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IL SISTEMA DI ACCOGLIENZA DEI RICHIEDENTI PROTEZIONE INTERNAZIONALE TRA CRITICITA' E BUONE PRASSI-L'ESPERIENZA DELLA PROVINCIA DI CHIETI

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Academic year: 2021

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“Il sistema di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale

tra criticità e buone prassi

- L’esperienza della Provincia di Chieti -”

Relatore:

Chiar.mo Prof. Andrea Salvini

Laureanda: Guendalina Soria

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“Paese significa storia e storia significa lingua Impara la tua direzione da gente che non ti somiglia”

(Da “Il Viaggiatore” – Mercanti di Liquore)

Ai Migranti incontrati in questi anni. Ai professionisti che hanno contribuito alla mia formazione. Alla mia Famiglia.

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ABSTRACT

L’eccezionale afflusso di cittadini provenienti da Paesi del Nord Africa spingeva il Presidente del Consiglio dei Ministri ad emanare un decreto, in data 12 febbraio 2011, per dichiarare lo stato di emergenza umanitaria nel territorio nazionale; la situazione era resa ancora più complessa dal conflitto nel territorio libico e dall’evoluzione degli assetti politico – sociali nei paesi della fascia del Maghreb e in Egitto.

Ne consegue la scelta di mobilitare la Protezione Civile per la gestione degli sbarchi a Lampedusa, equiparando, così, l’arrivo di alcune migliaia di persone ad una calamità naturale da affrontare con “misure di carattere straordinario ed urgente”. Pertanto, le strutture già esistenti, preposte all’accoglienza dei cittadini stranieri, poiché ritenute insufficienti, venivano affiancate da nuove tipologie di centri di accoglienza individuati sul territorio nazionale.

Molte regioni italiane, coinvolte nell’accoglienza dei profughi sin dai primi giorni della dichiarata emergenza, hanno sostenuto l’adozione di un modello di accoglienza capillare e decentrato, in antitesi al modello centralizzato proposto dal Governo, che prevedeva l’implementazione di grandi strutture dove concentrare migliaia di persone. L’accordo siglato all’inizio di aprile 2011 tra il Governo e le Regioni ha sancito, quindi, l’avvio della sperimentazione di tipo decentrato, prevedendo un piano di ripartizione sulla base della popolazione di ciascuna Regione e favorendo, così, un sistema di gestione a livello locale, potenzialmente in grado di promuovere un percorso di insediamento e di integrazione, guidato dai singoli territori, per i richiedenti asilo.

Questo lavoro è orientato a condurre una indagine sul funzionamento del piano di accoglienza dei profughi, con una particolare attenzione all’esperienza della Provincia di Chieti, nel corso del 2015/2016 e agli effetti delle politiche di accoglienza sulle traiettorie di vita dei rifugiati e delle comunità locali, al fine di individuare indicazioni circa le trasformazioni in corso ed il loro possibile impatto sul percorso d’inserimento dei rifugiati nella società locale in una prospettiva a medio – lungo termine.

Il primo passo, è quello di analizzare le politiche di accoglienza, partendo da un excursus storico dell’ordinamento giuridico, che permette di capire come la materia dell’asilo sia una disciplina a sé stante e inscindibile dal diritto internazionale, ma anche per mettere in luce come lo storico ritardo dell’Italia, nel recepire le direttive europee, abbia inciso sulle azioni di gestione dell’emergenza / accoglienza implementate sul territorio.

Altro punto di interesse è l’analisi sociologica della consistenza, anche in termini statistici, e delle dinamiche migratorie, unitamente all’impatto che queste hanno avuto sul territorio nazionale e in quali termini gli attori sociali coinvolti hanno

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dato riscontro all’esigenza di dover accogliere, illustrando le tipologie di strutture predisposte a ciò, le criticità rilevate e le buone prassi.

Successivamente, l’analisi coinvolge direttamente le Strutture della Provincia di Chieti, analizzando:

- i processi culturali, ovvero procedendo alla ricostruzione mediante analisi documentale e colloqui sociali, delle storie dei richiedenti asilo e interviste a operatori sociali, referenti di organismi gestori e soggetti migranti direttamente coinvolti nell’emergenza;

- il contesto all’interno del quale hanno preso forma gli interventi di accoglienza enunciati: l’opportunità di descrivere le dinamiche che si verificano realmente all’interno dei Centri di Accoglienza Straordinari (CAS), in qualità di attore partecipante, cogliendo le sfumature dei processi di interazione e integrazione avviati tra gli attori, di mettere in luce i meccanismi sociali che possono avere consentito / ostacolato / modificato il funzionamento del programma relativamente alle aspettative iniziali, di descrivere e valutare gli effetti sui beneficiari (i rifugiati), sulla comunità locale, sulle comunità di connazionali e sul sistema di emergenza che siano riconducibili alle politiche di accoglienza messe in atto dagli attori locali ad esse deputati, ma anche alla loro capacità riflessiva di interlocuzione rispetto a queste ultime.

L’indagine, in ultimo, si inserisce nell’attività ordinaria di programmazione dei sistemi di accoglienza, attivando in essi una funzione strategica di autovalutazione partecipata dei cambiamenti in corso e delle condizioni che ne sostengono / inibiscono lo sviluppo e ha come obiettivo finale contribuire alla riflessione sulle prospettive delle politiche di accoglienza e illustrare le “buone prassi” che, nonostante lo scetticismo in voga circa l’accoglienza dei cittadini stranieri, sono state create tra il 2015 e il 2016 dal mondo delle cooperative sociali.

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INTRODUZIONE……….7

1. LEGISLAZIONE IN MATERIA DI ASILO E POLITICHE DI ACCOGLIENZA

1.1 L'istituto dell'asilo nel diritto internazionale: origini antiche di un diritto "imperfetto" ...10 1.2 La dottrina dell’asilo: gli impulsi internazionali, comunitari e nazionali ....15 1.3 La spinta legislativa alla creazione di una rete di accoglienza ... 23

1.4 Le ipotesi iniziali di organizzazione dell’accoglienza e la svolta normativa in Italia ...27

2. IL SISTEMA DI ACCOGLIENZA

2.1 ricomposizione di un sistema nazionale e unico di accoglienza per

fronteggiare il flusso straordinario di cittadini extracomunitari ... 35 2.2 Implementazione e articolazione del sistema di accoglienza in Italia: dal

fenomeno delle migrazioni forzate all’accoglienza integrata dello Sprar ...44 2.3 La gestione emergenziale dell’accoglienza dei richiedenti asilo e i punti di forza e criticità del sistema ... 56

3. I DATI DELL’ACCOGLIENZA E LE POLITICHE PUBBLICHE PER L’INTEGRAZIONE NELLA PROVINCIA DI CHIETI

3.1 Una comparazione con le best practices europee ... 62

3.2 Accoglienza in Italia e stima complessiva dei costi ... 69

3.3 Focus sulla materia dell’immigrazione a liv ello locale: la

Regione Abruzzo ... 74 3.4 Criticità e prospettive nel territorio della Provincia di Chieti ... 82

4. IL PUNTO DI VISTA SOCIOLOGICO

4.1 Una realtà multidimensionale ...86 4.2 Pensiero e finalità della politica emergenziale: l’immigrato come potenziale nemico ...88 4.3 Le relazioni migratorie: l’immigrato come attore sociale ... 92

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4.4 Il percorso di autonomizzazione: impatto delle politiche di accoglienza sui richiedenti asilo, criticità nell’accesso ai diritti

sociali e aspetti psico – sociali della marginalizzazione ... 97

5. LE RISPOSTE DELLA PROVINCIA DI CHIETI IN TERMINI DI ACCOGLIENZA: LA MISSION DEL CONZORZIO MATRIX

5.1 Analisi delle dinamiche interne ai Centri di accoglienza e con gli attori del territorio, gestione dei servizi e buone prassi ... 105

6. “PRESA DIRETTA” SUI RICHIEDENTI ASILO

6.1 Come condurre colloqui e interviste ... 137 6.2 Storie di vita ... 141 CONCLUSIONI ………....152 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI ……….178 SITOGRAFIA ………179

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INTRODUZIONE

Prima di entrare nel merito del piano emergenza vale la pena definire chi sono i profughi e quali sono i motivi e le modalità della loro fuga dalla Libia. La guerra civile libica del 2011 ha visto opposte le forze lealiste di Mu'ammar Gheddafi e quelle dei rivoltosi, riunite nel Consiglio nazionale di transizione. La Libia, dopo aver vissuto una prima fase di insurrezione popolare anche nota come rivoluzione del 17 febbraio, a seguito di quanto avvenuto in quasi tutto il mondo arabo (e specialmente in Tunisia e in Egitto), ha conosciuto in poche settimane lo sbocco della rivolta in conflitto civile. La sommossa libica, in particolare, è stata innescata dal desiderio di rinnovamento politico contro il regime ultra-quarantennale della "guida" della Jamāhīriyya Mu’ammar Gheddafi, salito al potere il 1º settembre 1969 dopo un colpo di stato che condusse alla caduta della monarchia filo-occidentale del re Idris. Le cronache della guerra e delle sue sanguinose battaglie, l’escalation dei combattimenti e la vittoria dei ribelli con la morte di Gheddafi avvenuta il 20 Ottobre 2011 hanno avuto eco sui nostri media.

Quello che è meno noto è l’altra faccia della guerra ovvero i migliaia di rifugiati scappati dal paese durante l’ultimo assalto a Tripoli. La Libia è sempre stata paese di immigrazione per le persone provenienti dall’Africa Sub Sahariana. Non solo perché è posta alla fine delle rotte che attraversano il Sahara e rappresenta il principale porto di partenza per l’Europa, ma anche perché era il paese con il più alto livello di benessere dell’intera area. Il reddito pro capite della popolazione infatti è attestato a 11.307 dollari l'anno, un parametro più elevato rispetto agli altri stati del Maghreb (cinque volte superiore a quello egiziano). La Libia, inoltre, è ricca di petrolio, risorsa della quale il paese è il primo possessore africano e che costituisce la più importante e principale fonte di ricchezza. In Libia per un migrante era possibile trovare un lavoro, essere pagati dignitosamente e magari avere anche un reddito sufficiente per poter inviare qualcosa alla famiglia rimasta nel paese d’origine. Al momento dello scoppio della guerra in Libia erano presenti migranti provenienti non solo da tutta l’Africa Sub Sahariana ma anche da paesi dell’Asia sub-orientale (Pakistan, Bangladesh, Sri Lanka). Alcune di queste persone vivevano in Libia da anni e avevano ormai una vita stabile nel paese. Altre erano rifugiati provenienti da vari paesi che avevano raggiunto la Libia dopo essere fuggiti dai loro paesi d’origine. Dopo lo scoppio della guerra, la paura per il dilagare dei combattimenti e il crescente odio verso di loro da parte dei ribelli e della popolazione civile libica, li ha costretti alla fuga verso il confine algerino oppure a tentare la traversata via mare verso l’Europa.

L’odio nei loro confronti, che è sfociato in episodi di violenza estrema e veri propri linciaggi è stato aizzato dall’utilizzo di mercenari stranieri da parte del regime di Gheddafi per brutalizzare e terrorizzare la popolazione civile. I mercenari erano in larga parte miliziani arrivati in Libia attraverso il Ciad dalla regione occidentale del

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Sudan, già distintisi per le atrocità compiute in Darfur nel corso dell'omonima guerra. Nel 2011 oltre 1.300.000 persone di varie nazionalità sono fuggite per sottrarsi alla violenza della guerra in Libia. La maggior parte si trova ora nei grandi campi lungo la frontiera algerina. Migliaia di profughi hanno attraversato il Mediterraneo in cerca di sicurezza in Italia. Al riguardo vale la pena ricordare che oltre ai numeri di quelli che sbarcano ci sono anche quelli di coloro che non sono mai arrivati. Nessuno sa quanti siano i naufragi di cui non abbiamo mai avuto notizia. I loro corpi finiscono nell'oblio delle nostre coscienze, seppelliti in fondo a quello che è ormai il cimitero Mediterraneo.

Per quanto l’immigrazione sia un fenomeno ad evidente carattere globale, essa ha sicuramente ricadute incisive anche a livello locale. Come suggerito da Caponio, la migrazione è sempre una migrazione fra luoghi: “la dimensione locale è fondamentale nelle relazioni sociali del migrante, che si concretizzano in un intreccio continuo d’interazioni e contatti tra contesti d’origine e di destinazione, tra paesi o città più o meno distanti fra loro”. L’integrazione degli immigrati stranieri nei loro contesti di vita e di lavoro non avviene, quindi, a vuoto, ma si concretizza in rapporti di vicinato, in un uso più o meno visibile degli spazi della residenzialità e del lavoro, nell’appropriazione e talvolta anche nella

re-interpretazione di luoghi pubblici.

La dimensione spaziale del processo migratorio viene quindi ad assumere importanza centrale nel momento in cui si parte dal presupposto che il rapporto uomo-spazio da un lato incida sulla costruzione identitaria degli individui e, dall’altro, sia veicolo della creazione di relazioni fra le persone. Così come i migranti contribuiscono alla trasformazione dello spazio urbano per via delle pratiche di utilizzo dei luoghi e delle peculiari relazioni di socialità, anche la dimensione spaziale stessa in cui essi vivono, con la sua storia, la sua cultura, le routine e le pratiche sedimentate dell’agire sociale, incide sulla loro vita e sulle possibilità di integrazione.

Il tema dell’integrazione di “nuovi cittadini” nella società si configura come una questione sempre più urgente che, per essere affrontata, richiede di essere “pensata”, vale a dire progettata intenzionalmente. Non è possibile immaginare, infatti, che i percorsi di integrazione sociale di chi si inserisce in un nuovo contesto siano l’esito di casualità o di circostanze fortuite. Al contrario, una tale prospettiva di integrazione sociale esige di promuovere intenzionalmente e consapevolmente opportunità di inclusione nella società.

Lo studio delle forme di integrazione dei migranti nella società impone, in primo luogo, di “ribaltare” la questione dell’integrazione sociale, che viene solitamente declinata “a senso unico” in prospettiva assimilazionista come semplice inserimento, e rappresenta la cartina di tornasole per comprendere quale risposta si è in grado di offrire di fronte a quei processi globali che causano la dissoluzione, la disgregazione sociale e l’impoverimento di intere aree del pianeta. Esaminare la questione dell’integrazione dei migranti da tale punto di vista obbliga, in definitiva, a rinunciare a qualsiasi automatismo “riduzionista”, peraltro estremamente diffuso, che subordina il giudizio complessivo sul fenomeno migratorio, in termini di pura

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utilità, al suo apporto al sistema economico-produttivo, imponendo necessariamente di considerare la dimensione politica ed etica di una tale presenza, nonché, conseguentemente, di individuare ragioni e cause dei processi di migrazione.

Va tenuto conto, poi, del fatto che le dinamiche dell’esclusione sociale nei confronti dei migranti non sono spesso altro che un riflesso, un particolare, di quei meccanismi di marginalità sociale più globali, di cui sono vittima non soltanto gli individui in condizione di maggiore debolezza sociale ma, in modo collettivo, tutti i componenti della società. È questo il motivo per il quale i “luoghi dell’integrazione” attivi nella società – i servizi di accoglienza e inclusione sociale, le istituzioni scolastiche, i servizi sociali, i luoghi di formazione informale e di socializzazione, gli spazi dell’iniziativa sociale – rappresentano oggi un presidio cruciale nella società, a difesa di una democrazia pluralista, solidale e inclusiva. Nella fattispecie dei richiedenti asilo politico, sia il discorso dell’accoglienza, sia quello relativo all’integrazione, vengono convogliati, nella prima fase del loro approdo in Italia, nei sistemi di accoglienza predisposti sul territorio, che si attivano per mettere in circolo la tanto auspicata “buona accoglienza”, costituita da prassi che si consolidano nel tempo, che si plasmano sotto l’egida dei cambiamenti e che si fanno garanti del rispetto delle identità culturale di ciascun cittadino straniero, pur favorendo il suo inserimento, sotto molti aspetti e dotandolo degli strumenti necessari, nella società ospitante.

Uno sguardo particolare, nel presente scritto, è rivolto a quelle dinamiche che, nel tempo, “fanno” la reale accoglienza e favoriscono o meno l’integrazione, poiché ogni successo o insuccesso è anche frutto della responsabilità e delle competenze dei professionisti del settore, ma anche perché è necessario comprendere che lavorare con le “persone” non prevede regole rigide e implica mettersi in discussione nello snodarsi di tutto il tragitto che porta agli obiettivi finali.

Questo lavoro nasce dalla passione per l’incontro con le altre persone e, in particolar modo, per le storie che ne nascono, per gli scambi che si creano. Questa inclinazione è alla base della scelta del mio percorso di studi e, con il passare degli anni, mi ha portato a rivolgere il mio interesse al tema delle migrazioni. Il mio approccio a questo fenomeno sociale è nato principalmente dall’esperienza, a cui ha fatto seguito l’approfondimento teorico, di responsabile di un Centro di Accoglienza Straordinaria per richiedenti asilo sito in Siena, dove ho lavorato per un anno circa, prima di proseguire nello stesso settore, ma nel ruolo di assistente sociale e, allo stato attuale, di assistente al coordinamento, nel territorio della Provincia di Chieti, dove sono inserita da quasi due anni. Senza la pretesa di completezza totale, nelle pagine seguenti si tenta di dare una visione del fenomeno dal punto di vista giuridico e sociologico, con sprazzi di contenuti psicologici ed esperienziali, potendo registrare da vicino alcune dinamiche altrimenti riservate ai non addetti ai lavori.

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“Recognition of his refugee status does not therefore make him a refugee

but declares him to be one. He does not become a refugee because of recognition,

but is recognized because he is a refugee”1

(UNHCR, Manuale sulle procedure e sui criteri per la determinazione dello status di rifugiato, settembre 1979, Ginevra)

1. LEGISLAZIONE IN MATERIA DI ASILO E POLITICHE DI ACCOGLIENZA

1.1. L'istituto dell'asilo nel diritto internazionale: origini antiche di un diritto "imperfetto"

Nell’ambito del “diritto degli stranieri” o “dell’immigrazione” la questione del diritto d’asilo emerge con caratteri e dinamiche particolari e con prospettive di evoluzione profonda.

In ogni forma di moderno Stato democratico-pluralista, infatti, la disciplina del diritto d’asilo è ispirata a valori propri ed a criteri in parte derogatori rispetto a quelli che sovrintendono alla restante normativa sull’immigrazione, in quanto prevede uno status personale più favorevole e delinea, pertanto, un trattamento giuridico speciale.

Sussiste una stretta connessione tra i principi cardine del costituzionalismo moderno – quali, in particolare, il rispetto dei diritti fondamentali della persona umana, l'eguaglianza e la tutela delle minoranze – e la scelta dell'ordinamento di garantire una maggiore protezione all'ingresso ed al soggiorno sul territorio statale di stranieri la cui vita, sicurezza e libertà siano in pericolo - concreto ed attuale - nel contesto di forme di Stato che negano la salvaguardia effettiva di quei medesimi principi e diritti fondamentali.

La materia, inoltre, è particolarmente sensibile ai principali eventi storico-politici che animano le relazioni internazionali: da qui, il crescente numero di accordi stipulati per fronteggiare crisi migratorie causate da emergenze belliche o da disordini politici interni o da altre forme di persecuzione, nonché volti alla creazione di forme di "asilo provvisorio" come temporanea soluzione di redistribuzione degli oneri umanitari tra gli Stati di prima accoglienza e gli altri. Un ulteriore profilo di specialità della disciplina dell'asilo consiste nella sua originaria inidoneità ad essere qualificato come istituto specifico del diritto internazionale generale.

1 Tradotto vuol significare che una persona non diventa rifugiato perché è dichiarata tale, ma è riconosciuta come tale proprio perché è un rifugiato.

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Successivamente ai due conflitti mondiali, risentendo inevitabilmente degli ingenti spostamenti di persone da uno Stato all’altro, le nozioni di asilo e rifugio politico si sono trasformate, acquisendo una definizione di portata generale, contenuta nella Convenzione di Ginevra del 1951,siglata in piena guerra fredda.

L’articolo 14 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948) stabilisce che ogni individuo ha il diritto di cercare asilo dalle persecuzioni o di goderne in altri Paesi, salvo che la persona sia effettivamente ricercata per reati non politici o per azioni contrarie ai fini e ai principi fondanti le Nazioni Unite; tuttavia, tale previsione è tradizionalmente considerata un mero “ideale comune” per “tutti i popoli e tutte le Nazioni”, in quanto ogni Stato è libero di determinare le condizioni per la concessione del diritto d’asilo, nel pieno esercizio della propria sovranità. Al di fuori degli obblighi eventualmente risultanti da accordi internazionali, sul piano del diritto internazionale generale si rileva la totale assenza di vincoli alla libertà dello Stato di concedere o negare l’asilo sul proprio territorio.

La nuova concezione dell’asilo politico – affermatasi, dunque, tra il secondo dopoguerra e la fine degli anni ’80 – tende a ricondurlo nell’alveo del diritto internazionale umanitario in quanto diritto fondamentale dell’individuo.

Permane, tuttavia, un irrisolto conflitto tra la nuova natura dell’asilo finalmente riconosciuta dal diritto internazionale e la “sovranità resistente” degli Stati, refrattari a riconoscerlo come diritto soggettivo perfetto e ad assumersi gli obblighi necessari alla sua realizzazione, che la stessa Convenzione di Ginevra del 1951 – infatti - espressamente non impone, al di fuori del solo principio del non refoulement (artt. 32-33, divieto di espulsione o respingimento alla frontiera di un rifugiato verso un territorio in cui la sua vita e la sua libertà siano minacciate, a meno che non sussistano gravi motivi di ordine pubblico e sicurezza nazionale). Tale elemento di spiccata ambiguità del diritto in questione deriva altresì dalle radici storiche dell'asilo, configuratosi originariamente come "devoir d'accueil" piuttosto che come vero e proprio "droit d'asile". Nasce, infatti, come diritto del sovrano di accogliere sul proprio territorio colui che cerca rifugio: come diritto dello Stato, quindi, di concedere la propria protezione ad uno straniero, ovvero sia come espressione piena ed ultima della sovranità statale di estendersi anche a quei soggetti che di norma - vale a dire in virtù della cittadinanza di appartenenza o della residenza - ne sarebbero esclusi.

Il diritto d'asilo, nella storia degli Stati nazionali, è divenuto strumento tipico di politica intergovernativa atto a configurare una "protezione sostitutiva" accordata da uno Stato diverso da quello che dovrebbe garantirla e, proprio in ragione della sua inerzia, è intesa sia come incapacità di proteggere i soggetti sottoposti alla propria sovranità sia come difetto della volontà di farlo.

Come già visto, infatti, soltanto nel quadro giusinternazionalistico contemporaneo della promozione generale dell'individuo e della salvaguardia dei diritti dell'uomo come diritti soggettivi di libertà contrapposti alla sovranità statale - o comunque da essa svincolati -, si afferma il diritto d'asilo come diritto all'asilo. Sono questi, dunque, i due volti storici del diritto d'asilo: esso è contestualmente facoltà discrezionale dello Stato e diritto soggettivo dell'individuo, ovvero espansione

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massima della sovranità statuale e aspirazione di diritto e di appartenenza alternativa a quella di origine. Le due identità sembrano, inoltre, inconciliabili in quanto rispondono a logiche contrapposte e producono conseguenze diametralmente diverse: infatti, la consacrazione di un vero e proprio diritto all'asilo pregiudica l'assoluta discrezionalità degli Stati nella determinazione dei beneficiari della propria protezione, che costituisce uno degli elementi chiave della loro sovranità.

Ed è proprio intorno a questa tensione fondamentale che si è sviluppato il moderno dibattito dottrinale e giurisprudenziale.

In una prima accezione, il termine asilo è impiegato nella pratica internazionale per indicare la protezione ed il rifugio accordati dallo Stato entro la propria sfera territoriale ad individui che vi siano entrati per sfuggire alla giustizia o per sottrarsi ad un'insostenibile situazione oggettiva esistente nel territorio dello Stato cui appartengono (c.d. asilo territoriale o asilo esterno).

Il fenomeno del rifugio è parzialmente diverso: si tratta della tolleranza da parte di uno Stato neutrale verso la penetrazione nel proprio territorio - in tempo di guerra - di navi od aeromobili militari di Stati belligeranti (o di reparti delle loro forze armate).

Dal momento che, in forza di una norma internazionale consuetudinaria, ogni Stato è obbligato a rispettare l'altrui sovranità territoriale ovvero a non fare ingresso né in alcun modo ad intervenire sul territorio di Paesi con cui intercorrano rapporti di pace, la sfera territoriale di uno Stato che dia asilo costituisce per l'individuo in questione uno spazio protetto (almeno finchè egli sia ammesso a soggiornarvi). Secondo la dottrina, a ben guardare, tale rifugio presenta più propriamente i caratteri dell'asilo solo allorché vi sia da parte dello Stato ospitante non un mero atteggiamento di tolleranza, bensì un comportamento attivo di assunzione degli oneri della protezione del soggetto, nel senso di un impegno a non dar seguito alle richieste di consegna avanzate dalle autorità del Paese di cui questo sia cittadino o cui spetti la relativa giurisdizione.

Trattandosi essenzialmente della mera libertà di un membro della comunità internazionale di disporre del proprio territorio, la rilevanza giuridica dell'asilo territoriale a livello internazionale risiede nella configurabilità di norme internazionali - di origine consuetudinaria o pattizia - che istituiscano dei limiti all'assolutezza di tale discrezionalità, o nel senso dell'introduzione di obblighi di estradizione ovvero di divieti di refoulement.

Il cammino storico compiuto dal diritto d'asilo a livello internazionale resta, comunque, imponente, poiché si passa da un sistema precario di aiuto ai rifugiati e limitato ad una categoria di persone nella sola Europa, ad una protezione universale di cui possono beneficiare milioni di rifugiati in tutto il mondo. La svolta è da rintracciarsi nel nazismo e nelle sue pratiche di repressione e sterminio: la natura giuridica del problema muta profondamente, in quanto le vittime della persecuzione nazista non sono apolidi, continuando a beneficiare – almeno formalmente – del possesso di una nazionalità. La negazione della protezione dello

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Stato di appartenenza – ed anzi la sua diretta responsabilità nelle violenze subite – non emerge più, dunque, dalla privazione della cittadinanza.

In conclusione, accanto alla tecnica normativa dei primi accordi internazionali in materia – i quali mirano a colmare, a livello giusinternazionalistico, l'assenza di protezione personale configurata come perdita della cittadinanza -, il quadro si evolve verso un sistema di garanzia più ampio e basato su presupposti diversi, ossia orientato anche verso coloro che conservano la nazionalità del proprio Paese d'origine.

Entra in scena un nuovo criterio definitorio, che tende a sostituirsi a quello tradizionale dell'origine nazionale: la persecuzione.

L'organismo che gestisce la protezione dei rifugiati, nel periodo bellico, è il Comitato intergovernativo per i rifugiati (CIR), il cui mandato si estende ad “ogni individuo, ovunque egli si trovi, che, a causa di eventi intervenuti in Europa, ha dovuto abbandonare o dovrà abbandonare il proprio paese di residenza per pericoli che minacciano la sua vita a causa della sua razza, della sua religione o delle sue opinioni politiche”.

Nel 1946, infine, quando il mondo è attonito innanzi alle reali dimensioni dei crimini commessi dal nazismo, nasce l'Organizzazione internazionale per i rifugiati (OIR), il cui statuto si conforma ai fini ed ai principi della Carta delle Nazioni unite ed introduce una nuova definizione di rifugiato, seppure ancorata alla concezione classica degli accordi internazionali degli anni '30. Essa stabilisce un nuovo sistema di eleggibilità individuale che trascende l'appartenenza ad una categoria specifica collettivamente determinata, incentrandosi sul singolo e sulla sua storia personale: la codificazione di questo principio si realizza con la Convenzione relativa allo status di rifugiato, firmata a Ginevra il 28 giugno 1951.

Il riconoscimento del diritto di asilo territoriale in Italia ha trovato, dopo il dibattito in Assemblea Costituente, nel comma 3 dell’articolo 10 una formula ampiamente garantista, tra le più lungimiranti nel panorama europeo.

Infatti, mentre le costituzioni degli altri Paesi si limitano in molti casi a rinviare alla legge la definizione dei presupposti per la concessione dell’asilo, oppure precisano che l’interessato deve essere oggetto di persecuzione politica nello Stato d’origine, la nostra Carta fondamentale “non si limita ad offrire asilo a chi sia colpito o perseguitato perché sostenitore di idee e tendenze politiche ritenute degne di approvazione, ma considera perseguitato, colpito e meritevole di asilo chiunque sia cittadino di Paese nel quale non siano effettivamente riconosciute le fondamentali libertà democratiche dell’uomo”.

Si è giunti alla scelta della massima estensione della sfera dei possibili beneficiari, essendo stato eliminato qualsiasi riferimento sia all’atteggiamento – ideologico o politico – del soggetto, sia all’atteggiamento delle autorità estere nei suoi confronti. L’unico requisito previsto consiste in un elemento obiettivo, ovvero nel dato per cui lo Stato estero dal quale il richiedente asilo fugge impedisca il godimento dei fondamentali diritti liberal-democratici garantiti dalla nostra Costituzione. Tale inquadramento storico avvalora l’interpretazione dell’art. 10, co. 3 Cost. condivisa dalla dottrina e dalla recente giurisprudenza quale diritto soggettivo perfetto dello

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straniero - al quale nel suo Paese sia effettivamente negato l’esercizio anche di una sola delle nostre libertà – di entrare e soggiornare nel territorio dello Stato italiano, almeno al fine della presentazione della domanda d’asilo alle autorità italiane, diritto immediatamente azionabile anche in mancanza delle leggi ordinarie che fissino alcune condizioni per il suo esercizio.

Ad ogni modo, è opportuno considerare che l’insieme degli stranieri titolari del diritto d’asilo previsto dalla Costituzione è ben più ampio di quello dei soli perseguitati individuali definito dalla Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status di rifugiato, poiché comprende anche quei soggetti che fuggono dal proprio Paese per la necessità di salvare la propria vita, sicurezza o incolumità dal pericolo grave ed attuale derivante da situazioni di conflitto, guerra civile, disordini gravi e generalizzati, ferma restando la legittimità di misure statali volte a limitare l’ammissione degli stranieri nel territorio nazionale, nel solo caso di esodo di massa.

Per precisare ulteriormente l’estensione dell’ambito soggettivo di efficacia della norma ex art. 10, co. 3 Cost., si ritiene che vi siano ricompresi anche gli apolidi, poiché una loro esclusione non rispetterebbe gli intenti dei Costituenti. La concessione del diritto d’asilo, infatti, prescinde dal fatto che lo straniero abbia la nazionalità dello Stato nel quale non può esercitare i diritti fondamentali di libertà: lo scopo della previsione costituzionale è quello di consentire il soggiorno nel nostro Paese a tutti i non cittadini che non possono godere delle libertà garantite in Italia nello Stato estero al quale sono stabilmente legati, ovvero del quale siano cittadini o nel quale risiedano abitualmente pur essendo apolidi. La protezione di cui all'art. 10, co. 3 non si estende a coloro che abbiano compiuto atti contrari alla costituzione del proprio Paese e siano perseguiti nelle forme legali. Pertanto, ai sensi del disposto del comma 3, la garanzia potrebbe coprire – al limite – chi, perseguito per attività anticostituzionale, è sottoposto ad un ordinamento che non rispetta i principi fondamentali di legalità, irretroattività ed umanità delle pene. La volontà di affrancare il diritto d'asilo dall'angusto spazio riservato al rifugio convenzionale appartiene - seppure in misura diversa - a tutte le costituzioni del Secondo dopoguerra. Infatti, se la Convenzione di Ginevra s'inscrive nell'ambito della concezione del diritto internazionale classico (seppure temperata dalla nuova centralità della dignità della persona umana emergente nel periodo post-nazista), relegando il rifugio politico al ruolo di strumento delle relazioni intergovernative, il diritto d'asilo, così come affermato nella Dichiarazione universale delle Nazioni unite - nonché a fortiori nella Costituzione italiana - è a tutti gli effetti un diritto umano fondamentale, afferente al diverso ambito dei rapporti tra individuo e Stato.

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1.2 La dottrina dell’asilo: gli impulsi internazionali, comunitari e nazionali

Dopo un excursus storico sulle origini della legislazione in materia di immigrazione, si fa riferimento, nello specifico, alla dottrina del diritto di asilo in Italia.

Il quadro normativo che regola la materia del diritto di asilo, che è diverso da quello che regola la materia dell’immigrazione, è complesso e articolato. Il tema dell'immigrazione è percorribile secondo molteplici chiavi di lettura: storica, geo-politica, giuridica, economico-sociale, demografica, statistica. Ed a considerare già solo il riguardo giuridico, questo si irradia in più profili, penale, civilistico, amministrativo, in un intreccio multi-livello ove incidono: regolamenti e direttive dell'Unione europea (di disciplina dell'immigrazione, della condizione giuridica dello straniero, della

protezione internazionale); leggi dello Stato (per la riserva di legge sancita dall'articolo 102 della Costituzione, nonché per la riserva di legislazione statale esclusiva posta dall'articolo 1173, secondo comma, lettere a) e) b) della Costituzione circa immigrazione, diritto di asilo e condizione giuridica dello straniero extra-comunitario); leggi regionali (per la competenza delle Regioni in alcuni ambiti, ad esempio socio-assistenziale, con la conseguente emersione di cittadinanze sociali differenziate su base regionale); atti e prassi amministrative; giurisprudenza, così europea come interna.

Pertanto, il quadro giuridico si compone di atti relativi alla legislazione internazionale, a quella comunitaria e a quella nazionale.

LEGISLAZIONE INTERNAZIONALE

- 1948: Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.

Adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, è il primo documento che sancisce, a livello mondiale, i diritti fondamentali degli individui.

2 Art. 10 Costituzione “L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del

diritto internazionale generalmente riconosciute.

La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali.

Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge.

Non è ammessa l'estradizione dello straniero per reati politici.”

3 Art. 117 Costituzione, c.2, lettere a) e b) “Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle

seguenti materie:

a) politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l'Unione europea; diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non

appartenenti all'Unione europea;

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16

 Art 14 - “Ogni individuo ha diritto di cercare e di godere in altri Paesi asilo dalle persecuzioni.”

- 1951: La Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato

E’ il primo documento in cui viene regolato il sistema legale internazionale per quanto concerne l’assistenza a coloro i quali sono costretti ad abbandonare la propria terra e include lo status di “rifugiato” tra le figure che danno luogo alla protezione internazionale, insieme allo status di protezione sussidiaria.

 Art 1 – “E’ rifugiato colui che, temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trovi fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non possa o, a causa di tale timore, non voglia avvalersi della protezione di detto Stato”.

In base alla definizione dell’art. 1, possono essere evidenziati 4 requisiti essenziali:

1) La fuga dal proprio Paese. Il rifugiato - per essere riconosciuto tale - deve trovarsi fuori del suo Paese di origine;

2) Il fondato timore di persecuzione. Il timore di persecuzione deve essere reale, ma, soprattutto, deve trattarsi di persecuzione rivolta in modo diretto alla persona che richiede asilo; deve trattarsi di persecuzione a titolo individuale e non generalizzata;

3) Motivi specifici di persecuzione. La persecuzione, temuta o subita, deve essere operata in ragione di uno dei motivi indicati dallo stesso articolo 1 della stessa convenzione.

4) L'impossibilità di avvalersi della protezione del proprio paese di origine. Il richiedente asilo deve trovarsi nella condizione di non potere, né volere rivolgersi alle autorità del suo paese. Questo perché il cosiddetto agente di persecuzione (chi perseguita), può essere direttamente il Governo del paese oppure altro soggetto da questi tollerato o non contrastato.

La Convenzione di Ginevra non contiene una definizione del termine “persecuzione”. Secondo l’interpretazione dominante, si può dedurre che ogni minaccia alla vita o alla libertà per ragioni di razza, religione, nazionalità, opinioni politiche o appartenenza ad un determinato gruppo sociale, costituisce persecuzione.

Tra i principali obiettivi della Convenzione c’è anche quello di definire degli strumenti atti a garantire l’effettiva tutela dei diritti dei rifugiati nei territori dei Paesi di asilo.

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17 Nello specifico la Convenzione:

- vieta di sanzionare l’ingresso ed il soggiorno irregolare dei rifugiati (art. 31); - afferma il principio di non refoulement, (non respingimento) secondo il quale

nessuno Stato può espellere in nessun modo un rifugiato verso un territorio dove la sua vita e la sua libertà potrebbero essere minacciate (art. 33)4.

Il principio di non-refoulement è sancito dall’articolo 33 della Convenzione del 1951, secondo il quale Nessuno Stato contraente potrà espellere o respingere (refouler) - in nessun modo - un rifugiato verso le frontiere dei luoghi ove la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a causa della sua razza, della sua religione, della sua nazionalità, della sua appartenenza ad una determinata categoria sociale o delle sue opinioni politiche. Questo principio è inoltre contenuto nell’articolo 3 della nella Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, così come è implicito nell’articolo 3 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Tale articolo sancisce infatti il divieto assoluto di tortura e di trattamenti inumani e degradanti; da esso, una consolidata giurisprudenza della Corte Europea dei diritti umani di Strasburgo, fa discendere il divieto inderogabile per gli Stati di espellere, respingere o estradare una persona verso un Paese ove sarebbe a rischio di essere soggetta a torture, trattamenti inumani o degradanti o pena di morte. Oltre che del diritto internazionale pattizio, il principio di non-refoulement fa parte del diritto internazionale consuetudinario e, quindi, vincola automaticamente tutti gli Stati.

Limiti della Convenzione di Ginevra5

Due ordini di restrizione nell’ambito dell’applicazione della Convezione: 1) riserva temporale (Esclusione della protezione per fatti accaduti dopo il 1951); 2) riserva geografica (da applicare solo ai rifugiati Europei).

4

Il divieto di refoulement si applica indipendentemente dal fatto che la persona sia già stata riconosciuta rifugiata e/o dall’aver quest’ultima formalizzato o meno una domanda diretta ad ottenere tale riconoscimento, a meno che sussistano ragioni di sicurezza nazionale o ordine pubblico (artt. 32 e 33, co.2, della Convenzione di Ginevra).

5 La Convenzione di Ginevra nasce per dare condizione giuridica più stabile a quegli stranieri o apolidi che restavano sfollati o fuggitivi perché temevano di rientrare in patria dopo gli sconvolgimenti politici, etnici e territoriali successivi alla Seconda Guerra Mondiale e nel clima della cosiddetta “Guerra Fredda” e, pertanto, è estranea agli sviluppi che la nozione di rifugiato ha subito successivamente per l’evolversi, qualitativo e quantitativo, del fenomeno in tempi recenti.

Successive integrazioni (Protocollo di New York del 1967) ed interpretazioni sempre più estensive della nozione di rifugiato da parte di numerosi Stati firmatari hanno tuttavia consentito di superare l’originaria formulazione della Convenzione e le possibili interpretazioni restrittive da essa consentite.

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18

La Convenzione di Ginevra è stata ratificata dall’Italia con la Legge n. 722 del 1954 che ha introdotto entrambe le limitazioni.

- 1967: Il protocollo di New York

Porta con sé il superamento delle due riserve; insieme alla Convenzione di Ginevra, il Protocollo di New York è ritenuto il pilastro normativo, a livello internazionale, sui diritti dei rifugiati.

Sono gli strumenti fondamentali in base ai quali gli Stati firmatari garantiscono la loro protezione alle persone che chiedono lo status di rifugiato. Rappresentano gli strumenti essenziali da cui prende le mosse l’attività dell’ACNUR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, con sede a Ginevra, istituita nel 1951 e finalizzata alla protezione dei rifugiati sul piano internazionale).

LEGISLAZIONE EUROPEA

A livello comunitario si è intrapreso, da diversi anni, un processo di armonizzazione delle politiche in materia di immigrazione e, soprattutto, di asilo. - 1990: Convenzione di Schengen.

Abolizione dei controlli alle frontiere interne dello spazio comunitario e potenziamento dei confini esterni. Regole comuni in materia di attraversamento delle frontiere esterne e per le richieste di asilo. Regime comune per il rilascio di visti di ingresso e del controllo alle frontiere.

- 1990: Convenzione di Dublino

Determina lo Stato responsabile per l’esame di una richiesta di asilo. Obiettivo: evitare le domande di asilo multiple, cioè presentate in più Stati.

- 1999: Trattato di Amsterdam e il Consiglio Europeo di Tampere

I° fase regime comunitario europeo (1999 – 2005). A partire dal Trattato di Amsterdam, l’Unione Europea si è impegnata a raggiungere l’obiettivo di una politica comune nel campo dell’asilo. Nella riunione del Consiglio Europeo, svoltasi a Tampere nell’ottobre del 1999, si stabilì un programma politico chiaro per lo sviluppo di una politica europea fondata sulla creazione di un regime comune di asilo. Durante la prima fase l’obiettivo fu quello di armonizzare i quadri giuridici degli Stati membri in materia di asilo, con l’adozione di standards comuni relativi alla definizione di rifugiato e di altre forme di protezione internazionale, al sistema di accoglienza ed alle procedure. L’obiettivo, invece, della seconda fase, delineata dal Programma dell’Aia (2004 – 2009), era l’istituzione di un Sistema Comune Europeo di Asilo6, di una procedura comune e di uno status uniforme ed

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unico dei rifugiati, superando gli elementi di criticità del sistema basato su norme minime.7

- 2002: Regolamento Dublino II

La Convenzione diventa Regolamento in base al quale viene stabilito il “principio di autorizzazione”, ovvero la responsabilità dello Stato competente. In genere è quello che ha precedentemente concesso un visto di ingresso.

- 2003: Sistema Eurodac

Il regolamento CE n. 2725/2000 per il confronto delle impronte digitali e l’efficace applicazione del regolamento Dublino, obbliga gli Stati membri a rilevare le impronte digitali di tutti i richiedenti asilo, nonché di tutti gli stranieri irregolari ed a le informazioni ad una banca dati centrale. In base al sistema EURODAC vengono disposti i trasferimenti dei richiedenti asilo allo Stato competente.

Riassumendo:

I° Fase di realizzazione di un sistema comune europeo: strumenti giuridici fondamentali.8

1) Direttiva 2001/55/CE sulla protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati provenienti dai Paesi non appartenenti all’Unione europea e che non possono far rientro nel Paese di origine. L’obiettivo della direttiva è quello di evitare che il sistema di asilo possa collassare a fronte della presentazione di un numero eccessivo di domande di protezione internazionale.

2) Regolamento CE N. 343/2003 sullo Stato membro responsabile dell’esame di una domanda di asilo ed il suo regolamento di attuazione n. 407/2002 (cd. Regolamento Dublino II).

3) Direttiva 2003/09/CE recante norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo e rifugiati nei Paesi Membri (cd “direttiva accoglienza”) in merito all’accoglienza e assistenza sanitaria. Introduce, per la prima volta, l’istituto del trattenimento dei R.A.

4) Direttiva 2004/83/CE sull’attribuzione della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale (cd “direttiva qualifiche”), che fissa i criteri comuni per l’attribuzione dello status di rifugiato e di beneficiario di protezione sussidiaria, assicurando un livello comune minimo di prestazioni, con l’obiettivo di eliminare il c.d. fenomeno dell’asylum shopping, ovvero della ricerca dello Stato membro con una disciplina più favorevole per l’accertamento delle esigenze di protezione. (Introduce elementi di novità, quali il richiamo ad “agenti non statali di persecuzione” e alla persecuzione fondata sull’identità di genere e

7 Con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona si introduce il concetto di asilo europeo.

8 Fonte: “Lo status di rifugiato” – Scheda ASGI – a cura di N. Morandi e P. Bonetti (5 febbraio 2013).

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20

sull’orientamento sessuale, come fattori caratterizzanti l’appartenenza ad un determinato gruppo sociale).

5) Direttiva 2005/85/CE sulle norme minime applicate nei vari Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato (cd “direttiva procedure”), il cui obiettivo è quello di limitare i movimenti dei richiedenti asilo tra gli Stati membri, che possono derivare dalle diversità delle normative interne. II° fase da concludersi9 entro il 2012: procedura unica comunitaria di asilo, iniziata con la revisione della normativa comunitaria in materia di asilo nel dicembre 2008, da parte della Commissione europea, perseguendo i seguenti obiettivi:

- Chiarire alcuni concetti giuridici la cui attuazione ha dato luogo ad applicazioni fortemente divergenti da parte dei vari Stati membri;

- Eliminare le differenze tra i vari Stati membri nel livello di diritti concessi ai rifugiati ed ai beneficiari di protezione sussidiaria (in particolare con riferimento alla durata del titolo di soggiorno, all’accesso all’assistenza sanitaria e sociale, al mercato del lavoro);

- Rafforzare l’accesso effettivo ai diritti, tenendo conto dei problemi specifici di integrazione dei beneficiari di protezione internazionale.

LEGISLAZIONE NAZIONALE - Art. 10 Cost., Comma 3

“Lo straniero al quale sia impedito l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto di asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”.

Fino a non molto tempo fa, non esisteva ancora in Italia una legge organica sul diritto di asilo. Ciononostante, diverse sentenze della Corte di Cassazione hanno stabilivano che il diritto di asilo sancito dalla Costituzione si configura come un diritto soggettivo e non come mero interesse legittimo, da riconoscere al cittadino straniero, anche in mancanza di leggi ordinarie che diano attuazione al principio costituzionale.

Sono diversi i presupposti per il riconoscimento dell’asilo allo straniero. In base alla nostra Costituzione è la sussistenza di un impedimento nel Paese di origine all’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione stessa. In base alla Convenzione di Ginevra, invece, il presupposto è il fondato timore di persecuzione.

Nonostante la sua cruciale importanza, il tema del diritto di asilo è stato trattato sempre in maniera residuale all’interno delle leggi nazionali dedicate all’immigrazione; solo a partire dal 1990, con la c. d. legge Martelli (L. 39/1990), recante Norme urgenti in materia di asilo politico, d’ingresso e soggiorno dei

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cittadini extracomunitari e di regolarizzazione dei cittadini extracomunitari ed apolidi già presenti nel territorio dello Stato, troviamo:

- Superamento delle due riserve (temporale e geografica)

 - Art. 1 - Regola il riconoscimento dello status di rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra e introduce, per la prima volta nell’ordinamento interno, una procedura di accesso all’asilo. Non fa alcun riferimento al diritto costituzionale di asilo10.

Per procedura di asilo si intende la sequenza di passaggi burocratici che inizia nel momento in cui il cittadino straniero presenta la domanda di asilo e si conclude con l'emanazione di un provvedimento definitivo in merito al riconoscimento o meno dello status di rifugiato.

Inoltre:

 il richiedente deve presentare una istanza motivata alla polizia di frontiera o alla Questura del luogo di arrivo.

 Il questore territorialmente competente rilascia un permesso di soggiorno temporaneo valido fino alla definizione della procedura di riconoscimento.

 La procedura ha termine con l’audizione del richiedente asilo presso un organo competente per il riconoscimento dello status di rifugiato.

La domanda di asilo viene esaminata da un organo competente per la valutazione delle richieste di asilo, introdotto dalla legge Martelli: la Commissione Centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato, con sede a Roma, nel corso di un’audizione personale durante la quale il richiedente racconta, in presenza di un interprete, la sua storia personale e i motivi della persecuzione subita.

La Commissione poteva adottare tre tipi di decisione: 1) Riconoscere lo status di rifugiato;

2) Negare lo status di rifugiato, ma riconoscere la protezione umanitaria11;

10

Richiesta di asilo ex art. 10, comma 3 della Costituzione italiana. L’istanza di richiesta di asilo costituzionale viene inoltrata al Tribunale Civile e non alla Commissione per il riconoscimento dello status di rifugiato. Non sono stabiliti né i tempi né le modalità di rilascio del permesso di soggiorno, nonché i diritti e i doveri di chi ottiene il riconoscimento.

11

Può essere riconosciuta quando non sussistono i requisiti per l’asilo politico, né tantomeno quelli per la protezione sussidiaria. Si ha diritto a tale permesso quando sussistono seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali dello Stato italiano. È una tipologia di protezione tipicamente italiana che comunque considera pericoloso un eventuale rientro del richiedente nel suo Paese.

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3) Negare lo status di rifugiato e anche la protezione umanitaria.

La Legge martelli prevede la possibilità di presentare un ricorso al TAR contro la decisione negativa della Commissione, entro 30 giorni, ammettendo la sospensione di un provvedimento di espulsione a seguito del rigetto della domanda di asilo. Anche se una persona non viene riconosciuta rifugiata, va applicato il principio di non refoulement, previsto dall’art. 19 T.U. sull’immigrazione.

- L. 189/2002 - Modifiche alla procedura di asilo

La procedura di asilo introdotta dalla legge n. 39/1990 è stata modificata dalla legge 189/2002, la c.d. Bossi/Fini. Tra le principali novità, la legge prevede: 1) L’istituzione di n. 7 Commissioni Territoriali competenti per il riconoscimento

dello status di rifugiato;

2) L’introduzione di due procedure di asilo: una procedura ordinaria e una procedura semplificata;

3) Il trattenimento dei richiedenti asilo in apposite strutture: i Centri di Identificazione ed Espulsione.

Per la prima volta nell’ordinamento italiano viene introdotto l’istituto del trattenimento dei richiedenti asilo in apposite strutture, geograficamente coincidenti con le Commissioni Territoriali. Il trattenimento può essere disposto quando il richiedente asilo abbia eluso i controlli o quando sia entrato “irregolarmente”12

. La Legge Bossi/Fini stabilisce, inoltre, che un ricorso contro il parere negativo da parte della Commissione Territoriale competente non sospende l’espulsione del richiedente, il quale può proporre ricorso dal Paese di origine.

La Questura notifica il diniego della Commissione e rilascia un permesso di soggiorno per motivi umanitari della durata di 1 anno.

Il titolare del p.d.s. per motivi umanitari può svolgere attività lavorativa;

Il titolare del p.d.s. per motivi umanitari può richiedere la cittadinanza dopo 10 anni di permanenza.

12 Si calcola che circa il 90% dei richiedenti asilo arriva irregolarmente. Cioè, quasi la totalità dei casi.

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23

1.3 La spinta legislativa alla creazione di una rete di accoglienza

L’offerta di accoglienza e di assistenza ai richiedenti asilo, rifugiati e beneficiari di protezione umanitaria, in mancanza di una legge nazionale specifica in materia di asilo, è stata per tanti anni inesistente. Vi sono state pesanti conseguenze sull’esclusione sociale di migliaia di persone, che spesso hanno come unica prospettiva la fuga verso altri Paesi europei, i quali hanno da decenni istituito sistemi di accoglienza adeguati per coloro in cerca di protezione.

Solo nel 1999 nasce il progetto “Azione Comune”13

, la prima vera esperienza di rete di accoglienza nazionale, sperimentata nel periodo luglio - dicembre 1999 in seguito all’emergenza Kosovo. Ideata dal mondo dell’associazionismo e del volontariato in collaborazione con enti locali e finanziato dall’UE e dal Ministero degli Interni, per assistere circa 1000 persone. Rifinanziato anche nel 2000 (periodo gennaio – ottobre) e rivolto anche a persone provenienti da altre aree del mondo, il progetto Azione Comune ha rappresentato il primo tentativo sperimentale di organizzare una rete di accoglienza e assistenza per RARU14, con alcuni “rudimentali” strumenti comuni:

creazione di una banca dati;

servizi di consulenza e orientamento comuni; percorsi di inserimento sociale;

Ambiti di intervento:

 segretariato sociale (rapporti con questure, ASL, prefetture, etc…);  inserimento scolastico per i minori;

 corsi di alfabetizzazione della lingua italiana per adulti;  consulenza legale e tutela dei diritti della persona.

Idea di accoglienza:

 un’accoglienza decentrata (strutture medio piccole);  non mera assistenza, ma servizi mirati all’autosufficienza.

Azione Comune  10 Regioni coinvolte15

;

13

Progetto di assistenza alloggiativa qualificata a richiedenti asilo, profughi e rifugiati.

14

Richiedenti Asilo Rifugiati e titolari di protezione Umanitaria.

15 Tra gli attori coinvolti troviamo enti istituzionali, associazioni di ispirazione religiosa e laica, sindacati ed organizzazioni non governative. Ad esempio, fra i partner di “Azione Comune 2000” vi sono: CIR (Consoglio Italiano per i Rifugiati), ACLI (Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani), CISL, UIL, Caritas diocesana di Roma, FCEI (Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia), Focus – Casa dei diritti

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24  26 centri di accoglienza;

 Più di 1000 beneficiari. Caratteristiche innovative

 un’accoglienza altamente qualificata (oltre a garantire sicurezza e dignità ai beneficiari, favorisce la concreta realizzazione dei progetti di vita, sia di rimpatrio, sia di inserimento in Italia);

 offerta di attività trasversali (orientamento socio – legale, iscrizione al SSN, corsi di lingua e di formazione al lavoro, sostegno medico e psicologico, inserimento scolastico, avviamento al lavoro, attività socio – culturali per bambini e adulti, mediazione sociale e linguistico culturale, rapporti con gli enti territoriali);

 formula dei contributi alloggio (sono gli stessi beneficiari ad attivarsi per trovare una soluzione alloggiativa e a proporla all’ente erogatore);

 particolare attenzione all’accoglienza di minori non accompagnati, bambini, vittime di tortura e di tratta.

Il modello sperimentato con “Azione Comune” è stato riconosciuto da tutti come una “buona prassi” nel campo dell’accoglienza ed ha fatto da punto di riferimento per la progettazione nazionale.

Ha evidenziato la necessità di un sistema di accoglienza integrato e in rete, che permetta di:

- uscire dalla logica dell’emergenza; Attraverso il coinvolgimento:

- degli enti pubblici, delle amministrazioni locali, dell’associazionismo e del volontariato sociale.

Nel 2001 nasce il PNA (Programma Nazionale Asilo), avviato con un bando pubblico rivolto ai Comuni:

 un “Progetto Pilota” mirato alla costituzione e alla gestione di un sistema nazionale di accoglienza, assistenza e protezione in favore di RARU, decentrato e diffuso a livello nazionale.

 Protocollo di intesa siglato da ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani), ACNUR (Alto Commissariato delle N.U. per i rifugiati) e Ministero degli Interni.  Finanziato con fondi straordinari dell’8 x1000 e con FER (Fondo Europeo per i Rifugiati).

Il PNA è stato organizzato in modo da avere la Segreteria Centrale a Roma, con le seguenti funzioni:

- supporto tecnico ai progetti territoriali; - messa in rete dei progetti;

sociali, ICS (Consorzio Italiano di Solidarietà), CIES (Centro Informazione ed

Educazione allo sviluppo), Ctm – Movimondo. Tra i partner esterni: ACNUR - Altro Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (con ruolo di monitoraggio e valutazione delle attività realizzate nell’ambito del progetto).

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25 - gestione di una banca dati nazionale;

- verifica del funzionamento del PNA e dei singoli progetti.

Il sistema di accoglienza del PNA funziona con le seguenti modalità: - i RARU vengono individuati sul territorio o nelle aree di frontiera; - la segreteria orienta le persone verso i centri territoriali;

- i RARU risiedono nei centri per un periodo di circa 6 mesi durante i quali vanno individuati dei percorsi di integrazione autonoma sul territorio.

Le attività principali del PNA, avviate in ciascuno degli ambiti territoriali coinvolti sono:

- accoglienza vitto, alloggio, assistenza sociosanitaria;

- orientamento sociale inserimento scolastico dei minori, alfabetizzazione lingua italiana per adulti, percorsi di inserimento lavorativo;

- informazione e sostegno legale supporto nella presentazione della domanda di asilo; redazione del dossier per l’audizione presso la Commissione; diritti e doveri dei RARU.

L’art 32, 1-sexies, di modifica all’art. 1 della legge 39/90 istituisce il Sistema Nazionale di Protezione e Tutela dei RARU; l’art. 32, 1- septies, istituisce, invece, il fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo.

La L. 189/2002, (legge Bossi Fini), ha riconosciuto le iniziative avviate sul territorio con il PNA e, ad oggi il modello di accoglienza più affermato, plasmato su questa esperienza, è il cosiddetto SPRAR (Servizio centrale del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), che è un sistema pubblico per la tutela, l’accoglienza e l’integrazione di richiedenti asilo e rifugiati, diffuso su tutto il territorio nazionale, attraverso una rete di progetti che fanno capo agli Enti locali.

- DATI BENEFICIARI SPRAR16

16

(28)

26

Purtroppo vi è un divario tra le disponibilità del sistema e le necessità reali di accoglienza, poiché vi è una media di circa 10.000 richieste di asilo annue, delle quali lo SPRAR copre solo la metà e il trattenimento dei Richiedenti asilo nei Centri di Identificazione ed Espulsione è sempre crescente, quasi alternativo all’accoglienza nei centri SPRAR.

La Convenzione del 1951, con il suo Protocollo di New York del 1967, rimane il più importante punto di riferimento del sistema internazionale di protezione dei rifugiati, come già detto. La centralità e l’importanza della Convenzione del 1951 è stata varie volte ribadita anche nell’ambito dell’Unione Europea, ad esempio durante il vertice di Tampere nel 1999 e nel contesto del Programma dell’Aia del novembre 2004, ove si auspicava una piena ed inclusiva applicazione della Convenzione. In questo spirito, la futura normativa ed i rispettivi dispositivi applicativi dovrebbero dare attuazione alla Convenzione del 1951 tenendo conto degli sviluppi politico-sociali alla base della migrazione forzata, ampliando, ove necessario, il concetto di persecuzione anche oltre

gli standard minimi previsti dalla Direttiva 2004/83/CE del 29 aprile 200417 sulla qualifica di rifugiato e la protezione sussidiaria.

L’Italia è l’unico Paese dell’Unione Europea nel quale una materia così importante come quella dell’asilo ha impiegato molto tempo prima di essere disciplinata in maniera organica. La mancanza di una legge organica per lungo tempo in materia di asilo ha comportato, sotto vari profili, gravi difficoltà non solo per i

richiedenti asilo e rifugiati, ma anche per gli stessi addetti ai lavori, chiamati ad applicare una normativa lacunosa e talvolta contraddittoria.

17

Questa direttiva, peraltro, contempla la persecuzione da parte di agenti non statali tra le cause di riconoscimento dello status di rifugiato: una normativa organica dovrebbe prevedere espressamente l’applicazione di tale interpretazione, che riconosce protezione a persone perseguitate da entità diverse dallo Stato, qualora le suddette entità detengano un effettivo controllo del territorio oppure lo Stato non possa o non voglia intervenire al fine di far cessare la persecuzione.

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27

1.4 Le ipotesi iniziali di organizzazione dell’accoglienza e la svolta normativa in Italia

In base a quanto la normativa immaginava circa la gestione del sistema di accoglienza, la legge avrebbe dovuto prevedere l’introduzione di efficaci meccanismi di controllo che permettessero di dare concreta attuazione al principio di non refoulement (non respingimento) garantendo, in particolare, ai potenziali richiedenti asilo giunti in frontiera un effettivo accesso al territorio ed alla procedura d’asilo.

L’accoglienza dei cosiddetti “flussi misti” nelle zone di sbarchi e dei richiedenti asilo ai valichi di frontiera terrestri, portuali e aeroportuali, dovrebbe essere adeguata da un punto di vista strutturale e prevedere adeguati servizi di informazione, orientamento legale e assistenza, anche garantendo il pieno accesso agli enti di tutela e l’ausilio di interpreti qualificati.

È del tutto evidente come risulti opportuno che la nuova norma preveda l’introduzione di modalità specifiche di gestione della primissima accoglienza in situazioni di emergenza, determinate da arrivi numerosi e concentrati, chiarendo, tuttavia, che tali misure sono finalizzate esclusivamente a rendere possibile un ordinato invio dei richiedenti nella rete.

La norma dovrebbe prevedere un unico Sistema Nazionale di Protezione, rispondente ad una logica “decentrata” che raffiguri lo sviluppo dell’esperienza rappresentata dall’attuale Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (SPRAR) – basato sull’attività di Comuni e Province - e che coinvolga le diverse strutture di accoglienza già esistenti sul territorio.

Sono beneficiari del sistema nazionale di protezione tutti i richiedenti asilo la cui domanda sia pendente innanzi all’autorità amministrativa ovvero davanti all’autorità giudiziaria, nonché coloro cui è stata riconosciuta una forma di protezione, siano essi rifugiati, titolari del diritto d’asilo costituzionale e stranieri che usufruiscano di una protezione sussidiaria.

Nei confronti dei titolari del diritto d’asilo le misure di accoglienza sono finalizzate a sostenerne l’inserimento sociale e il raggiungimento di una piena autonomia. La norma dovrà prevedere interventi specifici che garantiscano alle persone con maggiore vulnerabilità – quali minori non accompagnati, vittime di trauma e violenza, donne singole, famiglie monoparentali e anziani non autosufficienti, disabili fisici e psichici - una protezione e tutela effettiva, che tenga conto dei loro particolari bisogni, in tutte le fasi della loro permanenza in Italia.

Poiché, anche in virtù delle disposizioni comunitarie, gli Stati hanno l’obbligo di fornire accoglienza ai richiedenti asilo, risulta necessario giungere ad un coinvolgimento crescente del sistema delle autonomie locali. Nell'ottica di equilibrare l'esigenza di disporre di un sistema di protezione basato su principi di uniformità e certezza nell'accesso alle misure di accoglienza, con la necessità di preparare con la dovuta gradualità le amministrazioni locali non ancora coinvolte, si ritiene pertanto utile che la norma preveda l'introduzione di disposizioni

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