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2.1 FISIOLOGIA DEL GINOCCHIO

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B B I I O O M M E E C C C C A A N N I I C C A A

2.1 FISIOLOGIA DEL GINOCCHIO

Il ginocchio è una complessa articolazione a perno in cui i movimento permessi sono di estensione, flessione e rotazione, invece i movimenti di lateralità sono notevolmente limitati da muscoli e legamenti.

L’angolazione in un cane in stazione quadrupedale è di 130-140° ma può raggiungere in flessione i 40° e in completa estensione i 150°, con un range di movimento di 110°.

I movimenti di flessione e di estensione avvengono su un asse pressoché trasversale, mentre la rotazione, a causa della costituzione legamentosa e della complessa geometria delle articolazioni che coinvolgono i condili femorale e tibiale ed i menischi, non si verifica in maniera semplice unilaterale attorno ad un asse longitudinale stazionario.

I legamenti coinvolti in questo complesso movimento articolare sono i legamenti crociati, craniali e caudali, ed i legamenti collaterali, mediali e laterali.

Come già descritto nel capitolo 1, il LCA è composto di una banda cranio-mediale (CMB) e da una parte caudo-laterale (CLP). La parte CMB è formata da un gruppo di fibre legamentose che traggono origine cranio-dorsalmente nel sito di inserzione femorale del legamento stesso, e si estendono crani-medialmete fino alla sua inserzione tibiale; invece la CLP rappresenta la parte restante del legamento

F

2 2 F I I S S I I O O L L O O G G I I A A E E

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crociato. In sinergia con i suddetti legamenti, i legamenti collaterali svolgono una funzione essenziale nel limitare i movimenti in varo, il mediale, e valgo, il laterale.

Durante la flessione, le inserzioni femorale e fibulare del legamento collaterale laterale si avvicinano e il legamento si rilassa. Questo consente lo spostamento caudale del condilo femorale laterale e determina una rotazione interna (mediale) della tibia sul femore. Al contrario, durante l’estensione, il legamento collaterale laterale si tende ed induce il condilo femorale laterale a muoversi cranialmente causando una rotazione esterna della tibia sul femore (Bojrab, 2001).

Aspetto craniale del ginocchio durante la flessione. (Bojrab MG, 2001).

Aspetto craniale del ginocchio durante l’estensione. (Bojrab MG, 2001).

I movimenti di rotazione sono limitati dai legamenti crociati, che a causa dei loro rapporti anatomici iniziano a torcersi l’uno sull’altro quando il ginocchio si flette e la tibia ruota internamente sul femore.

Nel momento in cui il ginocchio si estende, i legamenti crociati “si tendono” e, perciò, essi non hanno un effetto individuale nel limitare la rotazione esterna.

Quindi, un’eccessiva rotazione esterna, associata alla lesione del legamento crociato

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craniale, si manifesta solo quando vi è una concomitante rottura del legamento collaterale.

I legamenti crociati sono responsabili anche della stabilità cranio-caudale del ginocchio. In generale, il LCA impedisce lo spostamento craniale della tibia sul femore (movimento del cassetto craniale) mentre il LCP impedisce lo spostamento caudale della tibia sul femore (movimento del cassetto caudale).

Più precisamente, la principale limitazione al movimento del cassetto craniale è data dalla banda cranio-mediale del LCA, che rimane tesa sia quando il ginocchio si flette sia quando è esteso; la porzione caudo-laterale, invece, si presenta tesa esclusivamente quando il ginocchio è esteso.

La lacerazione della parte caudale del legamento non determina instabilità fino a quando la banda cranio-mediale è intatta. Se questa ultima fosse danneggiata, il ginocchio sarebbe stabile in estensione, in quanto la porzione posteriore del legamento in tensione si opporrebbe al movimento del cassetto craniale. In flessione, invece, la porzione caudale del LCA è rilassata e permette un movimento del cassetto craniale.

Lesione della banda antero-mediale e porte caudale tesa. (da A a A’) del LCA.

(da Bojrab MG, 2001)

Lesione della parte caudo-laterale (da C a C’) della banda antero-mediale e banda antero-mediale intatta (da A a A’, da B a B’) (da Bojrab MG, 2001)

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Infine, se l’intero legamento risultasse danneggiato avremmo un incremento del movimento cranio-caudale anche in estensione.

Anche il legamento crociato caudale è diviso in due componenti, però i loro effetti individuali sulla stabilità del ginocchio non sono così evidenti.

Poiché il LCA e teso in tutte le sue componenti durante l’estensione, ne deriva che esso costituisce la principale struttura che si oppone all’iperestensione del ginocchio. Nel caso in cui si dovesse danneggiare, il LCP diventerebbe il nuovo elemento limitatore dell’eccessiva estensione articolare (Bojrab MJ, 2001). Infine, un eccessivo movimento articolare è impedito non solo dalle componenti legamentose dell’articolazione del ginocchio, ma anche da un complesso sistema di archi riflessi che coinvolgono i maggiori gruppi di muscoli attorno al ginocchio.

2.2

BIOMECCANICA DEL GINOCCHIO

Il modello tradizionale

Le basi anatomiche e fisiologiche descritte negli ultimi anni hanno portato a valutare il meccanismo che permette la funzionalità dell’articolazione femoro-tibio- rotulea.

Il modello tradizionale, che ha condizionato le tecniche chirurgiche in passato, è un modello passivo, secondo il quale le strutture interne, quelle periarticolari e la conformazione stessa del ginocchio sono responsabili della sua stabilità durante i movimenti.

Il ginocchio è rappresentato come un modello bidimensionale con un singolo grado di libertà, privo di attrito e che si muove su un singolo piano nello spazio.

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Questo modello prende in considerazione quattro punti di riferimento che condizionano il movimento articolare:

ƒ il LCA;

ƒ il LCP;

ƒ la porzione di femore tra le inserzioni prossimali di tali legamenti;

ƒ la porzione della tibia tra le inserzioni distali dei legamenti (Slocum B, Davine T, 1983).

Rappresentazione dei quattro punti del modello tradizionale.

(Slocum B., 1993)

In questo modo, il ginocchio risulta dipendere interamente dai legamenti crociati per quanto riguarda la stabilità tra femore e tibia, in quanto questi limitano passivamente i movimenti che superano la loro tensione.

Osservando il cambiamento di posizione dei punti di inserzione dei legamenti crociati durante la flessione e l’estensione è possibile comprenderne la dinamica.

Quando il ginocchio si flette l’orientamento verticale dell’inserzione sul femore del LCA diviene orizzontale; questo cambiamento porta l’inserzione delle fibre della banda caudo-laterale più vicine alla loro inserzione tibiale, rendendole così più rilassate, mentre la porzione cranio-mediale resta tesa. Ciò accade in quanto la

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porzione dorso-craniale dell’attacco femorale, che comprende la banda cranio- mediale, si muove caudo-ventralmente.

Durante l’estensione entrambe le porzioni del LCA sono tese in quanto si verifica un allontanamento delle inserzioni femorali dal piatto tibiale (Arnoczky S, 1993).

Disegno di un campione sezionato che mostra il LCA in flessione. Si noti che la banda crani- madiale (freccia) è tesa, mentre la parte caudo- laterale è rilasata. (Da Arnoczky, 1977).

Disegno di un campione sezionato che mostra il LCA in estensione. Si noti che l’intero legamento è teso. . (Da Arnoczky, 1977).

Anche per il LCP la flessione dell’articolazione porta a modificarne l’orientamento dell’inserzione del legamento stesso che, però, si porta da un orientamento orizzontale ad uno verticale, determinando uno spostamento anteriore della porzione craniale, che si allontana dal suo sito di inserzione tibiale, e mettendo in tensione le fibre. L’origine femorale della porzione caudale del legamento, invece, si sposta centralmente e più vicino all’inserzione tibiale in modo da rendere le fibre rilassate in flessione. Con la rottura del LCP si ha uno spostamento caudale della tibia, movimento del cassetto caudale (Arnockzy SP. et al., 1977).

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Disegno di un campione sezionato che mostra il LCP in estensione. Si noti che la parte caudale (freccia) è tesa. (Da Arnoczky, 1977).

Disegno di un campione sezionato che mostra il LCP in flessione. Si noti che la parte craniale è tesa, mentre quella caudale è rilassata. (Da Arnoczky, 1977).

Il modello tradizionale, quindi, basa la stabilità del ginocchio esclusivamente sui legamenti, e per questo motivo la rottura è considerata la principale causa di instabilità del ginocchio. Secondo questa ipotesi la flessione del ginocchio è limitata dal contatto tra coscia e tarso e non dal LCA o LCP, e l’estensione è limitata dal contatto tra il LCA e la porzione craniale dell’incisura intercondiloidea femorale. In iperestensione il LCA tende a rompersi dal momento che la distanza tra le inserzioni femorali e tibiali aumenta più della lunghezza del legamento stesso. Questa ipotesi spiega la possibilità di stiramento e lesione del LCA che avviene in seguito a iperestensione fisiologica in soggetti ad arti dritti, o “straight-legged”, ma non spiega la possibilità di una parziale o completa rottura del legamento in assenza di iperestensione, se non la rottura dovuta ad un trauma diretto, o ad una improvvisa intrarotazione del ginocchio, o in seguito ad una degenerazione articolare di origine sconosciuta. Inoltre, tale ipotesi non motiva lo schiacciamento del menisco mediale

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in seguito alla rottura del LCA pur riconoscendone la presenza (Slcum B. and Davine T., 1993) .

Il modello attivo

Il modello attivo amplia semplicemente quello tradizionale analizzando altre componenti quali, forza muscolare e forza peso che intervengono attivamente per garantire la stabilità del ginocchio. Questa nuova concezione si è sviluppata in seguito agli studi di Henderson e Miller che, nel 1978, intuiscono il ruolo chiave dell’inclinazione del plateau tibiale nella biomeccanica del ginocchio descrivendo il test di compressione tibiale.

Il test dimostra che la flessione del garretto determina uno scivolamento craniale della porzione prossimale della tibia rispetto al femore; ciò si verifica anche durante la fase d’appoggio in quanto si genera una forza tra piede e terreno che determina una compressione tibiale (Slocum B. and Devine T., 1983 e 1993). Invece, la spinta craniale è una forza attiva che origina dal carico ponderale (weight bearing) e dalla compressione esercitata dai muscoli sul plateau tibiale contro i condili femorali.

Tale spinta è, inoltre, favorita sia dall’azione dei muscoli estensori del ginocchio che, attraverso il tendine tibio-rotuleo, esercitano una trazione in senso craniale della tibia, sia dall’entità dell’inclinazione del piatto tibiale (Vezzosi A., 1998).

Il carico ponderale, infatti, scaricandosi sul plateau tibiale, si scompone in due forze: una che agisce sulla tibia ed è diretta a terra (componente di compressione) ed un’altra che spinge la tibia in avanti (componente di scivolamento), spinta che è tanto maggiore quanto è più inclinato il plateau tibiale (Slocum B.and Davine T., 1999).

Infine, la spinta craniale è anche alla base del caratteristico rumore che si sente in alcuni cani con lesioni al LCA quando il corno maniacale risulta imprigionato tra femore e tibia, come riportato da Paatsama nel 1952.

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Scomposizione delle linee di forza di carico ponderale trasmesse dal femore alla tibia.

(da Slocum, 1991)

In condizioni normali la spinta craniale è neutralizzata dal legamento crociato anteriore e dal corno caudale del menisco mediale, che rappresentano la componente passiva, e dalle forze dirette caudalmente prodotte dai muscoli posteriori della coscia, prevalentemente dal bicipite femorale e dal gruppo dei muscoli del pes anserinus, che rappresentano la componente attiva.

Quindi, quando il ginocchio è in equilibrio, può essere considerato come un modello statico che include sia forze attive, i muscoli, che restrizioni passive, costituite dai legamenti, dalla conformazione ossea e dalla capsula articolare.

Durante il movimento la forza dei muscoli che sottendono alla flessione e all’estensione, insieme ai legamenti, garantiscono la stabilità del ginocchio bilanciando il peso (momento della forza) a livello del centro rotazionale dell’articolazione e, attraverso questo equilibrio, evitano che l’arto si collassi.

Il momento di una forza muscolare è rappresentato dalla distanza perpendicolare tra la linea di trazione muscolare ed il centro di movimento di rotazione moltiplicato per la grandezza della forza; quindi, affinché il ginocchio mantenga un angolo di flessione costante nella fase di appoggio dell’andatura, la risultante dei momenti di

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flessione e di estensione deve essere in equilibrio, cioè 0. (Slocum B. and Davine T., 1993).

Risultante dei movimenti delle forze generate dal muscolo quadricipite (A) ed estensore lungo delle dita (E) in equilibrio con il movimento generato dal muscolo bicipite femorale (B), dal gruppo del pes anserinus con la porzione craniale del semimembranoso (C) e del gastrocnemio con il flessore superficiale delle dita (D)

Quando le forze muscolari sono insufficienti a prevenire la traslazione anteriore della tibia, la spinta craniale viene contrastata unicamente dal LCA che è sottoposto ad un continuo stress.

Questo spiega il motivo per cui in alcuni soggetti, particolarmente pesanti rispetto alla propria struttura scheletrica, o che presentano scarse masse muscolari, o un’eccessiva inclinazione del plateau tibiale, si può verificare la rottura del LCA in assenza di un trauma diretto (Vezzoni, 1998).

L’entità della compressione tibiale è variabile, in quanto la quantità delle forze generate sia dai muscoli che dall’incremento ponderale dipendono dall’attività del cane, quindi la spinta craniale (cranial tibial thrust) può essere limitata solo modificando l’inclinazione del piatto tibiale (Slocum B. and Devine T., 1993).

Questa nuova concezione della biomeccanica del ginocchio ha portato all’ideazione di una tecnica chirurgica particolare che si differenzia dalle altre in quanto ha come

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fine neutralizzare la spinta craniale tibiale modificando l’inclinazione del piatto tibiale (Vezzoni., 2003).

Per comprendere meglio il principio su cui si basa questa tecnica chirurgica (osteotomia livellante del plateau tibiale) ideata da Slocum è possibile ricorrere ad un’analogia descritta dallo stesso. Consideriamo un carrello parcheggiato lungo una discesa, nella figura A vediamo come il peso del carrello (C, che rappresenta la componente assiale) tenda a trascinarlo verso il basso a causa della gravità e crei una forza (D) a causa dell’inclinazione. Se viene tesa una corda (F, che rappresenta il LCA) da un’estremità del carrello fino ad un punto d’attacco (qui rappresentato da un idrante) e viene posto un cuneo (E, il menisco) dietro la ruota del carrello (il condilo femorale) si evita lo scivolamento del carrello lungo la discesa (traslazione craniale della tibia).

Se la corda si rompesse, il carrello scivolerebbe lungo la discesa schiacciando il cuneo.

Da Slocum B. and Davine T., 1996

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Nella figura B la forza (D) può essere eliminata posizionando il carrello su una superficie piana che, quindi, non necessita di corda (LCA) o cuneo (menisco) per mantenere la stabilità. In questo caso infatti, la forza di compressione articolare si riduce al peso del carrello (C) e, sebbene il peso del carrello non sia eliminato, vengono neutralizzati i sui effetti “deleteri”.

Da Slocum B. and Davine T., 1996

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