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CAPITOLO 1 Problematiche istituzionali e gestionali dei musei italiani nello scenario attuale

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CAPITOLO 1

Problematiche

istituzionali

e

gestionali dei musei italiani nello

scenario attuale

SOMMARIO: Introduzione – 1.1 Il museo in Italia: da istituto non

tipizzato ad istituzione orientata al pubblico – 1.2 Il servizio museale tra tradizione e innovazione tecnologica – 1.3 Il museo come azienda di servizi: un’organizzazione customer oriented – 1.4 Una riflessione sull’opportunità di introdurre logiche aziendali di gestione nei musei.

Introduzione

Soprattutto nel corso degli ultimi due decenni sono venuti alla luce molti elementi di complessità e di criticità nella gestione museale. Tali elementi sono diventati l’oggetto dell’acceso dibattito, sviluppatosi fra gli operatori in ambito museale, in merito all’opportunità di concedere l’autonomia gestionale e finanziaria agli istituti museali e, conseguentemente, utilizzare alcune logiche tipicamente manageriali nella gestione degli istituti stessi.

Fattori quali la dipendenza da sovvenzioni extra-gestionali1 e la scarsa capacità di investimento, la carenza di personale specializzato e di strumenti gestionali, o ancora l’esigenza di soddisfare le aspettative del pubblico e di render conto del proprio operato alla comunità e alle

1 In un contesto in cui da un lato i finanziamenti sono limitati ed incerti, dall’altro i costi di

gestione aumentano con l’adeguamento al crescente e sempre più personalizzato bisogno di esperienze culturali.

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istituzioni di riferimento hanno spinto alcuni a sostenere la necessità di una teoria economica-organizzativa applicata alla gestione delle organizzazioni museali, contrapponendosi a coloro che invece sono pienamente convinti che una visione economica del museo contrasti, o addirittura annulli, la funzione culturale e sociale.

Il presente lavoro si inserisce quindi nel vivo del dibattito sulla opportunità o meno di gestione manageriale dei musei.

Per capire tale scenario occorre in primis introdurre i recenti cambiamenti nel quadro normativo che stanno interessando il governo del patrimonio culturale italiano. Si rende allora necessario un breve excursus dell’evoluzione del contesto istituzionale in cui operano gli istituti museali, così come delineato da Jalla (2003). Lo scopo è quello di comprendere come tale contesto abbia condizionato gli assetti di gestione museale e il museo come istituzione, come soggetto ed oggetto di politiche ed azioni.

1.1 Il museo in Italia: da istituto non tipizzato ad

istituzione orientata al pubblico

L’Italia è caratterizzata da un immenso e diffuso patrimonio culturale che le è valso il nominativo di “museo diffuso”. Tale ricchezza è stata per decenni sottoposta ad una logica di mera conservazione, il cui principale obiettivo era quello di mantenere intatto, per le generazioni future, questo patrimonio di così immenso valore e unico al mondo.

Questa logica ha portato la normativa statale ad interessarsi quasi esclusivamente della funzione di tutela, rilegando per molto tempo i visitatori in un angolo e, di conseguenza, le funzioni di fruizione e di valorizzazione del patrimonio. Sotto questa luce le funzioni museali appaiono come secondarie all’esigenza prioritaria della conservazione, rivelando così la scarsa considerazione riservata al museo come

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promotore di cultura e di ricerca e come soggetto di politiche di conservazione del patrimonio storico-artistico del territorio che lo circonda.

Questo spiega il perché in Italia si sono radicati un sistema legislativo non adeguato e un sistema territoriale statale di tutela che hanno successivamente condizionato la situazione giuridico-istituzionale dei musei. Ne segue che i musei pubblici, in particolare, hanno perso così il loro status giuridico, la loro identità di entità autonoma, in quanto “realtà indifferenziata all’interno dell’ente di appartenenza” [Jalla, 2003, pag. 33], tanto che all’inizio del secolo scompare il termine museo dalla normativa italiana.

Questa scomparsa2 risale alla prima legge generale di tutela del 1902 (e successive modifiche), nata dalla necessità di dare omogeneità alle disposizioni in vigore prima dell’Unità d’Italia. Da allora i musei esistono solo in quanto collezione da un lato e come luogo dall’altro. Nasce così una cultura di gestione dei musei priva di autonomia operativa e orientata esclusivamente in direzione della conservazione e della custodia delle opere d’arte contenute.

Questa condizione di istituto non regolato da norme specifiche, senza una identità autonoma e finalità proprie, orientato alle collezioni anziché al pubblico e alla ricerca, perdura fino la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, quando finalmente si riconoscono alle istituzioni museali anche le funzioni di ricerca e di divulgazione del patrimonio al pubblico in una logica di servizio.

A onor del vero, il termine museo ricompare nella legislazione statale già all’articolo 117 della Costituzione e nella Legge 1080/19603, ma, in entrambi i casi, riferito ai musei appartenenti ad enti diversi dallo Stato. Se l’importanza degli articoli 117 e 118 della

2 Riconfermata, alla fine degli anni trenta, dalla nuova legge di tutela 1089/1939. 3 Art. 1-2.

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Costituzione riguarda il decentramento4 alle Regioni a statuto ordinario delle funzioni legislative e amministrative relative ai musei e alle biblioteche di enti locali, quella della Legge 1080/1960 consiste nell’aver finalmente dato prova dell’esistenza dei musei non statali (musei di enti locali e musei privati). Inoltre, nel prevedere per questa tipologia di musei la predisposizione di un regolamento di organizzazione e di funzionamento, questa legge ha finalmente riconosciuto loro la qualità di istituto distinto dall’ente di appartenenza.

Sono stati però necessari altri anni – gli inizi degli anni Novanta per l’esattezza – per avere una vera svolta nel quadro legislativo. Una svolta che segna, così come aveva fatto la legge generale di tutela del 1902, una nuova fase per le istituzioni museali. La novità è la realizzazione di “alcune delle condizioni fondamentali (autonomia e identità) che da tempo venivano rivendicate per assicurare ai musei un’esistenza, ..., e garantire loro, al tempo stesso, un’adeguata capacità operativa, attraverso un ordinamento che ne valorizzasse le specificità” [Jalla, 2003, pag. 249].

In questi anni, il primo spiraglio di autonomia e di protagonismo degli istituti museali si ha con il nuovo ordinamento delle autonomie locali, ovvero con la Legge 142/19905. La nuova legislazione degli enti locali ha il merito di aver aperto la strada all’idea di concedere l’autonomia scientifica, gestionale e finanziaria ai musei, anche se di appartenenza ad enti locali, ovvero di aver consentito ai musei stessi, per la prima volta, di poter essere gestiti diversamente dalla tradizionale forma del museo ufficio.

4In verità, ciò non avverrà fino all’istituzione delle Regioni stesse nel 1970, ovvero fino al

trasferimento delle competenze loro attribuite, specificate con i D.P.R. 3/1972 (art. 7) e D.P.R. 616/1977 (art. 47-48-49). Fino ad allora, infatti, si era verificata una certa riluttanza nel decentrare ad esse le funzioni museali, in virtù di una visione centralista e statalista, ribadita anche nell’articolo 9 della Costituzione: “La Repubblica promuove lo sviluppo

della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico artistico della Nazione”.

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L’insieme dei modelli di gestione per i musei locali viene successivamente ripreso e ampliato con l’inserimento dell’articolo 113 bis nel Decreto legislativo 267/2000, ovvero il “T.U. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali”, ad opera dell’articolo 35 della Legge 448/2001. La portata innovativa dell’articolo 113 bis è però limitata, in quanto i modelli di gestione che prevede per i servizi pubblici locali privi di rilevanza industriale sono gli stessi previsti nella Legge 142/1990, e quelli che non lo sono di fatto venivano già praticati dagli enti anche al di fuori della previsioni normative. Le forme di gestione previste da quest’ultimo articolo sono:

- la gestione in economia

- la gestione tramite affidamento diretto.

In quest’ultimo caso il servizio è affidato a soggetti giuridici unitari e distinti dall’amministrazione locale:

- istituzioni

- aziende speciali, anche consortili

- società di capitali costituite o partecipate degli enti locali, regolate dal Codice civile

- associazioni - fondazioni.

L’ultimo decennio del XX secolo si apre quindi con il riconoscimento dell’identità e della possibile autonomia dei musei appartenenti ad enti diversi dallo Stato.

Per un cambiamento della condizione dei musei statali dobbiamo invece attendere la fine del secolo.

Il processo di rinnovamento per tali musei ha inizio con la Legge 4/19936, la c.d. Legge Ronchey. Questa legge è diventata nota nell’ambiente culturale per aver previsto la possibilità di affidare in concessione a soggetti privati o ad enti pubblici economici la gestione di servizi aggiuntivi offerti a pagamento al pubblico nei musei, nelle

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biblioteche e negli archivi di proprietà statale. Da molti è interpretata come la prima vera possibilità di “svecchiare i musei italiani e di

allinearli a standard di accoglienza internazionale”. [Jalla, 2003, pag.

94]. Altri temono che la logica del profitto entri dalla porta principale nei musei. In realtà essa è solo un tentativo di porre rimedio alle difficoltà incontrate dallo Stato nella gestione diretta dei servizi museali, a cui va riconosciuto il merito di aver: indirizzato la strada all’orientamento al pubblico, alla nuova concezione dei beni culturali come risorsa economica e, infine, di aver attirato l’attenzione - non solo degli addetti - sulle problematiche museali.

Una maggior paura e maggiori critiche ha suscitato l’introduzione della lettera b-bis all’interno dell’articolo 107 del Decreto legislativo 368/1998, così come previsto dall’articolo 33 della Legge 448/2001. La novità introdotta riguarda innanzitutto il passaggio dalla c.d. logica dei servizi aggiuntivi a quella del c.d. global service. Questo articolo ha scatenato la paura che i musei statali fossero privatizzati, giacché introduce nuove forme di esternalizzazione a terzi: prevede infatti la possibilità di concedere a soggetti privati non più dei singoli servizi, come prevedeva la Legge Ronchey, ma l’intera “gestione di servizi finalizzati al miglioramento della fruizione pubblica e della valorizzazione del patrimonio artistico”8. Adesso la paura è finita. Con il Decreto legislativo 156/2006 viene infatti abrogato l’articolo dei conflitti e del contenzioso fra Stato e Regioni, ovvero l’articolo 10 del Decreto legislativo 368/1998, per la tranquillità di coloro che temevano una privatizzazione tout court dei musei.

Per una vera svolta nell’autonomia e nel riconoscimento dei musei statali bisogna però attendere l’approvazione della Legge 352/97 “Disposizioni sui beni culturali”, che – all’articolo 9 – concede alla “soprintendenza di Pompei l’autonomia scientifica, organizzativa,

7 Oggi abrogato dal Decreto legislativo 156/2006.

8 Modificato dall’articolo 80 della Legge 289/2002 con le parole “….la gestione di servizi

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amministrativa e finanziaria per quanto concerne l’attività istituzionale, con l’esclusione delle spese per il personale”, e della Legge 59/979, la c.d. Legge Bassanini uno, che in un’ottica di semplificazione e di alleggerimento amministrativo introduce il principio di sussidiarietà verticale: trasferimento di poteri e risorse dal centro alla periferia. Quest’ultima legge, insieme alla c.d. Bassanini bis, ovvero la Legge 127/199710, sono alla base di altri due provvedimenti: il Decreto Legislativo 112/98 “Conferimento e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali” e il Decreto Legislativo 368/98 “Istituzione del ministero per i beni e le attività culturali”. Quest’ultimo decreto istituisce il Ministero per i beni e le attività culturali11, al quale viene attribuita12 la possibilità di stipulare accordi con amministrazioni pubbliche e soggetti privati, nonché di costituire o partecipare ad associazioni, fondazioni13 o società per l’esercizio più efficace delle sue funzioni e, in particolare, “per la valorizzazione dei beni culturali e ambientali”14. Il decreto15 prevede, inoltre, la possibilità di dotare le soprintendenze di autonomia scientifica, finanziaria, organizzativa e contabile qualora

9 Art. 1.

10 Art 37 comma 131: “Nell’esercizio della delega prevista dal capo I della legge 15 marzo

1997, n. 59 e nel rispetto dei criteri da essa stabiliti il Governo può prevedere il trasferimento della gestione dei musei statali alla regioni, alle province o ai comuni”.

11 L’effettiva riorganizzazione del Ministero si è avuta soltanto con il Regolamento

441/2000 “Regolamento recante norme di organizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali”. Il quale “ha comportato la suddivisione della strutture in due livelli,

quello centrale d’indirizzo politico- amministrativo e quello degli uffici periferici (i musei e gli altri istituti di conservazione dotati di autonomia, le biblioteche statali, gli archivi di Stato; le soprintendenze regionali per i beni e le attività culturali; per i beni architettonici e per il paesaggio; per il patrimonio artistici, storici e demoetnoantropologici; per i beni archeologici; archivistiche) cui sono stati affidati compiti di gestione. È nata così la figura

del segretario generale…. . Sono state istituite 8 direzioni generali che si sono divise le competenze in materia di archeologia; beni artistici, storici e demoetnoantropologici; beni architettonici e paesaggio; archivi; beni librari e istituti culturali; architettura e arte contemporanea; cinema; spettacoli dal vivo. Così come sono un’assoluta novità i 17 soprintendenti regionali chiamati a coordinare le soprintendenze territoriali e a curare i rapporti con le regioni e gli altri enti” [Dell’Orso, 2002, pag. 74-75].

12 Art. 10, articolo oggi abrogato dal Decreto legislativo 156/2006 .

13 La novità introdotta porta all’elaborazione del Regolamento del 26 novembre 1999 e del

Decreto Ministeriale 27 novembre 2001, n. 491, recanti le disposizioni per la costituzione e la partecipazione a fondazioni da parte del Ministero.

14 Modificato dall’articolo 80 della Legge 289/2002 con le parole “…per la gestione dei

servizi relativi ai beni culturali di interesse nazionale…”.

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abbiano competenza su complessi di beni distinti da eccezionale valore archeologico, storico, artistico o architettonico dotati di autonomia.

Finalmente siamo in presenza di un periodo caratterizzato da prospettive potenzialmente di grande portata, in cui compaiono i primi tentativi legislativi di individuare modalità innovative di governo anche per i musei statali (e per le soprintendenze). Emerge un quadro in cui i musei pubblici, sia statali che non, possono “optare tra la forma del museo- ufficio, quella del museo ad autonomia limitata e quelle del museo indipendente, tutte ora esplicitamente previste dalla normativa vigente”16 [Jalla, 2003, pag. 138].

Dalle leggi Bassanini scaturisce anche il Decreto legislativo 112/1998, ovvero il primo tentativo di risolvere il conflitto riguardo l’attribuzione delle competenze fra Stato e Regioni. Qui si affianca, per la prima volta, alla questione – già nota – della definizione e della attribuzione delle competenze in materia di tutela17, di valorizzazione e di promozione18, anche quella – nuova – in materia di gestione. Infatti, il suddetto decreto – all’articolo 150 – auspica, secondo il principio di sussidiarietà dettato dalla Legge 127/1997, il trasferimento dallo Stato alle Regioni e agli enti locali della gestione

16 Jalla (2003), suddivide le forme di organizzazione di un museo in tre tipologie:

- il museo ufficio. In questo caso l’istituzione museale è una semplice articolazione dell’ente di appartenenza. Da ciò deriva che l’ordinamento interno del museo dipende da uno o più regolamenti emanati dall’ente. Anche il personale è da esso nominato. Le risorse sono stabilite con il bilancio dell’ente, ed è in esso che confluiscono le risorse autogenerate

- il museo ad autonomia limitata. Esso gode di una indipendenza parziale, infatti risponde delle proprie scelte di gestione all’ente di appartenenza. L’ordinamento interno è stabilito con un proprio regolamento che disciplina anche il rapporto con l’ente. A differenza del caso precedente il bilancio è distinto da quello dell’ente e quindi il museo può usufruire delle risorse autogenerate. Il personale può essere incrementato con contratti a termine

- il museo indipendente. È un museo dotato di personalità giuridica che gode di una autonomia economica, scientifica, organizzativa ed amministrativa. È sottoposto alla disciplina del Codice civile Titolo II, Capo I, II e III.

17 Riservata allo Stato, secondo l’articolo 149.

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di musei o altri beni culturali statali individuati da una Commissione paritetica19.

Arriviamo quindi quasi alla fine del secolo con il riconoscimento: delle funzioni di tutela, di promozione, di valorizzazione e di gestione a ciascun ente nel proprio ambito, della necessità di autonomia scientifica, gestionale e finanziaria dei musei, e del necessario orientamento al pubblico; ma non ancora ad una reintroduzione e definizione del termine museo nella legislazione italiana.

Per tale reintroduzione bisogna attendere la definizione data dal Decreto Legislativo 490/99 “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali”20, secondo cui il museo è una “struttura, comunque denominata, organizzata per la conservazione,

la valorizzazione e fruizione pubblica di raccolte di beni culturali”21.

Questa definizione, che ha il merito di esser andata al di là dell’identificazione fra museo e collezioni, risulta comunque non esaustiva per coloro che auspicavano il riconoscimento del museo come istituzione permanente senza fini di lucro, ovvero per coloro che auspicavano l’adozione della definizione internazionale data dall’ICOM, secondo cui esso “è un’istituzione permanente senza

scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo. È aperto al pubblico e compie ricerche che riguardano le testimonianze materiali dell’umanità e del suo ambiente: le acquisisce, le comunica e, soprattutto, le espone a fini di studio, educazione e diletto”22.

Quest’ultima definizione riconosce finalmente il ruolo delle istituzioni museali come promotori di politiche che soddisfano la

19 Il trasferimento non verrà mai effettuato, in primis perché la lista non è mai stata

compilata entro il termine previsto, secondo perché l’articolo è stato abrogato dal Decreto legislativo 42/2004.

20 Il nuovo testo di tutela coordina la normativa in materia, raccogliendo tutta la

legislazione sul patrimonio culturale e paesaggistico elaborato nel XX secolo, senza costruire nulla di nuovo.

21 Art 99 comma 2 lettera a) del D.Lgs. 490/99. 22 Art 2 Statuto dell’ICOM.

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duplice esigenza della tutela e della valorizzazione. Tali attività risultano essere interdipendenti. Se da un lato l’attività di valorizzazione di un bene, per essere esercitata nel tempo, presuppone azioni per la protezione e conservazione del bene stesso, dall’altro l’attività di tutela è finalizzata alla fruizione da parte del pubblico.

Nonostante vi sia questo rapporto di integrazione fra le due funzioni, esse sono state fatte oggetto, per Costituzione, di distinte competenze legislative. Questa ripartizione delle competenze fra Stato e Regioni non tiene infatti conto della necessità di una politica culturale unitaria in nome della continuità delle due funzioni e dell’afferenza al medesimo oggetto [Senato della Repubblica della XIV legislatura (7° commissione permanente), 2006]. Ma anzi, la dicotomia adottata dal nuovo Titolo V della Costituzione23 ha accresciuto la conflittualità fra Stato e Regioni, che si può far risalire alla istituzione delle Regioni ad autonomia ordinaria e, successivamente, al progetto di riorganizzazione dell’amministrazione pubblica secondo il principio di sussidiarietà verticale24.

È proprio con questa riforma che il principio di sussidiarietà verticale trova copertura costituzionale, venendo meno il principio del parallelismo tra potestà legislativa e potestà amministrativa. Infatti da una lato l’articolo 118 attribuisce ai Comuni la generalità delle “funzioni amministrative salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e

adeguatezza”. Dall’altro l’articolo 117 fissa in modo tassativo le

materie legislative, e quindi regolamentari, esclusive dello Stato – fra cui la tutela dei beni culturali25 – mentre tutte le altre materie spettano

23 Legge Costituzionale 3/2001.

24 Le funzioni vengono attribuite al livello di governo che, per natura e dimensioni, le

esercita nel modo migliore.

25 L’articolo 116 prevede che possano essere attribuite alle Regioni, su loro iniziativa,

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alle Regioni, o in via concorrente26 – come la valorizzazione dei beni culturali e la promozione e organizzazione di attività culturali – o in via esclusiva. Di conseguenza, ai sensi dell’articolo 117, risulta divisa anche la potestà regolamentare, che spetta allo Stato nelle sole materie di legislazione esclusiva, salvo delega alle Regioni.

Con questa riforma non si è però riusciti a mettere fine al contenzioso istituzionale fra Stato e Regioni. Vari sono stati gli interventi della Corte Costituzionale, fra i quali si segnala la sentenza n. 26 del 2004 con cui la Corte ha riconosciuto allo Stato il potere di emanare norme per la valorizzazione di beni di cui può vantare la titolarità (prevalenza del principio del regime proprietario), anche se la potestà legislativa e regolamentare spetterebbe in via prioritaria alle Regioni. Un altro motivo di conflitto è la non attribuzione, da parte del Titolo V, delle competenze della funzione di fruizione. A porre rimedio è stato il Consiglio di Stato che ha dichiarato che essa rientra sia nella funzione di tutela che di valorizzazione [Senato della Repubblica della XIV legislatura (7° commissione permanente), 2006]. Anche in merito alla gestione dei beni culturali, in assenza di ogni esplicito riferimento nel Titolo V, è sorta una questione interpretativa, risolta dal Consiglio di Stato che ha ritenuto che la funzione di gestione vada ricompressa in quella di valorizzazione, rientrando pertanto nell’ambito della potestà legislativa regionale concorrente [Jalla, 2003].

Se è vero che le norme di tutela è bene che siano le stesse su tutto il territorio, è anche vero che la loro applicazione necessita di un sistema integrato di programmazione, che scaturisca dal confronto e dalla collaborazione dei vari attori (Stato, Regioni, enti locali). I conflitti possono essere quindi risolti con la concertazione fra Stato e Regioni, tramite forme di intesa e coordinamento, così come previste

26 In questo caso lo Stato è chiamato a dettare disposizioni legislative di principio e non di

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dall’articolo 118. Inoltre il nuovo Titolo V prevede, sempre all’articolo 118, la collaborazione di privati per lo svolgimento di attività di interesse generale sulla base del principio di sussidiarietà orizzontale.

Queste forme di collaborazione sono quindi in grado di promuovere un superamento del rigido modello di separazione fra tutela e valorizzazione, lasciando il quadro della sussidiarietà verticale invariato. Ecco perché sono state riprese dal Codice dei beni culturali e ambientali27, il c.d. Codice Urbani. Esso prevede infatti che le Regioni esercitino funzioni di tutela su alcune categorie di beni, mentre su altre le esercitano sulla base di specifici accordi o intese, che possono riguardare anche gli altri enti pubblici territoriali28. Prevede inoltre che “il Ministero, le Regioni e gli altri enti pubblici territoriali perseguono il coordinamento, l’armonizzazione e l’integrazione delle attività di valorizzazione dei beni pubblici”29.

Il Codice Urbani riprende inoltre il principio della sussidiarietà orizzontale, giacché prevede la partecipazione dei soggetti privati alla valorizzazione del patrimonio culturale30.

In virtù della abrogazione dell’articolo 10 del Decreto legislativo 368/1998, l’articolo 11531 rappresenta l’unica norma che tratta le forme di gestione dei beni culturali e quindi dei musei. Tale articolo prevede due tipi di gestione: la gestione diretta e indiretta. La gestione diretta è svolta per mezzo di strutture organizzative interne alle amministrazioni, dotate di adeguata autonomia scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile, e provviste di idoneo personale tecnico. Le amministrazioni medesime possono attuare la gestione diretta anche in forma consortile pubblica. La gestione indiretta è

27 Decreto Legislativo 42/2004. 28 Art. 4-5.

29 Art. 7. 30 Art. 6

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attuata tramite concessione32 a terzi delle attività di valorizzazione, anche in forma congiunta e integrata, da parte delle amministrazioni cui i beni appartengono o dei soggetti giuridici costituiti ai sensi dell’articolo 112, comma 5, qualora siano conferitari dei beni ai sensi

del comma 7, mediante procedure di evidenza pubblica, sulla base

della valutazione comparativa di specifici progetti. I privati che eventualmente partecipano ai soggetti indicati all’articolo 112, comma 5, non possono comunque essere individuati quali concessionari delle attività di valorizzazione.

Infine tale Codice pur rispettando la ripartizione costituzionale delle competenze33, nella definizione della tutela34 e della valorizzazione35 subordina quest’ultima alla prima36, ma allo stesso tempo mette in chiaro che la tutela ha il fine di pubblica fruizione.

Finora abbiamo parlato dei più importanti cambiamenti giuridici- istituzionali nello status e nell’autonomia dei musei in Italia. Ma forse l’atto legislativo più importante, in un secolo di riforme, è l’emanazione, nel 2001, dell’ “Atto di indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e sugli standard minimi di funzionamento e sviluppo dei musei”. Tale Atto di indirizzo ha rappresentato il momento più significativo per tutte le istituzioni museali, poiché è riuscito a colmare “una lacuna di identità e di autoregolamentazione del

32 “…regolano i rapporti con i concessionari delle attività di valorizzazione mediante

contratto di servizio, nel quale sono determinati, tra l’altro, i contenuti del progetto di gestione delle attività di valorizzazione ed i relativi tempi di attuazione, i livelli qualitativi delle attività da assicurare e dei servizi da erogare, nonché le professionalità degli addetti. Nel contratto di servizio sono indicati i servizi essenziali che devono essere comunque garantiti per la pubblica fruizione del bene” [art 115].

33 Dedica infatti il titolo I alla tutela e il titolo II alla valorizzazione e fruizione.

34 “La tutela consiste nell’esercizio unitario delle funzioni e nella disciplina delle attività

dirette, sulla base di un’adeguata attività conoscitiva, ad individuare i beni costituenti il patrimonio culturale ed a garantire la protezione e la conservazione per fini di pubblica fruizione” [art. 3].

35 “La valorizzazione consiste nell’esercizio unitario delle funzioni e nella disciplina delle

attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso, al fine di promuovere lo sviluppo della cultura. Essa comprende anche la promozione ed il sostegno degli interventi di conservazione del patrimonio culturale” [art. 6].

36 “La valorizzazione è attuata in forme compatibili con la tutela e tali da non

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museo” [Acidini in AA.VV., 2002, pag. 63], considerando tutte le funzioni e le attività del museo per una sua conduzione ottimale e “rendendo esplicita una cultura della gestione di cui il sistema dei

musei italiani è stato fino ad ora assente” [Marchi, 2001, par. 3].

In otto ambiti ripercorre “le diverse fasi che caratterizzano la vita

del museo, la sua ragion d’essere e il suo sviluppo” [Maresca

Compagna, 2005, pag. 27], sulla base del Codice deontologico dell’ICOM, con l’aggiunta del tema del rapporto con il territorio, che riconosce la particolarità dell’Italia di essere un museo diffuso integrato con il territorio:

I Status giuridico II Assetto finanziario III Strutture

IV Personale V Sicurezza

VI Gestione delle collezioni

VII Rapporti con il pubblico e relativi servizi VIII Rapporti con il territorio.

L’Atto di indirizzo nasce dalla volontà del legislatore di trasferire dallo Stato alle Regioni e agli enti locali, secondo il principio di sussidiarietà, la gestione di musei o altri beni culturali statali individuati da una Commissione paritetica, così come era previsto dal primo comma dell’articolo 150 del Decreto Legislativo 112/1998, articolo, come già detto, oggi abrogato. Secondo il sesto comma del medesimo articolo, il Ministro per i beni culturali e ambientali, con proprio decreto, definiva “i criteri tecnico - scientifici e gli standard minimi da osservare nell’esercizio delle attività trasferite, in modo da garantire un adeguato livello di fruizione collettiva dei beni, la loro

sicurezza e la prevenzione dei rischi”.

Mentre l’elenco dei musei e altri beni da trasferire non è mai stato compilato, forse perché la commissione non è riuscita a individuare un

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criterio fattibile di scelta rispetto alla varietà della casistica museale italiana [Acidini in AA.VV., 2002], il compito di definire i criteri e gli standard è stato portato a termine dando vita all’Atto di indirizzo37. L’esser stato elaborato superando l’ambito di applicazione della norma che l’ha originato, in quanto riferito non solo ai musei statali oggetto di trasferimento, ma alla totalità dei musei, lo ha reso uno strumento di lavoro flessibile con valenza generale, da seguire per una corretta conduzione museale a prescindere dalla proprietà, dalla natura giuridica e dalla dimensione, favorendo un livello minimo di qualità omogeneo. Le norme tecniche che contiene, infatti, non costituiscono di fatto un obbligo, ma un punto di riferimento importante per la crescita della qualità del servizio del variegato universo delle istituzioni museali, “e non a caso nella intitolazione finale dell’Atto, con significativo scostamento dalla lettera del comma 6, fu abolito l’aggettivo minimi e introdotto il sostantivo sviluppo, a significare che i requisiti descritti non rappresentano condizioni di esistenza ma

obiettivi da raggiungere” [Acidini in Maresca Compagna, 2005, pag.

12].

La riforma del quadro normativo-istituzionale per i musei italiani si conclude – almeno per adesso – nel 2004 con l’emanazione del già citato Codice Urbani, che riconosce, finalmente, come “istituti e

luoghi della cultura i musei, le biblioteche e gli archivi, le aree e i

parchi archeologici, i complessi monumentali”38, e definisce il museo

come “una struttura permanente destinata alla pubblica fruizione e che espleta un pubblico servizio che acquisisce, conserva, ordina

ed espone beni culturali per finalità di educazione e di studio”39.

37 L’atto di indirizzo è stato elaborato dal gruppo tecnico di lavoro, costituito da

rappresentanti del Ministero per i beni culturali e ambientali, degli Enti territoriali, da istituiti di ricerca ed esperti esterni, ed approvato con D.M. 10 maggio 2001, che si riporta al documento “Standard per i musei italiani” prodotto nel settembre del 1999 da una commissione composta dai rappresentanti della conferenza delle regioni, ANCI, UPI, ICOM, ANMLI, con un funzionario del Ministero in veste di osservatore.

38 Art 101 comma 1 del D.Lgs. 42/2004. 39 Art 101 comma 2 e 3 del D.Lgs. 42/2004.

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Questa è la definizione che più si avvicina a quella data dall’ICOM, definizione che però non viene accolta nella sua interezza nel Codice Urbani, laddove non è individuata, fra le funzioni essenziali del museo, la ricerca, e, fra le finalità del museo, il diletto [Jalla, 2004]. Entrambe evidenziano però il carattere di pubblico servizio delle istituzioni museali, che richiede, per la sua erogazione, l’apertura al pubblico.

Con l’inizio del XXI secolo si è quindi riconosciuto l’orientamento dei nostri musei verso i fruitori, realizzando così quel necessario spostamento dell’attenzione dal bene all’utente. Ciò ha innalzato l’importanza della funzione di fruizione a quella di conservazione, in quanto entrambe indispensabili per l’erogazione di quel pubblico servizio ragione d’essere degli istituti museali. Si è trattato di un’apertura mentale che ha portato ad un rinnovamento del concetto di istituzione museale40 e conseguentemente ad una innovazione del servizio museale.

1.2 Il servizio museale tra tradizione ed innovazione

tecnologica

Qualcuno potrebbe chiedersi il perché ho intitolato questo paragrafo “il servizio museale” invece di “i servizi museali”, in un contesto come quello attuale in cui non si sente altro che parlare di servizi aggiuntivi o accessori (che dir si voglia), che il museo deve offrire al suo pubblico. Sono dell’idea che le funzioni necessarie e caratterizzanti ogni museo41 non sono altro che parti di un insieme,

40 Da istituto troppo spesso definito polveroso, adibito alla conservazione, a istituto

dinamico, di ricerca e di divulgazione.

41“Fra le funzioni o compiti del museo rientrano:

a) per quanto riguarda la gestione e cura delle collezioni:

– l’acquisizione o incremento – l’inventariazione

– la catalogazione – l’ordinamento

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insieme che va a costituire il servizio centrale, la cui essenza è quella di essere “al servizio della società e del suo sviluppo”. L’esistenza dei musei ha quindi lo scopo di garantire, alla generazione presente e a quella futura, la testimonianza della storia passata, fornendo l’interpretazione che più si avvicina a ciò che è realmente accaduto. In questo senso le istituzioni museali offrono un servizio alla comunità: ogni singolo oggetto della collezione42 ha un’importanza, un valore che è fonte di sapere, di stimoli culturali, artistici, scientifici o semplicemente estetici, ma soprattutto è fonte di civiltà.

Con questa finalità tali istituzioni svolgono le proprie funzioni fondamentali, le quali possono essere raggruppate in due aree principali: quella di conservazione e quella di fruizione delle collezioni43.

– la conservazione e la sicurezza dei beni e della struttura – il restauro (in conformità alle norme vigenti)

– la documentazione – la ricerca e lo studio

– la collaborazione, cooperazione e coordinamento con musei e istituti di ricerca – il rapporto con il territorio di riferimento

b) in materia di servizi al pubblico:

– la pubblica fruizione dei beni e delle conoscenze

– l’esposizione, permanente e/o a rotazione, delle collezioni – la produzione di pubblicazioni, scientifiche o divulgative – l’attività educativa e didattica

– l’attività espositiva temporanea

– la promozione culturale e della conoscenza dei beni culturali – la loro valorizzazione e difesa

– lo sviluppo delle conoscenze in relazione al territorio e ai suoi beni

– l’informazione al pubblico e la promozione della partecipazione dei cittadini

il rapporto con il territorio di riferimento”. [Atto di indirizzo sui criteri tecnico scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei, pag. 55].

42 L’Unesco suddivide i musei in 11 categorie:

I. Musei d’arte

II. Musei di storia e archeologia III. Musei di storia e scienze naturali IV. Musei della scienza e della tecnica V. Musei di etnografia e antropologia VI. Musei specializzati

VII. Musei territoriali VIII. Musei generali IX. Altri musei

X. Monumenti storici e aree archeologiche

XI. Giardini zoologici, orti botanici, acquari e riserve naturali.

43 È interessante notare come le attività core business del museo siano contemporaneamente

l’una il presupposto dell’altra ed in contrasto. Da un lato non si può fruire di ciò che non si è conservato, e non ha senso conservare se non in un ottica di accessibilità. Dall’altro generano un trade- offs: in teoria, infatti, gli oggetti che compongono le collezioni, per

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La prima44 consiste nella prevenzione dei rischi di degrado grazie: ad un piano di prevenzione nei confronti dei fattori umani (sistema di sicurezza), ambientali e strutturali che possono generar rischi per la conservazione dei manufatti, ad una programmazione degli interventi di manutenzione e di restauro, alla preliminare registrazione-catalogazione-documentazione delle singole opere d’arte ed, infine, alla funzione primaria di ricerca e di studio.

La seconda45 riguarda invece la piena accessibilità fisica ed intellettuale del visitatore. Senza soffermarci sulle ovvie condizioni che il museo deve garantire per l’accesso al pubblico (informazioni stradali, orari di apertura, biglietteria, centro informazioni, servizi igienici…), possiamo occuparci della ben più importante attività di comunicazione che il museo deve assicurare, non solo al suo interno con l’attività espositiva, ma anche al suo esterno prima e dopo la visita.

L’attività espositiva rientra nell’attività didattica e consiste nel mettere in comunicazione il bene culturale con l’utente, valorizzando al massimo il messaggio culturale tramite la scelta più idonea degli allestimenti46 e dei sussidi informativi alla visita (le indicazioni dei percorsi, le didascalie, i pannelli e schede esplicative mobili, le audio-guide, le visite guidate, le guide brevi, il catalogo del museo), messi a

essere preservati, non dovrebbero essere esposti, ma anche se ciò corrisponde a verità, è altrettanto vero che allo stesso tempo appartengono a tutti, in quanto mezzo di educazione e di divulgazione del patrimonio storico- artistico [Chirieleison, 2002] .

44 Per un approfondimento vedi l’ambito VI dell’ “Atto di indirizzo sui criteri tecnico-

scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei”.

45 Per un approfondimento vedi gli ambiti VI e VII dell’ “Atto di indirizzo sui criteri

tecnico- scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei”.

46Ovviamente a causa del limitato spazio espositivo o a causa di problemi di conservazione

accade molto spesso che non tutti i pezzi della collezione siano in esposizione, ma siano precedentemente selezionati in base a dei criteri. “Il processo di selezione infatti implica un

atto di interpretazione soggettiva molto forte, che si riverbera in maniera rilevante sulla stessa identità culturale del museo e, comunque, sul modo in cui il museo rappresenta se stesso all’esterno” [Solima, 1998, pag. 91]. L’Atto di indirizzo sui criteri tecnico- scientifici prevede, all’ambito VI sottoambito 4, come criteri selettivi…: far emergere

l’identità del museo e i tratti salienti delle collezioni…, rispettare la storia del museo…., esporre il maggior numero possibile di oggetti.

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disposizione del pubblico per fornire le informazioni necessarie sul contenitore del museo e sulla storia delle sue collezioni.

La comunicazione – come abbiamo pocanzi accennato – non si esaurisce però con la visita, ma anzi risulta fondamentale soprattutto nella fase precedente ad essa. Infatti, se il servizio principale del museo è quello di creare cultura e civiltà tra la comunità, allora è necessario che il pubblico sia a conoscenza dell’esistenza del museo e comprenda l’importanza delle sue collezioni, per essere così spinto ad attraversare la soglia.

Ormai da qualche anno, quando si parla delle funzioni museali è necessario parlare anche di innovazioni tecnologiche applicate al settore museale. Quest’ultime hanno infatti provocato un mutamento nel concetto di svolgimento delle attività museali. L’applicazione delle nuove tecnologie ha infatti il merito di aver fornito alle istituzioni museali nuove possibilità di potenziamento dei modi di svolgere tutti i compiti tradizionali, sia nel campo della conservazione che in quello della fruizione, raggiungendo:

- una maggiore efficienza - una maggiore efficacia

- una maggiore qualità dei servizi offerti.

Le prime applicazioni tecnologiche applicate dai musei hanno fornito un valido supporto come:

- ausili alla sorveglianza delle opere d’arte (telecamere, allarmi….)

- ausili alla conservazione degli oggetti nelle sale (regolatore del micro-clima, delle luci…)

- ausili alla gestione dei servizi al pubblico (biglietterie automatizzate, punti informativi con postazioni computer…) - ausili alla catalogazione e all’archiviazione.

Negli anni la tecnologia applicata dai musei, soprattutto quella informatica e multimediale, ha fatto passi da gigante, che coinvolgono

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principalmente la funzione di conservazione. Due sono le grandi innovazioni da evidenziare.

La prima riguarda i software ad hoc47 che permettono di gestire la documentazione inerente un progetto di restauro, come ed esempio: la mappatura dei materiali costitutivi, dello stato di degrado delle superfici, l’analisi dei dati atmosferici/ambientali, etc. Questi rappresentano un valido supporto allo studio e alla sperimentazione nel campo della conservazione, poiché permettono di catalogare e di elaborare una grande mole di informazioni, sempre disponibili e facilmente reperibili.

Proprio questa semplicità di elaborazione e di trasferimento dei dati permette la diffusione dei risultati ottenuti dagli studi e dalle ricerche ad altri studiosi o ad altre istituzioni museali, il che comporta la creazione di una sorta di relazione museale che può dar vita ad una cultura scientifica unitaria. Lavorare in rete significa infatti scambiarsi conoscenze, esperienze, informazioni ed idee. I network professionali48 [Ambrose, 1999] permettono uno sviluppo professionale continuo, grazie alla collaborazione fra operatori con diverse competenze49, come informatici, storici dell’arte, archeologi, restauratori, etc. L’obiettivo è ovviamente quello di conservare, valorizzare ma soprattutto comunicare il patrimonio culturale. Lo scambio di contenuti avviene sia con modalità tradizionali (le pubblicazioni, le conferenze, etc.), sia grazie alle nuove tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni50. Quest’ultime in particolare sono molto importanti per lo sviluppo di tali reti, poiché sono

47 L’argomento verrà approfondito nel quarto capitolo, dove si presentano i progetti

tecnologici sviluppati dall’Opera della Primaziale Pisana in collaborazione con altri enti.

48 Ambrose (1999) distingue fra: reti di tipo organizzativo (formate dalle organizzazioni che

rappresentano i musei), di tipo istituzionale (fra i singoli musei), di tipo individuale (formate da singoli individui che lavorano nelle realtà museali).

49 Ne sono un esempio le collaborazioni dell’Opera della Primaziale Pisana con altri enti di

eccellenza presenti sul territorio [§ Cap. 4].

50 Ne è un esempio il progetto MEDICI, una iniziativa della Commissione Europea per

promuovere l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) a favore del patrimonio culturale. Per un approfondimento vedi Montaguti (1999).

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caratterizzate dalla rapidità e facilità di comunicazione, nonché dalla opportunità di discussione, di confronto e di dialogo continuo. Ne è un esempio il progetto del nuovo “Sistema Informativo Generale del Catalogo”51, ovvero un catalogo multimediale on-line che interconnette fra di loro tutte le banche dati sui beni culturali gestite dal Ministero, di modo che l’ICCD svolga con maggiore efficienza i propri compiti istituzionali. In futuro potrebbe anche consentire di inventariare l’intero patrimonio artistico italiano in un unico sistema completo, aperto e di facile utilizzo, diventando così uno strumento fondamentale di consultazione per l’utenza professionale e non (www.civita.it.portale/CivitasMarzo2002/pag.15.asp).

La seconda innovazione da evidenziare riguarda invece la ricostruzione virtuale in 3D52. L’obiettivo è quello di ricomporre, utilizzando la rappresentazione tridimensionale, un’opera d’arte o un edificio storico, al fine di supportare e facilitare i tecnici nelle loro operazioni di restauro. Con tale tecnologia informatica gli specialisti sono in grado di dominare una moltitudine di dati che derivano dalle trasformazioni che un’opera subisce nel tempo, riuscendo così a ridare l’aspetto originario all’oggetto e a collocarlo nel suo contesto primario e in quelli successivi.

Alla base di queste importanti innovazioni tecnologiche di cui la realtà museale beneficia, ci sono le collaborazioni che i musei intrattengono con i più importanti enti presenti sul territorio, come le Università e il CNR. Sono infatti questi enti che si accollano i costi della sperimentazione tecnologica, altrimenti non sostenibili dalle singole istituzioni museali.

La tecnologia impiegata per facilitare la fruizione museale può essere invece acquisita dai musei a bassi costi, poiché si tratta di

51 In uso presso quattro Soprintendenze pilota (Milano, Pisa, Taranto e Venezia), due uffici

esportazioni (Milano e Genova) e il Nucleo Tutela Patrimonio Artistico dei Carabinieri (Roma).

52 L’argomento verrà approfondito nel quarto capitolo, dove si presentano i progetti

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tecnologie già presenti sul mercato e alla portata di tutti. Anche in questo caso si tratta di tecnologie informatiche e multimediali. Esse hanno il merito di aver mutato il nostro approccio alla conoscenza, nonché di averne accelerato il processo di generazione e di diffusione. Tali strumenti hanno infatti reso possibile la fruizione delle opere d’arte al di là dei limiti fisici e temporali, in una realtà in cui ad un maggior livello di istruzione si contrappone la scarsità di tempo libero da impiegare nelle attività culturali.

Tali tecnologie si dividono in [Granata, 2001]:

- tecnologie off-line53, ovvero i supporti informatici come cd, dvd,

etc.

- tecnologie on- line, ovvero il web.

Fra le due sono le tecnologie on-line che rivestono una maggiore importanza per le applicazioni museali. Esse sono in grado di espandere la possibilità di fruizione delle opere d’arte al di là del tempo e al di là dello spazio, e quindi di comunicare con il maggior numero di individui, oltre quel circolo ristretto di addetti ai lavori, soddisfacendo così quel bisogno di cultura esperenziale54 che è dentro

ogni visitatore.

L’importanza della comunicazione fra museo e pubblico sta nel fatto che non tutte le persone hanno quel background culturale che permette di comprendere il valore e il messaggio delle opere d’arte contemplate. Le istituzioni museali devono quindi studiare un ventaglio di metodi di comunicazione, che siano in grado sia di contestualizzare che di illustrare le opere d’arte. Solo garantendo la possibilità di scegliere liberamente fra percorsi di apprendimento personalizzati, ogni individuo, sia esso uno studioso, un appassionato,

53 Questi supporti informatici permettono di memorizzare una grande mole di informazioni

in un piccolo oggetto, occupando così un minimo spazio. Il conseguente vantaggio è la velocità di ricerca delle informazioni. Presentano però anche uno svantaggio che riguarda l’obsolescenza, l’invecchiamento di tali supporti e quindi l’uscita dalla produzione [Granata, 2001].

54 Secondo Kotler e Kotler (1999), l’esperienza museale si divide in: ricreativa,

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uno studente o un semplice visitatore, anche con un livello culturale medio-basso, può interiorizzare le nuove conoscenze, oltre ad apprezzare il valore estetico.

L’utilizzo delle nuove tecnologie, soprattutto on-line, permette di raggiungere tale obiettivo55.

Questo nuovo modo di fruizione dei beni culturali riguarda principalmente la possibilità di interagire con il museo dall’esterno tramite il web. Grazie ad esso ognuno può decidere come e quando impossessarsi del messaggio culturale trasmesso dalle singole istituzioni museali, ovvero ognuno svolge un ruolo attivo nel proprio percorso di apprendimento e di interazione, scegliendo, fra gli strumenti che gli sono forniti, quelli più idonei.

Vi è però un presupposto al ruolo del web come mezzo di comunicazione: che le istituzioni museali abbiano creato un proprio sito secondo percorsi tematici, che rispondano alle diverse esigenze del pubblico e non limitandosi a fornire solo le informazioni necessarie per preparare la visita (orari, come arrivare, prezzo del biglietto…). L’obiettivo deve essere quello di ottenere con la propria pagina internet lo stesso risultato, in termini di conoscenze diffuse, che si ottiene con il catalogo, ma con il vantaggio di raggiungere un maggior numero di individui. I contenuti che ogni sito di una istituzione museale deve avere, al fine di svolgere il ruolo di ponte fra pubblico e museo, sono:

- fornire le informazioni necessarie per programmare una visita - la proiezione virtuale del museo e le informazioni in tempo reale sui programmi culturali, sul contenitore, sulle collezioni, e sulla gestione

- creare percorsi tematici grazie alla possibilità di accedere ad indici e cataloghi tematici

55 Rispetto alla carta presenta il vantaggio di essere uno strumento dinamico, accessibile

sempre ed ovunque in modo interattivo. L’informazione è quindi continuamente aggiornabile e bidirezionale.

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- ricreare il contesto originario in cui si trovavano le opere custodite e le fattezze originarie tramite modelli virtuali in 3D

- prevedere un forum di discussione grazie al quale è possibile raggiungere un duplice obiettivo ovvero diffondere conoscenza e raccogliere informazioni su chi visita il museo reale e su chi visita quello virtuale.

Di fatto, una ricerca sulle presenze museali italiane sul web, effettuata da Solima e Sansone (2000), ha dimostrato che su 162 musei con un proprio sito internet, solo 35 di questi non potevano essere assimilati ad una semplice brochure elettronica (figura 1).

Figura 1 [Fonte: Solima e Sansone, 2000, pag. 84] Di questi 35 in 20 hanno risposto al questionario.

Dalle risposte date risulta che per il 90% dei responsabili di queste istituzioni museali l’obiettivo del sito internet è l’accesso più ampio alle collezioni e la diffusione di informazioni relative al museo e alle sue attività, e che per il 75% questa è la massima priorità. Non sembrano invece di grande interesse per i responsabili museali italiani altri obiettivi quali l’offerta di servizi (prenotazione e vendita

Dimensione informativa Brochure elettronic a Museo virtuale Rappresentazione reale Rappresentazio ne virtuale Museo database Museo interattiv o Dimensione interattiva

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biglietti…), la generazione di altre fonti di reddito e la creazione di liste di discussione. La scarsa attenzione per quest’ultime significa non concepire il web come luogo di incontro e di interazione.

Alla domanda, a quale pubblico intendete rivolgervi, il 100% risponde ai visitatori potenziali, il 70% ai ricercatori e alla comunità scientifica, il 60% agli studenti, il 30% ai soggetti istituzionali, un altro 30% agli utenti generici della rete, il 5% ai volontari, un altro 5% ai finanziatori e sponsor56.

Dalla ricerca risulta che solo l’85% utilizza il sito per conoscere meglio gli utenti, di questo 85%: il 35% effettua il conteggio delle presenze, il 24% localizza il dominio, la durata e le pagine visitate, e solo il 6% pone questionari on-line.

Dalle risposte risulta anche una scarsa attenzione agli introiti: solo il 35% infatti ottiene delle entrate, e il 29% attribuisce una rilevante importanza alla generazione del reddito. Una importanza alta (29%) e media (29%) è riconosciuta alla vendita on-line dei cataloghi, mentre solo il 14% attribuisce alla vendita dei biglietti, alla vendita dei gadget e ai servizi didattici un interesse elevato.

Il risultato finale mette in rilievo una concezione di internet ancora poco evoluta e non in linea con le reali potenzialità rese disponibili dalla rete.

La domanda fondamentale, che si pone Settis (2002), in “Italia Spa” (pag. 67-77), è: “il museo virtuale deve limitarsi a ripetere o a mimare percorsi di visita nel museo reale?” Ovviamente la risposta non può essere che negativa. I responsabili delle istituzioni museali devono andare oltre la semplice brochure elettronica per arrivare a creare un museo interattivo, che esiste esclusivamente on-line e che permetta di superare la deconstestualizzazione delle collezioni, restituendole al contesto d’origine e al legame con il territorio. Nascono così i musei virtuali del territorio, che attraverso percorsi

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didattici, ricchi di informazioni e interconnessioni, consentono, anche a chi non frequenta i musei, perché non ritiene di avere un livello culturale sufficiente, di codificare il messaggio del museo in modo semplice e non noioso, aumentando la possibilità di una futura visita. L’obiettivo deve essere quello di stimolare l’interesse dell’utente proprio verso il museo reale, di spingerlo a recarsi in loco e di accompagnarlo e supportarlo durante la visita.

Possiamo quindi confermare che il più innovativo degli strumenti tecnologici applicabili dai musei sia per la conservazione, ma soprattutto per la didattica, ovvero la ricostruzione virtuale o in 3D, è scarsamente utilizzato. La sua portata innovativa sta nel permettere di conciliare l’esigenza di conservare inalterata l’autenticità dell’opera e quella di renderla comprensibile e fruibile al pubblico. Questo nuovo modo di fruizione dei beni culturali, tramite gli originali digitali sul web, permette a chiunque di effettuare una consultazione non distruttiva e non limitata nel tempo delle opere custodite nei musei. Oltre alla protezione delle opere d’arte, il mondo digitale consente: di associare informazioni specifiche alle immagini, di vedere particolari altrimenti impossibili, di ricostruire opere perdute o deteriorate, di confrontare opere situate in musei diversi, l’archiviazione digitale di mostre avvenute, ed altro ancora. La ricostruzione virtuale fornisce così un valido sostegno per il visitatore nella decodificazione e nell’interpretazione delle collezioni, ben più potente dei supporti cartacei o audiovisivi tradizionali. Permette infatti, oltre alla possibilità di vedere l’opera così come è stata creata e le tecniche utilizzate, di vederla rappresentata sia nel contesto museale, sia nel contesto in cui è nata, in maniera tale che il pubblico possa comprenderne il valore, il significato e la testimonianza di storia e cultura che rappresenta.

Passando invece alla comunicazione interna, il primo passo per l’educazione è l’allestimento delle collezioni, il secondo la messa a

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disposizione di supporti alla visita. Le tecnologie offrono nuove opportunità proprio come supporto alla visita: audioguide, monitor, la predisposizione di postazioni computer o di una wireless line (e quindi la possibilità di utilizzare un palmare durante la visita). Tali ausili permettono di usufruire di quei vantaggi di cui abbiamo pocanzi parlato, come collegarsi in tempo reale all’archivio di un altro museo (esaminando opere dello stesso autore, della stessa corrente artistica…) o accedere ai percorsi tematici delle collezioni, potendo così fare a meno della guida durante la visita, ma allo stesso tempo acquisire il maggior numero di informazioni possibili.

Al presente, quando si parla di funzioni museali non si può quindi discendere dal parlare delle potenzialità che l’introduzione delle innovazioni tecnologiche nel settore museale ha portato ai musei in termini di raggiungimento dei propri fini istituzionali. Infatti, le tecnologie a base visiva e caratterizzate da interattività hanno trasformato la fruizione museale da passiva ad attiva, rendendo il museo quasi a misura d’uomo.

Un museo a misura d’uomo si ha però quando le istituzioni museali forniscono anche i cosiddetti servizi accessori, ovvero, come lo stesso termine indica, quei servizi che non sono necessari per erogare il servizio museale, ma corrispondono piuttosto ad una strategia del museo di soddisfare le diverse esigenze dei visitatori. Questi servizi c.d. accessori riguardano soprattutto i servizi di accoglienza. Essi sono destinati alla soddisfazione delle esigenze del pubblico, al fine di migliorare la qualità totale della fruizione in termini di svago e intrattenimento. Si distinguono in servizi di accoglienza esterni (uffici turistici, parcheggi, etc.) ed interni (servizio di biglietteria, guardaroba, negozi, etc.) [Solima, 1999]. Esiste anche un’altra tipologia di servizi accessori che presenta però una differenza sostanziale, ovvero sono anche degli indicatori della vitalità e della dinamicità del museo. I c.d. servizi complementari, anche se non

(28)

strettamente riconducibili alla visita presso la struttura, sono infatti importanti per stabilire relazioni continuative tra il museo e l’ambiente di riferimento, ad esempio attraverso: corsi di aggiornamento, di formazione57, dibattiti, proiezioni, concerti, attività di laboratorio, pubblicazioni ed altro ancora [Solima, 1999]. Solo istituzioni che sono in grado di mantenere vivi i rapporti con l’ambiente scolastico e con gli altri visitatori dopo la visita museale possono veramente sostenere di aver raggiunto il proprio scopo culturale.

1.3

Il

museo

come

azienda

di

servizi:

un’organizzazione customer oriented

Nel paragrafo precedente abbiamo messo in evidenza che la ragion d’essere del museo è quella di erogare un pubblico servizio, ovvero di trasmettere un messaggio culturale e spirituale tramite lo svolgimento delle diverse attività museali che danno vita al servizio museale stesso. Tale servizio presenta delle caratteristiche che possono essere così riassunte:

- durante tutto l’arco della visita, è caratterizzato dalla simultaneità tra produzione e consumo

- i musei producono e scambiano, tramite beni tangibili (le collezioni), un servizio intangibile che non esiste fino a quando non è richiesto dal cliente, e che consiste nella soddisfazione del bisogno culturale

- il visitatore prende parte direttamente alla produzione in quanto a lui è lasciata la scelta della durata e del percorso della visita in base ai propri desideri

- produzione e consumo avvengono principalmente nello stesso luogo, nelle sale del museo, anche se il progresso tecnologico ha creato nuovi modi di fruizione

57 L’organizzazione regolare di corsi di aggiornamento e di formazione è un’attività molto

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- l’interazione tra il cliente e il personale di front-line, e la rapidità del tempo di risposta alla richiesta determina la percezione della qualità del servizio, che risulta essere difficilmente misurabile poiché la soddisfazione varia per ogni cliente.

Se confrontiamo ciò che abbiamo pocanzi elencato con le caratteristiche attribuite da Normann [1995, tabella 1.3] al servizio offerto dalle aziende di servizi, possiamo dedurne che tali caratteri distintivi sono individuabili anche in quello fornito dai musei:

a) il servizio è immateriale

b) di solito la proprietà non è trasferibile

c) il prodotto non può essere venduto

d) di solito il prodotto non può essere mostrato in modo efficace (non esiste prima dell’acquisto)

e) il prodotto non può essere immagazzinato

f) di solito produzione e consumo coincidono

g) la produzione, il consumo e la vendita avvengono spesso nello

stesso luogo

h) il prodotto non può essere trasportato

i) l’acquirente cliente prende parte direttamente alla produzione

j) è quasi sempre necessario un contatto diretto tra azienda e

cliente

k) normalmente il servizio non può essere esportato, ma può

esserlo il sistema di erogazione del servizio.

Sotto questa luce il museo può essere assimilato ad una azienda di servizi e quindi studiato come tale, ovvero applicando il sistema di gestione dei servizi elaborato sempre da Normann (1995). Tale sistema è composto da cinque step, che individuano le fasi caratteristiche del processo di produzione e di distribuzione del servizio e che possono essere così schematizzate:

1. Il segmento di mercato

(30)

3. Il sistema di erogazione del servizio a. Il personale

b. I clienti

c. Tecnologia e supporto fisico

4. L’immagine

5. Cultura e filosofia.

Il primo passo per la gestione di un servizio è quindi quello di segmentare il pubblico in classi omogenee, in base alla rilevazione e alla valutazione dei loro bisogni, che si dividono in: bisogni impliciti (cioè quelli che il cliente non richiede esplicitamente perché sono dati per scontato), bisogni espressi (quei bisogni che il cliente esplicita chiaramente, individuabili: con ricerche di mercato, con il contatto diretto del personale di front-line e con l'osservazione diretta del comportamento del cliente) e bisogni latenti (cioè quelli che il cliente non è in grado di dichiarare perché non esistono fino al momento in cui non si sentono i benefici che derivano dalla loro soddisfazione) [Negro, 1992].

Sulla base dell’analisi di questi bisogni viene offerto quello che Normann chiama pacchetto di servizi: costituito da un servizio centrale ed uno periferico. Il servizio centrale soddisfa i bisogni dei clienti. Quello periferico soddisfa i loro desideri. Il servizio centrale, nel caso delle aziende museali, riguarda quindi le attività fondamentali di conservazione e di fruizione, che come abbiamo visto, sono necessarie al fine di soddisfare il medesimo bisogno di esperienza culturale. Mentre quello periferico riguarda quei servizi accessori di cui abbiamo parlato nel precedente paragrafo, che in prevalenza rispondono alle richieste del pubblico e che differenziano le diverse istituzioni museali.

Erogato il pacchetto di servizi, la sua valutazione da parte dei clienti dipende dal “fatto che esso comprenda tutti gli elementi (centrali e periferici) che si aspettano e la misura in cui ciascuno di

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questi elementi soddisfa i vari standard e criteri di qualità che si

aspettano” [Normann, 1995]. L’essenza del servizio è quindi il

rapporto che si instaura fra l’organizzazione e l’utente. La qualità del servizio deve essere considerata sotto il profilo relazionale, come qualità della relazione valutata direttamente dal cliente che partecipa al processo produttivo.

Niente è perciò più importante, ai fini del successo di una azienda

customer oriented, della capacità dei propri dipendenti di front-line di

comunicare con i clienti. Per questo il tempo e il denaro spesi per migliorare la loro capacità di comunicazione risultano investimenti necessari. Da ciò l’importanza di valorizzare, coinvolgere e premiare il personale: se i dipendenti non si sentono un elemento prezioso per l’organizzazione, presenteranno delle difficoltà ad attribuire la giusta importanza al cliente e conseguentemente nel fornire il servizio richiesto [Butterfield, 1992]. Le aziende di servizi sono quindi fortemente personality-intensity, nel senso che la qualità fornita al cliente è influenzata dalla professionalità e competenza incorporata nelle persone e nell’organizzazione.

Da qui l’importanza “dell’immagine” come strumento di comunicazione, non solo per influenzare il cliente, ma anche per aumentare la motivazione e la produttività dei dipendenti. “L’immagine58 è uno strumento di comunicazione e una delle funzioni chiave di questo strumento può essere, e generalmente è, quella di comunicare la cultura e la relativa filosofia a tutta l'organizzazione e

spesso anche all’ambiente che la circonda” [Normann, 1995, pag.

214]. L’immagine è dunque uno strumento di management59: permette

58 “L’immagine che un’azienda di servizi crea nella mente del suo personale e del proprio

ambiente sarà ampiamente determinata dalla cultura sua e dei suoi membri e dal suo segmento di mercato”. [Normann, 1995, pag. 138].

59 “Gli scopi per cui l’immagine può essere usata sono diversi a seconda del gruppo

obiettivo a cui è indirizzata. In sintesi si può dire che gli usi principali dell’immagine sono: il posizionamento strategico, l’effettiva penetrazione sul mercato, la facilità d’accesso alle varie risorse e/o la riduzione dei costi di tale accesso, la concentrazione del

Figura

Figura 1 [Fonte: Solima e Sansone, 2000, pag. 84]  Di questi 35 in 20 hanno risposto al questionario

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