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Di qui in avanti le espressioni cash, cash holdings, liquidità, cassa, contante, riserve liquide sono intesi come sinonimi per identificare l’asset più liquido che si possa detenere in azienda.

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Academic year: 2021

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1 INTRODUZIONE

Il presente lavoro è diretto ad analizzare il cash holdings delle imprese. Con tale espressione, di origine americana, si intende l’investimento delle imprese in quel tipo di attività presente nello Stato Patrimoniale di tutte le organizzazioni che prende il nome di disponibilità liquide.

Di qui in avanti le espressioni cash, cash holdings, liquidità, cassa, contante, riserve liquide sono intesi come sinonimi per identificare l’asset più liquido che si possa detenere in azienda.

Per liquidità (cash) e liquidità equivalente (cash equivalent) generalmente si intende le scorte di tutti i tipi di cassa, conti correnti bancari attivi e le categorie a questi assimilabili, e i crediti finanziari e i titoli con scadenza originaria non superiore ai tre mesi.

Tuttavia la classe di cash equivalent è convenzionale e quindi può ampliarsi e ridursi a seconda degli obiettivi dell’impresa, dal tipo di attività produttiva che svolge, dal controllo che può essere esercitato sull’ottenimento e sul mantenimento dei valori liquidi.

Considerando l’attuale evoluzione dei mercati finanziari e le nuove tipologie di prodotti finanziari, associate a forme progredite di copertura del rischio, si può sostenere che la qualità del cash equivalent sia oggi posseduta da qualunque attività finanziaria che sia giudicabile priva di rischio, e non presenti significativi costi di transazione all’atto del suo smobilizzo.

La letteratura sul cash holdings è piuttosto recente e non molto estesa, soprattutto in relazione a quella sulla struttura finanziaria, di enormi dimensioni. Solo negli ultimi anni si è assistito ad una rapida crescita delle attività liquide nei bilanci delle aziende che ha attirato l’attenzione di numerosi studiosi. Le disponibilità liquide oggi rappresentano una frazione abbastanza elevata della ricchezza dell’impresa.

Uno studio di JP Morgan 1 ha evidenziato come dal 2000 al 2004, nel settore corporate delle nazioni più ricche, si è assistito ad un incremento del risparmio di più di un trilione di dollari. Questo fenomeno assume maggiore importanza per il fatto che negli ultimi

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“Corporate are driving the global saving glut”, JP Morgan Research, June 24, 2005

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2 quarant’anni non vi è mai stato un tale accumulo di risorse liquide da parte delle aziende, e inoltre perché parallelamente vi è un forte decremento della propensione al risparmio da parte delle famiglie.

Un caso particolarmente interessante è stato quello della Microsoft, il gigante americano del software. Ha destato molto clamore tra gli addetti il notevole cash savings del colosso di Bill Gates.

Reuters al 2002 riporta che “Microsoft non ha mai pagato dividendi durante i suoi 15 anni di vita da public company e ha invece ammassato la più grande quantità di cash nella storia industriale:36 miliardi di dollari…”. Sempre al 2002 da una lettera dell’avvocato Ralph Nader a Bill Gates si apprende che “il cash holdings della Microsoft sta crescendo ad un tasso impressionante di circa 1,5 miliardi di dollari al mese nell’ultimo quadrimestre”.

Nel 2004 Microsoft presenta nel suo report annuale una posizione in cash pari a 60,6 miliardi di dollari. La crescente pressione degli investitori ha però costretto l’azienda a annunciare il pagamento di dividendi pari a 32 miliardi di dollari e il riacquisto di 30 miliardi di dollari di azioni nei successivi quattro anni. A tale annuncio il mercato ha reagito immediatamente, facendo salire il valore delle azioni del 5,7%.

Viene naturale chiedersi perché le compagnie trattengano al loro interno alte quantità di cash, che invece potrebbero essere investite in maniera più redditizia. Oppure, messa in un’altra prospettiva, domandarsi qual è il valore reale della liquidità. Per Brealy e Myers questo rappresenta uno dei dieci quesiti ancora irrisolti della finanza d’azienda.

Per trovare una risposta occorre comunque distaccarsi dall’assunzione di mercati dei capitali perfetti di Modigliani Miller.

Già assumendo la presenza di costi di transazione, sorge la necessità di determinare un livello di cash ottimale che bilanci i costi e i benefici dell’accumulo di cash.

Ma è soprattutto la considerazione delle asimmetrie informative che assume maggiore

rilevanza nell’ambito del cash holdings. I fenomeni di moral hazard e di adverse selection,

introdotti da Akerlof nel 1970, con i conseguenti costi di agenzia, ci mostrano le due facce

di una stessa medaglia.

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3 Da un lato il motivo precauzionale del cash, utile per i rainy day, per futuri periodi possibili di scarsa liquidità, e collegato ai financial constraints, i vincoli finanziari dovuti ad una differenza elevata nel costo delle finanze esterne rispetto a quelle interne. In questo senso la liquidità permette di poter sfruttare le opportunità d’investimento future senza dover sopportare costi troppo elevati o, nella peggiore delle ipotesi, senza dover rinunciare a tali opportunità. È questo il succo della teoria di Myers e Majluf (1984): il cash diventa un asset che crea valore per gli azionisti.

Ma, come detto, esistono due lati per ogni cosa. Come afferma Dittmar, “ c’è una linea sottile tra l’avere abbastanza denaro per fare ciò che devi fare e l’avere abbastanza denaro per fare ogni cosa tu voglia fare”. Le riserve liquide sono facilmente accessibili da chi controlla l’azienda ed il loro utilizzo è eccessivamente discrezionale. Entrano quindi nell’analisi considerazioni di corporate governance, a causa dei conflitti di interesse tra manager e azionisti e, trasferendoci in un ambito più europeo, tra azionisti di minoranza ed azionisti di maggioranza. Chi controlla di fatto l’impresa può mettere in atto comportamenti opportunistici (moral hazard); il cash è sicuramente lo strumento più semplice per estrarre benefici privati ai danni delle minoranze. L’investimento in cash in questo caso distrugge valore per gli azionisti.

Quanto detto finora è il contenuto del primo capitolo, dove si passano in rassegna i vari contributi teorici, a partire da Keynes, che nel 1936 spiega i possibili motivi per detenere liquidità, continuando con la letteratura sui financial constraints e sui costi di agenzia, per poi concludere dando uno sguardo alla realtà ormai diffusa dei gruppi e alla possibile formazione di un mercato dei capitali interno sostitutivo del mercato esterno così come del cash holdings.

Nel secondo capitolo sono invece esaminati i risultati riscontrati in letteratura. Si analizzano

le evidenze della letteratura sui financial constraints tramite i lavori sull’investment cash

flow sensitivity e sul cash cash flow sensitivity. Quindi sono analizzati tutti i tipi di lavori

empirici svolti sul cash holdings: quelli che ne studiano le determinanti e il livello ottimale,

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4 quelli che ne studiano il valore, quelli che infine esaminano l’utilizzo del cash definito excess cash, ossia il cui impiego è a totale discrezione degli amministratori.

Nel terzo capitolo è svolta un’analisi empirica su di un campione di circa 4000 imprese

Europee di medio grandi dimensioni, quotate e non quotate. L’analisi si propone di capire

quali siano le determinanti dell’investimento in liquidità attraverso una regressione del cash

holdings sulle caratteristiche economico-finanziarie delle imprese. Viene inoltre identificato

il cash in eccesso per ogni impresa, analizzandolo nella sua persistenza e nel possibile

effetto che tale extra-cash può avere in un’equazione classica d’investimento.

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