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ƒ terziarie, conseguenti a reazioni chimiche ed enzimatiche post-fermentative che intervengono nel corso dell’affinamento e derivate dall’estrazione del legno.(Failla 2006, Riberau-Gayon et al.1998, Fregoni)

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Academic year: 2021

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GLI AROMI VARIETALI

L’aroma, per definizione, è la sensazione gradevole emanata da una sostanza, così come viene percepita dalla mucosa olfattiva nella cavità nasale, attraverso l’inalazione dell’atmosfera esterna e, se la sostanza viene ingerita, anche attraverso l’atmosfera interna alla cavità orale, grazie alla sua continuità con quella nasale. Gli aromi sono dunque dovuti a molecole volatili rilasciate dalle sostanze. Gli aromi del vino derivano direttamente o indirettamente dalle molecole contenute nell’uva ed eventualmente rilasciate dal legno con il quale fossero entrate in contatto. Dobbiamo ricordare che le molecole volatili del vino possono essere didatticamente classificate, in relazione alla loro genesi, in:

ƒ varietali. Varietali primarie, se già presenti nell’uva in quanto originatesi dal suo metabolismo. Varietali secondarie, se derivate direttamente da precursori non volatili già presenti nell’uva tramite fenomeni biochimici (ossidazioni, idrolisi), nel corso del tempo, dalle fasi di pre-fermentazione sino a quelle di affinamento;

ƒ secondarie fermentative, se prodotte dal metabolismo dei lieviti e dei batteri responsabili della fermentazione alcolica e malolattica;

ƒ terziarie, conseguenti a reazioni chimiche ed enzimatiche post-fermentative che intervengono nel corso dell’affinamento e derivate dall’estrazione del legno.(Failla 2006, Riberau-Gayon et al.1998, Fregoni).

Come per tutte le classificazioni, i confini tra le diverse categorie sono spesso difficili da tracciare.

Ad esempio è difficile distinguere tra una molecola volatile considerata già presente nella bacca d’uva e una prodotta nella fase pre-fermentativa, specie se l’uva alla vendemmia è già in fase di sovramaturazione. D’altra parte le molecole fermentative, pur derivando dall’attività microbiologica, anche in relazione alle condizioni fisiche e chimiche nelle quali si realizza, dipendono altresì dalla composizione del mezzo nelle quali si compiono e, quindi, oltre che dalle tecnologie di vinificazione in senso lato, anche dalla composizione dell’uva (Failla 2006). I composti aromatici dell’uva (varietali) sono localizzati nella buccia e compaiono solo dopo l’invaiatura, aumentando nel corso della maturazione (in correlazione agli zuccheri). La finezza, la persistenza e la complessità aromatica di un vino sono molto ricercate dal consumatore moderno.

Attualmente la microstruttura di un vino (aromi, polifenoli, ecc…) è più importante della macrostruttura (alcool, acidi). In effetti tutti i vini hanno una macrostruttura, ma non tutti possiedono una microstruttura apprezzabile. Vi sono vini che sembrano non avere né profumo né sapore aromatico. In realtà il contenuto di aromi è talmente limitato da rimanere sotto la soglia di percezione del degustatore. Alcuni aromi, tuttavia, sono così intensi ed espressivi che si percepiscono anche a concentrazioni inferiori al milionesimo di milligrammo per litro (nanogrammmo/litro) (Fregoni). L’aroma dei vini è costituito da alcune centinaia di composti volatili i cui tenori variano da diversi mg/l a qualche ng/l e, in certi casi, a qualche frazione di ng/l.

Dato che le soglie olfattive di questi composti possono differire notevolmente, il loro impatto olfattivo dipende sia dalla loro concentrazione, sia dalla loro natura. Certi composti presenti allo stato di tracce, dell’ordine dei ng/l, infatti, possono giocare un ruolo importante nella formazione dell’aroma, mentre altri, molto più abbondanti, intervengono in misura minore. Il contributo di ogni sostanza alla gradevolezza dell’aroma del vino dipende, inoltre, dalla sua struttura e dalla sua natura chimica. Per indicare le caratteristiche specifiche delle differenti sostanze aromatiche, si utilizza la nozione di “soglia” che è sempre riferita ad una dato mezzo (acqua, soluzione idroalcolica, vino bianco, vino rosso). I vari tipi di soglie vengono così definiti:

o soglia di percezione : concentrazione minima a partire dalla quale, in un test triangolare, 50% dei degustatori riconoscono la presenza di una sostanza odorosa, senza che, tuttavia, siano necessariamente capaci di identificarne l’odore;

o soglia di riconoscimento : soglia di percezione e di identificazione di un composto odoroso specifico;

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o soglia di preferenza: concentrazione massima, al di là della quale l’odore di un composto è giudicato negativamente. (Riberau-Gayon et al. 1998 )

La potenza dell’aroma dipende da vari fattori come la varietà, il sito, le pratiche colturali, l’annata ecc… Gli effetti dell’esposizione solare sulla composizione della bacca sono molteplici e complessi. La radiazione e il calore provenienti dal sole possono influenzare il tasso di reazioni metaboliche e causare stress, sia tramite disidratazione o tramite un incremento diretto di temperatura. Le differenze di microclima dentro la chioma contribuisce significativamente alla grande variabilità nella composizione della bacca (Belancic et al 1997). I grandi vini valgono, e sono tali, per il loro aroma e non certo per il loro contenuto di alcol e acidi. Va rilevato che la concentrazione e la qualità degli aromi delle bacche è correlata positivamente al tenore zuccherino (e quindi al grado di maturazione delle uve e al terroir, ossia al microclima, al suolo e al sottosuolo) ove vive il vigneto. Questo aspetto non è molto dimostrato scientificamente (salvo eccezioni), ma è certo che alcuni vini nobili e aristocratici in finezza aromatica vengono solo in alcune terre. Le zonazioni con l’uso di aromogrammi hanno già fornito alcune conferme a riguardo, ma molto rimane ancora da fare, nell’interesse della scelta e della terra vocata alla qualità aromatica (Fregoni). Fra tutti i costituenti dell’aroma, i composti odorosi che provengono dall’uva, caratteristici della varietà e sua espressione, giocano un ruolo determinante nella qualità e nella tipicità dei vini di cui costituiscono l’aroma varietale. Si osserva, inoltre, che, mentre il loro profilo qualitativo è sotto il controllo varietale, il loro contenuto è influenzato in modo sensibile dalle condizioni pedoclimatiche e dalle pratiche viticole, tra cui la gestione della chioma. L’aroma varietale, a parte le varietà denominate aromatiche, come i moscati, che danno mosto dotati di aroma simile a quello dei vini, può non essere percepibile direttamente nelle uve e nei vini.

Tuttavia, i mosti di numerose varietà, denominate a sapore semplice, pur essendo praticamente inodori, danno vini il cui aroma caratteristico è più o meno specifico della varietà; questo è quanto avviene per la maggior parte dei grandi vitigni: Merlot, Cabernet, Sauvignon, Semillon, Pinots, Gamay, Chardonnay… La nozione di precursori d’aroma, forme inodori dei composti odorosi dell’uva, responsabili dell’aroma varietale dei vini, riveste, pertanto, una grande importanza in enologia. Il termine “aroma varietale” non deve, tuttavia, far pensare che ogni vitigno possieda composti aromatici specifici, in quanto gli stessi composti odorosi e i loro precursori, si riscontrano in mosti e varietà della stessa famiglia, come, d’altra parte, in altri frutti o piante. La personalità aromatica, propria di ogni vitigno, quale si riscontra nei vini, deriva certamente dalla natura e dal contenuto dei singoli composti varietali presenti (Riberau-Gayon et al.1998). Possiamo classificare le molecole degli aromi varietali (primari e secondari) in diverse famiglie chimiche:

• terpeni in forma libera e glicosilata;

• norisoprenoidi C-13 in forma libera e glicosilata;

• metossipirazine;

• composti solforati che possiedono una funzione tiolica (tioli volatili e precursori dei tioli volatili derivati della cisteina);

• aldeidi e alcoli C6 in forma libera e glicosilata;

• fenoli volatili in forma libera e glicosilata;

• altri composti in forma glicosilata;

• acidi grassi polinsaturi, precursori di composti alifatici C6 e C8.

(Failla et al 2006, Riberau-Gayon et al.1998).

I composti glicosilati contribuiscono all’aroma del vino tramite il rilascio di sostanze volatili durante il processo che va dall’uva al vino maturo. I composti glicosilati sono inodori, principalmente glicosidi di monoterpeni, C-13 norisoprenoidi, composti dell’acido scikimico, si accumulano nella bacca durante la maturazione. Probabilmente la glicosilazione avviene in seguito alla sintesi dei composti volatili, secondo la teoria per cui la glicosilazione è lo step finale di ogni via biosintetica. L’idrolisi dei composti glicosilati può portare alla liberazione di agliconi volatili oppure agliconi che sono loro stessi precursori di composti aromatici, come osservato per la maggior parte degli agliconi C-13 norisoprenoidi. La via biosintetica dei norisoprenoidi comincia

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con una reazione di taglio bio-ossidativo di carotenoidi e comprende una serie di reazioni enzimatiche (Wirth et al 2001, Strauss et al 1987, Winterhalter et al 1990). Le caratteristiche aromatiche di un vino risultano dal contributo di composti volatili provenienti dall’uva, dal metabolismo di lieviti e batteri, dalle pratiche enologiche, dall’uso del legno. All’interno di questo complesso gruppo di sostanze odorose, è noto che i composti aromatici provenienti dall’uva giocano un ruolo primario nella formazione di note aromatiche tipiche della varietà utilizzata per la vinificazione. Il gruppo di composti volatili provenienti dall’uva e presenti nel vino sono i terpeni, i C-13 norisoprenoidi, i benzenoidi. Questi composti possono essere presenti nell’uva sia liberi e quindi odorosi, sia glicosilati e quindi non odorosi. Nelle varietà in cui i composti aromatici sono glicosilati il mosto che si ottiene non ha nessun aroma distintivo; però, alla fine della fermentazione alcoolica i vini ottenuti da queste varietà spesso hanno note aromatiche che sono specifiche della varietà utilizzata per la vinificazione. Per questi vini c’è una chiara connessione tra l’aroma tipico e quello rilasciato per idrolisi della frazione coniugata. Queste osservazioni suggeriscono che durante la vinificazione uno o più meccanismi sono responsabili dell’idrolisi di precursori glicosidici e del conseguente rilascio di composti volatili. I precursori comprendono glucosidi monosaccaridi, in cui lo zucchero è il B-D-glucosio, e disaccaridi, in cui il glucosio è sostituito con una seconda unità di zucchero, A-L-arabinofuranoside, A-L-rhamnopiranoside, B-D-apiofuranoside. Nelle condizioni acide del vino, un’idrolisi spontanea del legame B-glicosidico porta la rilascio dei composti volatili.

Inoltre, enzimi con attività glicosidica, come quelli prodotti da alcuni lieviti, sono capaci di promuovere una rapida idrolisi di composti glicosilati. Il meccanismo proposto include, nel caso dei glicosidi disaccaridi, l’azione preliminare di un’appropriata glicosidasi (arabinofuranosidasi, ramnopiranosidasi o apiofuranosidasi) per rilasciare lo zucchero terminale prima che la B- glicosidasi liberi l’aglicone volatile. Per i precursori glucosidici è necessario solo l’ultimo step. Vari studi hanno dimostrato che l’estratto enzimatico di Saccharomyces cerevisiae è capace di liberare la frazione volatile dei precursori glicosilati della bacca. I Saccharomyces cerevisiae hanno minor attività glicosidica ripetto ai lieviti non-Saccharomyces; l’attività enzimatica è massima durante la fase di crescita esponenziale della popolazione di lieviti, dopo si abbassa velocemente. L’attività glicosidica è influenzata negativamente dal pH del vino e dalla concentrazione di etanolo, perciò è limitata alla prima fase della fermentazione (Delfini et al 2001, Ugliano et al 2006, Abbot et al 1991, Lema et al 1996, Delcroix et al 1994).

Prima di analizzare alcuni aspetti relativi alle caratteristiche, alla genesi e al controllo genetico e ambientale dell’espressione della famiglia chimica di aromi varietali norisoprenoide, riteniamo utile soffermarcisi quello che si ritiene sia il significato fisiologico ed ecologico delle sostanze volatili nei vegetali. Le molecole volatili degli aromi sono considerate metaboliti secondari (così come i polifenoli), ovvero non coinvolti nelle principali funzioni fisiologiche della pianta, quali fotosintesi, respirazione, sintesi proteica, nutrizione minerale, ecc… Variamente indicati fin dal secolo passato come “prodotti di escrezione” o “prodotti finali del metabolismo”, si arrivò ad una loro definizione concettuale tenendo presente che l’irregolarità della loro presenza nelle piante stava ad indicare la loro non indispensabilità. Pertanto si ritennero primari quei componenti coinvolti nei processi metabolici essenziali ed ubiquitari, mentre secondari furono definiti tutti gli altri componenti. L’attributo secondari sta a significare che questi prodotti non partecipano a quei processi metabolici essenziali al mantenimento della vita di un organismo vegetale; sembra che le sostanze in questione siano di importanza marginale. In realtà le idee in merito sono cambiate grazie ai progressi biochimici realizzati nel settore ed alla maggiore accuratezza delle indagini relative al significato fisiologico-ecologico di questi prodotti; oggi si pensa che i metaboliti secondari rappresentino uno strumento fondamentale del metabolismo per far fronte alle avversità che caratterizzano l’ambiente in cui vivono le piante. Ci sono prodotti secondari che sono effettivamente tali in quanto non essenziali per la sopravvivenza della maggior parte delle piante, ma ci sono anche numerosi prodotti delle stesse vie biosintetiche che hanno ruoli generali e sono quindi indispensabili a tutte le piante (ormoni, chinoni, pigmenti), per cui le relative vie non sono secondarie. I metaboliti secondari afferiscono principalmente alle famiglie chimiche dei polifenoli,

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dei terpeni e degli alcaloidi. Non sono presenti nelle stesse forme e intensità nelle diverse specie vegetali. Le molecole raggruppate sotto questa denominazione sono un numero eccezionalmente elevato (molte migliaia), caratterizzate da due peculiarità: variabilità nella struttura chimica ed elevata variazione intraspecifica. La ragione di questa abbondanza e variabilità risiede nella natura autotrofa delle piante e quindi nella diversità di potenziale biosintetico che porta ad una estrema versatilità nella sintesi di molecole di varia natura; gli stimoli ambientali cui sono sottoposte le piante sono molteplici, altrettanto lo sono le strategie difensive poste in atto e di conseguenza le sostanze prodotte. La gran vastità di metaboliti secondari è il frutto di un’armoniosa regolazione delle varie vie biogenetiche che sono perfettamente integrate nel metabolismo primario. Secondo numerosi autori appare evidente come le piante utilizzino poche vie metaboliche di base dalle quali divergono un’infinità di varianti che portano alle centinaia di migliaia di molecole. I metaboliti secondari hanno origine da precursori comuni del metabolismo primario. La fotosintesi sta al centro del sistema e fornisce materia prima per i tre metabolismi principali, quello dei carboidrati, degli acidi grassi e dell’azoto. Le vie principali che portano alla produzione di metaboliti secondari sono tre: via dell’acido scichimico, dell’acido mevalonico e dei polichetidi. E’ difficile assegnare precisi significati metabolici alle sostanze in questione. L’ipotesi più accreditata è quella di un ruolo ecologico di questi prodotti; si è pensato che se la morfologia delle piante è stata sottoposta, nel tempo, a forte pressione selettiva, analoga sorte sia toccata alla biochimica delle piante. Si sarebbe formate nelle diverse specie una quantità molto elevata di prodotti secondari dei quali sarebbero rimasti solo quelli capaci di conferire alle piante uno specifico vantaggio selettivo. La funzione ecologica del metabolismo secondario si esplica nel ruolo di difesa che queste sostanze avrebbero nei riguardi dell’ambiente biotico ed abiotico in virtù delle loro frequenti caratteristiche irritanti, tossiche e repellenti. Le piante nel corso della loro evoluzione hanno sviluppato soluzioni strategiche che consentono loro di bilanciare la crescita (dovuta prevalentemente al metabolismo primario che interessa gli zuccheri, le proteine ed i lipidi) con le necessità legate alla sopravvivenza (difesa dai parassiti, dagli erbivori e da agenti tossici) che sono connesse al metabolismo secondario. La stimolazione del metabolismo secondario avviene a spese dell’accrescimento in quanto dirotta una parte degli assimilati verso sostanze destinate alla difesa, cioè alla sopravvivenza. I metaboliti secondari possono quindi essere considerati come molecole dispensabili per la crescita e lo sviluppo, ma indispensabili per la sopravvivenza della specie. Le loro funzioni sono principalmente legate alla difesa da stress biotici, quali gli attacchi di predatori e parassitari, e abiotici, quali l’eccesso di radiazione e temperatura, ma anche all’attrazione degli agenti dell’impollinazione (pronubi) e della dispersione dei semi (disseminatori). Seppure possa apparire paradossale, la funzione prevalente che le molecole aromatiche assolvono è quella della difesa da stress biotici e abiotici, piuttosto che quella di attrazione di pronubi e disseminatori. Ad esempio i profumi terpenici emessi dai fiori, più che attrarre i pronubi, consentirebbero la protezione degli organi riproduttivi in essi contenuti dagli attacchi nemici, agendo come repellenti e intossicanti nei confronti di animali erbivori (insetti soprattutto) e funghi patogeni. I terpeni, inoltre, consentirebbero al protezione dei cloroplasti dagli stress termici e ossidativi. Le sostanze volatili liberate dagli organi verdi in caso di danno meccanico accidentale o conseguente agli attacchi di larve, come ad esempio aldeidi e alcoli C6, sono in grado di attrarre i parassitoidi e i predatori delle larve stesse. La sintesi di tale sostanze è, inoltre, correlata alla produzione di altre molecole volatili, e specificatamente di giasmonato, che a sua volta induce la sintesi di fitoalessine, come, nella vite, il resveratrolo, ovvero di sostanze capaci di contrastare gli attacchi parassitari e gli stress abiotici (Buchanan et al 2003, Maffei).

Questo quadro del significato delle sostanze volatili nel regno vegetale dovrebbe aiutare a comprendere le relazioni tra i fattori ambientali e colturali e l’espressione del potenziale aromatico dell’uva. In ogni caso è necessario sottolineare come ciò possa effettivamente progredire solo se progrediranno le conoscenze nella fisiologia dello sviluppo e maturazione della bacca. In particolare è necessario sapere quando, nel corso dello sviluppo della bacca, si avviano i processi biosintetici e quali sono le condizioni interne e ambientali che li regolano (Failla et al 2006).

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I NORISOPRENOIDI

Sono molecole aromatiche di natura terpenica molto diffuse in natura e presenti in foglie, fiori e frutti. Nella vite si rinvengono in foglie e frutti, prevalentemente in forma (mono)glucosidica, come arabinosilglucosidi e ramnosilglucosidi (Razungles et al 1993). Hanno un forte potere aromatico di floreale e fruttato grazie alla bassa soglia di percezione. Derivano chimicamente dai carotenoidi, che appartengono alla famiglia dei terpeni a 40 atomi di carbonio (tetraterpeni), per degradazione chimica, fotochimica e ossidazione enzimatica (Failla et al 2006). Da un punto di vista chimico si distinguono due principali gruppi di composti, i megastigmani e i non megastigmani, costituiti, ognuno, da un sensibile numero di composti volatili (Figura 18).

Figura 18. Principali famiglie C-13 norisoprenoidi nell’uva (Riberau-Gayon et al 1998)

La struttura dei megastigmani è caratterizzata da un ciclo a sei atomi di carbonio sostituito da gruppi metilici sui carboni 1 e 5 e da una catena alifatica a quattro atomi di carbonio, insatura, sul carbonio n° 6 del ciclo. I megastigmani sono norisoprenoidi a tredici atomi di carbonio ossigenati sul carbonio n° 7 (serie damascone) o sul carbonio n° 9 (serie ionone). Fra questi composti, il B- damascenone, a odore complesso di fiori, di frutti esotici e di composta di mele, possiede una soglia di percezione olfattiva molto bassa nell’acqua (3,5 ng/l) e relativamente bassa in soluzioni modello (45 ng/l). La sua soglia di riconoscimento nei vini rossi è dell’ordine di 5.000 ng/l. Esso è stato inizialmente identificato nel succo d’uva delle varietà Riesling e Moscato, ma esiste, verosimilmente, in tutti i vitigni. La concentrazione in β-damascenone dei vini bianchi e rossi è estremamente variabile. Si ritiene, tuttavia, che il suo impatto olfattivo in certi vini sia importante. I valori riscontrati nei vini rossi sono un po’ più importanti di quelli dei vini bianchi secchi e sono molto elevati nei vini dolci naturali ottenuti da varietà di tipo Moscato. In media, i tenori dei vini rossi Merlot, Cabernet sauvignon e Cabernet Franc, non presentano differenze significative. Il b- ionone, composto ad odore caratteristico di violetta, possiede una soglia di percezione di 120 ng/l nell’acqua e di 800 ng/l in soluzione idroalcolica modello; inoltre, la sua soglia di riconoscimento nei vini è 1,5 μg/l. Esso è stato identificato nelle uve di diversi vitigni bianchi e nei Moscati; come il β-damascenone, esiste in tutti i vitigni. Il contributo aromatico del β-ionone all’aroma dei vini bianchi è trascurabile; al contrario, può svolgere un ruolo significativo nei vini rossi. La sua concentrazione è ancora più variabile di quella del β-damascenone e non sembra influenzata sign

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ificativamente dal vitigno. Gli altri norisprenoidi ossigenati identificati sono il 3-oxo-A-ionolo (a nota aromatica di tabacco), il 3-idrossi-β -damascone (tè, tabacco) e il β-damascone (tabacco, fruttato). L’impatto olfattivo di questi composti, a causa delle loro alte soglie di percezione, è trascurabile, malgrado siano contenuti nei vini in quantità spesso sensibilmente alte. I non megastigmani sono altri norisoprenoidi a tredici atomi di carbonio che comprendono alcuni composti molto odorosi. Fra questi si segnala, innanzi tutto, il TDN (1,1,6 trimetil-1,2- diidronaftalene) che gioca un ruolo importante nella formazione della nota aromatica di cherosene dei vini Riesling vecchi. Generalemte assente nell’uva e nel vino giovane, il TDN si può formare nel corso dell’invecchiamento in bottiglia, fino a raggiungere tenori di 200 ug/l, che superano la sua soglia di percezione (circa 20 ug/l). Gli actinidoli e i vitispirani sono altri composti della stessa famiglia che possiedono un odore di canfora. Certi norisoprenoidi non megastigmani deriverebbero dalla trasformazione acido catalizzata dei megastigmani. I vitispirani isomeri, che si formano per questa via durante l’invecchiamento in bottiglia, potrebbero contribuire all’odore difettoso di canfora dei vini prematuramente ed esageratamente invecchiati (Riberau-Gayon et al.1998).

LA BIOSINTESI DEI NORISOPRENOIDI

Questi aromi varietali del vino derivano da molecole contenute nell’uva (i carotenoidi) (Figura 19).

Per comprendere la loro variabilità è necessario conoscere le basi molecolari dei relativi processi biosintetici, sapere quando si avviano durante lo sviluppo della bacca e come le condizioni interne e ambientali li regolino.

Recentemente sono state raccolte prove importanti, seppure non definitive, per ritenere che nella bacca di vite i norisoprenoidi si originino in seguito all’attività di un enzima specifico, detto carotene diossigenasi, capace di produrli a partire dai carotenoidi (Failla et al 2006).

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Figura 19. Via di formazione del β-damascenone nell’uva e nel vino ((Riberau-Gayon et al.1998).

In passato vari risultati avevano supportato l’ipotesi di un coinvolgimento di una ossigenasi regione –specifica in grado di formare i C-13 norisoprenoidi a partire dai carotenoidi: la maggioranza di norisoprenoidi aventi 13 atomi di carbonio, la configurazione dei centri asimmetrici in comune con i rispettivi carotenoidi, la correlazione negativa osservata durante la maturazione tra i livelli di C-13 norisoprenoidi e carotenoidi. Adesso è stato identificato un gene (VvCCD1) in Vitis vinifera in grado di codificare la carotene diossigenasi; è stata osservata un’induzione significativa nell’espressione del gene circa una settimana prima dell’invaitura in due cultivars, Moscato di Alessandria e Syrah. Dopo l’invaiatura l’espressione del gene rimane pressoché stabile durante la maturazione. Dal momento che c’è un ritardo di una settimana tra l’espressione del gene e l’accumulo di C-13 norisoprenoidi, non può essere stabilita una correlazione diretta. Esperimenti hanno evidenziato come l’enzima carotene diossigenasi taglia simmetricamente la zeaxantina in 3- idrossi-B-ionone, un composto C-13 norisoprenoide, e una C-14 dialdeide. La maggioranza dei C- 13 norisoprenoidi non sono i primi prodotti di taglio dei carotenoidi, ma probabilmente loro metaboliti, le cui modificazioni possono essere attribuite all’azione di ossidasi o reduttasi. Inoltre le glicosiltransferasi giocano un ruolo importante dal momento che la maggioranza di questi metaboliti sono sottoforma glicosilata. E’ molto probabile che tutti gli enzimi che portano nuove modificazioni ai primi prodotti di taglio siano presenti nell’uva. Queste nuove modificazioni enzimatiche possono spiegare il ritardo tra l’induzione del gene e l’accumulo di C-13 norisoprenoidi. E’ interessante notare che, al contrario degli altri geni che giocano un ruolo nelle vie del metabolismo secondario, VvCCD1 è attivo dalle prime fasi dello sviluppo della bacca, quindi i

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C-13 norisoprenoidi si accumulano per primi durante la maturazione rispetto agli altri metaboliti secondari; questo può suggerire un ruolo nella regolazione dello sviluppo della bacca (Mathieu et al 2005).

La via biosintetica proposta che porta dai carotenoidi ai C-13 norisoprenoidi comprende tre stadi successivi; il primo riguarda la degradazione enzimatica dei carotenoidi tramite ossidasi. I primi prodotti di questi taglio sono carbonili di C-13 norisoprenoidi che hanno lo scheletro ossidato dei corrispettivi carotenoidi. Il secondo stadio riguarda la modificazione, tramite ossidasi e reduttasi, del grado di ossidazione di questi primi prodotti. Infine, il terzo stadio consiste nella glicosilazione, tramite la glicosiltransferasi, di quei composti norisopenoidi aventi un gruppo ossidrilico.

Ci sono diverse prove in favore dell’ipotesi che i C-13 norisoprenoidi derivino dai carotenoidi;

queste comprendono il fatto che la maggioranza di norisoprenoidi possiede 13 atomi di carbonio e questo indica la specificità di taglio; la configurazione dei centri asimmetrici comune ai C-13 norisoprenoidi e i corrispondenti carotenoidi(Figura 21, Figura 22); il trasferimento di marcatori C dai carotenoidi ai norisoprenoidi tra l’invaiatura e la maturazione; la correlazione negativa osservata tra i livelli di carotenoidi e norisoprenoidi tra l’invaiatura e la maturazione (Figura 20), soprattutto se i grappoli sono direttamente esposti alla luce solare.

Figura 20. Evoluzione dei carotenoidi e dei C 13 norisoprenoidi nel corso della maturazione (Palese 2003)

Figura 21. Formazione dei glucosidi megastigmano-3,9-diolo e del 3-oxo-α-ionolo dalla luteina mantenendo la stereochimica dei carboni 3 e 6 (Baumes et al.2002).

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Figura 22. Formazione del 3-idrossi-β-damascone (e del suo glucoside) e del β-damascenone dalla neoxantina, mantenendo la stereochinica del carbonio 3 (Baumes et al.2002)

Prove effettuate su grappoli di Syrah esposti a differenti condizioni di luce fin dal primo stadio di sviluppo (allegagione), dimostrano come la luce solare favorisce la degradazione dei carotenoidi dopo l’invaiatura; contemporaneamente si dimostra come i C-13 norisoprenoidi sono più abbondanti alla maturazione in bacche esposte alla luce durante un certo periodo piuttosto che in bacche permanetemente ombreggiate (Figura 23) .

Figura 23. Influenza dell’ombreggiamento di grappoli di Syrah sul contenuto di composti aromatici alla maturazione; SUN , grappoli esposti direttamente alla luce del sole; SHA, grappoli ombreggiati dentro la chioma; 90%, grappoli ombreggiati artificialmente con sacche al 90% (Baumes et al.

2002)

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Malgrado queste prove e recenti esperimenti sulla vite che supportino il coinvolgimento di un sistema enzimatico nei primi due stadi della formazione dei C-13 norisoprenoidi, nessuna sistema di questo tipo è stato ancora trovato nella vite (Baumes et al 2002). Una prova di diradamento dei grappoli condotta su Syrah conferma l’indipendenza del grappolo nella sintesi dei C-13 norisoprenoidi rispetto alla pianta; cioè non c’è nessuna migrazione di tali composti dalle foglie ai grappoli, in quanto riducendo il numero di grappoli per vite non si verifica un ulteriore accumulo di questi composti nei grappoli rimanenti ( Bureau et al 2000). L’espressione del gene che codifica l’enzima e la conseguente sintesi di norisoprenoidi si attivano qualche giorno prima dell’invaiatura.

Ciò differenzia la sintesi dei norisoprenoidi da quella degli altri metaboliti secondari della maturazione dell’uva, quali gli antociani e i terpeni, e lascia intravedere un loro possibile ruolo regolatore dell’invaiatura e della successiva maturazione (Failla et al 2006).

I FATTORI CHE INFLUENZANO LA BIOSINTESI DI NORISOPRENOIDI

La possibilità di incrementare la presenza di norisoprenoidi nella bacca d’uva sembra dunque legata, almeno in via teorica, da una parte all’incremento del substrato, ovvero dei carotenoidi nel tessuto della bacca e, dall’altra, all’aumento della specifica attività biosintetica dei norisoprenoidi stessi. La sintesi dei carotenoidi segue lo sviluppo della fase erbacea della bacca e, poiché essi hanno una funzione di protezione del sistema fotosintetico dagli eccessi di luce, si può supporre che la luce diretta sui grappoli ne possa incrementare i livelli. Circa, invece, la sintesi dei norisoprenoidi, sulla base dell’ipotesi, forse tramontata, della fotodegradazione dei carotenoidi in norisoprenoidi, si potrebbe ipotizzare un effetto positivo della radiazione diretta sulla loro produzione(Failla et al 2006); infatti prove condotte su Syrah dimostrano che il contenuto in C-13 norisoprenoidi è più abbondante alla maturazione in grappoli esposti alla luce per un certo periodo rispetto a grappoli permanentemente ombreggiati (Bureau et al 2000). Le recenti acquisizioni di un controllo enzimatico, se confermate, sebbene non rafforzino questa ipotesi, mettono a disposizione della ricerca ecofisiologica un potente strumento molecolare per studiare il fenomeno. Il contenuto di sostanza aromatiche presenti nelle uve, oltre ad essere determinato da fattori genetici (vitigno- clone), è influenzato anche da fattori colturali e ambientali. A esplicitare questo concetto è sufficiente citare una convinzione comune tra i produttori come il fatto che vini provenienti da suoli calcarei, sono in generale provvisti di aromaticità più fini e intense. In realtà le conoscenze sull’influenza dell’ambiente, o meglio dei diversi parametri che lo descrivono e che solo in linea generale possiamo definire come clima e suolo, sui composti aromatici che concorrono a formare il bouquet dei prodotti enologici sono ancora estremamente ridotte(Failla et al 2006). Per esempio, prove condotte su vini delle valle del Reno per verificare l’influenza di differenti terroirs hanno evidenziato come i vini prodotti nella zona sud, in terreni più caldi, dove la maturazione avviene prima, hanno la maggiore concentrazione in B-damascenone e geraniolo; mentre i vini ottenuti da terreni che danno una maturazione più lenta sono poveri in B-damascenone ma più ricchi in B- ionone (Sabon et al 2002). Per verificare l’influenza della regione sulla concentrazione di C-13 norisoprenoidi liberi e legati, sono stati messi a confronto vini, ottenuti da Riesling Renano, di differenti annate e diverse regioni, cioè Sud Africa, Germania e Nord Italia. La comparazione dei dati meteorologici di questi paesi rivela che in Germania e in Italia la media delle temperature giornaliere è più bassa, la media di pioggia mensile è più alta e le ore giornaliere di sole sono meno rispetto al Sud Africa. Questa diversità di clima porta ad una differente concentrazione di tali composti nei vini Riesling provenienti dalle diverse regioni viticole, per esempio una maggiore temperatura media e un maggior numero di ore di sole giornaliere registrate in Sud Africa, coincidono con una concentrazione maggiore di TDN, trans-vitispirano, che probabilmente derivano da un maggior contenuto in precursori nei grappoli (Marais et al.1992). I livelli termici che si registrano nelle settimane antecedenti la completa maturazione dell’uva sono in grado di caratterizzare il complesso quadro aromatico presente nell’acino. In altri termini, a elevati valori di temperature massime corrispondono contenuti in sostanze monoterpeniche inferiori. A temperature

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notturne più fresche, legate ai fenomeni fisici dei movimenti delle masse d’aria (brezze), corrispondono aromi più fini e intensi. Facendo riferimento allo Chardonnay, che per gli studi sulle sostanze aromatiche è un ottimo esempio, si deve sottolineare come sul contenuto dei composti aromatici l’ambiente di coltivazione ha un’influenza determinante. In prove condotte in due ambienti del Nord Italia caratterizzate da diverse sommatorie termiche nel periodo aprile-ottobre su differenti cloni di Chardonnay è risultata un’influenza negativa della temperatura sul contenuto di terpeni nelle uve e in particolare per quelli glicosilati. Un contributo significativo allo sviluppo delle conoscenze in questo campo è fornito dalle indagini di zonazione attraverso la valutazione delle relazioni tra i composti aromatici e i diversi fattori ambientali. Tra le diverse grandezze che caratterizzano il clima, la temperatura ricopre sicuramente un ruolo determinante nei processi di sintesi, accumulo e conservazione, all’interno della bacca, dei composti aromatici. Come precedentemente accennato, risulta esserci una relazione negativa tra i livelli di terpeni e la sommatoria delle temperature attive (indice di Winkler). E’ stata individuata un’altra importante correlazione, questa volta positiva, tra grandezze climatiche e sostanze aromatiche e più precisamente tra il contenuto in norisoprenoidi, e il valore potenziale di radiazione fotosinteticamente attiva (PAR). Si tratta di un risultato particolarmente interessante che trova una spiegazione nella via biosintetica di queste molecole, in cui la luce ricopre un ruolo fondamentale.

Anche le caratteristiche dei suoli, possono incidere in modo determinante sull’aromaticità delle uve (Failla et al 2006, Tomasi et al 2006).

Il microclima del grappolo ha una grande importanza in quanto influenza la composizione della bacca. Prova effettuate su grappoli di Syrah esposti a differenti condizioni di luce a partire dall’allegagione mostrano come i C-13 norisoprenoidi sono più abbondanti alla maturazione in grappoli esposti alla luce per un certo periodo rispetto a grappoli permanentemente ombreggiati;

quindi le tecniche di conduzione del vigneto, come la sfogliatura, che portano ad una maggiore penetrazione della luce verso i grappoli, incrementano il potenziale aromatico del Syrah (Bureau et al 2000). In particolare, un’eccessiva crescita vegetativa che ombreggia i grappoli, favorisce la formazione di xantofille epossidate , da cui si originano C-13 norisoprenoidi come il 3-idrossi-7,8- diidro-B-ionolo, 3-idrossi-5,6-epossi-B-ionolo, 4,5-diidrovomifoliolo e 3,6-diidro- 5,6-diidro-B- ionone. Al contrario, una gestione della chioma che permette la penetrazione della luce verso i grappoli, favorisce la formazione di xantofille non epossidate, che originano altri C-13 norisoprenoidi, e conseguentemente vini con differenti aromi (Razungles et al 1998).

I risultati sin qui riportati, pur essendo un primo approccio a questo complesso argomento, mostrano come sia auspicabile approfondire, nel modo più multidisciplinare possibile, queste tematiche che possono contribuire in modo decisivo all’incremento qualitativo delle produzioni enologiche. Possiamo sottolineare che al di là dell’indiscussa impronta varietale che il genotipo conferisce e dell’influenza che ha l’andamento climatico annuale, molti altri fattori naturali, e non, concorrono ad arricchire e a rendere complesso il corredo aromatico dell’uva. I luoghi di coltura, attraverso le loro proprietà termiche e le dinamiche dei suoli, sono determinanti nel guidare i processi di sintesi. La comprensione e l’evidenza di alcune esperienze di campo inducono ad assegnare un ruolo non secondario anche alle tecniche di conduzione: forma di allevamento, assenza di competizione tra gli organi verdi e produttivi della pianta e microclima luminoso e termico del grappolo sono forse le più interessanti. L’individuazione della data di vendemmia, se per la maturazione fenolica e antocianica sembra chiarirsi sempre più, per la maturazione aromatica richiede invece ancora uno sforzo di ricerca per cogliere nel migliore dei modi una qualità piena e attesa. L’interessamento per la composizione aromatica delle uve ci deve allora stimolare sempre più per approfondire le conoscenze e i legami esistenti tra qualità aromatica varietale, ambiente di coltura e tecnica viticola (Tomasi et al 2006).

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