che un soggetto privato presenti una cambiale (IOU) allo sconto presso una banca commerciale A (BCA). (Potremmo anche ipotizzare che sia la banca centrale ad accrescere la money base con una operazione di mercato aperto.) Lo sconto di una cambiale è un’operazione per la quale la banca anticipa il valore attuale della cambiale a un tasso di sconto prefissato aprendo un deposito a suo favore. Studieremo da questo momento i passaggi attraverso le scritture contabili dei soggetti coinvolti (figura 3). Per fissare le idee attribuiremo dei valori, per cominciare che la cambiale sia di 100 euro. Per non complicare l’esempio supporremo che il tasso di sconto praticato dalla banca commerciale sia zero.
Per semplicità supponiamo anche che il pubblico non utilizzi contanti. Ogni operazione darà luogo
21 Monete di riserva nel senso che le riserve ufficiali sono preferibilmente detenute in titoli denominati in quelle monete- Le banche centrali non detengono direttamente le monete, per esempio dollari, ma titoli denominati in quelle valute, per esempio buoni del tesoro americani.
Banca centrale
Attività Passività
Crediti della BC Base monetaria (BM)
= Riserve (R) + Circolante (CR)
Banche commerciali Settore privato
Attività Passività Attività Passività
Riserve (R) Depositi (D) Circolante (CR) Debiti (crediti
Crediti Depositi (D) dalle banche)
contemporaneamente a un’attività e a una passività, e ciò che viene scritto all’attivo da un soggetto bancario verrà iscritto al passivo di un altro soggetto (e viceversa).
Il deposito della cambiale presso la BCA e la corrispondente apertura di un deposito pari al valore scontato della cambiale dà luogo alle seguenti scritture:
Figura 3
Poiché la banca necessita di riserve a fronte dei depositi creati, essa simultaneamente presenterà la cambiale al “risconto” presso la banca centrale, la quale le anticipa il valore attuale al tasso cosiddetto “di sconto” (in effetti il tasso di interesse fissato dalla Banca d’Italia era un tempo definito “tasso ufficiale di sconto”). Ovviamente affinché la banca commerciale possa conseguire un guadagno, il tasso di (ri)sconto praticato dalla banca centrale sarà inferiore a quello praticato dalla BCA al cliente.22 Il quadro completo dell’operazione è rappresentato nella figura 4:
Figura 4
22 Per esempio, se il tasso di (ri)sconto praticato dalla banca centrale fosse del 5%, la BCA otterrebbe un deposito presso la BC pari a 95; mentre se il tasso di sconto da essa praticato al cliente 1 fosse del 10%, questi vedrebbe accreditato il suo deposito di 90. Il guadagno di 5 della banca centrale per l’operazione di riscontro è il cosiddetto signoraggio che rappresenta una entrata fiscale per il settore pubblico. Il guadagno di 5 della banca commerciale le consente la copertura dei costi di produzione incluso la remunerazione normale del capitale. Per evitarci complicazioni contabili abbiamo assunto i due tassi di sconto pari a zero.
BCA Cliente 1 Cambiale +100 Depositi -100 Cambiale -100
(cliente 1) Deposito +100
Banca centrale Cambiale +100 Riserve +100
(a favore BCA) BCA
Cambiale +100 Depositi -100 (cliente 1) Cambiale -100
Riserve +100
Qui in genere i libri di testo compiano un grave errore. Infatti essi spesso scrivono: supponendo che i regolamenti obblighino la BCA a detenere solo il 10% delle riserve23 come riserva
obbligatoria, essa può prestare 90 al cliente 2.24 L’errore è che le banche non prestano riserve: le riserve circolano solo fra i conti di riserva e regolamento che le banche commerciali detengono presso la banca centrale, ma in nessuno senso una banca commerciale può prestare riserve a una cliente intestandogliele nel suo conto corrente ordinario.25
Un po’ più corretto affermare che, avendo un eccesso di riserve pari a 90, la banca può potenzialmente creare depositi a favore di clienti sino a un potenziale di 900. In altre parole le banche prestano creando depositi, e non prestano riserve! Peraltro, secondo l’approccio della moneta endogena l’ammontare di riserve disponibile neppure vincola il credito creabile da una banca. Ma per ora seguiamo quello che è il ragionamento del moltiplicatore. L’idea dell’esogenità della moneta, su cui questo ragionamento si basa, traspare proprio nel vincolo che la quantità di riserve pone alla creazione di credito/depositi.
Supponiamo dunque (figura 5) che la banca apra un deposito (presti) al cliente 2 per 90 euro (ma è una cifra a caso, potrebbe essere 0, 1 euro sino a 900 euro), e che questi effettui un pagamento al favore del cliente 3 che deposita il 90 euro presso la banca commerciale B (BCB).26 La BCA trasferisce di conseguenza 90 di riserve da BCA a BCB.
23 Nella situazione corrente la riserva obbligatoria nell’Eurozona è dell’1%.
24 Per Auerbach e Kotlikoff (1997, p. 462) una banca “continua nei limiti del possibile a prestare ai propri clienti le sue riserve in eccesso”.
25 Si legga al riguardo il simpatico Paul Sheard (2013).
26 Il fatto che negli esempi dei libri di testo si dica che l’ammontare di prestiti è pari all’ammontare di riserve ricevute sottratta la riserva obbligatoria riflette il fatto che l’economista mainstream medio crede che le banche prestino le riserve. Quale fiducia si può avere in questi economisti e insegnanti se compiono tali macroscopici errori? Qui non si tratta di minuzie specialistiche, ma del cuore dell’analisi macroeconomica.
Figura 5
Ora la potenzialità di credito si sposta alla banca BCB che ha un eccesso di riserve pari a 81. Essa può prestare da 0, se nessuno chiede un prestito, a 810. Supponiamo dunque, come indicato nella figura 6, che essa crei un deposito (presti) di 81 a favore del cliente 4 che effettua un pagamento a favore del cliente 5 il quale deposita la somma presso la banca BCC (che potrebbe naturalmente anche coincidere con la BCA o la medesima BCB).
Figura 6
Il processo si ripete smorzandosi, tuttavia, poiché a ogni “giro” una parte delle riserve inizialmente create dalla banca centrale viene accantonata come riserva obbligatoria. Si dimostra facilmente che poiché è 100 l’ammontare di riserve inizialmente creato dalla banca centrale, con un coefficiente di riserva obbligatoria pari a 10% è di 1000 l’ammontare di depositi creabili dalle banche commerciali. La formula che lega R a D è dunque:
BCA BCB
Cambiale +100 Depositi -100 Riserve +90 Depositi -90
(cliente 1) (cliente 3)
Cambiale -100 Riserve +100
Prestiti + 90 Depositi +90 (cliente 2) (cliente 2) Riserve -90 Depositi -90
(cliente 2)
BCB BCC
Riserve +90 Depositi -90 Riserve +81 Depositi -81
(cliente 3) (cliente 5)
Prestiti + 81 Depositi +81 Prestiti + 72,9 Depositi +72,9 (cliente 4) (cliente 4) (cliente 6) (cliente 6)
Riserve -81 Depositi -81 ... ...
(cliente 4)