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A nonna e tata.

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Academic year: 2021

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A nonna e tata.

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Riassunto:

Introduzione: L’autismo è un disturbo che insorge, per definizione, entro i 3 anni

d’età.

Nonostante una maggiore incidenza di diagnosi di disturbo autistico negli anni, ancora oggi l’autismo viene identificato troppo tardi perchè possa ricevere un precoce, adeguato ed efficace trattamento. Sebbene le prime preoccupazioni dei genitori riguardo alle anomalie comportamentali del figlio talvolta insorgano nel primo anno di vita del bambino, infatti, la diagnosi di autismo avviene, ancora oggi, ad un’età media di 4 anni. Per ridurre questo ‘gap’ temporale, numerosi studi sono stati condotti per individuare degli strumenti di screening adatti all’identificazione precoce dell’autismo.

Obbiettivi: Con questo studio abbiamo voluto valutare la validità della CBCL1½-5

nell’identificazione dei bambini con autismo in età prescolare. Ipotizzandone poi l’utilizzo come strumento di screening per individuare precocemente i disturbi di spettro autistico, abbiamo focalizzato l’attenzione sulla fascia d’età 18-36 mesi, delineando le caratteristiche del questionario che risultano più utili a tale scopo.

Metodi: Abbiamo esaminato le CBCL1½-5 compilate dai genitori di 313 bambini di età

compresa tra i 18 e i 71 mesi, e suddivisi in un gruppo sperimentale di 101 bambini con diagnosi di disturbo pervasivo dello sviluppo ( DPS ), un primo gruppo di controllo di 95 bambini con altri disturbi psichiatrici ( ADP ), e un secondo gruppo di controllo di 117 bambini con sviluppo tipico ( ST ).

Risultati: Tutte le scale della CBCL1½-5 differiscono significativamente tra i gruppi i

DPS, ADP e ST. Quelle che maggiormente distinguono i bambini con autismo, sia in tutta l’età prescolare, sia nella fascia d’età 18-36 mesi, sono la scala diagnostica DPS e la scala sindromica Ritiro. La scala DPS è la più sensibile, soprattutto se viene

considerato il cut-off borderline ( ≥ 65 ), con una sensibilità dell’ 86.1%. La sensibilità si riduce marcatamente, invece, quando si utilizza il cut-off clinico ( ≥ 70 ). La scala Ritiro

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è molto specifica ( 95.7% ), sia utilizzando il cut-off clinico ( ≥ 70 ) che quello borderline ( ≥ 65 ). Tuttavia la sua sensibilità è minore rispetto alla scala DPS, e per nessuno dei due cut-off considerati ( ≥ 65 e ≥ 70 ), raggiunge il livello di sensibilità raccomandato per i test di screening ( pari all’ 80% ).

Alla scala DPS, sia i bambini con diagnosi di Disturbo autistico, sia quelli che diagnosi di Spettro autistico, ottengono T score ugualmente elevati, al di sopra del cut-off clinico ( ≥ 70 ). Nella scala del Ritiro, invece i bambini con diagnosi di Spettro autistico non superano il cut-off clinico, ma solo il cut-off borderline ( ≥ 65 ).

Il livello cognitivo del bambino non influenza significativamente nessuna delle scale della CBCL, ad eccezione della scala dei Disturbi d’Ansia, che ottiene punteggi più elevati nei bambini con un QI nella norma.

L’età influenza la sensibilità e la specificità della CBCL: la sensibilità della scala DPS, omogenea fino ai 4 anni d’età, migliora considerevolmente all’aumentare dell’età del bambino, fino a raggiungere il 100% tra i 60 e i 71 mesi. La scala del Ritiro, invece, è più sensibile per i bambini più piccoli ( 18-36 mesi d’età ), mentre nelle età successive ha una sensibilità sempre inferiore a quella della scala DPS.

Gli items, delle scale DPS e Ritiro, che hanno maggiori capacità discriminanti per il disturbo autistico nei prescolari, sono quelli relativi all’evitamento dello sguardo ( item 4 ), la mancata risposta al nome ( item 23 ), i disturbi del linguaggio ( item 76 ), i

comportamenti strani ( item 80 ), la resistenza a situazioni o persone nuove ( item 92 ) e il ritiro sociale ( item 98 ).

Nella fascia d’età 18-36 mesi, la scala del Ritiro, risulta essere la più sensibile ( 86.2% ) e specifica, sia nel confronto con i bambini con ADP ( 83.3% ) che nel confronto con i bambini con ST ( 96.4% ). A questa età, i comportamenti discriminanti sono quelli relativi agli items: 4 ( ‘Evita di guardare gli altri negli occhi’ ), 7 ( ‘Non sopporta le cose fuori posto’ ), 76 ( ‘Ha problemi di linguaggio’), e 80 ( ‘Presenta comportamenti strani’ ). L’item 7 ha ottenuto punteggi medi superiori nei bambini con ADP ( 0.5 ) rispetto sia ai bambini con ST ( 0.3 ) sia ai bambini con DPS ( 0.2 ). Il suo ‘potere discriminante’ sembrerebbe essere dovuto, quindi, alla capacità di distinguere i bambini con ADP. Considerando un ipotetico nuovo cluster di domande discriminanti, costituito dagli

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items 4, 76 e 80, come strumento di screening per il disturbo autistico al di sotto dei 3 anni d’età, otteniamo una sensibilità del 93.1%.

Conclusioni: La CBCL1½-5 è uno strumento sufficientemente sensibile e specifico

nell’identificazione dei soggetti con autismo in età prescolare, a questo scopo suggeriamo di utilizzare il range borderline ( cut-off ≥ 65 ) della scala DPS. Vista la sua validità anche al di sotto dei 3 anni d’età, ne suggeriamo l’inserimento in programmi di screening da effettuare tra i 18 e i 36 mesi d’età, durante i periodici controlli di salute presso i pediatri di famiglia. L’individuazione di un nuovo cluster di items maggiormente discriminanti può fornire lo spunto per ulteriori valutazioni sulla eventuale modifica del questionario al fine di migliorarne la sensibilità e l’applicabilità nei contesti extra-specialistici.

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Indice:

Pag.

1. I disturbi pervasivi dello sviluppo:

Inquadramento nosografico e definizione 5

Epidemiologia 10

Il quadro clinico dell’autismo e sue comorbidità 11

Diagnosi 20

Il concetto di spettro 24

2. Il problema della diagnosi precoce

L’esordio dei sintomi e il ritardo diagnostico 26

L’importanza dello screening 28

Strumenti di screening 31

La CBCL 34

3. Parte sperimentale:

Obbiettivi dello studio 36

Materiali e metodi: la CBCL1½-5 e l’ADOS-G 38

Procedura 49

Analisi dei dati 51

Risultati 54

Discussione 91

Conclusioni 110

4. Bibliografia

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Introduzione:

I disturbi pervasivi dello sviluppo:

Inquadramento nosografico e definizione.

Dalla prima descrizione di Autismo Infantile Precoce di Leo Kanner [1] nel 1943, ad oggi, l’ autismo ha avuto diverse definizioni ( Asperger, 1944; Rutter, 1978; DSM III, 1980 ).

Attualmente nel DSM IV (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, 2000 ) [2] l’autismo è compreso nella categoria nosografica dei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo ( PDD, Pervasive Developmental Disorders), di cui fanno parte altre 4 entità nosografiche che hanno, con il Disturbo Autistico propriamente detto, alcune affinità. Secondo il DSM IV i Disturbi Pervasivi dello Sviluppo (DPS) “sono caratterizzati da compromissione grave e generalizzata in diverse aree dello sviluppo: capacità di interazione sociale reciproca, capacità di comunicazione, o presenza di comportamenti, interessi e attività stereotipate”.

Essi sono:

• Disturbo Autistico

• Sindrome di Rett

• Disturbo Disintegrativo della Fanciullezza

• Sindrome di Asperger

• Disturbo Pervasivo dello Sviluppo Non Altrimenti Specificato

L' International Classification of Diseases, nella sua decima edizione, ( ICD-10, 1993, della World Health Organization ) classifica i disturbi generalizzati dello sviluppo in maniera sovrapponibile al DSM-IV, fatta eccezione per la suddivisione del Disturbo Pervasivo dello Sviluppo Non Altrimenti Specificato in 3 sottocategorie: l’Autismo atipico, il Disturbo generalizzato dello sviluppo non specificato e Altro disturbo

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generalizzato dello sviluppo. Inoltre include nei DPS la Sindrome iperattiva associata a ritardo mentale e a movimenti stereotipati.

Tra i disturbi dello spettro autistico, la sindrome di Rett, descritta nel 1966, è un raro disturbo progressivo dello sviluppo che interessa esclusivamente le femmine. Dopo uno sviluppo normale durante i primi 6-18 mesi, si assiste, ad un deterioramento o a un rallentamento dello sviluppo motorio: l’ipotonia è tipica, le abilità posturali necessarie al gattonamento o alla deambulazione non vengono acquisite, e a volte, esse vengono compensate con movimenti di locomozione alternativi ( come il rotolare o lo strisciare ), mentre le altre capacità motorie grossolane vengono spesso acquisite, anche se in ritardo. Intorno a 1-3 anni d’età, compare un rapido deterioramento dello sviluppo, con perdita delle abilità precedentemente acquisite: si assiste al declino delle interazioni sociali, alla regressione delle abilità cognitive e del linguaggio verbale, e alla perdita dell’uso finalistico delle mani, sostituito da caratteristiche stereotipie, praticamente ininterrotte durante le ore di veglia: sono tipici la torsione dei polsi, l’hand washing, l’aprire e chiudere le dita, il battere le mani, o il serrare le mani e portarle alla bocca. Compaiono atassia e aprassia, con movimenti sussultori, rigidità degli arti, smorfie facciali, e bruxismo, che, unitamente alla perdita di interesse per gli oggetti e le persone, portano ad handicap gravi o gravissimi. Il contatto oculare è comunque mantenuto. L’aspettativa di vita per questi soggetti è ridotta, in relazione alla malnutrizione, all’immobilità, agli attacchi epilettici, e a disfunzioni cardiache o respiratorie talvolta associate.

Inizialmente chiamato ‘demenza infantile’ ( Heller, 1908 ), il disturbo disintegrativo dell’infanzia è una rara e grave regressione evolutiva, che si manifesta in bambini di 3-4 anni, con un precedente sviluppo apparentemente normale. L’esordio è

generalmente graduale, ma rapido ( settimane o mesi ), e talvolta associato a stress psico-sociale. Una volta manifestatosi, il disturbo presenta gli stessi sintomi

dell’autismo, con una perdita clinicamente significativa delle abilità acquisite: si ha una grave regressione del linguaggio, fino al mutismo, in bambini che avevano già acquisito buone capacità verbali; i comportamenti divengono anomali e stereotipati, compare iperattività, compromissione dell’interazione sociale, perdita degli interessi, resistenza

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al cambiamento e deterioramento delle autonomie. Anche il grado di prevalenza nei maschi, rispetto alle femmine, è sovrapponibile a quello dell’autismo. Purtroppo, nel 75% dei casi di disturbo disintegrativo, il deterioramento del camportamento e dello sviluppo comportano un adattamento molto scadente e senza possibilità di

miglioramento.

La Sindrome di Asperger ( SA ) [3] è un disordine caratterizzato da marcate difficoltà nell’interazione sociale, malgrado adeguate capacità cognitive e verbali. L’isolamento sociale può ricordare quello autistico, tuttavia i bambini con SA non ignorano la presenza degli altri, ma anzi, sono spesso avidi di relazioni con altre persone. Gli approcci però sono goffi, a volte inappropriati; questi bambini mostrano insensibilità ai sentimenti dell’altro, ignorando le convenzioni sociali. A volte, seppur in grado di descrivere correttamente le emozioni o le intenzioni altrui, non sanno agire coerentemente ad esse. La mancanza di questo adattamento spontaneo all’altro, spesso li fa rifugiare in rigide regole di comportamento formale, interpretandole alla lettera, con il risultato di una ugualmente compromessa integrazione sociale. Spesso frustrati dagli insuccessi nei tentativi di stringere amicizia, alcuni di questi bambini possono sviluppare disturbi dell’umore anche importanti.

Sebbene le capacità verbali vengano mantenute nei bambini con SA, si possono notare comunque alcune anomalie: ad esempio una scarsa prosodia, con

un’intonazione maldestramente modulata al significato del discorso, o uno scarso adeguamento del volume della voce alle circostanze. Spesso i bambini con SA parlano molto e incessantemente, di solito di un argomento favorito, ignorando se l’interlocutore è interessato, o tenta di intromettersi in quello che, a tutti gli effetti, diventa un

monologo prolisso e monotematico. Anche gli interessi ristretti e le attività ripetitive possono somigliare alle stereotipie del disturbo autistico, tuttavia è meno frequente che si presentino manierismi motori o interesse per parti non funzionali degli oggetti. I bambini con SA tendono ad accumulare una grande quantità di informazioni su un unico argomento circoscritto, che può variare nel tempo, ma che ne domina sempre i contenuti delle attività e delle interazioni sociali. Tali interessi sono in genere insoliti e

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focalizzati su materie specifiche ( ad esempio i dinosauri, l’astrologia, la metereologia, ecc. ).

All’anamnesi dei bambini con SA possono rilevarsi ritardi nelle acquisizioni motorie, goffaggine e scarsa coordinazione, andatura bizzarra e disabilità visuo-motorie. La prognosi in genere è migliore rispetto a quella dell’autismo, ma la compromissione della sfera sociale è considerata cronica.

Il disturbo pervasivo dello sviluppo non altrimenti specificato ( PDD-NOS, Pervasive Development Disorder Not Otherwise Specified ), sebbene rappresenti una diagnosi del DSM-IV, non costituisce un’entità clinica uniforme. In esso si racchiudono quei disturbi generalizzati dello sviluppo, le cui caratteristiche cliniche non sono meglio descritte in un’altra catogoria diagnostica del DSM-IV o dell’ICD-10. Talvolta il PDD-NOS è una sorta di ‘jolly’, un’etichetta da usare in condizioni diagnostiche sfavorevoli, quando le informazioni disponibili sono inadeguate. In questo senso, quella di PDD-NOS può essere una diagnosi temporanea, in attesa di una diagnosi più specifica. Altre volte, essa viene presa in considerazione in quei bambini che, pur collocandosi

all’interno di uno spettro autistico, sono ai margini di un funzionamento più normale, o in cui la compromissione in una delle 3 aree del disturbo è lieve o assente. Quindi il PDD-NOS può essere considerato come una forma ‘lieve’ di autismo. Infine la diagnosi di PDD-NOS può venire utilizzata per bambini in cui i sintomi autistici insorgono tardivamente, non rispettando quindi il criterio di insorgenza entro i 3 anni dell’autismo. In quest’ottica, i PDD-NOS corrisponderebbero alla categoria dell’Autismo atipico dell’ICD-10, quadri che non soddisfano i criteri per l’autismo per l’età tardiva di insorgenza, la sintomatologia atipica o subliminare, o per tutti questi motivi insieme. In conclusione, questa catogoria viene utilizzata quando vi è una grave e generalizzata compromissione dello sviluppo dell’interazione sociale reciproca, delle capacità di comunicazione verbali o non verbali, o la presenza di comportamento, interessi o attività stereotipati, ma non risultano soddisfatti i criteri per uno specifico Disturbo Pervasivo dello Sviluppo, per la Schizofrenia, per il Disturbo Schizotipico di Personalità o per il Disturbo di Evitamento di Personalità.

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Tra le categorie indicate come disturbi pervasivi dello sviluppo, nel DSM-IV e nell’ICD-10, il Disturbo Autistico ( o Autismo classico, o Autismo infantile precoce, o Autismo di

Kanner ) è, in assoluto, il principale, sia perchè è il più frequente, sia perchè ricopre

pienamente e in modo completo la descrizione dei DPS. Esso infatti, come delineato nel DSM-IV, è caratterizzato dalla ‘presenza di uno sviluppo notevolmente anomalo o deficitario dell’interazione sociale e della comunicazione, e una notevole ristrettezza del repertorio di attività e di interessi.’

Queste caratteristiche fanno sì che talvolta, nella pratica clinica, l’etichetta di ‘Disturbo pervasivo dello sviluppo’ sia considerato un sinonimo di ‘Disturbo autistico’, anche perchè la Sindrome di Rett e il Disturbo disintegrativo della fanciullezza sono condizioni rarissime, la Sindrome di Asperger spesso rientra nella diagnosi di Spettro autistico ( i risultati di un recente studio [4] mettono persino in discussione le differenze tra il disturbo autistico e la sindrome di Asperger in base agli attuali criteri diagnostici, proponendone una revisione ), e, come precedentemente sottolineato, quella di PDD-NOS è spesso una diagnosi provvisoria.

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Epidemiologia:

Per diverse decadi dopo la sua prima definizione, l’autismo era considerato un disturbo raro ( 2 – 4 su 10000 bambini).

Negli ultimi anni la prevalenza dei disturbi di spettro autistico nei bambini in età

prescolare è aumentata: circa 60 su 10000 [5-6]. Una stima recente del CDC ( Centers

for Disease Control and Prevention, 2007 ) indica che, in Europa e negli USA, circa un

bambino su 150 è affetto da un disturbo di spettro autistico [7]: statistiche allarmanti che hanno indotto a parlare di “epidemia di autismo”.

Le ipotesi formulate per spiegare questo aumento nel numero di diagnosi sono molteplici e includono: una maggior definizione nei criteri diagnostici, lo sviluppo del concetto di spettro, l’utilizzo di diversi metodi di studio, una maggiore sensibilizzazione e conoscenza del disturbo tra i genitori e tra gli operatori, un aumento delle possibilità diagnostiche e ovviamente il reale incremento del numero di bambini con autismo. L’evidenza di diversi studi suggerisce che la crescita di incidenza e prevalenza è dovuta a maggiori potenzialità diagnostiche e all’allargamento della definizione del disturbo allo spettro autistico, e conseguentemente ad un ‘arruolamento’ più ampio [8-12]. Se ci sia anche un reale aumento del numero dei casi è tuttora discusso.

I maschi sono significativamente più colpiti delle femmine, con un rapporto di circa 4/1 [7;8;13].

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Il quadro clinico dell’Autismo:

L’ autismo ( dal greco “autùs”, sè stesso ) è un disturbo ad insorgenza precoce caratterizzato da uno sviluppo anomalo e deficitario del comportamento, con una variabile compromissione di tre grandi aree della personalità: l’interazione sociale, la comunicazione e gli interessi. I disturbi dello spettro autistico, infatti, sono detti ‘disturbi generalizzati dello sviluppo’ per il modo pervasivo in cui destrutturano la persona in tutti i suoi aspetti.

Fin dalla prima descrizione di Kanner [1] è stato evidente come l’età di insorgenza rappresentasse uno dei criteri di diagnosi di autismo, manifestandosi non oltre i 36 mesi d’età.

L’interazione sociale.

La scarsa reciprocità con gli altri, uno degli elementi centrali del disturbo, si può evidenziare con una povertà della comunicazione non verbale, e quindi evitamento dello sguardo, scarso interesse verso i coetanei, tendenza all’isolamento, mancanza dell’attenzione condivisa, incapacità di sviluppare relazioni adeguate all’età, apparente indifferenza emotiva. Questi bambini sembrano non comprendere il fatto che altre persone abbiano pensieri e sentimenti, consapevolezza che normalmente si sviluppa nei primi anni di vita ed è essenziale per una vita di relazione [14].

La compromissione dell’interazione sociale pur essendo permanente, si manifesta con comportamenti che ovviamente possono variare nel corso dello sviluppo, così ad esempio nel lattante si evidenzieranno sguardo sfuggente, mancanza di atteggiamenti anticipatori ( come il tendere le braccia quando si cerca di prenderlo in braccio ) e assenza del sorriso ( il ‘sorriso sociale’, in risposta a un volto o ad una voce, è una delle prime tappe dello sviluppo del comportamento del bambino e si instaura normalmente entro il secondo mese di vita ).

In particolare, un recente studio [15] ha evidenziato che guardare gli occhi degli altri è importante, già nei primi mesi di vita, per lo sviluppo delle interazioni sociali e per l’adattamento sociale nel corso dell'intera durata di vita. I bambini con autismo, già

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all’età di 2 anni, hanno un contatto oculare significativamente ridotto. Questo comporta critiche conseguenze per lo sviluppo, tanto che l’evitamento dello sguardo è un buon predittore per la futura disabilità sociale.

Nel bambino più grande, i segni saranno più espliciti, soprattutto verso i coetanei: non partecipa e non richiede la partecipazione degli altri nelle sue attività, non mostra gli oggetti di interesse agli altri per il semplice gusto della condivisione, se chiamato non risponde, la gestualità è scarna ( non fa ‘ciao’ con la mano, non fa cenni con il capo, non tocca gli altri per attirare la loro attenzione ), spesso utilizza l’altro come

‘strumento’ ( tipico l’uso protesico del braccio ). Quindi i rapporti interpersonali oltre che deficitari sembrano essere prevalentemente ‘richiestivi’ e finalistici anzichè improntati sul piacere dell’interazione e dell’attenzione condivisa ‘dichiarativa’. Ad esempio il gesto dell’indicare, che può esprimere intenzioni sia di tipo richiestivo che dichiarativo, nei bambini con autismo è in genere presente, ma con prevalente funzione di richiesta, mancando l’intenzionalità comunicativa. Questo aspetto, oltre che correlare con la gravità del disturbo, sembra essere un buon predittore del successivo sviluppo della comunicazione e del linguaggio [16-17]. Anche il contatto fisico, respinto quando non richiesto, è finalizzato a soddisfare le proprie necessità o a cercare il conforto fisico derivante dall’essere presi in braccio o coccolati, per essere poi interrotto bruscamente una volta appagate le esigenze iniziali.

Dall’età scolare, grazie ad un adattamento sociale, l’interazione con gli altri può migliorare, pur rimanendovi uno scarso investimento.

Una caratteristica del bambino con autismo è l’incapacità ai giochi di finzione [18-20], tappa obbligata nello sviluppo tipico, e di complessità progressivamente crescente ( ad esempio, dal fingere di bere da una tazza vuota a 1 anno, al fingere di dare il biberon ad una bambola a 1 anno e mezzo, al fingere di essere un dottore in età successiva ) , rappresenta l’acquisizione del pensiero simbolico. Nell’autismo queste simulazioni sono spesso tardive e ripetitive [21].

Secondo una vecchia sottoclassificazione di Wing e Gould ( 1979 ) [22], l’interazione sociale veniva considerata il fulcro centrale del disturbo autistico, in quanto la

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sulla vita dei soggetti colpiti. Le interazioni sociali anomale che si verificano nei disturbi di spettro autistico vennero suddivise in 3 modalità di comportamento: il ‘gruppo distaccato’, comprendente bambini tagliati fuori da ogni contatto sociale, corrisponde al quadro più tipico e completo del disturbo, il ‘gruppo passivo’, in cui i bambini non compiono approcci sociali spontanei, ma accettano passivamente l’altro, e il ‘gruppo attivo-ma-strano’ in cui i bambini avvicinano spontaneamente gli altri, ma in modo peculiare, spesso insistente e comunque allo scopo di parlare agli altri dei propri interessi e non con gli altri per il piacere dell’interazione sociale reciproca.

L’incomprensione delle regole sociali può portare a comportamenti inappropriati, come scatti d’ira immotivati, aggressività, distruttività, urla, tentativi di fuga, o commenti inadeguati nei bambini capaci di parlare [14].

La comunicazione.

La compromissione della comunicazione può riguardare tutti i codici della trasmissione e della ricezione di un messaggio. Oltre al ritardo o all’assenza del linguaggio verbale, manca anche la componente non verbale della comunicazione, come intonazione, pause, gesti, mimica.

Il bambino con autismo già nei primi mesi di vita può avere un ritardo o un’assenza della lallazione ( normalmente acquisita intorno ai 4-6 mesi ); successivamente

l’autismo si può manifestare più esplicitamente con un deficit del linguaggio: il bambino non parla, non chiama per nome, non si volta quando chiamato per nome. Alcuni di questi bambini rimangono muti per tutta la vita: una percentuale tra il 33% e il 50%, variabile a seconda degli studi [23-25], dei bambini con autismo non acquisisce mai alcuna forma di linguaggio finalizzato. I bambini che invece cominciano ad esprimersi verbalmente, seppur a volte anche in modo molto fluente, lo fanno in genere

tardivamente ( nello sviluppo tipico la pronuncia della prima parola avviene intorno all’anno di età ), e hanno comunque una produzione atipica: stereotipie verbali, frasi bizzarre, ecolalia ( immediata e/o differita ), gergofasia, inversione di pronomi ( è tipico il parlare in terza persona ), alterazione della prosodia ( eloquio cantilenante, monotono o enfatico, non adeguato al significato della frase ), utilizzo letterale dei significati delle

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parole. A volte, i bambini con migliore interazione sociale, possiedono un ricco

vocabolario, con vocaboli lunghi e talvolta altisonanti, altre volte le frasi sono abbreviate al minimo essenziale per esprimere le proprie necessità. Anche la

comprensione è deficitaria, in particolare è tipica l’incapacità di capire i doppi sensi, le metafore, i proverbi e il linguaggio figurato. Quindi la comunicazione, quando presente, è inadeguata soprattutto nelle ‘capacità pragmatiche’, cioè nella definizione delle regole sociali del linguaggio in rapporto allo scopo e ai partecipanti al dialogo. La

comunicazione non è finalizzata all’interazione sociale e al piacere della relazione interpersonale, ma è semplicemente un mezzo per fare o avere ciò che il bambino vuole, o per parlare dei propri interessi, esprimendo contenuti ripetitivi e ristretti.

Interessi e attività stereotipate.

Gli interessi e le attività dei bambini con autismo sono in genere ristretti, ripetitivi e stereotipati. Possono esserci manierismi motori stereotipati, come torcersi, guardarsi o mordersi le mani, sventolarle in aria, dondolarsi, compiere ripetuti movimenti del capo, oppure assumere posture bizzarre. Durante la crescita queste stereotipie semplici tendono a scomparire, cedendo il posto a comportamenti ripetitivi più complessi, come collezionare, allineare o mettere in colonna gli oggetti.

E’ caratteristico l’interesse limitato e compulsivo per i dettagli, per parti di oggetti o per i movimenti rotatori, inoltre gli oggetti spesso non sono utilizzati con la funzione propria dell’oggetto stesso: i giocattoli vengono osservati, manipolati, smontati, ma non vengono utilizzati nei giochi di finzione come rappresentazione di cose reali.

Il coinvolgimento per particolari e ristretti argomenti è, a volte, eccessivamente investito ( ad esempio, sanno tutto sui dinosauri, o recitano a memoria le scene di un film ), impiegano il loro tempo in attività ripetitive, che li assorbono totalmente, ma che non condividono con altri e da cui non vengono distratti dagli eventi dell’ambiente circostante. I comportamenti sono monotoni e rituali, le attività quotidiane seguono sequenze rigide e immutabili: ad esempio vogliono mangiare sempre le stesse cose, sedersi sempre sulla stessa sedia, seguire sempre gli stessi percorsi, ecc. Spesso i bambini con autismo dispongono gli oggetti in un ordine che deve rimanere

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immodificato e mostrano aumentata percezione, resistenza e malessere al

cambiamento: ad esempio si accorgono se la disposizione degli oggetti è stata minimamente alterata e hanno una forte reazione di disagio, che può comportare reazioni di rabbia e aggressività auto o eterodiretta.

In realtà, stereotipie e comportamenti rituali, nei bambini più abili, possono non essere significativamente marcati, tuttavia si ritrova sempre una certa abitudinaerietà e interessi circoscritti che richiedano un forte investimento di memoria meccanica.

Altri sintomi.

Altri sintomi caratteristici dell’autismo sono un’abnorme reattività ad alcuni stimoli uditivi ( ad esempio sirene, campanelli ), visivi ( ad esempio flash o particolari colori ) o tattili, che possono scatenare risposte inusuali, paura e reazioni eccessive o, viceversa, fascino. Le disabilità sensitive includono un’eccessiva attenzione alle “caratteristiche sensoriali” degli oggetti ( ad esempio assaggiano o annusano gli oggetti ), iper o iporesponsività agli stimoli, o risposte paradosse agli stimoli sensoriali ( ad esempio possono reagire coprendosi gli occhi in risposta ad uno stimolo uditivo ).

Alcuni bambini con autismo non mostrano risposte al dolore e a volte hanno comportamenti autolesionistici.

L’iperattività è un sintomo frequente: passano velocemente da un’attività ad un’altra, non stanno mai fermi, camminano avanti e indietro. Altre volte, l’ipotonia è il sintomo motorio prevalente, riguardando, secondo alcuni autori [26], il 51% dei bambini con DPS. L’aprassia è frequentemente individuata nei bambini con autismo ( 34% ), con impaccio maggiore nella motilità fine, rispetto a quella grossolana. Alcuni possono mostrare ecoprassia dei gesti, equivalente all’ecolalia del linguaggio [27]. Nei primi anni di vita possono avere la tendenza a camminare sulle punte ( 19% dei bambini con autismo ). Una ridotta mobilità della anche viene riportata dalla letteratura, ma è rara. La ridotta prevalenza dei deficit motori nei bambini più grandi suggerisce un

miglioramento nel tempo, probabilmente dovuto sia alla storia naturale di malattia che alla terapia, sebbene i bambini con impaccio della motricità fine spesso non ricevano servizi riabilitativi. La gravità dei deficit motori sembra inversamente proporzionale ai

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punteggi ottenuti ai test cognitivi: gravi anomalie del movimento si associano a bassi livelli di QI. Un recente studio [28] esamina lo sviluppo senso-motorio nei prescolari con disturbi di spettro autistico e lo relaziona con le abilità quotidiane: le risposte sensitive atipiche, come eccessive reazioni agli stimoli, e l’impaccio della motricità fine, mostrati da questi bambini, costituiscono un importante limite alle abilità quotidiane, anche quando il livello cognitivo è nella norma.

A volte i bambini con disturbi di spettro autistico possono manifestare anomalie fisiologiche, come disturbi del sonno, dell’alimentazione, o del senso della sete, o disfunzioni autonomiche, ad esempio eccessiva sudorazione, tachicardia o respiro irregolare.

Una piccola minoranza dei bambini con autismo ( circa il 6%, [29] ) mostrano infine capacità extraordinarie, ad esempio possono avere spiccata sensibilità musicale, eccezionale abilità di calcolo, particolare memoria per numeri o date, o talenti

inaspettati, come realizzare fedelmente ritratti o paesaggi senza possedere nozioni di disegno, recitare testi dopo semplice lettura o riprodurre brani musicali

precedentemente ascoltati.

Circa il 50% dei bambini con disturbo di spettro autistico presenta ritardo mentale [30]. Il rapporto tra autismo e ritardo mentale è continuo oggetto di discussione fra gli autori, in quanto nei bambini con grave ritardo mentale è difficile definire se i comportamenti atipici siano da riferire ad una coesistenza di un disturbo autistico, piuttosto che ad un basso livello cognitivo. D’altra parte, nei bambini con autismo è arduo stabilire se lo scarso livello funzionale sia dovuto al disturbo stesso o ad un associato ritardo mentale. Di conseguenza spesso risulta difficile una diagnosi differenziale per livelli cognitivi inferiori ad un’età mentale di 2 anni [31]. Tuttavia la presenza nel ritardo mentale di alcuni aspetti socio-emotivi, come la disponibilità alla relazione e il piacere dell’attenzione condivisa, permettono di distinguerlo dal disturbo autistico a basso funzionamento. Caratteristicamente poi, i bambini con autismo dimostrano livelli di performance ( Performance-QI ), valutabili tramite test strutturati non-verbali ( ad esempio Le iter-R ), superiori rispetto ai punteggi ottenuti con test strettamente verbali ( Verbal-QI ). Il rapporto tra performance e livello cognitivo verbale è dipendente dalla

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gravità del disturbo. I livelli di performance sono comunque deficitari nei compiti che richiedono processi di ragionamento, interpretazione, integrazione o astrazione. Inoltre i bambini con autismo hanno spesso funzionamento adattivo inferiore rispetto a quanto predetto dal livello cognitivo. Tuttavia, da un vecchio studio di Bartak e Rutter [32], dal confronto di bambini con autismo ‘a basso funzionamento’, cioè con un QI inferiore a 70, con bambini con autismo ‘ad alto funzionamento’, con un QI pari o superiore a 70, si evincono alcune differenze: sebbene le relazioni sociali e lo sviluppo linguistico fossero maggiormente compromessi nel gruppo a basso funzionamento, le maggiori differenze riguardavano fattori meno centrali del disturbo, come un comportamento più distruttivo, una maggiore incidenza di epilessia, maggiori deficit percettivi e maggiori anomalie di sviluppo neuronale. La differenza più significativa riguardava la prognosi in età adulta, decisamente migliore nel gruppo ad alto funzionamento. Un marcato distacco sociale in età adulta, infatti, è più evidente nei soggetti con grave ritardo mentale [33].

Oltre ai sintomi principali, i bambini con DPS, spesso mostrano altri disturbi del

comportamento: il 70% dei bambini con autismo ha almeno un disturbo in comorbidità, e più frequentemente disturbi d’ansia, ADHD ( attention-deficit / hyperactivity disorder ) e DOP ( disturbo oppositorio-provocatorio ) [34]. In particolare, un recente studio [35] indica come il 43% dei bambini con autismo presenti almeno un disturbo d’ansia. I maggiori livelli di ansia sono associati a maggiori livelli di QI, alla presenza del linguaggio e a maggiori livelli di comportamenti stereotipati. Nei bambini con più elevato livello cognitivo, l’ansia è associata con un maggiore impatto sui rapporti sociali, e sintomi come l’ansia sociale sembrano essere maggiormente correlati al disturbo autistico. Inoltre i bambini con autismo spesso possono mostrare

apparentemente immotivati ed estremi cambiamenti d’umore e ipersensibilità alle critiche.

L’epilessia si associa spesso al disturbo autistico ( circa 40% dei casi ). Essa può insorgere nei primi anni di vita o in adolescenza, e manifestarsi come crisi parziali complesse o tonico-cloniche generalizzate. Anche il rapporto tra autismo ed epilessia viene preso in esame in diversi studi, in quanto considerato da alcuni autori come

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chiave di lettura per un’ipotesi eziopatogenetica: un danno encefalico nel lobo

temporale può essere sia la causa di un defitario sviluppo delle competenze sociali, sia un focus epilettogeno responsabile delle crisi epilettiche. Un’ipotesi alternativa

suggerisce che fenomeni epilettici possano disturbare lo sviluppo del sistema nervoso avendo successive ripercussioni sul funzionamento cognitivo [36].

L'autismo si trova a volte associato ad altri disturbi che alterano in qualche modo la funzionalità del Sistema Nervoso Centrale, come la sclerosi tuberosa, la sindrome di Rett, la sindrome di Down, la sindrome di Landau-Klefner, la fenilchetonuria non trattata, la sindrome dell'X fragile, la sindrome di Williams o la rosolia congenita. Tranne una maggiore incidenza di gravi ritardi mentali nei bambini con sindromi biologiche associate [37], i sintomi autistici che si manifestano con e senza sindromi biologiche associate non mostrano differenze significative [38].

Infine, nel disturbo autistico talvolta possono essere rilevati diversi sintomi o segni neurologici aspecifici ( ad esempio riflessi primitivi, ritardato sviluppo della dominanza di lato ). La condizione è spesso osservata in associazione con una condizione

neurologica o con un’altra condizione medica generale ( ad esempio la sindrome dell’X fragile o la sclerosi tuberosa). Talvolta si osservano sia microcefalia, presente

soprattutto alla nascita e nei primi mesi di vita, che macrocefalia, condizione associata ad una maggiore compromissione sociale e comunicativa [39].

L’autismo è una disabilità permanente, la cui espressione però può essere variabile nel tempo. La gravità e la sintomatologia dell'autismo variano molto da individuo a

individuo e tendono nella maggior parte dei casi a migliorare con l'età. L’interazione sociale, in genere, migliora con l’età, mantenendo comunque tratti atipici: i bambini con maggiori abilità, tendono a sviluppare in età adulta una forma di interazione sociale artificiosa e convenzionale [40], che, se da un lato può consentire buoni risultati in ambito socio-occupazionale, crea importanti difficoltà nelle relazioni più intime. Un piccolo numero di bambini con autismo diviene ancora più distaccato con la crescita. Nonostante gli eventuali miglioramenti durante lo sviluppo, diversi studi di follow-up suggeriscono che la dignosi di autismo rimane stabile negli anni dell’infanzia [41-45] e dell’adolescenza [46]. C’è accordo sul fatto che la pervasività del disturbo determini in

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età adulta una limitazione all’autonomia e alla vita sociale, sebbene col passare degli anni venga rilevata una sempre maggiore variabilità del quadro [47]. Inoltre molte difficoltà possono emergere durante l’adolescenza o nella prima età adulta, e altre condizioni psichiatriche possono sovrapporsi. Condizioni di comorbidità, più

frequentemente ansia, depressione, obesità e uso di farmaci, sono comuni negli adulti affetti da disturbo autistico [48]. Nonostante negli ultimi anni la prognosi dell’autismo sia migliorata e una minoranza di adulti acquisisca buoni livelli di indipendenza, la maggior parte non è autosufficiente, la comunicazione rimane povera e i

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Diagnosi:

Criteri diagnostici del Disturbo Autistico secondo il DSM IV [2] :

A) Un totale di sei (o più) voci da 1), 2), e 3), con almeno due da 1), e uno ciascuno da 2) e 3)

1) compromissione qualitativa dell'interazione sociale, manifestata con almeno 2 dei seguenti:

• marcata compromissione nell'uso di svariati comportamenti non verbali, come lo sguardo diretto, l'espressione mimica, le posture corporee, e i gesti che regolano l'interazione sociale

• incapacità di sviluppare relazioni coi coetanei adeguate al livello di sviluppo

• mancanza di tentativi spontanei di condividere gioie, interessi o obiettivi con altre persone ( per esempio non mostrare, portare, né richiamare l’attenzione su oggetti di proprio interesse)

• mancanza di reciprocità sociale o emotiva

2) compromissione qualitativa della comunicazione come manifestato da almeno 1 dei seguenti:

• ritardo o totale mancanza dello sviluppo del linguaggio parlato ( non

accompagnato da un tentativo di compenso attraverso modalità alternative di comunicazione come gesti o mimica )

• in soggetti con linguaggio adeguato, marcata compromissione della capacità di iniziare o sostenere una conversazione con altri

• uso di linguaggio stereotipato e ripetitivo o linguaggio eccentrico

• mancanza di giochi di simulazione vari e spontanei, o di giochi di imitazione sociale adeguati al livello di sviluppo;

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3) modalità di comportamento, interessi e attività ristretti, ripetitivi e stereotipati, come manifestato da almeno 1 dei seguenti:

• dedizione assorbente ad uno o più tipi di interessi ristretti e stereotipati anomali o per intensità o per focalizzazione

• sottomissione del tutto rigida ad inutili abitudini o rituali specifici

• manierismi motori stereotipati e ripetitivi ( battere o torcere le mani o il capo, o complessi movimenti di tutto il corpo )

• persistente ed eccessivo interesse per parti di oggetti;

B) Ritardi o funzionamento anomalo in almeno una delle seguenti aree, con esordio prima dei 3 anni di età:

• interazione sociale

• linguaggio usato nella comunicazione sociale

• gioco simbolico o di immaginazione;

C) L'anomalia non è meglio attribuibile al Disturbo di Rett o al Disturbo Disintegrativo

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La diagnosi di Disturbo Autistico è molto spesso complessa.

In assenza di markers biologici, la valutazione clinica riveste un ruolo fondamentale e deve considerare il quadro comportamentale del bambino, sia durante l’osservazione diretta, sia nei contesti familiare e scolastico. Bisogna considerare che insieme ai sintomi patognomonici dell’autismo possono associarsi aspetti peculiari sia per

eventuali comorbidità sia per l’unicità che ogni bambino ha in sè; ne deriva un’estrema varibilità dei quadri clinici.

La valutazione multidimensionale in genere è effettuata da una èquipe composta dal neuropsichiatra infantile, dallo psicologo, dal neuropsicomotricista, dal logopedista e dall’educatore.

Il rischio di una eccessiva soggettività del giudizio clinico, maggiore soprattutto dopo l’introduzione del concetto di Spettro Autistico, è stato eluso dalla realizzazione di numerosi strumenti diagnostici, sottoforma di questionari, interviste strutturate e scale di valutazione standardizzate, elaborate sulla base dei criteri diagnostici del DSM IV, che hanno permesso una valutazione più oggettiva dei disturbi comportamentali del bambino con autismo.

Alcuni di questi strumenti sono la Childhood Autism Rating Scale ( CARS, [50] ), l’Autism Behavoiur Checklist ( ABC, [51] ), e soprattutto l’Autism Diagnostic

Observation Schedule ( ADOS, [52] ) e l’Autism Diagnostic Interview - Revised ( ADI-R, [53] ), considerate il gold standard per la diagnosi di autismo. In aggiunta a questi, sono spesso utilizzati anche strumenti di valutazione ‘funzionale’ come lo

Psycho-Educational Profile ( PEP-R, [54] ) e la Vineland – Adaptive Behaviour Scale ( VABS, [55] ).

La valutazione clinica è integrata e supportata da un’ accurata ricostruzione anamnestica ( indagini su eventuali consanguineità, familiarità per disturbi

neuropsichiatrici e sindromi genetiche, patologie della gravidanza e del parto, storia dello sviluppo psicomotorio, e informazioni relative al disturbo attuale, quali età e modalità d’esordio, quadro comportamentale, autonomie, scolarità, ecc. ), esame obiettivo generale e neuropsichiatrico ( con particolare importanza alla valutazione dei

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comportamenti dal significato diagnostico, delle competenze cognitive e linguistiche, e dello sviluppo emotivo e funzionale ). L’esame audiometrico è sempre indicato [56] per escludere eventuale ipoacusia, in considerazione del fatto che la principale

motivazione per cui questi bambini giungono all’osservazione specialistica è l’assenza del linguaggio.

Ulteriori test genetici, soprattutto la ricerca della sindrome dell’X fragile, indagini metaboliche, elettroencefalografiche e di neuroimaging sono indicate solo in particolari condizioni ( familiarità, dismorfismi, ritardo mentale ad eziologia sconosciuta, crisi epilettiche, segni neurologici focali, ecc. ) [21].

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Il concetto di spettro:

In medicina, e soprattutto in psichiatria, la determinazione di una netta linea di confine tra ‘normalità’ e ‘patologia’, e tra le varie patologie, è da sempre stata un’ambizione difficile.

I sistemi classificativi, come DSM e ICD, hanno avuto il pregio di definire criteri

diagnostici condivisibili e di individuare ‘soglie’ patologiche, per identificare quei disturbi suscettibili di trattamento. La dicotomia del ‘tutto o nulla’ però è sempre stata il loro difetto principale: si perdono, infatti, le forme ‘sottosoglia’, cioè tutte quelle condizioni clinicamente rilevanti, che non soddisfano però i criteri diagnostici stabiliti. Nell’ambito specifico dei DPS, un’ulteriore difficoltà insorge al momento di applicare un’etichetta

diagnostica specifica, quando invece i quadri clinici dei diversi disturbi si somigliano

notevolmente, al punto che, talvolta, diventano sovrapponibili. Ad esempio, i bambini con autismo ad alto funzionamento vengono distinti da quelli con Sindrome di Asperger sulla base di una maggiore compromissione del linguaggio; questa differenza, tuttavia, viene a mancare in quei bambini che successivamente sviluppino capacità linguistiche, ponendo quindi nuovi dubbi diagnostici, tanto che un recente studio ha messo in discussione la validità di tale distinzione diagnostica [4]. Già nel 1981 [3], e

successivamente nel 1988, [57] Wing sosteneva l’esistenza di un continuum tra le patologie autistiche, sottolineando l’utilità di un ampliamento nella definizione di autismo.

Per ovviare a queste ambiguità della psichiatria, è stato elaborato il concetto di ‘spettro’, inteso come un insieme di fattori psicopatologici che fanno da alone alle manifestazioni conclamate di un disturbo. Il concetto di spettro, negli anni e dai diversi Autori, è stato variamente impiegato per far riferimento a patologie con ampie aree di sovrapposizione, nell'ipotesi di un substrato etiopatogenetico comune, o che

condividono aspetti non inquadrabili nelle categorie diagnostiche, o che fanno

riferimento a meccanismi psicopatologici comuni; in questo senso, il concetto di spettro fa riferimento all’area del disturbo conclamato e a tutte le componenti ad esso correlate

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[58]. Il concetto di ‘spettro’ è quindi più ampio della definizione di ogni specifico

disturbo, comprendendo anche manifestazioni sintomatologiche lievi e sfumate, i disturbi sottosoglia e anomalie comportamentali non ancora completamente espresse, che potranno evolvere verso il disturbo conclamato, restare isolate, o confluire in altri disturbi. Soprattutto nella neuropsichitria dell’infanzia, il concetto di spettro è più utile che mai: i quadri psicopatologici dei bambini sono infatti molto spesso sfumati, mescolati e sovrapposti. Il termine ‘disturbo dello sviluppo’, inoltre, ha un intrinseco concetto di instabilità, indefinizione.

L’intero range dei disturbi generalizzati dello sviluppo, così come definiti nei sistemi DSM e ICD, si può quindi inquadrare nello ‘spettro autistico’, che comprende, quindi, una grande varietà di ‘fenotipi’ comportamentali. Così oggi in psichiatria, l'autismo è utilizzato esclusivamente in connessione con il cosiddetto ‘disturbo di spettro autistico’, tuttavia continua a mantenere, nella comunicazione quotidiana, differenti, e abbastanza aspecifici significati [59]. L’introduzione del concetto di spettro autistico, infatti, ha creato una ulteriore, notevole confusione circa la correlazione tra questo e gli specifici disturbi definiti dai sistemi classificativi: secondo alcuni, allo ‘spettro’ corrisponderebbe la categoria nosografica del Disturbo Pervasivo dello Sviluppo Non Altrimenti

Specificato ( DPS-NAS ) e a quella della Sindrome di Asperger, includendo quindi nello spettro i quadri clinici simili al disturbo autistico, che tuttavia non ne soddisfano i criteri diagnostici; secondo altri, il concetto andrebbe allargato ai sintomi ‘di tipo autistico’ presenti in altre patologie, come la Sindrome dell’X fragile, e, secondo altri ancora, lo spettro autistico coincide con l’intera categoria dei disturbi pervasivi dello sviluppo e in tal senso le due denominazioni vengono utilizzate come sinonimi.

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Il problema della diagnosi precoce:

L’esordio dei sintomi e il ritardo diagnostico:

Il disturbo autistico, per definizione, si manifesta entro i 3 anni di età, e sebbene in alcuni casi possa esordire dopo 1-2 anni di sviluppo normale nelle Forme Regressive, tra l’altro recentemente messe in discussione [60-61], tipicamente è preceduto da anomalie del comportamento individuabili dai genitori già a 18 mesi di età [62]. La maggioranza degli autori è concorde sul ritardo diagnostico del disturbo autistico in contrasto con una precoce manifestazione clinica e con le prime preoccupazioni dei genitori, che secondo alcuni studi talvolta vengono riportate entro il primo anno di vita del bambino [63].

Landa e Garrett-Mayer [64] rilevano anomalie dello sviluppo e ritardo di linguaggio nei bambini con disturbi di spettro autistico a partire dai 2 anni di età, e un inusuale rallentamento delle performance già a 14 mesi.

Lo studio dei filmati familiari del bambino piccolo sono un valido strumento per lo studio delle primissime fasi dello sviluppo e sono stati utilizzati per evidenziare le principali anomalie comportamentali nei bambini con DPS [65-69]: in questo modo son stati dimostrati sintomi del disturbo autistico già nel primo anno di vita, relativi soprattutto alle relazioni sociali ( ritiro, scarsa iniziativa sociale, ipoattività e insufficiente modulazione emotiva ) [70].

Segni precoci di una irregolarità dello sviluppo, che, secondo la Child Neurology Society, sono dei campanelli d’allarme ( “red flags” ) e costituiscono indicazioni assolute ad un’immediata valutazione specialistica, sono: l’assenza della lallazione dopo i 12 mesi, l’assenza della gestualità ( come indicare, fare ‘ciao’, mostrare ) dopo i 12 mesi, l’assenza di parole singole dopo i 16 mesi, l’assenza di associazione

spontanea di 2 parole dopo i 24 mesi, e la perdita di competenze socio-comunicative già acquisite, indipendentemente dall’età [56;71].

Ulteriori comportamenti indicativi di DPS, evidenziabili nei bambini di 18 mesi di età, includono la difficoltà al contatto oculare, la carente attenzione condivisa ( cioè la

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mancanza di contatto oculare e del ‘pointing’ usati allo scopo di condividere

un’esperienza con l’altro ) , la mancanza dei giochi di finzione, dell’imitazione, della comunicazione non verbale e del linguaggio.

Purtroppo capita che i primi sintomi del disturbo vengano inizialmente trascurati dai pediatri, dagli insegnanti e dai genitori, che considerano il bambino ‘solo un po’ in ritardo’ e in grado di recuperare.

Sebbene quindi la maggioranza degli autori sia d’accordo sulla possibilità di effettuare una diagnosi certa dall’età di 2 anni [72-73], numerosi studi indicano come il ritardo della diagnosi, rispetto ai primi segni individuati dai genitori, sia notevole: le stime più ottimistiche identificano l’età media della diagnosi di autismo a 3,1 anni [74]. In realtà l’età media della diagnosi è molto variabile, a seconda degli studi considerati. Tuttavia la maggioranza degli autori è concorde sul fatto che la diagnosi di autismo viene formulata generalmente intorno ai 3-4 anni d’età. Anche in un’indagine epidemiologica effettuta nel 2006 dalla Regione Toscana, risultava che l’età media a cui il bambino riceve la diagnosi di autismo è di 4 anni [75]. Wiggins [76] ha dimostrato che talvolta i bambini con autismo vengono diagnosticati a un’età media di 61 mesi, mentre la percezione delle prime anomalie del comportamento risale ai 48 mesi d’età. Secondo Rhoades et al. [77] l’età media della diagnosi ( 4 anni e 10 mesi ) avviene troppo tardi perchè i bambini possano ricevere il massimo beneficio da un intervento precoce. La diagnosi degli altri disturbi pervasivi non autistici è ancora più tardiva [7;62;74]. Non sembra esserci evidenza di una sostanziale differenza nell’età di diagnosi in base al sesso o all’etnia [76]. Sembrano implicate invece la residenza in aree rurali e l’appartenenza alle classi sociali più povere [74].

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L’importanza dello screening:

In considerazione dell’aumentata prevalenza dell’autismo e del divario esistente fra la percezione delle prime evidenze cliniche e la diagnosi specialistica, appare evidente come rivesta una considerevole importanza effettuare uno screening sui bambini in età prescolare, e in particolare su bambini di 18-36 mesi, per riuscire ad individuare soggetti a rischio per autismo ed arrivare precocemente ad una diagnosi e ad un trattamento tempestivo, che si associano ad un miglioramento delle aree centrali del disturbo, quali le interazioni sociali e la comunicazione [78].

Nadel et al. [79] registrano il beneficio ottenuto da bambini con DPS che abbiano avuto una precoce identificazione del disturbo e siano stati inseriti in adeguati

programmi di trattamento prima possibile, sottolineando il ruolo critico di uno screening entro i 24 mesi d’età.

Formulare precocemente la diagnosi di autismo in un bambino può comportare diversi vantaggi: in primo luogo, intervenire precocemente sulle attività del bambino,

organizzarne i contesti e le esperienze, può incidere positivamente sulle potenzialità e sulla qualità dei suoi comportamenti adattivi. La precocità è essenziale perchè

consente di agire in un’età in cui le strutture cerebrali non hanno ancora assunto una specializzazione funzionale definitiva, per cui questa maturazione ‘in fase attiva’ permette un’adeguata riorganizzazione interna delle esperienze percettive. Studi di follow-up hanno evidenziato che un intervento intensivo e precoce, di almeno 2 anni in età prescolare, produca un miglioramento significativo nella maggioranza dei bambini. In secondo luogo, l’identificazione del disturbo pone fine al disorientamento dei genitori, che in genere sono i primi a notare comportamenti atipici del bambino, ma non

riescono a spiegarsi il motivo di tali anomalie: intervenire sui dubbi dei genitori non ha solo lo scopo di rasserenarli, soprattutto serve a riequilibrare il ‘sistema famiglia’, quale luogo privilegiato di sviluppo sociale del bambino, e a coinvolgere le figure genitoriali come parte attiva del progetto riabilitativo e della gestione del quotidiano. Infine, considerando che il rischio di disturbo autistico è più elevato nei familiari delle persone affette, con un'incidenza approssimativa del disturbo del 5% nei fratelli, fare una diagnosi precoce del disturbo significa garantire un maggiore livello di sorveglianza per

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i fratelli del bambino colpito e consentire ai genitori una valutazione consapevole su eventuali future gravidanze.

Sulla base di queste osservazioni negli ultimi anni ci sono state, da parte delle Società di Pediatria, diverse iniziative per sensibilizzare i pediatri di famiglia sulla possibilità di identificare, intorno ai 2-3 anni d’età, i primi sintomi del disturbo autistico. I pediatri, infatti, sono i primi sanitari contattati dai genitori preoccupati per i disturbi

comportamentali del bambino. Tuttavia, sebbene circa il 25% dei bambini rivoltisi a strutture di primo livello mostri alcune anomalie comportamentali, meno del 30% degli operatori di primo livello utilizza test di screening standardizzati [80]. Le

raccomandazioni rivolte ai pediatri riguardano quindi, non solo una maggiore attenzione alle preoccupazioni espresse dai genitori riguardo allo sviluppo della comunicazione verbale e non verbale, delle interazioni sociali e di eventuali comportamenti ‘atipici’, ma anche la somministrazione di test di screening standardizzati nell’ambito dei periodici controlli.

Secondo la Commissione americana della Child Neurology Society e dell’American Academy of Neurology, l’individuazione del disturbo autistico dovrebbe avvenire per tappe, secondo la formula "Vagliare, Indagare, Valutare". Lo screening per l'autismo richiede due diversi livelli di indagine, rispondenti ognuno ad una diversa domanda [81]. Il

Livello 1 deve essere attuato su tutti i bambini e include l'identificazione dei bambini a

rischio per ogni tipo di sviluppo atipico, mentre il Livello 2 coinvolge in una indagine più profonda, i bambini già identificati a rischio di un disturbo dello sviluppo, e differenzia l'autismo dagli altri tipi di difficoltà dello sviluppo, basandosi sulla valutazione specialistica multidisciplinare. Una recente revisione di questo approccio, pubblicata dalla American Academy of Pediatrics, raccomanda l’utilizzo di strumenti di screening per l’autismo a intervalli specifici ( 9, 18, e 24 o 30 mesi d’età ) a tutti i bambini durante i periodici bilanci di salute del pediatra di famiglia, e ogniqualvolta i genitori esprimano preoccupazioni sul comportamento del figlio [108]. Un algoritmo ideale per l’identificazione dei bambini con autismo potrebbe essere quello proposto in Figura 1.

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Fig. 1: Algoritmo per l’identificazione del disturbo autistico [108].

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Gli strumenti di screening:

Gli strumenti diagnositici precedentemente descritti, come ADOS e ADI-R, seppur

ampiamente utilizzati, affidabili e sensibili [82], sono da considerarsi di secondo livello [56], in quanto la durata delle valutazioni ( 30 - 45 minuti ) è eccessiva perchè essi possano essere somministrati su larga scala, inoltre richiedono training specifici per essere correttamente applicati ed interpretati dagli esaminatori.

Allo scopo di realizzare utili strumenti di screening, nel corso degli anni son stati prodotti numerosi questionari per l’identificazione dei disturbi mentali nei bambini piccoli ( ad esempio il Mannheim Eltern Interview ( MEI, Esser, 1989 ), l’Infant / Toddler Symptom Check List ( ITSCL, DeGangi, 1995 ), la Bayley Scales of Infant Development III ( BSID-III, Bayley, 2005 ), ecc.). Alcuni sono specifici per l’autismo: la Checklist for Autism in Toddlers ( CHAT, Baron-Cohen et al, 1992 ), la Modified Checklist for Autism in Toddlers ( M-CHAT, Robins, Fein, & Barton, 1999 ), la Gilliam Autism Rating Scale ( GARS, Gilliam, 1995 ), l’Autism Screening Questionnaire ( Berument, 1999 ), il Social Communication Questionnaire ( Rutter, 2003 ), e lo Screening Tool for Autism in Two-years old ( STAT, Stone et al., 2000 ).

Alcuni di questi strumenti di screening si basano soltanto sulle risposte dei genitori alle domande di un questionario, altri si basano su una combinazione di testimonianze dei genitori e di osservazione diretta. Questi strumenti, che sembrano in grado di distinguere i bambini con autismo entro i due anni di età, possono tuttavia fallire nell’identificare i casi dei bambini affetti da Autismo lieve, nonché quelli con Autismo ad Alto

Funzionamento o con Sindrome di Asperger. Così negli ultimi anni sono stati progettati anche strumenti di screening per la Sindrome di Asperger e l’autismo ad alto

funzionamento: ad esempio l’ Autism Spectrum Sceening Questionnaire ( ASSQ, Ehlers, Gillberg & Wing, 1999 ), e l’ Australian Scale for Asperger’s Syndrome ( ASAS, Garnett & Attwood, 1997 ).

Di seguito prendiamo in esame alcuni tra i test più usati in clinica.

La Denver-II ( DDST-II, Denver Developmental Screening Test – II ; Frankenburg, Dodds, Archer, Shapiro & Bresnick, 1992 ) è stata uno degli strumenti tradizionalmente usati per lo screening dello sviluppo, dai servizi per l'infanzia. Il test, rivolto ai bambini

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dalla nascità ai sei anni, valuta il linguaggio ricettivo ed espressivo, l'abilità di

articolazione e di adattamento motorio fine, le abilità personali e sociali e quelle motorie grossolane. Facile nella somministrazione e nella elaborazione del punteggio, può essere completato in venticinque minuti o meno. Tuttavia alcune ricerche hanno dimostrato che la misurazione è significativamente insensibile e non specifica perchè il test sia un utile strumento per l’identificazione dell’autismo [83].

Tra i test più diffusi, i PEDS ( Parents’ Evaluation of Developmental Status ) sono questionari che indagano lo sviluppo del bambino nel suo complesso. I genitori devono rispondere a dieci domande e gli operatori possono attribuire un punteggio ed

interpretare i risultati in circa due minuti. C’è disaccordo, tra gli Autori, sulla reale utilità dei PEDS. Secondo alcuni, infatti, l’accuratezza di questi test nello scoprire le

compromissioni qualitative dello sviluppo, risponde agli standards convenzionali per i test di screening ( sensibilità ai problemi dello sviluppo e specificità verso lo sviluppo normale del 70-80% ) [84]. Secondo altri, invece, i PEDS danno una valutazione troppo generica e poco sensibile per essere utilizzati come strumenti di screening [85]. Alcuni autori, infatti, [86] hanno sollevato il problema di uno smisurato accesso in strutture specializzate per i disturbi autistici dovuto all’utilizzo di strumenti di screening “ad ampio spettro”. Data la complessità dei DPS, la diagnosi e la terapia di questi disturbi richiede professionisti e strutture specializzate che, attualmente, in

considerazione anche dell’aumento del numero delle diagnosi di autismo degli ultimi anni, si trovano ad avere liste d’attesa sempre più lunghe. Strumenti di screening “ad ampio spettro”, utilizzati nelle strutture di primo livello per l’identificazione primaria dei disturbi pischiatrici nei bambini ( come i PEDS, appunto ), sebbene molto accurati, raramente danno indicazioni sul tipo di patologia. Quindi l’utilizzo di strumenti di screening, se pur “ad ampio spettro”, ma con una maggiore capacità di discernere i disturbi pervasivi dello sviluppo da altre anomalie comportamentali, potrebbe ridurre e razionalizzare l’accesso alle strutture specialistiche.

Tra i numerosi strumenti di screening proposti, il test specifico per l’autismo che raccoglie maggiori consensi è la CHAT: Checklist for Autism in Toddlers. Somministrata dal pediatra ai genitori di bambini di 18-24 mesi d’età, è costituita da 14 item, di cui 9 domande da

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rivolgere ai genitori, e 5 comportamenti da ricercare direttamente nel bambino, alcuni dei quali, riguardanti l’acquisizione del pointing, dei giochi di finzione, e dell’attenzione condivisa, consentono di stratificare il rischio di autismo per il bambino. A differenza della specificità, la sensibilità del test sembra insoddisfacente, presentando eccessivi falsi negativi. La Modified - Checklist for Autism in Toddlers ( M-CHAT, Robins et al., 2001 ) è la versione americana della CHAT, è costituita da 23 domande a scelta multipla ( SI / NO ) ed ha dimostrato, nei disversi studi condotti, di essere un promettente strumento per l’identificazione precoce dei bambini con i DPS [87-88]. Tuttavia, vista la limitata sensibilità per il disturbo autistico, la CHAT e la M-CHAT vengono indicate, nelle linee guida

pubblicate dall’ American Academy of Neurology ( AAN ) [56;89] come strumenti inadatti allo screening, ma da somministrare a bambini che abbiano già fallito test “ad ampio spettro” usati in prima istanza.

Anche la CARS ( Childhood Autism Rating Scale, Schopler, Reichler, & Renner, 1988 ) è una scala di valutazione per la diagnosi di autismo ampiamente utilizzata. Essa aiuta ad esaminare, con 15 items relativi alle principali aree comportamentali, i movimenti del corpo, la capacità di adattarsi al cambiamento, la risposta uditiva, la comunicazione verbale e le relazioni sociali nei bambini che hanno superato i due anni di età. L’esaminatore, oltre ad osservare il bambino, raccoglie le informazioni dai genitori, e classifica il comportamento del bambino su una scala ( da 1 a 4 punti ) basata sulla devianza rispetto ai bambini della stessa età. Tuttavia, essendo formulata sulla base dell’osservazione diretta del comportamento da parte dell’operatore, essa trova il suo utilizzo più idoneo in un ambito clinico specialistico, essendo inappropriata come strumento di screening.

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La CBCL:

Uno degli strumenti maggiormente utilizzati nella clinica e nella ricerca dei disturbi comportamentali dei bambini in età prescolare è la CBCL1½-5 ( Child Behavior Checklist for ages 1.5-5, Achenbach e Rescorla, 2000 ). Pur non essendo specifica per l’autismo, già circa 20 anni fa la prof. Rescorla utilizzò la CBCL in bambini con autismo di età prescolare, evidenziando come lo strumento fosse in grado di identificare i bambini con autismo da bambini con sviluppo tipico e da altri con disturbi emotivi e del comportamento [90]. Sebbene nel corso degli anni la CBCL si sia imposta come uno degli strumenti più usati in clinica, e nonostante diversi studi ne abbiano convalidato efficacia e affidabilità nei diversi utilizzi, tuttavia, dopo l’indagine di Rescorla, tranne pochi isolati studi, la CBCL non è più stata appropriatamente studiata sui bambini con autismo in età prescolare.

Nel 1999 uno studio condotto sulle CBCL compilate dai genitori di 34 bambini con autismo mostrava che, in 2/3 dei casi, i punteggi ottenuti nelle scale sindromiche ‘Problemi di attenzione’, ‘Problemi sociali’, ‘Problemi del pensiero’ e ‘Ritiro’, erano anomali. Da allora, la CBCL ha subìto delle modifiche, e i ‘Problemi sociali’ e i ‘Problemi del pensiero’ non sono più compresi tra le scale sindromiche. Tuttavia, già da quello studio, la CBCL veniva considerata in grado di evidenziare i problemi comportamentali caratteristici del bambino con autismo [91].

Nel 2003 Duarte et al. [92] hanno condotto uno studio su 101 bambini tra i 4 e gli 11 anni ( 36 bambini con autismo, 31 con altri disturbi psichiatrici e 34 bambini con sviluppo tipico ), e hanno sottolineato che, sia in ambito clinico che scolare, la CBCL4-18 ( Child Behavior Checklist for ages 4-18, Achenbach e Rescorla, 2000 ) può differenziare i bambini con autismo da quelli con altri disturbi psichiatrici e da quelli con sviluppo tipico, per cui ne veniva suggerita l’introduzione in un programma di screening. Tuttavia, seppur importante, questo risultato non agevola una diagnosi precoce del disturbo, in quanto l’età minima per cui questo tipo di questionario può essere utilizzato, corrisponde all’età media a cui attualmente vengono ricevute le diagnosi.

Successivamente, in uno studio del 2007, veniva esaminata l’utilità della CBCL nella valutazione dei bambini prescolari con disturbi, pervasivi o specifici, dello sviluppo [93]. I

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risultati di quello studio non erano incoraggianti, in quanto meno della metà dei bambini con un disturbo psichiatrico superava il cut-off clinico. La CBCL quindi veniva giudicata non abbastanza sensibile nè specifica per identificare bambini con DPS. Veniva suggerito, per migliorare la sensibilità del questionario, di abbassare il cut-off clinico ad un livello inferiore. In un recente studio di Sikora et al. [94] viene confrontata la validità della CBCL con quella di uno strumento specifico per l’autismo, la GARS (Gilliam Autism Rating Scale ),

nell’identificare i disturbi di spettro autistico. Lo studio ha esaminato i punteggi di GARS e CBCL di 147 bambini di 36-71 mesi, suddivisi in 3 gruppi in base alla classificazione dell’ADOS-G ( Autismo, Spettro autistico e Non-spettro). Nello studio viene concluso che la CBCL è efficace quanto la GARS, se non migliore, nel distinguere bambini con e senza disturbo di spettro autistico. Infatti l’utilità della GARS sarebbe gravata da un numero maggiore di falsi positivi e falsi negativi rispetto alla CBCL, che ha invece buona sensibilità ( 80% ) e, soprattutto se considerata la scala del Ritiro, buona specificità ( 62% ). Nello studio veniva quindi proposto l’utilizzo della CBCL come strumento di screening per i disturbi di spettro autistico.

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Parte sperimentale:

Obbiettivi:

Lo scopo principale di questo studio è valutare l’attendibilità e la validità predittiva della CBCL come strumento per identificare i disturbi di spettro autistico nei bambini in età prescolare.

Abbiamo inoltre cercato di individuare quali items dello strumento possano avere un peso statistico maggiore nella distinzione dei bambini con autismo, per comprendere meglio quali siano le differenze nella percezione dei genitori di un bambino con autismo e di un bambino con sviluppo tipico.

Il nostro studio si basa inizialmente sull’età prescolare, quindi dai 18 mesi fino al compimento dei 6 anni, perchè considerando la storia naturale della malattia, essa rappresenta la prima di 4 fasce d’età critiche e peculiari: l’età prescolare, l’età scolare, la crisi puberale e l’età adulta [21]. Tra queste, l’età prescolare è forse la più importante, non solo perchè è l’età in cui viene solitamente formulata la diagnosi, ma anche perchè è il periodo in cui il quadro clinico risulta più omogeneo tra i vari bambini, e quindi le anomalie del comportamento sono più facilmente individuabili: l’interazione sociale e la

comunicazione sono particolarmente compromesse, la relazione col bambino è spesso impossibile, la percezione dell’altro è limitata e sempre di tipo richiestivo. A questa età i processi di maturazione e crescita del SNC sono in una fase particolarmente attiva, le strutture encefaliche non hanno ancora raggiunto la differenziazione definitiva, e questo è prababilmente il motivo per cui il quadro clinico risulta particolarmente omogeneo e i sintomi massimamente ‘pervasivi’. Nelle età successive, invece, si ha una maggiore ‘individualizzazione’ e si rende evidente una maggiore specificità del quadro clinico proprio di ciascun bambino. A conferma della completezza del quadro clinico in età prescolare, uno studio di follow up [41] ha dimostrato che la diagnosi di autismo formulata a 2 anni d’età è confermata, dopo 7 anni, in circa il 70% dei casi, e la percentuale di stabilità diagnostica sale quasi al 90% nei bambini valutati a 5 anni d’età. I cambiamenti diagnostici riguardano

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prevalentemente il passaggio dalla diagnosi di DPS-NAS alla diagnosi di autismo,

confermando che spesso la categoria nosografica di DPS-NAS viene considerata come un’etichetta temporanea in attesa di una miglior definizione del disturbo.

Ipotizzando l’utilizzo della CBCL come strumento di screening per l’identificazione precoce dell’autismo, nello sviluppo successivo di questo studio, abbiamo focalizzato l’attenzione sui bambini più piccoli, valutando la validità del questionario nella fascia d’età 18-36 mesi. Infatti riteniamo che, per auspicare una diagnosi precoce, si debbano concentrare le indagini nelle età precedenti ai 3 anni di vita, al di sotto, cioè, dell’età in cui mediamente i bambini con autismo ricevono la prima valutazione specialistica.

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Strumenti e metodi:

La CBCL:

La Child Behavior Checklist è una delle scale di valutazione del comportamento infantile più diffuse e utilizzate a livello internazionale sia in ambito clinico che di ricerca, contando numerosissime pubblicazioni.

Ideata e validata presso l'Università del Vermont dal prof. Thomas Achenbach e dalla prof. Leslie Rescorla, ( versione italiana a cura della dott.sa A. Frigerio ) la CBCL 1½-5 consente di indagare atteggiamenti, funzionamento sociale e problemi psicologici dei prescolari. Essa fa parte del sistema multiassiale ASEBA ( Achenbach System of Empirically Based Assessment ) che offre una valutazione su base empirica del funzionamento del bambino, attraverso l’uso di strumenti semplici, economici, affidabili e di immediata comprensione [95].

La CBCL è strutturata sotto forma di questionario che può essere compilato dai genitori e che contiene 100 item, valutati su una scala di risposta a tre livelli: 0 = non vero; 1 = in

parte o qualche volta vero; 2 = molto vero o spesso vero.

Dei 100 item totali, 99 descrivono un comportamento specifico del bambino e al genitore viene chiesto di quantificare la frequenza di tale comportamento nei 2 mesi precedenti la compilazione del questionario. L’ultimo item è ‘aperto’ ad eventuali ulteriori problemi rilevati dai genitori. Il questionario, che viene compilato in 10-15 minuti, è completato da 3

domande su eventuali malattie o disabilità (sia fisiche che mentali), preoccupazioni del genitore e sugli aspetti migliori del bambino.

I comportamenti indagati dal questionario sono molto vari ed esplorano i vari aspetti della vita di un bambino tra i 18 mesi e 5 anni d’età. Essi esaminano:

• i fattori emotivi ( ad esempio il pianto frequente, l’attaccamento all’adulto, la tristezza, la sensibilità, le paure, i cambiamenti d’umore, i sensi di colpa, le frustrazioni, l’irritabilità, ecc ),

• i disturbi somatici ( ad esempio dolori, stipsi, diarrea, disturbi dell’alimentazione, cefalea, vomito, eruzioni cutanee, ecc. ),

Riferimenti

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