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26 CAPITOLO 2 – LA SALA DELLE NINFE

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Academic year: 2021

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26 CAPITOLO 2 – LA SALA DELLE NINFE

La Sala delle Ninfe è situata al piano terra del palazzo sede di Fiumi e Fossi, nella porzione che, facendo riferimento alla fase tardo rinascimentale individuata nel capitolo precedente, compete alla famiglia Lanfranchi. A copertura della sala si trova una struttura voltata affrescata: la volta “a schifo” è in muratura ad una testa di mattoni con lunette su tutto il perimetro. Trattandosi di una volta affrescata, risulta indispensabile indagare la volta dal punto di vista delle caratteristiche costruttive e decorative. Di seguito viene effettuata un’introduzione sulle volte in muratura, per poi passare ad analizzare nello specifico il caso studio, ponendo attenzione al particolare tipo di volta e ai saggi realizzati per comprenderne le caratteristiche. In seguito vengono analizzati la tecnica dell’affresco e lo studio dell’iconografia degli affreschi della Sala.

2.1 – Le volte in muratura

2.1.1 – Le strutture voltate dalla Roma antica al Rinascimento

Le coperture voltate, insieme all’arco, sono elementi caratterizzanti, se non i simboli, dell’architettura della Roma antica. Nonostante la altre civiltà avessero già utilizzato tali elementi di copertura, sono proprio i Romani che, riprendendo le tecniche greche ed etrusche, ne assumono la padronanza completa, attraverso lo studio dei materiali e le esperienze. Gli archi dell’architettura romana sono inizialmente realizzati con grossi blocchi lapidei o mattoni disposti radialmente. Successivamente, col miglioramento delle tecniche costruttive e con l’introduzione delle malte pozzolaniche miste ad inerti, si diffonde la tecnica delle volte in opus caementicium che, a partire dal I secolo d.C., vengono nervate da mattoni, probabilmente per ovviare alla loro scarsa resistenza a trazione. Anche le dimensioni variano, gli ambienti da coprire crescono in superficie e nasce l’esigenza di alleggerire la struttura, variando la composizione degli inerti dell’opus caementicium o con l’inserimento di elementi cavi, quali le olle laterizie (Fig. 1) o i tubi fittili (Fig. 2).Tra il IV e il VI secolo, volte, cupole e semi-cupole degli edifici di culto paleocristiani, sono realizzati interamente in tubi fittili senza l’uso di un legante. I tubi cavi, si incastrano l’uno nell’altro e vengono posizionati in serie circolari e concentriche con diametro che diminuisce gradualmente. Il risultato è un elemento che funziona come un guscio, resistente e leggero, che consente di snellire anche la struttura su cui si imposta.

Con la scissione dell’Impero in quello d’Oriente e in quello d’Occidente del 395 d.C.,

l’Italia, in particolare Ravenna, sede del governatore di Costantinopoli, entra in contatto

con la cultura bizantina.

(2)

27 Fig. 1: Tipi di anfore trovate nelle volte

romane Fig. 2: Esempio di copertura in tubi fittili

La copertura preferita dai bizantini è la cupola che per la prima volta viene impostata su piloni liberi grazie all’inserimento dei pennacchi. Si creano spazi aperti e più articolati che, insieme alla decorazione mosaicale, creano un ambiente estremamente suggestivo. Il materiale utilizzato è la muratura, la complessità degli spazi consente di creare strutture voltate che contengano le spinte della cupola centrale. L’esempio più rappresentativo è Santa Sofia di Costantinopoli (532 d.C.), nella quale il sistema realizzato dalle semi-cupole, dai deambulatori coperti con volte a botte e dalle volte a crociera delle navate laterali poste su due piani, contrastano la spinta della grande cupola centrale. (Fig. 3)

Nel Medioevo, le uniche fabbriche in cui si ritrovano accorgimenti tecnici ed estetici sono le grandi fabbriche monastiche e i principali edifici religiosi e civili. Le coperture voltate di questo periodo si differenziano da quelle romane per l’utilizzo del laterizio o di conci di pietra di dimensioni ridotte affiancati l’uno all’altro. La copertura, che risulta meno rigida

Fig. 3: Santa Sofia di Costantinopoli, sezione

(3)

28

del sistema in opus cementicium, segue gli eventuali movimenti dei paramenti perimetrali.

Vengono inoltre inserite, a distanza regolare, in corrispondenza dei punti di appoggio, le nervature realizzate in conci di pietra all’intradosso delle volte solitamente a crociera. Nel periodo gotico, gli architetti cercano di neutralizzare le spinte con l’inserimento di archi rampanti che generano una controspinta, o inseriscono i pinnacoli, che verticalizzano la spinta. Il sistema statico si basa sull’affidare alla struttura portante delle navate laterali, la stabilità di quella centrale. Gli elementi caratteristici delle cattedrali gotiche sono, quindi, le volte a crociera costolonate, l’arco a sesto acuto, una struttura verticale esile da sembrare uno scheletro, e gli archi rampanti nelle navate laterali.

A partire dal XV secolo, con il Rinascimento, si ha una riscoperta delle forme utilizzate dai Romani. Volte a vela, a padiglione e cupole, messe da parte nel Medioevo, vengono ampiamente riprese in questo periodo per coprire ambienti religiosi o civili. Si conferma l’utilizzo quasi esclusivo del laterizio o della pietra, viene posta molta attenzione al collegamento tra le volte e le murature e il posizionamento dei mattoni è caratteristico della tipologia di volta. I mattoni sono uniti mediante gesso o malta di calce dalle buone caratteristiche meccaniche. All’intradosso della struttura in mattoni viene collocato un materiale di riempimento che si oppone alla deformazione flessionale della volta, ma che incrementa il peso da sostenere. Il alternativa, vengono utilizzati i frenelli o i costoloni di rinforzo, o vengono disposte lunette nella regione delle reni, in modo da ridurre il volume di riempimento e allo stesso tempo favorire l’illuminazione. Le forme dell’architettura classica vengono studiate in modo da ritrovare le proporzioni nascoste. La cupola assume un’importanza primaria nell’architettura religiosa, l’esempio di questa tendenza è sicuramente la cupola del Brunelleschi in Santa Maria in Fiore in Firenze, progettata e realizzata con una tecnica ideata dallo stesso architetto che ne garantisce l’autoportanza in fase costruttiva.

Dal XV secolo si sviluppano la trattatistica e la manualistica sulle strutture voltate.

L’obiettivo è lo studio delle proporzioni per il dimensionamento delle parti che la

compongono e la valutazione della loro stabilità. Nei secoli successivi, infatti, si cerca di

riorganizzare le varie tipologie in base alle proporzioni e di preferire un tipo di volta ad

un'altra, in base all’ambiente da coprire. I vari autori propongono alcuni esempi notevoli da

considerare, assegnando ad ogni caso una nomenclatura propria. In generale le tipologie di

volta più ricorrenti sono quelle della Fig. 4.

(4)

29

Fig. 4: Tipi di volte a) a botte; b) a botte lunettata; c) a padiglione; d) a crociera; e) a botte con teste

di padiglione; f) a schifo; g) a vela; h) a ventaglio

(5)

30 2.1.2 – Le tecniche costruttive

Le fasi per la costruzione delle volte sono essenzialmente quattro:

- La costruzione dell’armatura e delle centine;

- L’esecuzione della volta sull’armatura;

- Il disarmo;

- I lavori complementari successivi al disarmo.

Per la costruzione della volta è quindi necessaria la costruzione di una struttura lignea provvisoria, chiamata armatura o centina. Questa deve essere in grado di sostenere la struttura prima che la volta sia completata e che la malta faccia presa e deve creare una superficie che andrà a formare l’intradosso, utile guida per la posa dei conci. Uno dei problemi principali di questi elementi è reperire il legno per la loro costruzione. Per questo motivo, l’uso delle centine può essere limitato ad alcune zone, come ad esempio per le volte nervate del Medioevo, oppure riservato alla zona compresa tra le reni. In questo caso, per la zona in prossimità dell’imposta, la stabilità in fase costruttiva, è affidata alla capacità dei conci di resistere a scorrimento per attrito tra i giunti poco inclinati. Per ridurre l’impiego di legname, i romani realizzano armature a sbalzo ancorate nel piedritto o armature aeree appoggiate direttamente sull’imposta, su sporgenze che assumono anche funzione decorativa di cornice. Con la realizzazione di strutture autoportanti, il problema di reperire il materiale per l’armatura viene meno. L’armatura è costituita da due parti fondamentali: la centinatura o incavallatura, che va a formare la struttura resistente, e il manto, sostenuto dalla prima e destinato a creare la superficie curva su cui poggia la volta

1

.

Le dimensioni e la struttura della centinatura dipendono dalla luce e dallo spessore e quindi del peso della volta, mentre, per quanto riguarda il manto, spesso viene ricoperto da uno strato di terra o sabbia battuta, dello spessore di 3 o 5 cm, in modo da regolarizzare la superficie

2

.

Posizionata l’armatura, si può realizzare la volta. In questa fase, risulta cruciale la disposizione dei mattoni che può influenzare il comportamento strutturale della volta. Per la volta a botte i mattoni posati in costa possono essere sistemati secondo diverse tessiture:

a filari longitudinali, trasversali, longitudinali e trasversali o a spina-pesce

3

(Figg. 5 e 6). Il metodo più semplice è quello a filari longitudinali, cioè con mattoni paralleli alle linee d’imposta, ma per luci notevoli o volte molto ribassate, gli elementi in chiave risultano pressoché verticali e paralleli, allora si ricorre a tessiture a 45°. I mattoni vengono disposti

1

G. Curioni, L’arte di Fabbricare. Costruzioni civili, stradali, idrauliche, Torino, Negro, 1870, p. 328

2

G. Astrua, Manuale pratico del mastro muratore, Milano, Hoepli, 1996, p. 147-148

3

E. Protti, Archi, volte, scale nella moderna edilizia, Bologna, Edizioni tecniche utilitarie, 1935, p. 81

(6)

31

iniziando dai quattro angoli e procedendo in modo simmetrico verso il centro, oppure, in presenza di muri di testa, si parte dal centro e si prosegue con mattoni a 45° fino al perimetro. La disposizione a filari trasversali è spesso usata perché si possono realizzare archi paralleli che, una volta chiusi, entrano subito in funzione sgravando la centina sottostante e rendono possibile una costruzione della volta per porzioni.

Fig. 5: Apparecchiatura per volta a botte a filari longitudinali (a) e con mattoni a 45° rispetto ai lati della pianta (b)

Fig. 6: Apparecchiatura per volta a botte con filari trasversali (da Astrua G.)

Per le volte a padiglione, vengono utilizzate le stesse apparecchiature della volta a botte, con filari generalmente paralleli alla rispettiva linea di imposta. Il punto debole di questa tipologia di volte è rappresentato dalle diagonali che si lesionano frequentemente. Per evitare questo inconveniente viene spesso utilizzata una disposizione con filari perpendicolari alle diagonali. Nel caso di pianta poligonale, poiché lo spigolo non forma un angolo di 45°, è necessario tagliare i mattoni per creare il collegamento lungo la diagonale, i filari, allora, sono disposti a spina-pesce (Fig. 7).

Per le volte a botte con teste di padiglione, la tessitura più usata è quella con filari paralleli

alle imposte su tutti i lati fino a un terzo della freccia, con filari diagonali in corrispondenza

degli angoli fino a che non si incontrano sul lato corto per proseguire infine con filari

paralleli al lato corto (Fig. 8).

(7)

32 Fig. 7: apparecchiatura per volte a padiglione

(da Protti E. p.85). Fig. 8: Apparecchiatura per volte a botte con teste di padiglione (da Protti E. p.83).

Per le volte a specchio o a schifo, ossia quelle volte a padiglione tagliate ad una certa altezza con un piano orizzontale, vengono impiegati principalmente filari longitudinali per la parte a botte e filari disposti a 45° o a spina-pesce, per lo specchio centrale. Possono essere presenti anche dei conci in pietra in corrispondenza degli angoli su cui poggia lo specchio per irrigidire la struttura

4

. In alternativa, vengono impiegati per l’intera volta filari a 45° o a spina-pesce (Figg. 9 e 10).

Per le volte a crociera, i filari si dispongono in ogni unghia, rettilinei e normali al relativo arco di imposta, oppure perpendicolari alle costole diagonali. Infine nelle volte a vela e a cupola i mattoni si dispongono secondo i paralleli dell’intradosso, sostituendo però agli anelli centrali filari diretti lungo le due linee mediane diagonali (Fig. 11).

Per le volte a vela si ritrova anche l’utilizzo di filari disposti a 45° o ad anelli convessi verso l’alto, normali ai piani frontali degli archi di contorno, mentre le più utilizzate disposizioni per le volte sferiche sono quelle ad anelli concentrici o ad anelli concentrici e chiusura in chiave a spina-pesce (Figg. 12 e 13).

Per la copertura dei piani fuori terra vengono spesso realizzate volte di quarto, dette anche in folio, in cui i mattoni vengono posti di piatto. Queste risultano estremamente leggere ed economiche, esercitano una spinta minore sui piedritti e sono usate con sicurezza fino a luci di 6÷8 m.

4

E. Protti, Archi, volte, scale nella moderna edilizia, cit. p. 98

(8)

33 Fig. 9: Apparecchiatura per volte a schifo con filari

longitudinali nella parte a botte e a 45° nella parte centrale (da Breymann, p. 88).

Fig. 10: Apparecchiatura per volte a schifo con mattoni a 45°, detta anche a spina-pesce (da Breymann, p.88).

Fig. 11: Apparecchiature per volte a crociera (da Protti E. p.89).

Fig. 12: Apparecchiatura per volta a vela con filari secondo i paralleli e anelli centrali con filari

lungo le due linee mediane (da Levi C. p.312).

Fig. 13: Apparecchiatura per volta a vela con filari a 45° a ad anelli convessi verso l’alto (da

Levi C. p.312).

Durante la posa dei mattoni bisogna prestare attenzione ad evitare eccessive deformazioni

delle centine, la volta viene quindi costruita simmetricamente, disponendo in chiave un

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34

carico per bilanciare lo sforzo alle reni. La parte più delicata è la posa dei conci in chiave, che, se ben eseguita, riduce al minimo l’abbassamento del vertice durante il disarmo.

Ultimata la posa degli elementi, si procede con la gettata di malta di gesso e sabbia o malta di calce. Nel primo caso, subito dopo la colata, per evitare che il gesso si rapprenda, vengono allentati i cunei per far scendere di qualche centimetro al struttura portante in modo da far circolare l’aria sulla superficie di intradosso e far procedere la presa del gesso regolarmente.

Dopo aver realizzato la volta, si procede al disarmo, in cui bisogna evitare abbassamenti repentini della volta che può deformarsi eccessivamente o crollare. Ciò viene effettuato mediante utilizzo di cunei o sacchi di sabbia che vengono svuotati lentamente, o altri sistemi di scarico graduale.

Terminata la volta e tolta la centina, le aree delle reni vengono riempite solitamente con

materiale incoerente murato con malta di calce o in gesso e, se necessario, vengono

collocati i tiranti in ferro per contenere la spinta. All’estradosso della volta viene spesso

previsto un piano di calpestio, quindi si provvede al ricoprimento con materiale più leggero,

disponibile in cantiere per creare un piano orizzontale. Tale materiale risulta utile per

contrastare gli effetti flessionali della volta e rende la struttura più compatta e rigida.

(10)

35 2.2 – Caso studio: La Sala delle Ninfe

La volta su cui si concentra questo lavoro è situata al piano terra dell’antico palazzo Lanfranchi (Fig. 14 individuazione in pianta),

La sala è separata da un ambiente che funge da antisala con volta a padiglione, mediante un arco molto ribassato che si imposta su due colonne in pietra, le cui caratteristiche stilistiche lasciano pensare sia stato aperto nel XX secolo, asportando il tamponamento su cui insisteva un lato corto della volta (Fig. 24 Cap 1). La volta a copertura della Sala delle Ninfe ricopre una pianta rettangolare leggermente trapezoidale con una superficie di circa 45 mq in pianta (7,76 x 5,85 m, agli assi). Di seguito vengono analizzati il tipo di volta e la campagna di saggi effettuati in sede di questa tesi per valutarne le caratteristiche materiche e meccaniche.

Fig. 14: Pianta del piano terra del palazzo e individuazione Sala delle Ninfe

(11)

36 2.2.1 – Tipologia di volta

Si tratta di una volta a padiglione lunettata, più precisamente detta“a ciel di carrozza”, “a specchio”o “a schifo”. Strutture voltate come queste si riscontrano frequentemente nelle grandi sale, nei vestiboli e negli scaloni del Rinascimento perché si prestano bene alla decorazione pittorica

5

.

Storicamente, le volte a padiglione sono impiegate nell’architettura romana già a partire dal I secolo a.C. fino a giungere all’esempio della sala Ottagona della Domus Aurea (64 – 68 d.C.) in cui la cupola, nasce come una volta a padiglione e si trasforma in cupola vera e propria nella parte alta. Come già accennato, il vasto repertorio di forme romane non viene riproposto interamente nei secoli successivi per cambiamenti di materiali utilizzati e tecniche costruttive diverse, tuttavia questo tipo di volta continua ad essere utilizzata, in particolare negli edifici religiosi. Ad esempio nei battisteri. Tra X e XII secolo se ne diffonde l’utilizzo nell’intersezione tra navata centrale e transetto impostata su pianta ottagonale e coperta con il tiburio. È a partire dal XVI secolo che la volta a padiglione e tutte le sue varianti iniziano ad essere estensivamente utilizzate nell’architettura residenziale per la copertura di sale dei palazzi grazie alla capacità di trasferire i carichi sui muri d’ambito, risolvendo il rapporto con le pareti che risultano tutte d’imposta. Nonostante la grande diffusione delle volte a padiglione, nei trattati d’architettura tra XVI e XIX secolo ci si limita spesso all’assegnazione di un nome per la loro identificazione e alla descrizione della sua geometria. Vitruvio, nel Libro VII de I Dieci Libri, accenna solo a una variante, puntando l’attenzione sulle centine in legno, l’intonacatura dell’intradosso e le cornici decorative; Leon Battista Alberti, le chiama volte “a carena” e specifica che si tratta di volte composte, costituite da porzioni di volte a botte; Palladio è il primo ad illustrare con una serie di figure e descrizioni i sei modi per realizzare una volta, la cui tipologia dipende dalla forma della stanza da coprire. Egli scrive che le volte “a conca”, ossia volte a botte con teste di padiglione, “Sono state ritrovate dai moderni” ed è forse questo il motivo per cui gli autori a lui precedenti si sono limitati a citarne il nome. Le volte a conca dovrebbero avere una freccia pari a:

 = 1 3 

5

G. A. Breymann, Trattato generale di costruzioni civili: con cenni speciali intorno alle costruzioni grandiose, Milano, Vallardi, 1926 -

1931, pp. 232-234

(12)

37

dove l è la larghezza della stanza; Scamozzi inserisce un’importante novità indicando tra i sei tipi la volta “a padiglione” (Fig. 15). Le migliori sono quelle la cui curvatura è pari a un mezzo cerchio perfetto, perché più bella e più facile da realizzare;

Guarino Guarini illustra la geometria della volta a padiglione e specifica che si ricava partendo da un semi-cilindro tagliato per diagonale. La pianta su cui si imposta può essere la più svariata. Egli consiglia di tenere l’altezza della volta, per motivi estetici, pari a:

ℎ = 

÷ 

,

con d il diametro, e per farle apparire piane, basta creare la cornice sopra cui si posa;

Fig. 15: Proporzione tra le dimensioni della stanza e la forma delle volte a padiglione e a conca proposte da V. Scamozzi nel suo trattato L’idea dell’architettura universale (Scamozzi V., p.323).

Francesco Milizia, nel 1791, inserisce una semplice citazione della volta “a schifo”.

A partire dalla seconda metà del XIX secolo, i manuali di architettura riportano informazioni sulla geometria. Alberto Castigliano, nel 1882 definisce la volta a padiglione impostata su pianta quadrata come l’unione di quattro fusi cilindrici che compongono la superficie di intradosso e propone formule pratiche per determinarne superficie e volume (Fig. 16).

Fra la fine del XIX e il XX secolo, la volta a padiglione attira l’attenzione dei trattatisti.

Dal punto di vista geometrico, le volte a padiglione sono quindi generate dall’intersezione

di due o più volte a botte. Se si taglia la volta a botte con due piani diagonali verticali, si

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38

ottengono unghie, che hanno come impronta due punti e per chiave una linea, e fusi, con una linea per impronta e un punto per chiave.

Fig. 16: Assonometria di una volta a padiglione su base quadrata (Casigliano A., Tav. I)

 = 2

  = 

 = 4  +   

 = 2

3 3  +   

Fig. 17: Assonometria di una volta a botte con indicazione di fusi e unghie (Tomasoni E. 213)

La volta a padiglione è quindi composta da quattro o più fusi. Il volume ha quindi peso

maggiore rispetto a una volta a botte o a crociera impostata sulla stessa pianta. Per ovviare

a questo problema, si ricorre all’inserimento di lunette, o a tipologie di volte simili, quali “a

botte con teste di padiglione” o “a schifo”. La volta a botte con teste di padiglione, viene

realizzata su ambienti di pianta rettangolare. Le volte “a schifo”, dette anche “a specchio”,

hanno la loro particolarità nella presenza di una superficie a specchio costituita da una

cappa molto ribassata, se non piana. Risultano quindi come volte a padiglione o a botte con

teste di padiglione sezionate ad una certa altezza da un piano orizzontale. Volte di questo

tipo possono essere costruite su piante poligonali regolari qualunque e possono

considerarsi formate, nella parte bassa, da mezze volte a botte, eseguite a strati orizzontali e

filari longitudinali, generalmente lunettate e una parte superiore costituita da una volta a

padiglione o da una volta a conca, spesso eseguita a spinapesce, contornata solitamente da

una cornice più o meno ricca, come fosse, appunto, uno specchio (Fig 19 schema

costruttivo volta).

(14)

39

In generale, le volte a padiglione esercitano spinte all’imposta che, spesso, nel caso di grandi dimensioni e carichi esigui sui piedritti, risultano troppo elevate e causano l’allontanamento dei muri perimetrali. Di conseguenza, presentano spesso lesioni lungo le diagonali e una schematizzazione ad archi non interagenti, valida per tipi di volte più semplici quali a botte o a crociera, non risultano quindi accettabili. Per la stabilità della struttura è importante che le spinte che la volta esercita sui muri d’ambito, combinate con i carichi verticali, non siano tali da imprimere sforzi di trazione sui piedritti stessi. Se questa condizione non è rispettata, si può verificare la lesione alla base dei piedritti e la rotazione. La conseguenza è l’abbassamento in chiave della volta con variazione di forma e formazione di cerniera in chiave. Le fessure tendono a seguire le generatrici e si presentano in chiave aperte verso l’intradosso e alle reni aperte verso l’estradosso (Fig. 21). Oltre alle patologie comuni alle altre volte, quelle a padiglione presentano spesso, come già detto, lesioni lungo le diagonali.

Queste sono spesso viste come una conseguenza del cedimento dei muri d’imposta, in realtà non dipendono da questo, ma sono generate da sforzi di trazione che si vengono a creare nel piano del fuso

6

. Il contenimento delle spinte d’imposta, quindi, non può risolvere il problema. Un’ulteriore causa di dissesto può essere vista nel deterioramento dei materiali di cui è composta la struttura e, in particolare, della malta.

Fig. 18: Volta a botte con teste di padiglione (Breymann G. A., p. 9)

Fig. 19: Volta a specchio o a schifo (Braymann G. A., p.11)

(15)

40

Fig. 20: Schema di apparecchiatura delle volte “ a schifo ”

Fig. 21: Meccanismo di collasso per allontanamento pareti di imposta (Cangi. G., p.126)

(16)

41

Fig. 22: Localizzazione delle fessure nelle volte a padiglione (G. Cigni, p. 225)

(17)

42 2.2.2 – La volta della Sala delle Ninfe

La struttura della volta non è del tutto nota. Al primo piano piano del palazzo, in corrispondenza della Sala, si trova una sala riunioni con pavimento in parquet. Inizialmente la struttura è stata ipotizzata per analogia alla volta affrescata che copre il salone principale al primo piano, realizzata nello stesso periodo e dall’estradosso visibile nel sottotetto del palazzo. Qui si ritrova una tessitura di coltello a filari longitudinali nello specchio centrale, mentre le porzioni di botte laterali sono realizzate a filari paralleli alle linee di imposta. La volta, come già detto, presenta frenelli di rinforzo e catene in acciaio (Fig. 23). Tuttavia, effettuando dei saggi nella sala riunioni al di sopra della Sala delle Ninfe e attraverso il rilievo metrico, è emerso un quadro estremamente diverso. Dai rilievi si è notata una grossa differenza di forma: mentre la volta del salone presenta una curvatura continua tra la le mezze botti laterali e lo specchio centrale, nella Sala delle Ninfe, le curvature sembrano cambiare e la presenza delle cornici di decorazione in stucco impedisce di cogliere i raccordi delle mezze botti e lo specchio centrale. Per lo studio della forma, si rimanda al Capitolo 5.

Fig. 23: Estradosso della volta del salone, si noti la disposizione a filari longitudinali dello specchio centrale e a filari paralleli alla linea d’imposta sull’unghia del lato corto

I saggi relativi alla volta della Sala delle Ninfe sono due, uno in corrispondenza dell’angolo

(Fig. 24) e uno nel centro dello specchio centrale.(fig 25).

(18)

43 Fig. 24: Posizione saggi all’estradosso della volta

su pianta della Sala delle Ninfe. Si evidenzia in rosso l’orditura dei mattoni e in verde la catena in

legno

Fig. 25: Saggio 1 - Sala riunioni al primo piano

Fig. 26: Saggio 2 - Sala riunioni al primo piano

Il saggio 1 mostra, al di sotto del massetto in calcestruzzo di recente realizzazione, la presenza di uno spesso rinfianco, in cui è inserita una catena di legno. La compagine di riempimento risulta disordinata, principalmente costituita da elementi di scarto, il paramento verticale a chiusura della sala, invece, presenta mattoni pieni delle misure di circa 12 x 30,5÷29,5 x 5,5 cm a formare un muro di almeno due teste a disposizione forse

“gotica” (Fig. 28). Le informazioni sulla fattura della volta in sé non sono molte. Siamo nel punto corrispondente alle lunette d’angolo e si notano mattoni di coltello con filari paralleli al lato lungo (figg26).

Il saggio 2 (Fig. 29), effettuato quasi al centro della sala riunioni, corrisponde alla chiave della

volta: oltre al rilievo metrico, ha permesso di valutare lo spessore della volta e il

posizionamento dei mattoni, almeno per quanto riguarda questo punto. Al momento della

rimozione delle doghe in legno del parquet il massetto in calcestruzzo è risultato

fessurato(Fig. 31) in direzione trasversale in mezzeria.

(19)

44 Fig. 27: Saggio 1

Fig. 28: Saggio 1 , indicazione strati

Fig. 29: Saggio 1 , tessitura parete Nord

La lesione corre trasversalmente alla sala e potrebbe essere la conseguenza del ribaltamento della parete Sud dell’edificio o del ritiro del calcestruzzo stesso che non presenta alcuna armatura. Al di sotto del massetto di 8 cm è presente materiale di riempimento per uno spessore di circa 15 cm. I mattoni sono posizionati di coltello, a filari longitudinali (Fig. 30), e si può ipotizzare che questa sia la disposizione dell’intero specchio centrale. Sottraendo alle misure del rilievo gli spessori relativi al riempimento dell’estradosso e al massetto, si è ricavato lo spessore netto della volta, pari a circa 12 cm, a una sola testa (Fig, 33). Pare che non siano presenti nervature con archi di rinforzo, che si sarebbero dovute trovare nel punto relativo al Saggio 2, o nel suo intorno. Tuttavia, per averne la certezza, sarebbe stato necessario allargare il diametro del Saggio 2 o effettuare almeno un ulteriore saggio in corrispondenza dell’imposta, per verificare anche l’eventuale presenza di frenelli.

L'estrema delicatezza dell'affresco sull'intradosso e il suo pregio hanno fatto sì che non si

potesse ingrandire il saggio centrale e non se ne potessero eseguire altri vicini.

(20)

45 Fig. 30: Saggio 2

Fig. 31: Saggio 2 , tessitura

Fig. 32: Saggio 2 , massetto lesionato

Fig. 33: Sezione longitudinale di riferimento Fig. 34: Dettaglio 1 , stratigrafia

(21)

46

Oltre alla volta, si è cercato di indagare l’arco, che separa la Sala delle Ninfe dall’ambiente d’accesso, attraverso due saggi (Fig. 32) che hanno riguardato la chiave (Saggio 3) e la ghiera (Saggio 4). Come già detto, l’arco è stato realizzato successivamente alla volta, quasi sicuramente risale al XX secolo. Presenta una chiave molto ribassata e si imposta su due colonne in pietra. Il capitello, anch’esso in pietra, consiste in un semplice abaco (Fig. 35)

Fig. 35: Arco visto dalla Sala delle Ninfe Fig. 36: Particolare della colonna

All’analisi visiva, l’arco presenta micro lesioni d’intonaco sul contorno della ghiera e verticali sul rinfianco (Fig. 36), lesione in chiave (Fig. 37) e il paramento di rinfianco che suona a vuoto. Capire la fattura dell’arco è importante per valutare in che modo esso influenzi la deformazione della volta. I saggi sono quindi risultati indispensabili per la determinazione dei materiali e la modalità di esecuzione del manufatto, e sono stati tutti effettuati nella stanza adiacente alla Sala delle Ninfe.

Fig. 37: Lesioni d'intonaco su ghiera e rinfianco Fig. 38: Lesione in chiave all'arco

La chiave dell’arco è stata prima forata con una punta di trapano, poi il Saggio 3 ha mostrato

la presenza di mattoni pieni in laterizio. Il Saggio 4, realizzato lungo lo spigolo della ghiera,

nella sala adiacente alla Sala delle Ninfe, mostra la disposizione degli elementi in laterizio.

(22)

47

L’arco ha uno spessore di 3 teste, con posizione dei mattoni di testa e di fascia alternati. Più o meno all’altezza delle reni, è presente un elemento in pietra (Fig. 39).

Fig. 39: Saggio 3 sull'intradosso in chiave all'arco.

Il paramento di rinfianco è stato analizzato forandolo a varie altezze con un trapano ed è risultato in muratura di laterizi di grande spessore (Figg. 40, 41 e 42).

Fig. 40: Saggio 4

Fig. 41: Saggio 4 , tessitura arco

Fig. 42: Saggio 4 , imposta arco

Il suono a vuoto dell'intonaco sulle pareti di timpano è probabilmente dovuto al distacco

dello strato d’intonaco.

(23)

48

Un ulteriore saggio è stato effettuato al di sopra della fascia in pietra serena a coronamento dell’arco (Fig. 43) che corre lungo il perimetro della sala adiacente alla Sala delle Ninfe.

L’obiettivo era valutare se fosse presente un architrave sopra la ghiera dell’arco, costituito di materiale differente dalla muratura. Il piccolo saggio (Fig. 44) ha mostrato anche qui la presenza di un paramento in laterizio pieno. La fascia in pietra nella parete in cui si inserisce l’arco presenta una discontinuità materica e di spessore, si tratta infatti di materiale dipinto in modo da riprendere le altre lastre lapidee. L’ipotesi è quella di una sostituzione per la creazione dell’arco, o per caduta o rottura dell’elemento originale.

Fig. 43: Fori di trapano a varie altezze del rinfianco Fig. 44Sezione di riferimento

Fig. 45: Fattura dell’arco con disposizione degli elementi ipotizzata nelle aree non indagate

Prima di eseguire i saggi di valenza strutturale, sono stati effettuati descialbi per valutare la

presenza di decorazioni pittoriche sotto lo strato di tinta. È emersa l’esistenza di una

decorazione a stampini sul paramento di rinfianco all’arco (Figg. 50, 51, 52 e 53),

probabilmente realizzata subito dopo l’apertura dello stesso. Si tratta di motivi floreali e di

una fascia di colore grigio che segna la ghiera. Probabilmente sono presenti su tutte le

(24)

49

pareti della sala adiacente alla Sala delle Ninfe, come dimostra il confronto con un saggio realizzato precedentemente sulla parete opposta.

Fig. 46: Fascia in pietra sul perimetro della sala Fig. 47: Saggio al di sopra della fascia in pietra

Fig. 48: Discontinuità fascia in pietra in corrispondenza dell’arco

Fig. 49: Insieme dei saggi effettuati sull’arco

La stessa decorazione è stata ritrovata anche nella Sala delle Ninfe, al di sotto del

cornicione in stucco su cui si imposta la volta a schifo, sempre nel paramento relativo

all’arco.

(25)

50 Fig. 50: Decorazione a stampini su parete di

rinfianco all’arco

Fig. 51: Decorazione a stampini su parete opposta all’arco

Fig. 52: Decorazione a stampini sul rinfianco dell’arco Fig. 53: Decorazione a stampini Sala delle Ninfe, rinfianco dell’arco

2.3 – Gli affreschi

2.3.1 – La tecnica dell’affresco

La pittura “a fresco”, comunemente conosciuta come affresco, viene chiamata così perché si esegue su un intonaco fresco, cioè appena steso e quindi saturo d’acqua.

Il colore viene completamente inglobato nell’intonaco che, asciugando, si combina con

l’anidride carbonica dell’aria e forma il carbonato di calcio, acquistando particolare

resistenza all’acqua e al tempo. I colori sono costituiti da pigmenti che non contengono

fissativi, ma che vengono mescolati al latte di calce e, una volta stesi sulla malta, si

compenetrano con il supporto.

(26)

51

Una delle sue migliori caratteristiche è la durata nel tempo, molto maggiore della pittura a secco. Nella pittura a fresco, poiché l’intonaco assorbe immediatamente il colore, la lavorazione deve essere veloce ed eseguita senza errori perché non è possibile apportare correzioni o ritocchi, se non a secco, cioè ad intonaco asciutto.

Per ovviare a questo problema, normalmente l’opera si realizza in piccole porzioni, provvedendo di volta in volta ad applicare l’intonaco sulla parte che si deve dipingere al momento. Dopo aver realizzato tutti i disegni preparatori, e anche quelli in scala reale, occorre definire e studiare i chiaroscuri ed i colori. Tutto deve essere predisposto per evitare dubbi, ripensamenti ed incertezza in fase di esecuzione.

Le fasi per la realizzazione di un affresco sono le seguenti:

1) Rinzaffo: preparato con uno strato di calcina grassa e sabbia, si presenta molto ruvido e grossolano per permettere una buona adesione allo strato successivo. Esso ha la funzione di rendere il muro regolare ed omogeneo;

2) Arriccio: strato di intonaco più fino, dalla superficie leggermente scabra, meno irregolare del rinzaffo, su questo strato si realizza il disegno.

3) Disegno preparatorio: quando l’arriccio è abbastanza asciutto ma non secco, si esegue il disegno, che può essere realizzato attraverso vari metodi:

- Disegno con carboncino, che è facile da correggere o cancellare;

- Metodo dello spolvero, si esegue il disegno su un foglio, poi le linee vengono forate con una punta, appoggiando il foglio al muro, attraverso i fori viene fatto passare un pigmento contenuto in un sacchetto di garza che lascia la traccia dei punti;

- Incisione indiretta o ricalco, che utilizza un foglio più spesso dello spolvero, il disegno viene ripassato con uno stiletto metallico lasciando una traccia del profilo da seguire;

- Sinopia è una fase dell’esecuzione dell’affresco e consiste nel disegnare con una terra rossa un abbozzo preparatorio. Il nome deriva da una località sul Mar Nero, Sinope, dal quale proviene la terra.

4) Tonachino: strato che riceve il colore (sabbia fine, polvere di marmo e calce), viene

tenuto umido per tutto il tempo della pittura. Si stende l’intonaco sulla porzione di

superficie che il pittore pensa di poter dipingere in breve tempo (massimo un

giorno). Su questo strato il pittore ripassa con un pennello il disegno della sinopia

(che si intravede attraverso l’intonaco). Quando il pezzo è stato ultimato, si procede

(27)

52

a stendere il tonachino su una porzione contigua e si dipinge quest'altro pezzo. Si prosegue così fino a quando tutta l’opera è ultimata.

5) Fase pittorica: il pittore in questa fase deve aver fatto delle prove, quindi sa come variano le tonalità dei colori mescolati con la calce quando asciugano. Il lavoro viene svolto dall’alto verso il basso per poter riprendere eventuali sbavature. I colori devono essere fatti di pigmenti compatibili con la calce e devono avere, mescolati con acqua, la consistenza giusta.

Una volta asciutto, se si riscontrano difetti dovuti all’applicazione dei colori, può essere fatto un intervento di ritocco. Si deve grattare via con la spatola la parte da riparare che va ricostruita. Spesso il ritocco viene eseguito anche a secco, anche se la tecnica dell’affresco non lo prevede.

2.3.2 – Gli affreschi della Sala delle Ninfe, l’autore e i soggetti

Le dimensioni delle decorazioni murarie dell'intradosso della volta della Sala delle Ninfe ammontano a 108 mq, di cui circa 80 sono di superficie affrescata e 28 di rilievi in marmorino, a cornice degli affreschi (Fig. 53).

La sala presenta affreschi in volta (Fig. 54) e sulla strombatura delle finestre. È probabile che l’affresco fosse presente anche sulle pareti verticali, oggi totalmente intonacate.

L’affresco della sala è attribuito ad Agostino Ghirlanda. Nato probabilmente a Massa intorno alla metà del Cinquecento, si forma nell’ambiente culturale della città, mentre, dopo il 1576, lavora quasi sempre fuori Massa. Nel 1578 è a Lucca ed acquista fama in opere di prestigio: la pittura della volta della cappella della Libertà, poi quella di San Regolo in duomo

7

. È già presente a Pisa nel 1582, ma è solo alcuni anni dopo che gli viene commissionato l’incarico di affrescare una parete del Camposanto Monumentale “tra la sepoltura di messere Giovanfrancesco Viegio e la sepoltura del Capitano Muchio de’Medici”

8

su cui riporta i due Episodi della vita di Ester.

I temi principali della pittura del Ghirlanda sono di tipo profano. Pochi sono i soggetti di matrice religiosa a lui attribuiti, tra questi si ricordano la grande Crocefissione realizzata nel 1584, la Madonna in trono con Bambino e i ss. Giuseppe e Torpè, del periodo pisano, e una tela raffigurante il Martirio di san Donato, portata a termine nel 1587, oggi dispersa.

Contemporaneamente al lavoro in Camposanto, affresca una volta dell’Opera della Primaziale.

7

R. P. Ciardi et al., Pittura a Pisa tra Manierismo e Barocco, Pisa, Cassa di Risparmio di Pisa, 1992, p. 14

8

Il documento di allogagione è stato pubblicato dal Tanfani Centofanti 1897, pp. 5 sg.

(28)

53

Fig. 54: Sala delle Ninfe Palazzo di Fiumi e Fossi

Probabilmente intorno al 1583, la famiglia Lanfranchi gli commissiona gli affreschi di una sala al piano terra, delle scale e del salone al primo piano. Lo stile proposto dal Ghirlanda ricorda i motivi decorativi di origine genovese (quelli di palazzo Doria, ad esempio).

Il tema generale del ciclo pittorico nei vari ambienti del palazzo pare essere quello nuziale, che si esprime nel salone (Fig. 55) al primo piano e sulle scale di accesso (Figg. 56 57), attraverso soggetti mitologici tratti da Ovidio o dalle Metamorfosi di Apuleio, mentre nella Sala delle Ninfe, al piano terra, il soggetto principale è il mito di Diana e Atteone, dalle Metamorfosi di Ovidio.

La parte centrale della volta nella Sala delle Ninfe ci racconta di Atteone, cacciatore allevato

dal centauro Chirone che, durante una battuta di caccia, provoca l’ira di Diana quando la

sorprende mentre fa il bagno per il caldo estivo insieme alle sue compagne, all’ombra della

selva, dopo aver interrotto la caccia. La dea, per impedire che Atteone proferisca parola su

quanto visto, getta acqua sul viso del giovane trasformandolo in cervo (Fig. 58). È proprio

questo il momento raccontato dal Ghirlanda, che inserisce la scena in un contesto diverso

da quello del mito, introducendo sullo sfondo architetture romane in rovina quasi

rimpiazzate da elementi tipici dell’architettura tardo rinascimentale e manierista. Atteone si

(29)

54

accorge della sua trasformazione quando si specchia in una fonte, dopo essere scappato.

Egli viene intanto raggiunto dai 50 cani inferociti che, non riconoscendolo, lo sbranano.

Fig. 55: Volta del Salone al primo piano del palazzo di Fiumi e Fossi

Fig. 56: Soffitto della tromba delle scale, palazzo di Fiumi e Fossi

Fig. 57: Particolare delle scale, palazzo di Fiumi e Fossi

Gli altri soggetti dell’affresco sono le divinità greche, le ore, le fatiche di Ercole e

probabilmente il Giorno e la Notte. Sulle unghie della volta si riconoscono chiaramente,

per la simbologia tipica con cui vengono raffigurate, alcune divinità dell’Olimpo: Giunone,

antica divinità del matrimonio e del parto, spesso raffigurata nell’atto di allattare, assume in

seguito le funzioni di protettrice dello Stato. Moglie e sorella di Giove, è la più importante

(30)

55

divinità femminile, è anche protettrice degli animali, in particolare del pavone, a lei sacro e col quale, come in questo caso, viene solitamente rappresentata. (Fig. 59);

Fig. 58: Particolare dell'affresco in volta. Diana getta l'acqua sul viso di Atteone, che inizia a prendere sembianze di cervo, Sala delle Ninfe, Palazzo di Fiumi e Fossi

Saturno, divinità romana dell’agricoltura, identificava l’abbondanza ma anche i cicli della natura. Corrisponde alla divinità greca Crono. Viene qui raffigurato con la clessidra in mano.

(Fig. 60); Nettuno, dio del mare e dei terremoti, con il tridente e seduto sul dorso di un mostro marino (Fig. 61); Cerere, dea della terra e della fertilità, con il capo contornato da spighe di grano e sul fianco i prodotti della terra (Fig. 62);

Vittoria, posta proprio all’ingresso della sala (Fig. 63), seduta su un globo che sormonta lo stemma della famiglia di Curzio Lanfranchi troncato rosso e argento (Fig. 65).

Nell’iconografia classica, Vittoria è raffigurata con il capo cinto dalla corona di lauro e le ali.

Si identifica con la Nike greca e rappresenta la vittoria in battaglia. Qui la ritroviamo con in

testa la corona di alloro, le ali e delle lunghe trombe egizie; infine, Vulcano, dio del fuoco,

dei fabbri e della metallurgia, rappresentato con un martello nella mano destra e altri

attrezzi da lavoro nella parte bassa del dipinto (Fig. 64). Le figure sono racchiuse in scudi e

contornate da putti, drappi, motivi floreali, frutta e mezzibusti alati.

(31)

56 Fig. 59: Giunone, Sala delle Ninfe, Palazzo

di Fiumi e Fossi

Fig. 60: Saturno, Sala delle Ninfe, Palazzo di Fiumi e Fossi

Fig. 61: Nettuno, Sala delle Ninfe, Palazzo di Fiumi e Fossi

Fig. 62: Cerere, Sala delle Ninfe, Palazzo di Fiumi e Fossi

Analizzando la parete Nord, si trova probabilmente la Notte (Fig. 67), solitamente

rappresentata come una fanciulla che dorme, i suoi attributi sono la civetta e la luna, che è

una delle sue figlie. Nel dipinto si riconoscono anche maschere teatrali in basso a destra, il

motivo potrebbe essere la successione della Notte, alla sera, momento di attività ludiche

quali la musica e gli svaghi. Nell’altra lunetta una figura femminile che potrebbe

rappresentare l’Aurora (Fig. 68), una delle figure più importanti della tradizione ermetica e

corrispondente alla Sapienza, solitamente rappresentata come una fanciulla estremamente

(32)

57

giovane, vestita di veli leggeri e con una fiaccola in mano. L’Aurora è la luce che si diffonde appena prima del sorgere del sole.

Fig. 63: Vittoria, Sala delle Ninfe, Palazzo di Fiumi e Fossi

Fig. 64: Vulcano , Sala delle Ninfe, Palazzo di Fiumi e Fossi

Fig. 65: Stemma Lanfranchi con iniziali di Curzio Lanfranchi, Sala delle Ninfe, Palazzo di Fiumi e

Fossi

Sulle lunette sono raffigurate le Ore, rappresentate come figure femminili con in mano la

clessidra (Fig. 66) e le altre divinità. Sulla parete Ovest, si ritrovano: Apollo (Fig. 69), divinità

dell’antica religione greca, dio di tutte le arti, patrono della poesia, successivamente viene

(33)

58

anche identificato come il dio del Sole, come portatore di luce e auriga del cocchio solare.

Qui viene raffigurato sul carro trainato da cavalli, con la faretra delle frecce e il sole alle sue spalle, attorno al quale si possono riconoscere i simboli astronomici; Diana (Fig. 70), signora delle selve, protettrice degli animali selvatici, custode delle fonti e dei torrenti. Nella mitologia greca questa dea romana assomiglia ad Artemide, dea della caccia. Qui siede su un carro trainato da cani, ritratta nell’atto di scagliare una freccia; infine, Marte (Fig. 71), che corrisponde al dio Ares dell’antica Grecia, dio della guerra e dei duelli. Viene qui rappresentato con l’elmo, lo scudo pronto alla protezione e l’arco. Il carro su cui siede è trainato da leoni, simbolo di coraggio. Questo dipinto è su una tela che ricopre l’intero semicerchio della lunetta.

Fig. 66: Le Ore , particolare della volta, Sala delle Ninfe, Palazzo di Fiumi e Fossi

Fig. 67: La Notte, Sala delle Ninfe, parete Nord, dettaglio lunetta

Fig. 68: L' Aurora, Sala delle Ninfe, parete Nord, dettaglio lunetta

In una delle lunette della parete Sud, si ritrova Plutone (Fig. 72), dio degli inferi, sulla biga

trainata da draghi che porta all’aldilà. Si potrebbe trattare però anche di Saturno, per i

simboli presenti. Saturno, nella mitologia classica, mangia i suoi figli ed è spesso

rappresentato con la falce; nell’altra, una figura maschile che potrebbe rappresentare il

Giorno (Fig. 73), che nell’arte rinascimentale viene rappresentato nelle vesti di un uomo

forte e virile, simbolo della piena manifestazione dell’energia solare. Sullo sfondo si nota

una città con approdo per le imbarcazioni che potrebbe essere Pisa.

(34)

59 Fig. 69: Apollo Sala delle Ninfe, parete Ovest,

dettaglio lunetta

Fig. 70: Diana , Sala delle Ninfe, parete Ovest, dettaglio lunetta

Fig. 71: Marte , Sala delle Ninfe, parete Ovest, dettaglio lunetta

Fig. 72: Plutone , Sala delle Ninfe, parete Sud, dettaglio lunetta

Fig. 73: Il Giorno , Sala delle Ninfe, parete Sud, dettaglio lunetta

Nelle lunette della parete Est sono rappresentati Mercurio (Fig. 74), dio dell’eloquenza, del

commercio e dei ladri nella mitologia greca e romana, solitamente rappresentato da un

giovane. Essendo il messaggero degli dei, esso viene raffigurato con le ali ai calzari e

sull’elmo, col suo tipico bastone con due serpenti d’oro avvolti, il caduceo, una sorta di

bacchetta magica che ha il potere di indurre un sonno profondissimo; Giove (Fig. 75),

(35)

60

divinità suprema per la religione romana, re di tutti gli dei, protegge coloro che si rivolgono a lui e i suoi simboli sono la folgore e l’aquila, che in questo dipinto traina la biga. Ha solitamente l'aspetto di un uomo maturo. Molti i miti sulle sue metamorfosi per sedurre ninfe o dee; Venere (Fig. 76), dea dell’amore e della bellezza. Il suo carro è trainato da oche, al suo fianco si ritrova Cupido, suo figlio, dio dell’amore fisico e del desiderio, rappresentato come fanciullo alato, pronto a scagliare la freccia con cui fa innamorare mortali e immortali.

Fig. 74: Mercurio , Sala delle Ninfe, parete Est, dettaglio lunetta

Fig. 75: Giove , Sala delle Ninfe, parete Est, dettaglio lunetta

Fig. 76: Venere , Sala delle Ninfe, parete Est, dettaglio lunetta

Nella parte bassa delle unghie, sulle imposte della volta, si possono ritrovare alcuni episodi

delle fatiche di Ercole, come quelli delle figg. 77 e 78, due pitture molto simili nelle forme e

nei movimenti descritti, in cui Ercole è riconoscibile dalla clava e dalla pelle del leone di

Nemea, ucciso nella sua prima fatica, che gli fa da mantello e che lo protegge dalle armi dei

nemici. Cerbero è il cane a tre teste che Ercole deve catturare per compiere le imprese che

Euristeo gli ordina di affrontare. L’ovale raffigura Ercole che soffoca e solleva Anteo, il

gigante che traeva forza dalla terra (Fig. 79). Le fatiche sono il simbolo della lotta fra

l’uomo e la forma più selvaggia della natura. Infine si ritrova anche una rappresentazione

delle Grazie (Fig. 80) che, nella mitologia romana, sono fanciulle che infondono la gioia nel

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cuore degli dei e dei mortali. Le tre giovani nude incarnano la perfezione a cui l’uomo deve tendere e le qualità che la donna deve avere.

Fig. 77: Ercole , Sala delle Ninfe, dettaglio volta

Fig. 78: Ercole contro Cerbero , Sala delle Ninfe,

dettaglio volta

Fig. 79: Ercole e Anteo , Sala delle Ninfe,

dettaglio volta

Fig. 80: Le Grazie , Sala delle Ninfe,

dettaglio volta

Fig. 81: Strombatura finestra a sinistra, Sala delle Ninfe

Fig. 82: Strombatura finestra a destra, Sala delle Ninfe

Infine, come già accennato, anche le strombature delle due finestre della Sala delle Ninfe

che danno su via San Martino risultano affrescate. In queste aree si notano drappi e motivi

floreali che fanno da cornice ad una corona centrale, al cui interno sono raffigurati elementi

architettonici (Figg. 81 e 82).

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