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EMPOLI E LA TRADIZIONE DEL VETRO

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Capitolo 2

EMPOLI E LA TRADIZIONE DEL VETRO

2.1. I FATTORI DECISIVI PER L’AFFERMAZIONE DELLE VETRERIE A EMPOLI

L’esperienza industriale ad Empoli ebbe inizio a partire dagli ultimi anni dell’Ottocento, grazie agli investimenti delle emergenti famiglie appartenenti alla borghesia industriale, le stesse che avevano accumulato in passato, grazie al commercio dei cereali (coltura principale dell’area Empolese), ricchezze e proprietà fondiarie, elementi indispensabili per prospettarsi nella nuova avventura produttiva. In passato, infatti, il settore agricolo e quello commerciale rivestirono un ruolo fondamentale nell’economia della città.

Va inoltre ricordato che fin dal secolo XI il mercato di Empoli era tra i più importanti e ciò ovviamente permise alla città di conquistare la fama di polo mercantile e di attirare venditori e acquirenti dalle varie cittadine:

[...] il mercato settimanale, dove i mercanti spesso convenivano oltre che nel giorno fisso (giovedì) in un altro giorno della settimana (il bestiame ad esempio si trattava anche il martedì), divenne uno dei maggiori della Toscana per quantità di merci e di compratori e per la facilità dei trasporti.1

Il mercato che si fa nel regno di giovedì di ciascheduna settimana, è dei maggiori che seguono in Toscana, sì per il concorso dei Generi, che dei compratori, facilità dei trasporti e comodo dei negozi che vi sono aperti, ed in questo vi correrà ragguagliatamente di dieci in dodicimila scudi.2

Tutto questo avveniva intorno alla prima metà del XIX secolo, periodo in cui erano presenti anche laboratori artigianali di modeste entità, quindi non considerabili vere e proprie industrie, di carattere domestico e impegnate in diversi rami, tra cui quello delle conce, il tessile e l’alimentare. Erano realtà destinate ad una produzione su scala ridotta, ben lontane da quelle che di lì a pochi anni avrebbero interessato il tessuto cittadino, grazie all’investimento di ingenti capitali da parte delle ricche famiglie empolesi già menzionate,

1 P.L. Lavoratti - M.L. Della Capanna, Empoli: note di geografia urbana, Estratto del Bollettino della Società Geografica Italiana, nn 7-9, anno 1972.

2 C. Masini, Relazione del Vicariato di Empoli, 31 maggio 1796, A.S.F., Segreteria di Gabinetto, 316, inserto n. 30.

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coinvolte nel fruttifero commercio di prodotti agricoli e che ancora non vedevano il settore industriale come un nuovo strumento di guadagno, ritenendolo al pari di un inutile rischio.

Il settore del vetro si impose in maniera decisa nella realtà empolese, fino a diventarne l’attività più importante, scalzando gradualmente nel tempo altre attività produttive, come la produzione di fiammiferi. L’affermazione fu frutto di vari fattori, tra i quali la vicinanza di alcuni centri della Valdelsa e delle valli, in cui l’attività delle vetrerie era fiorente ed aveva una antica tradizione; in Toscana la produzione di bicchieri e fiaschi risale alla seconda metà del XIII secolo, mentre nell’Empolese la creazione di questi beni di consumo giunse alla fine del XVII secolo. Tra i centri più antichi vi erano Gambassi, Colle Val d’Elsa e Montaione, dai quali provennero e si insediarono ad Empoli lavoratori esperti nel campo della lavorazione del vetro.

Altri fattori positivi furono la possibilità di reperire combustibile nei boschi vicini, l’esperienza nella lavorazione al forno (dovuta ad una passata attività di produzione di ceramica, che col tempo si trasferirà definitivamente nella vicina Montelupo) e la felice posizione geografica, sulla direttrice Firenze-mare e punto di convergenza per territori quali la Valdinievole e la Valdelsa, che le consentì di essere un influente snodo commerciale fin dai tempi remoti. E’ forse quest’ultimo il motivo principale che ha permesso a Empoli di divenire lentamente un noto centro industriale; alla posizione strategica va aggiunta una funzionale rete di infrastrutture di comunicazione. L’operato del Granduca Pietro Leopoldo, citato nel precedente capitolo, aveva in passato permesso la realizzazione di diversi tracciati stradali principali, come la “Pisana” (che collegava Firenze e Livorno), ossia l’odierna Statale 67, e la

“Francesca” o “Traversa”, diretta verso la Valdelsa; ma esisteva anche una rete di strade minori, come la “Lucchese” e la “via di sotto i poggi”3. Oltre ai tracciati via terra la città poteva usufruire delle attrezzature presenti sull’Arno (che permettevano di sfruttarlo sia come idrovia, sia come sito da cui era possibile estrarre materiali sabbiosi) e successivamente avrebbe giovato dei vantaggi offerti dalla ferrovia e dal ponte leopoldino.

3 Cfr. F. Casciani - F. Lensi- R. Scarselli, op. cit., p. 7.

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2.2. I PRIMI STABILIMENTI PER LA PRODUZIONE DEL VETRO A EMPOLI E LE IPOTESI SULLA NASCITA DELLA VITRUM

La prima vetreria di cui si ha notizia, collocata in territorio empolese, è la “Levantini”, risalente al 1795, di proprietà di Domenico Lorenzo Levantino e collocata a poca distanza da Porta Pisana, nel borgo di Sant’Antonio, in una posizione molto favorevole, per ampiezza degli spazi (non reperibili all’interno delle mura) e per la presenza sia di una via navigabile che di una stradale. Nel 1852 essa verrà venduta a Francesco del Vivo e Michele Ristori e proprio per la sua ubicazione risulterà una attività molto proficua anche per i nuovi proprietari4.

Successivamente la naturale e principale area di sviluppo industriale, e in particolare di vetrerie, divenne la parte meridionale dell’abitato, a causa della presenza di vaste aree libere e della stazione; più tardi avrebbe accolto anche i primi quartieri operai. E’ proprio in questa zona che oggi si trova la ex Vitrum, delimitata dalle vie Ricasoli, Tripoli, Giovanni da Empoli e Curtatone e Montanara.

Ad Empoli furono chiamati maestri della produzione del vetro provenienti da Venezia, allo scopo di apprendere le loro tecniche e conoscenze, indispensabili per realizzare pezzi unici con valore artistico; nonostante ciò la produzione empolese divenne rinomata per articoli destinati alla conservazione di olio e vino, quali bottiglie, damigiane e fiaschi in vetro verde.

Quella particolare colorazione era dovuta alla combinazione di più componenti; si trattava di una miscela di ossidi costituita da silice e da un fondente, che poteva essere carbonato di sodio o carbonato di potassio; erano inoltre presenti altri elementi come calcio, allumina arsenico e magnesio, utili al processo di vetrificazione.5

Un miscuglio di sabbia silicea e di carbonati alcalini (di soda e potassa), con ceneri di legna, calce e solfato di soda, fondendo tra i 1200 e i 1500 gradi, si trasforma in una massa vetrosa verde, o verdognola, di variabile tonalità. Il color verde è dovuto alle impurità, soprattutto all’ossido di ferro [...]. Il vetro verde - quello dei fiaschi - è dunque il materiale vetroso più povero e più facile [...]. Un oggetto di vetro verde non presenterà mai un materiale di “perfetta struttura”. Avrà sempre sbollature e rigature, differenze di spessore o di colore. Questa è la sua bellezza.6

In genere la sabbia proveniva dalle spiagge della Versilia o dal bacino del lago di Massaciuccoli a Torre del Lago.

4 Cfr. A. Scappini, Un’industria storica nell’Empolese: la manifattura del vetro, Centro Editoriale Toscano, 1998, pp.

35-37.

5 Cfr. D. Stiaffini, Materie prime e combustibile, in “Il vetro in Toscana”, 1995, p.17.

6 S. Bargellini, Itinerari. Vetri cristalli a Empoli, Montelupo, Colle Val d’Elsa, “Artigianato e turismo”, Itinerari n.2, supplemento di “Artigianato”, n.63, Firenze, dicembre 1967, p.4.

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Le vicende inerenti alla nascita del fabbricato restano ad oggi poco chiare, a causa di discrepanze temporali e di ipotesi non convergenti rilevate nelle fonti consultate, che impediscono di affermare in maniera certa quali siano state le vere origini dell’immobile.

Infatti durante lo studio della documentazione presente presso l’archivio storico di Empoli è stato rinvenuto un progetto7, datato 1901, raffigurante planimetria e prospetto di una vetreria, con la firma di Alfonso Busoni (fig. 2.2.1). Nel saggio La nascita della città contemporanea, Alberto Casini afferma che il progetto firmato da Busoni «si riferisce al fabbricato della ex Vitrum»8 e in effetti confrontando la pianta del disegno con la planimetria odierna si notano delle analogie.

Fig. 2.2.1: il progetto del 1901 firmato in basso da Alfonso Busoni (a sinistra) e la planimetria della ex Vitrum riportata nel piano attuativo proposto nel 2004 dall’Arch. Fabio Alderotti (a destra).

La pianta del progetto del 1901 ha una forma pressoché quadrangolare, mentre quella odierna ha una estensione maggiore lungo una direzione, ma nel corso degli anni, l’edificio potrebbe aver subito numerose trasformazioni e ampliamenti, come testimoniato anche dallo

7 ASCE, Postunitario, 3/202.

8 AA.VV., Empoli: città e territorio. Vedute e mappe dal ‘500 al ‘900, Editori dell’Acero, 1998, p. 171.

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Stato dei Cambiamenti del Catasto (Sezione D) numero 149 del 1923 e numero 7 del 1933 (fig.

2.2.2), che comprovano l’azione di graduale sviluppo del complesso lungo le quattro vie che ne delimitano il lotto, fino ad assumere le caratteristiche di un edificio a corte.

Fig. 2.2.2: stralcio dello Stato dei Cambiamenti del Catasto, sezione D, numero 149, del 1923 (a sinistra) e stralcio dello Stato dei Cambiamenti del Catasto, sezione D, numero 7, del 1933 (a destra)

Anche l’andamento delle vie che circoscrivono l’area è lo stesso nel progetto del 1901 e nella planimetria attuale, con via Tripoli perfettamente verticale e via Curtatone e Montanara inclinata a sinistra e ciò avvalorerebbe la tesi che il lotto, nei due casi, sia il medesimo.

Altro fattore comune è la zona centrale del fronte affacciato su via Bettino Ricasoli, in cui il vano scala occupa la stessa posizione e gli ambienti hanno dimensione e forma simili (negli anni sono plausibili modifiche alle aperture e inserimento di tramezzature), come evidenziato in fig. 2.2.3. Ai lati di tale corpo centrale, che appartiene al fronte principale della fabbrica, e sugli altri tre fronti dello stabile, corre una fascia perimetrale che ospita vari annessi, come il magazzino, la loggia e le stalle (fig. 2.2.4); anche queste zone sembrerebbero ricalcare quelle dell’odierno fabbricato.

Ultima considerazione sulla planimetria riguarda le differenze del capannone centrale nei due casi; esso ospitava il bacino di fusione: se i due edifici fossero i medesimi, tale corpo avrebbe subito delle alterazioni relative alla forma ed alla posizione della ciminiera, interventi compatibili con l’ampliamento dell’intero impianto verso Nord.

Passando al prospetto del 1901 capiamo che esso si riferisce senza dubbio al fronte principale del fabbricato; facendo un confronto tra il disegno (fig. 2.2.1) e una foto del prospetto odierno su via Ricasoli (fig. 2.2.5), notiamo una palese coincidenza per quanto riguarda numero e sagoma delle aperture. Oggi tale facciata risulta continua su due piani fuori terra; nel progetto notiamo che il corpo centrale è su due livelli, mentre le strutture laterali risultano ribassate, ma anche in questa occasione è ammissibile una loro sopraelevazione.

Tutte queste analogie farebbero pensare che l’edificio raffigurato nel progetto di Alfonso Busoni, sia proprio lo stesso utilizzato in seguito dalla Vitrum.

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Fig. 2.2.3: confronto tra la planimetria della ex Vitrum del piano attuativo proposto nel 2004 dall’Arch. Fabio Alderotti (sopra) e quella del progetto del 1901 (sotto).

Fig. 2.2.4: destinazione dei vari ambienti dell’edificio del progetto del 1901: a) amministrazione; b) bacino di fusione; c) camerata operai; m) magazzini; l) loggia; s) stalla.

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Fig. 2.2.5: il prospetto su via Ricasoli come si presenta oggi.

Il Busoni era proprietario di una attività di esportazione di vini e oli toscani, che in seguito si occuperà anche della rivestizione di fiaschi, la cui sede è raffigurata in numerose carte intestate datate a partire dal 1902 (fig. 2.2.6); essa si trovava poco distante dalla nostra vetreria, esattamente all’angolo tra via Roma e via Giovanni da Empoli (fig. 2.2.7) e ancora oggi è rimasta quasi immutata rispetto alla raffigurazione riprodotta nel documento.

Fig. 2.2.6. Carta intestata della ditta di esportazione vini e olii di Alfonso Busoni.

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Fig. 2.2.7: mappa raffigurante la posizione della Vitrum e della ditta di esportazione vini e olii di Alfonso Busoni.

Veniamo adesso agli elementi enigmatici: sempre presso l’Archivio Storico di Empoli sono conservate carte intestate appartenenti alla Società Vetraria Empolese, datate 1902, ed anche in questi documenti è riprodotta una fabbrica: dal raffronto con l’immagine dell’edificio esistente e una cartolina dei primi del Novecento (fig. 2.2.8), risulta evidente che si tratti proprio della-Vitrum.

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Fig. 2.2.8: confronto tra l’immagine riportata sulla carta intestata della Società Vetraria Empolese e una cartolina dei primi del ‘900 raffigurante lo stabilimento della fabbrica che assumerà in futuro il nome Vitrum.

Risulta difficile credere che da un progetto datato 1901 possa prendere vita, in appena un anno, un edificio di dimensioni tali, la cui immagine viene utilizzata come logo nei documenti intestati di una società di cui Alfonso Busoni non risulta membro; inoltre non risultano al momento documenti o prove che certificherebbero passaggi di proprietà o cessioni di attività da parte del Busoni alla suddetta Società Vetraria Empolese.

Tuttavia Alessandra Scappini sembrerebbe propendere per la teoria della coincidenza dei due casi di studio.

Quasi sicuramente si tratta dell’opificio industriale che appare in alcuni documenti recuperati, quali un’ampia quantità di carta intestata e datata dal 13 maggio 1902 al 27 novembre 1903, in cui è rappresentato a stampa il prospetto integrale della ditta, sottostante alla denominazione Società vetraria empolese [...] presenta le medesime articolazioni edilizie della ditta Busoni e coincide con il progetto di quest’ultima: palazzine di rappresentanza all’ingresso adibite ad uffici, un lungo paramento murario interrotto da alte finestre, che circonda un nucleo interno alla fabbrica munito di ciminiere9.

9 A. Scappini, op cit., pp. 58-59.

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Rimane quindi incertezza su questo episodio inerente all’origine del fabbricato e tale stato di dubbio è anche dovuto ad una particolare sovrabbondanza di opifici di varia natura (tra le quali vetrerie, mobilifici e rivestimento fiaschi) che si insediarono in tale zona quasi contemporaneamente e che in molti casi appartenevano a membri delle poche famiglie imprenditoriali empolesi, da cui prendevano spesso lo stesso nome. Quindi la presenza di un ingente numero di fabbricati industriali in un’area concentrata, alcuni dei quali riconosciuti col nome del proprietario, che in determinati casi ne possedeva più di uno, ha comportato una difficile rielaborazione dell’evoluzione industriale di questa specifica zona di Empoli.

Oltretutto erano frequenti variazioni della ragione sociale e della denominazione dell’opificio e questa caratteristica riguarda anche il nostro fabbricato:

• 1902 - 1913 : Società Vetraria Empolese;

• 1913 - 1915: Fabbrica di Damigiane del Vivo, Cinotti, Nannelli e C. s.n.c.;

• 1915 - 1984: “Vitrum” Fabbrica di damigiane, bottiglie e affini.

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2.3. LE VICENDE LEGATE ALL'ATTIVITÀ VETRARIA EMPOLESE E IL RUOLO DELLA VITRUM

Riporteremo di seguito un breve spaccato della realtà legata alla produzione del vetro empolese nell’arco del Novecento, in maniera sommaria ovviamente, poiché approfondimenti del tema, come il richiamo a fatti di cronaca o a dati economici, esulerebbero dagli intenti di questo lavoro. Per evitare ciò evidenzieremo in maniera fugace quale fu, nel corso dei vari decenni, il trend caratterizzante questo tipo di industria e al contempo ne approfitteremo per citare le vicende connesse alla lavorazione e alle modifiche che interessarono la nostra fabbrica.

Come attestato dai documenti fu la Società Vetraria Empolese che dette inizio nei primi del Novecento alla produzione nello stabilimento di via Ricasoli, garantendo lavoro a circa cinquanta operai. Questa fabbrica, come le altre presenti in città, era caratterizzata da una consistente mobilità della manodopera; i vetrai infatti, provenienti da Firenze, Colle Val d’Elsa e centri rinomati per la lavorazione del vetro, quali Pescia e Livorno, lavoravano per determinati periodi nella vetreria empolese e successivamente esercitavano la professione in altri opifici.

I prodotti realizzati, come testimonia il cartiglio, erano “fiaschi comuni - fiaschi bottiglie da esportazione - bottiglie di gazzosa”, mentre le tipologie operative comprendevano “lavoro nudo - lavoro impagliato ordinario”, a seconda che i manufatti fossero o no protetti con i tradizionali intrecci di paglia (di tale procedura si occupavano le “fiascaie”, donne addette al rivestizione dei fiaschi). Erano anche prodotte “fantasie di lusso”, cioè oggetti creati attraverso un lavoro puramente artigianale e artistico di vestizione estremamente raffinato.

In seguito alla cessione nel 1913 dell’attività alla società composta da Quirino, Tito e Alfredo Del Vivo, Gino Montepagani, Andrea Nannelli, Giovacchino Rigatti, Leone Lensi, Vincenzo Chianini e Cino Cinotti, la fabbrica cambia nuovamente ragione sociale nel 1915, divenendo “Vitrum” Fabbrica di damigiane, bottiglie e affini.

Il secondo decennio del secolo è scosso dal primo conflitto mondiale e tale avvenimento non può che comportare problemi per la produzione dei beni, come nel resto dell’Italia, anche a Empoli. C’è infatti difficoltà nel reperire le materie prime, sia perché molte di esse hanno la precedenza nel settore bellico (come il carbone necessario per l’accensione dei forni), sia perché i mezzi di trasporto sono impegnati nei rifornimenti alle truppe. Oltretutto la chiamata alle armi costringe molti vetrai a lasciare famiglia e lavoro e ciò comporta penuria di manodopera e logico collasso del settore vetrario. Per tal motivo, nel 1917, la Commissione Industriali inviò al Ministero Armi e Munizioni una relazione in cui rese nota l’importanza raggiunta dall’industria del vetro nell’economia Toscana, la quale vedeva impegnati un gran numero di operai. Si evidenziarono la qualità e il livello dei prodotti, caratteristiche grazie alle

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quali fu possibile arrestare la prepotente avanzata dei prodotti esteri e attraverso cui difendere e promuovere i valori e i caratteri regionali, sottolineando la mole dei prodotti esportati e i vantaggi legati a tale fattore. La relazione riportava inoltre il numero di vetrerie presenti nelle varie realtà toscane, tra cui quattro a Empoli, e precisava l’importanza del lavoro dei vetrai, chiedendo che fossero esentati dagli obblighi militari, affinché il settore vetrario non subisse una crisi che si sarebbe irrimediabilmente espansa alle tipologie lavorative e produttive legate ad esso, quali il commercio vinicolo.

Gli anni dal 1915 al 1918 furono anni turbolenti per l’economia industriale locale, segnati da carenza della manodopera occupata, da scioperi per mancanza di lavoro, dovuta alla crisi che la guerra aveva generato, e dalla nascita di una nuova attività che in futuro troverà terreno fertile nell’Empolese, cioè quella delle confezioni.

Al 23 febbraio 1917 risale istanza da parte della Vitrum per la realizzazione di un muro di cinta su via Tripoli e via Ricasoli, necessario a delimitare la struttura produttiva.

Il 1920 si rivelò un anno ambivalente per l’industria del vetro perché da un lato la fine del conflitto mondiale aveva garantito un ritorno alla vita normale e una richiesta di beni di utilità domestica, tra cui quindi gli oggetti prodotti nelle vetrerie (che adesso erano sette ad Empoli e davano lavoro a 730 lavoratori interni più le rivestitrici che lavoravano a domicilio)10; dall’altro lato questo periodo coincise con lo sbocco di una crisi che era progressivamente maturata durante la guerra, cioè quella dovuta alla diminuzione della manodopera ed ai seri disagi creatisi nei trasporti interni ed internazionali.

La ripresa sembrerebbe arrivare intorno alla metà degli anni Venti, ma nel ’29 la Crisi Mondiale assesta un duro colpo a tutto il settore secondario empolese; negli anni Trenta saranno le ditte consolidate a permanere nella leadership della produzione del vetro, subendo in alcuni casi ampliamenti e modifiche, come nel caso della stessa Vitrum che fa istanza11 al fine di provvedere ad un prolungamento del capannone per uso industriale; il prospetto di tale corpo da realizzarsi appare in un’istanza del ’31, come costruzione lineare a parallelepipedo, con finestroni rettangolari elevati dal livello della strada e spazio interno libero da pareti in cui sono unicamente inserite travi che sorreggono il soffitto. Inoltre viene fatta richiesta12 per sopraelevare una porzione del capannone posto in angolo tra via Giovanni da Empoli e via Curtatone e Montanara, per abitazione civile (fig. 2.3.1).

10 Cfr. L. Guerrini, Il movimento operaio nell’empolese 1861-1946, Roma, 1970.

11 A.S.C.E., Com. Postun., 417, cat. 10, classe 10, 2 ottobre 1931.

12 A.S.C.E., Com. Postun., 407, cat. 10, classe 10, 18 novembre 1931 (deliberazione).

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Fig. 2.3.1: stralci dell’istanza dell’anno 1931 per la sopraelevazione su parte del capannone che prospetta su via G. da Empoli, angolo via Curtatone e Montanara, per la formazione di otto vani per civile abitazione.

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Negli anni antecedenti alla Seconda Guerra Mondiale le industrie del vetro furono caratterizzate da uno sviluppo quasi stazionario, conseguenza del comportamento di tipo cautelativo che la popolazione intera aveva adottato verso il rigido controllo che si impose con l'instaurazione del regime fascista.

Come durante il primo conflitto mondiale, anche nel secondo il periodo si rivelò complicato per la produzione, data la bassa richiesta dei prodotti, ma il colpo più duro fu assestato dal bombardamento effettuato dagli americani il 26 dicembre 1943, che ebbe come obiettivo la zona della stazione (fig. 2.3.2), data l’importanza strategica dell’infrastruttura. A quell’epoca la precisione con cui venivano colpiti gli obiettivi dagli ordigni esplosivi era molto scarsa e questo comportò danni a edifici di carattere sia industriale che residenziale, con notevoli perdite di vite umane; nonostante tutto la Vitrum non fu coinvolta dall’evento in maniera significativa, pur trovandosi in prossimità dell’obiettivo.

Fig. 2.3.2: l’immagine rappresenta gli effetti del bombardamento del 26 dicembre 1943 sul fabbricato viaggiatori della stazione. Tratta da: AA.VV., Empoli com’era..., vol. 2, op. cit., p.

145.

Il secondo dopoguerra fu caratterizzato dalla “ricostruzione” e dalla ripresa operativa di tutti i settori danneggiati, proiettando la realtà industriale empolese, divenuta consistente, in un tessuto socio-economico contraddistinto da un progressivo incremento. Empoli diviene infatti centro di attrazione, specialmente per le famiglie dell’Italia del Sud, che con il loro

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arrivo provocheranno, negli anni a venire, un importante incremento demografico che a sua volta condurrà alla costituzione di un nucleo abitativo continuamente urbanizzato. Le stesse vetrerie faranno domanda per l’edificazione di abitazioni operaie, limitando il fenomeno del pendolarismo e garantendo una migliore organizzazione della fabbrica che vive in simbiosi con i vicini edifici destinati ai lavoratori.

Con l’arrivo degli anni Cinquanta, il settore vetrario viene investito da una nuova crisi dovuta a fattori differenti: il mancato rinnovamento degli impianti, delle attrezzature e delle tecniche produttive sono solo alcuni dei motivi. A questi vanno aggiunti l’insostenibile concorrenza proveniente dall’estero, (dovuta alla unilaterale liberalizzazione degli scambi), l’impossibilità da parte degli industriali di ottenere mutui (che venivano negati anche quando le aziende erano economicamente sane), la monopolizzazione delle materie prime di origine italiana e l’alto costo di quelle provenienti dall’estero. Tutto ciò obbligò le ditte ad una riduzione del personale, con un conseguente aumento della disoccupazione, e vi furono abbondanti ritardi nel pagamento degli stipendi dei lavoratori non licenziati, situazione che portò all’organizzazione di scioperi e occupazioni delle fabbriche.

L’unica via percorribile era quella della modernizzazione degli impianti e della meccanizzazione, al fine di comportare un graduale rinnovamento delle fasi di lavoro, ma il problema dei mutui non concessi impediva di seguire tale via.

In questi anni la Vitrum risulta tra le poche fabbriche all’avanguardia, dotata di quei macchinari automatici che le permettono di continuare la produzione. Infatti dal 1947 l’azienda aveva interrotto l’attività legata alla produzione di lastre soffiate per dirigersi verso una produzione con costi ridotti, possibile sostituendo gli operai con le macchine.

In quel decennio furono molte le vetrerie “storiche” che furono costrette alla chiusura, ma ciò permise paradossalmente la ripresa del settore nel decennio successivo. Infatti i lavoratori che costituivano le maestranze e la manodopera di tali industrie, una volta licenziati, fondano a loro volta altre realtà manifatturiere, di dimensioni ridotte rispetto a quelle degli stabilimenti in cui lavoravano, ma fortemente attive, anche nei paesi limitrofi ad Empoli, come Montelupo Fiorentino e Vinci. In questi anni la Vitrum subì nuove modifiche13, esattamente una sopraelevazione al magazzino in via Curtatone e Montanara (fig. 2.3.3).

Ulteriori interventi14 furono eseguiti sul lato prospiciente la stessa via; essi comprendevano l’ampliamento e il rialzamento della loggia per uso industriale (fig. 2.3.4).

Erano giunti gli anni Sessanta, caratterizzati dal boom economico, e la Vitrum era un’azienda sana che produceva vetro bianco “automatico”. Furono apportati miglioramenti ai contratti dei lavoratori e vennero acquisite nuove tecniche di produzione dai maestri vetrai muranesi, con conseguente nascita della produzione del vetro bianco per la realizzazione di oggetti di uso

13 A.S.C.E., licenza edilizia 19 aprile 1952.

14 A.S.C.E., licenza edilizia a. 1960.

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comune o di carattere artistico15, anche se la tradizione empolese fosse da sempre legata al vetro verde. La richiesta di tali prodotti da parte dei paesi esteri era considerevole, anche a causa dei prezzi stazionari e poco remunerativi adottati, scelta necessaria per combattere la concorrenza estera.

Fig. 2.3.3: stralci dell’istanza dell’anno 1952 per la sopraelevazione del magazzino in via Curtatone e Montanara.

15 Cfr. V. Cravedi - P. Zampi, op.cit., pp. 93-94.

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Fig. 2.3.4: stralci dell’istanza dell’anno 1960 per l’ampliamento e il rialzamento di una loggia per uso industriale e la modifica del prospetto su via Curtatone e Montanara.

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Negli anni Settanta si assistette ad un incremento del costo della manodopera, che ovviamente fece lievitare i costi di vendita a carico di consumatori e acquirenti esteri. Inoltre una nuova crisi investì il settore: tra le cause molte erano simili a quelle che avevano portato alle difficoltà degli anni Cinquanta, come la necessità di ammodernamento degli impianti, la mancanza di credito agevolato necessario per gli investimenti e l’aumento del costo delle materie prime e del lavoro, questi ultimi dovuti ad una forte tensione inflazionistica. A questi fattori si aggiungevano la mancanza di tecnici specializzati, l’estinzione della nuova generazione erede del patrimonio tecnico e culturale dei maestri vetrai, gli eccessivi carichi fiscali e il malcontento dei lavoratori dovuto ad un trattamento poco soddisfacente dal punto di vista economico.

La crisi investe tutta la nazione intorno alla metà degli anni Settanta, scaturendo in una diminuzione della produzione industriale e del reddito nazionale e portando alla chiusura e al fallimento di altre fabbriche dell’Empolese, che continueranno nei primi anni Ottanta.

Diverso è il destino per la Vitrum che proprio in questo periodo decide di effettuare un trasferimento di sede in via del Castelluccio, nella zona industriale di Terrafino, lontano quindi dal centro abitato. La mancanza degli spazi necessari ad effettuare le modifiche opportune alle lavorazioni e le difficili condizioni ambientali in cui i lavoratori sono costretti ad operare, mettendo a rischio la stessa salute, sono alla base di tale decisione. La superficie della fabbrica si era notevolmente ridotta a causa dell’introduzione negli anni precedenti di nuovi macchinari che avrebbero dovuto sostituire quelli presenti, ormai logori.

Il settore vetrario era ormai al collasso, privo degli aiuti necessari chiesti alla Regione e alle istituzioni pubbliche; gli edifici industriali risultavano ormai vecchi e gli ambienti malsani.

Oltretutto la domanda era diminuita rispetto al passato, a causa dell’impiego di prodotti sostitutivi come i contenitori in plastica, più economici e pratici e più indicati in relazione al diminuito potere d’acquisto dei lavoratori.

La causa più rilevante della fine del settore del vetro è stata individuata nella «mancata commercializzazione del vetro empolese ed alla carenza di un’immagine qualificante dell’intera produzione vetraria, anche a livello regionale»16.

Negli anni Ottanta il complesso di via Ricasoli verrà abbandonato, per trasferire l’attività nell’edificio di via del Castelluccio. Nel 1981 fu infatti arrestata la produzione, con la chiusura del forno e l’area venne sfruttata come magazzino fino al 1983. Infine la famiglia Del Vivo, proprietaria dell’azienda e storica protagonista dell’industria empolese cederà l’intera attività (trasferita a Terrafino) in via definitiva alla ditta Zignago di Portogruaro, a causa di un drammatico accumulo di debiti. L’immobile di via Ricasoli passerà invece nelle mani della Società “Biokimica Prodotti S.r.l.” che nel 2003 diverrà Biokimica Prodotti S.p.a. e lo stesso

16 G. Preti, La situazione delle vetrerie dell’empolese Valdelsa - Problemi e prospettive, in “Arti e mercature”, n.1-2, gennaio-febbraio.

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anno cambierà denominazione sociale in Green Tuscany S.p.a. con sede a San Miniato in provincia di Pisa.

Questa rapida carrellata di eventi ha illustrato le vicende legate alla storia della produzione del vetro a Empoli nel corso del Novecento, soffermandosi su quei momenti che hanno interessato direttamente lo stabilimento della Vitrum, un tempo vivo luogo di lavoro e adesso silenziosa area dismessa in attesa di riqualificazione da oltre un trentennio.

Questo paragrafo ha strettamente trattato il ruolo della Vitrum nel microcosmo della produzione vetraria empolese e sono state volontariamente tralasciate informazioni relative alle numerose aziende dello stesso settore, poiché tali notizie sono state ritenute superflue all’analisi del problema specifico e comunque esaustivamente prese in esame in altri testi e lavori, alcuni dei quali citati e reperibili presso l’Archivio Storico di Empoli. Di seguito viene quindi semplicemente riportata una ricostruzione schematica della posizione dei vari stabilimenti dedicati a tale settore all’interno del nucleo cittadino di Empoli e nei dintorni, per comprendere al meglio il livello con cui l’industria del vetro si era radicata ad Empoli e nei suoi dintorni. L’elevato numero di fabbriche destinate alla produzione vetraria giustifica quanto risulti importante per la storia della città toscana la memoria di tale attività produttiva.

Fig. 2.3.5: ricostruzione schematica che individua la posizione delle fabbriche destinate alla produzione del vetro ad Empoli e dintorni, tratta dal cd multimediale “Empoli e il vetro:

percorsi di un museo virtuale”, a cura del Centro di Documentazione del Vetro, ideato e coordinato dalla dott.ssa Stefania Terreni.

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2.4. CICLO LAVORATIVO E USO DEI LOCALI

Verranno di seguito descritte brevemente quali fossero le varie fasi della produzione meccanizzata del vetro ed in quali locali dello stabilimento di via Ricasoli esse avvenissero.

All’interno dell’impianto industriale le lavorazioni avvenivano a ciclo continuo: il primo passo consisteva nella miscelazione (nel reparto di “composizione”) delle materie prime (fig.

2.4.1, punto 7), le quali erano stoccate in magazzini, cisterne o silos, posti nella zona perimetrale del complesso posta lungo via Tripoli (fig. 2.4.1, punti 3-4-5-6-8). In base al dosaggio dei vari componenti, effettuato in locali adiacenti a quelli di stoccaggio, si otteneva vetro dalle diverse caratteristiche estetiche (colorazione, tipo di superficie al tatto, ecc.) o tecniche (purezza, resistenza, spessore, ecc.). A questo punto la miscela ottenuta veniva portata al punto di caricamento (fig. 2.4.1, punto 19) tramite nastri trasportatori e immessa nel camino di fusione. Questa fase del processo era effettuata in un forno a bacino funzionante 24 ore su 24, caricato automaticamente, che bruciava olio denso 15/20°E, con aria comburente preriscaldata alla temperatura di 1.200°C circa. Il preriscaldamento dell’aria era ottenuto facendola fluire attraverso due camere rigeneratrici, funzionanti alternativamente da condotto di scarico e da camera di preriscaldamento. Il forno era diviso virtualmente in due zone: la prima in corrispondenza del punto di carico, dove avveniva la fusione vera e propria della miscela vetrificabile intorno a 1.540°C, mentre la seconda parte era destinata all’affinaggio della pasta vetrificata, che si verificava a 1480°C circa, con lo scopo di allontanare i gas di reazione e favorire la completa miscelazione prima della fase di formatura. Una volta che la massa vetrosa aveva raggiunto il grado di raffinazione e omogenizzazione ideali veniva avviata alle macchine formatrici, precedute da una zona di “avanforno”, costituita da materiale refrattario e dotata di bruciatore, dove la massa vetrosa continuava il suo processo di omogenizzazione, intorno a temperature di 1.100°C, prima di di essere immessa nei canali di adduzione che alimentavano i Feeders. Con l’utilizzo di bruciatori aria-olio e aria-metano era possibile il condizionamento termico finale.

A valle della zona del forno erano presenti le macchine formatrici; la produzione della Vitrum dalla seconda metà del ‘900 era effettuata in modo automatico, tramite l’uso dei suddetti macchinari, che utilizzavano stampi preformati ad aria compressa (ca. 2 atm.), mentre in precedenza era compiuta la produzione manuale di lastre di vetro. Le macchine prelevano determinate quantità di vetro fuso e lo lavoravano, ottenendo il prodotto finito, destinato in seguito al processo di ricottura: tale fase consisteva nel portare i pezzi a temperatura ambiente in maniera lenta, all’interno di forni detti “tempere” (fig. 2.4.1, punto 12), alimentati da olio combustibile, stoccato in apposite cisterne (fig. 2.4.1, punto 24). Ciò avrebbe impedito la formazione di tensioni interne causate da un brusco raffreddamento, che avrebbero pregiudicato la resistenza e condotto alla rottura dei prodotti.

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A questo punto era necessaria una selezione manuale da parte di addetti posizionati all’uscita delle tempere, che, grazie all’utilizzo di schermi luminosi, utili per individuare anomalie e difetti eventuali, erano in grado di eliminare i manufatti non conformi; questi ultimi sarebbero stati riutilizzati come rottame di vetro, adatto per la preparazione di nuova miscela vetrificabile. Il rottame di vetro poteva essere inoltre formato da scarti provenienti da altre aziende o da materiali venduti alla Vitrum da privati cittadini.

La fase produttiva si concludeva al reparto di confezionamento (fig. 2.4.1, punto 13), immagazzinamento (fig. 2.4.1, punto 10) e spedizione (fig. 2.4.1, punto 11); l’imballaggio avveniva in modo meccanizzato.

Lo stabilimento ospitava inoltre reparti ausiliari, finalizzati alla manutenzione di impianti e macchinari, come le officine meccaniche ed elettriche (fig. 2.4.1, punto 26) e il reparto manutenzione stampi.

Tutto ciò finora detto riguarda i locali destinati alla fase strettamente produttiva, dalla scelta delle materie prime all’imballaggio dei prodotti pronti alla spedizione; per quanto riguarda la fase amministrativa, quindi gli uffici (fig. 2.4.1, punto 22), essi erano collocati nel fabbricato di via Ricasoli, dove appunto risultava la sede dell’azienda e dove erano presenti l’ingresso principale (fig. 2.4.1, punto 21) e la mensa (fig. 2.4.1, punto 1).

Come già descritto nei paragrafi precedenti, nel corso della sua evoluzione il complesso produttivo beneficiò di vari ampliamenti, soprattutto per la realizzazione di spazi da destinare agli alloggi degli operai della fabbrica, come quelli realizzati in via Giovanni da Empoli (fig.

2.4.1, punto 9).

Nel corso di quasi un secolo il complesso produttivo subì numerose modifiche e ampliamenti, necessari alla costituzione di un vero e proprio microcosmo organizzato, dove ogni fase lavorativa trovava la propria precisa posizione: il capannone centrale, cuore della produzione, ospitava il forno, dove era possibile la fusione dei vari componenti e la creazione del vetro, mentre intorno ad esso, negli edifici perimetrali, trovavano sede tutte le operazioni indispensabili all’ottenimento del prodotto finito.

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Fig. 2.4.1: i vari locali presenti all’interno della Vitrum (1 mensa, 2 punto Enel, 3 stoc.

dolomite, 4 stoc. soda solvay, 5 stoc. rottame di vetro, 6 stoc. solfato di sodio, 7 p.t.

miscelatore, 8 stoc. sabbia, 9 abitazioni, 10 magazzini, 11 spedizione, 12 tempere, 13 imballaggio, 14 compressori, 15 cabina Enel, 16 camere aspirazione, 17 compressori aria, 18 pozzo, 19 casa d’aria, 20 marmo, 21 ingresso, 22 uffici, 23 piazzali, 24 cisterne gasolio, 25 ciminiera, 26 officina).

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2.5. IL MUSEO DEL VETRO: IL MuVe

A logica conclusione del presente capitolo, dedicato principalmente al ruolo che l’attività produttiva del vetro ha giocato all’interno delle maglie cittadine empolesi, diviene opportuno dedicare un paragrafo al Museo del Vetro, conosciuto anche con l’acronimo MuVe, scrigno situato nel centro cittadino, che custodisce e preserva la memoria dell’attività vetraria di Empoli.

Il museo, inaugurato nel luglio 2010, nasce dal recupero dell’antico Magazzino del Sale, risalente alla seconda metà del XIV secolo, realizzato al fine di stoccare il sale proveniente dalle saline di Volterra, e raccoglie ad oggi documentazione di vario tipo relativa alla produzione del vetro.

Fig. 2.5.1: immagini tratte dal sito del MuVe che mostrano l’esterno dell’antico magazzino del sale dopo i lavori di recupero e l’ingresso del museo.

La ragione per cui è stato ritenuto necessario dedicare un apposito spazio per raccogliere testimonianze della produzione vetraria è dovuto al fatto che tale settore ha generato nella storia cittadina effetti di varia natura: basti pensare all’influsso che ha avuto sullo sviluppo del tessuto urbanistico o agli esiti in termini economici e sociali; oltre che per

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tale funzione è stato pensato come sede per lo svolgimento di attività culturali, grazie alla presenza di spazi e attrezzature varie e ad un calendario di eventi sempre aggiornato.

All’interno del museo sono conservati molti prodotti tipici, tra i quali damigiane, fiaschi impagliati, bottiglie, vasi e recipienti, per dirne alcuni, molti dei quali realizzati in vetro verde, segno distintivo della produzione vetraria cittadina. Tra i beni esposti vi sono anche gli strumenti tipici della tradizione contadina, come quelli necessari per l’imbottigliamento dei prodotti tipici toscani, come l’olio e il vino ed oggetti in vetro colorato, arricchiti da incisioni e decorazioni smaltate.

Fig. 2.5.2: immagini tratte dal sito del MuVe che mostrano i locali interni del museo.

Tutti questi oggetti divengono i protagonisti ed i narratori di una storia, un tempo suppellettili di uso quotidiano sulle tavole e nelle cantine ed oggi testimonianza di quei tempi che appaiono così lontani.

Sono inoltre presenti contributi multimediali e fotografici che hanno lo scopo di raccontare all’osservatore i processi produttivi attraverso i quali i maestri vetrai realizzavano le proprie opere, soprattutto grazie alla loro creatività ed esperienza.

A metà del 2012 nasce l’associazione “Amici del MuVe” con l’intento di supportare il Museo del Vetro di Empoli nella promozione e valorizzazione del ricco patrimonio materiale,

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documentario e di conoscenze della tradizione vetraria empolese. L’intenzione è quella di sostenere e promuovere attività ed eventi che contribuiscano a divulgare la grande tradizione culturale vetraria della città e a valorizzare il turismo. L’Associazione è aperta a chiunque fosse interessato a realizzare i suddetti obiettivi in modo da partecipare collettivamente ed attivamente al radicamento e al sostegno del museo nella realtà cittadina.

Fig. 2.5.3: immagini tratte dal sito del MuVe che mostrano i locali interni del museo.

Ad oggi il MuVe risulta essere l’unica struttura specifica che si pone l’obiettivo di preservare la storia del vetro di Empoli; come vedremo nei prossimi capitoli il progetto di riqualificazione non sarà semplicemente una proposta atta allo scopo di realizzare un nuovo quartiere che rimpiazzi i ruderi esistenti, ma l’occasione per contribuire alla promozione della memoria del settore produttivo vetrario, proprio come nel caso del Museo del Vetro.

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