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1.1 Cos’è il mieloma multiplo? 1 - Introduzione

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1 - Introduzione

1.1 - Cos’è il mieloma multiplo?

Il mieloma multiplo (MM) è un tumore maligno delle plasmacellule. Le plasmacellule sono cellule produttrici di anticorpi normalmente presenti nel midollo osseo, ma anche in qualsiasi parte del corpo dove vi sia una risposta immunitaria. Il mieloma viene solitamente denominato mieloma multiplo, perché i plasmociti neoplastici, ovvero le cellule del mieloma, proliferano interessando zone multiple del midollo osseo. Il mieloma multiplo interessa prevalentemente soggetti adulti ed anziani e l’età media di insorgenza è 60 anni. 1/3 dei casi la malattia viene scoperta casualmente, in occasione dell’esecuzione di esami del sangue prescritti per altro motivo. Nei 2/3 dei casi viene diagnosticata per la presenza di sintomi specifici (Mehta et. al. - 2002).

In alcuni casi il mieloma è localizzato soltanto in un punto del midollo osseo. In questo caso si parla di plasmocitoma solitario, conosciuto anche come mieloma di stadio I. In altri casi si sono osservate lesioni nel tessuto molle esterno all’osso, più frequentemente nella zona della testa e del collo. Questi sono plasmocitomi del tessuto molle, denominati anche mielomi di stadio I e III, a seconda del numero di plasmocitomi (Durie et al. - 2004).

Dunque, il mieloma colpisce le aree dove il midollo osseo è normalmente attivo negli adulti. Il midollo si trova nelle cavità delle ossa della colonna vertebrale, del cranio, del bacino, delle costole, e delle aree circostanti le spalle e le anche. Le regioni ossee che solitamente non vengono colpite sono le estremità: ossia le mani, i piedi, e le regioni distali delle braccia e delle gambe. Ciò è molto importante dato che la funzione di queste aree critiche è solitamente mantenuta. In alcuni casi le cellule mielomatose crescono molto lentamente nel midollo osseo. Ciò si verifica nel MGUS, patologia

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correlata al mieloma, ma che tuttavia sembra non aver alcuna correlazione sintomatica con il mieloma. Esso non è un vero e proprio cancro, ma una condizione chiamata gammopatia monoclonale di incerto significato. Nell’MGUS, le cellule mielomatose costituiscono meno del 10% delle cellule contenute nel midollo osseo. Il rischio di passaggio da MGUS a mieloma attivo è molto basso: vi è solo l’1% di possibilità all’anno di progressione. Anche se le cellule mielomatose sono ad un livello alto, pari al 10-30% del totale delle cellule presenti nel midollo osseo, il tasso di crescita può essere molto lento: una tale situazione rappresenta in questo caso il Mieloma smouldering/indolente o asintomatico. Entrambe queste condizioni possono cambiare molto lentamente o non richiedere trattamenti attivi. Molto importante è stabilire la diagnosi corretta distinguendo l’MGUS e il Mieloma indolente dal Mieloma attivo o sintomatico, che richiede invece trattamenti specifici (Bataille et al. - 1997) .

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TABELLA 1.1 - Mieloma e gammopatia monoclonali correlate NOME STANDARD NUOVO NOME PROPOSTO DEFINIZIONE MGUS (Gammopatia monoclonale di incerto significato) MGUS (es. nessun cambiamento) • ProteinaMonoclonale Presente (CM) < 3g/dl • Nessuno stato di malattia sottostante • Plasmocitosi midollare < 30% MIELOMA SMOLDERIG O INDOLENT MIELOMA ASINTOMATICO

• Alto livello della proteina monoclonale rispetto all’MGUS (CM) > 3 g/dl, ma senza sintomi né danno d’organo. • Plasmocitosi midollare >30% MIELOMA MIELOMA SINTOMATICO • Proteina Monoclonale presente

• Uno o più “CRAB” caratteristiche del danno d’organo

*DANNI D’ORGANO CLASSIFICATI COME “CRAB”: C – calcio elevato (> 10 mg/l)

R – disfunzione renale(creatinina>2 mg/dl) A – anemia (emoglobina < 10 g/dl)

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L’accumulo eccessivo di plasmacellule nel midollo, che si osserva nel mieloma multiplo può causare:

• l’alterazione del normale funzionamento del midollo osseo che con conseguente anemia e/o basso livello di globuli bianchi o piastrine. Ciò porta in genere ad astenia.

• distruzione dell’osso che circonda la cavità del midollo con conseguente fragilità ossea.

• produzione e rilascio della proteina monoclonale (Proteina M) nel sangue e/o nelle urine.

• riduzione della normale funzione immunitaria, con ridotti livelli delle normali immunoglobuline e dall’aumentata predisposizione alle infezioni. Le infezioni sono tanto più probabili quanto più basso è il numero di globuli bianchi.

• neuropatia come malfunzionamento dei nervi, con conseguente riduzione del senso del tatto e con difficoltà a muovere i muscoli (Berenson James - 2004).

I Plasmocitomi sono “tumori” localizzati costituiti da plasmacellule, che possono crescere all’interno dell’osso (intramidollari) o fuori dall’osso (extramidollari o del tessuto molle). La condizione di plasmocitomi multipli dentro o fuori dall’osso, è comunque definita mieloma multiplo (Mehta et. al. - 2002).

La ricerca ha dimostrato negli ultimi anni che la probabilità di ammalarsi di un tumore,come il mieloma è legata principalmente a due fattori:

- le caratteristiche genetiche dell'individuo

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Studi epidemiologici hanno dimostrato come i fattori ambientali possano influenzare la probabilità di sviluppare la malattia. Infatti il fumo, l'esposizione ad elevati livelli di pesticidi (DDT), a solventi derivati dal petrolio (benzene) ed radiazioni aumentano il rischio di sviluppare il Mieloma Multiplo. Lincz e collaboratori, hanno messo in luce, l’esistenza di una suscettibilità genetica alla malattia. I geni associati ad un aumento del rischio del MM, codificano per gli enzimi impiegati nel metabolismo degli xenobiotici, in particolare GSTM1,

GSTT1, PONI, NAT1 e CYP1A1. Tuttavia GSTT1, il cui enzima è

essenziale per biotrasformazione del benzene, sembra aver assunto maggior rilevanza in questi studi (Lisa F. Lincz et al. - 2004).

Figura 1.1 - Plasmacellule nel mieloma multiplo

La proprietà caratteristica delle cellule tumorali del mieloma è il rilascio (o secrezione) di proteine nel sangue e/o nelle urine. La quantità di proteine prodotta dalle cellule mielomatose varia da paziente a paziente. Il rapporto tra il livello della proteina e lo stato del mieloma nel midollo osseo, è indicativo per comprendere la relazione tra un particolare livello di proteina e la proliferazione tumorale. La proteina monoclonale è anche chiamata Proteina-M, proteina del mieloma, paraproteina, o picco monoclonale. La proteina monoclonale è definita picco a causa del modo in cui si presenta nel quadro elettroforetico (ESP).

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Figura 1.2 - ESP di un paziente affetto da MM

ALBUMINA PICCO MONOCLONALE

(PROTEINA “M” )

La proteina monoclonale è un’immunoglobulina o una componente/frammento di un immunoglobulina. La figura (1.3) illustra la struttura di una normale molecola di immunoglobulina. Nelle cellule del mieloma, una o più mutazioni sono state riscontrate nei geni responsabili della produzione delle immunoglobuline, ciò spiega l’anomala sequenza aminoacidica e l’alterata struttura delle proteine monoclonali. Solitamente, la funzione immunitaria delle immunoglobuline è persa e la struttura tridimensionale della molecola potrebbe risultare anormale. Ciò comporta tutta una serie di conseguenze:

• La proteina M in eccesso che si accumula nel sangue e nelle urine è espulsa nelle urine come picco monoclonale.

• Le molecole monoclonali anormali possono aderire a qualsiasi tipo di tessuto come, ad esempio, le cellule del sangue, vasi sanguigni, e altri componenti del sangue.

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Figura 1.3 - Immunoglobulina

regione catene leggere

variabile regione

costante catene pesanti ponti disolfuro regione legante il complemento regione legante il recettoreFc

Ciò può ridurre il flusso sanguigno e la circolazione, causando la sindrome dell’ iperviscosità. Approssimativamente nel 30% dei casi, le catene leggere vengono prodotte in eccesso rispetto a quelle necessarie per la combinazione con le catene pesanti per formare un’unica molecola. Queste catene leggere in eccesso sono chiamate proteine di Bence Jones. Le proteine libere di Bence Jones hanno un peso molecolare di 22,000 Daltons e sono abbastanza piccole da riuscire a passare facilmente nelle urine.

Le proteine monoclonali anormali possono provocare altri effetti quali: • legarsi ai normali fattori della coagulazione con conseguente aumento della tendenza al sanguinamento oppure favorendo la formazione di coaguli di sangue e le flebiti.

• Legarsi a ormoni o elementi circolanti con conseguenti disfunzioni ormonali e metaboliche.

• Le proteine libere di Bence Jones possono anche aderire a qualsiasi altro tessuto (come fa la stessa immunoglobulina). In questo caso il risultato finale può essere duplice:

1. Amiloidosi – Un tipo di malattia in cui le catene leggere di Bence Jones si legano in modo simmetrico e si depositano in tessuti tra cui rene, nervi e tessuto del cuore.

2. Malattia da deposito delle catene leggere – Le catene leggere si depositano accidentalmente, specialmente nei piccoli vasi sanguigni degli occhi e dei reni.

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Anche per soggetti asintomatici con mieloma, campioni di sangue possono risultare alterati a causa della viscosità o iperviscosità, quando analizzati con metodiche automatiche oppure possono interferire con le relazioni chimiche necessarie per tali test(Berenson James - 2004).

1.2 - Incidenza del tumore

L’incidenza approssimativa del mieloma è 3-4/100.000 casi negli US, approssimativamente l’1% di tutti i tipi di cancro. Vi sono circa 15.000 nuovi casi di mieloma ogni anno negli US. Il mieloma è molto comune tra gli Africani, Americani e Caucasici. Per esempio, a Los Angeles l’incidenza del mieloma tra Afro-Americani è 9.8/100.000 contro 4.3/100.000 nei Caucasici. L’incidenza varia da paese a paese a partire da <1/100.000 in Cina fino a 4/100.000 in gran parte dei paesi industrializzati dell’ovest(Jemal et al - statistics 2002). Il rapporto uomo/donna è 3:2. L’incidenza aumenta con l’età, con un’età media di insorgenza attorno ai 60 - 70 anni. Il miglioramento delle tecniche diagnostiche e l’aumento dell’ età media della popolazione spiegano in parte l’aumento di incidenza registrato negli ultimi anni. L’aumento delle diagnosi in pazienti con età inferiore a 55 anni suggerisce un ruolo per fattori ambientali; tuttavia il fatto che, anche dopo immigrazione nella stessa regione, l’etnia piu’ colpita sia quella di origine africana, seguita da quella caucasica e, per ultima, da quella orientale suggerisce l’importanza di fattori genetici di suscettibilita’, oltre che di quelli ambientali (Schottenfeld et al. - 1996). In Europa secondo stime del Registro europeo dei tumori (ENCR), si riscontrano ogni anno 21.420 nuovi casi di mieloma multiplo di cui circa 15.000 con esito mortale. Si stima che, al momento, le persone affette da questa malattia in Europa siano 60.000.

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1.3 - Patofiosiologia

La crescita incontrollata delle cellule mielomatose comporta molte conseguenze, inclusi la distruzione delle ossa, l’alterata funzione del midollo osseo, l’aumento del numero delle plasmacellule e della viscosità, la soppressione della normale produzione delle immunoglobuline e l’insufficienza renale. Tale malattia può rimanere asintomatica per parecchi anni. Nella fase sintomatica, il sintomo che più frequentemente si manifesta è il dolore osseo (Markowitz et al. - 2001).

La proteina M (monoclonale) del siero e delle urine è elevata e solitamente aumenta al momento della diagnosi. L’intero modello per i pazienti con mieloma è illustrato nella figura 1.4. E’ importante notare che ci sono spesso vari periodi di remissione e risposta. Infatti, in genere si verificano due situazioni: 1) la maggior parte dei pazienti affetti da MM sottoposti ad intensiva terapia iniziale (HDT o VAD) seguita da trapianto di cellule staminali, presentano una fase di plateau a lungo termine, in cui si assiste ad una temporanea remissione. 2) Dopo la fase di plateau, la maggior parte di questi pazienti soccombe alla malattia. La fase di ricaduta seguita da refrattarietà ai comuni dosaggi di chemioterapici precedentemente utilizzati, è fisiologica ed è associabile alla farmacoresistenza che le cellule tumorali acquisiscono durante la terapia (Attal et al. , 1996; Jagannath et al. , 1990).

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Figura 1.4 - Fasi Della Malattia 10 ASINTOMATICO SINTOMATICO Ricaduta Mieloma refrattarietà attivo Ricaduta 5 MGUS o Smoldering Mieloma Plateau di Remissione Terapia …. …. …. …. …. …. …. 0 Tempo

1.3.1 - Malattia dell’ osso

Sin dal primo riconoscimento di mieloma, la presenza di proteina monoclonale è stata collegata alla distruzione dell’osso (Durie BGM et al. - 1981). Il primo indizio era rappresentato dal fatto che sia le cellule mielomatose che il numero elevato di osteoclasti fossero presenti a livello delle aree osteolitiche. La comprensione dei meccanismi patofisiologici deriva, inizialmente, dall’osservazione che le cellule mielomatose producevano fattori attivanti osteoclasti (OAFs). Successivamente si scoprì che esse erano in grado di produrre anche citochine locali (IL-1ß), IL-6, TNF-α ,TNF-ß e chemochine come MIP-1α; tutte molecole coinvolte nella crescita e attività degli osteoclasti. Più recentemente è stata identificata una sostanza chiamata ligando RANK (RANKL) come mediatore della loro attivazione. Vari studi stanno valutando l’efficacia clinica degli inibitori specifici del RANKL, chiamati RANK.Fc e osteoprotegerina (OPG), che hanno mostrato efficacia in studi di laboratorio e test clinici preliminari (Bataille et al. - 1989). Un’osservazione completamente nuova da

P rot ei n a M g/ l

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litica dell’osso sia associata con la produzione di una proteina locale denominata DKK-1. Questo è un altro spunto per le nuove strategie terapeutiche.

Oltre all’attivazione degli osteoclasti, l’altra caratteristica del mieloma come malattia dell’osso è l’inibizione degli osteoblasti, i quali sono i responsabili della nuova formazione di tessuti dell’osso e quindi della guarigione dell’osso. “L’accoppiamento” della funzione degli osteoclasti e degli osteoblasti è responsabile del rimodellamento e della riparazione dell’osso. Il meccanismo responsabile del “non accoppiamento” nel mieloma è in fase di ricerca. Una nuova importante osservazione si riferisce ai farmaci ipercolesterolemizzanti (es. Lipitor®, Mevacor®, Baycol®‚ etc.). Essi possono aumentare l’attività degli osteoblasti e promuovere la guarigione dell’osso. In aggiunta, il nuovo agente VELCADE® (attualmente usato in recidiva) è stato presentato come promotore per la guarigione dell’osso, anche per essere un potente agente anti-mieloma (Richardson P, Barbogie et al. - 2003). Sono ora in corso studi più approfonditi per valutare l’efficacia di questi farmaci nel mieloma.

1.3.2 - Anemia

L’anemia è una delle caratteristiche del mieloma. L’inibizione della produzione dei globuli rossi da parte di citochine nel microambiente sembrerebbe il fattore determinante. Il TNF-α è stato identificato come uno dei più importanti inibitori dell’eritropoiesi; l’attività del mieloma, in ogni modo, risulta far parte di un’interazione complessa di fattori che possono causare non solo anemia, ma anche neutropenia, e raramente, un incremento o decremento del numero della piastrine. IL-6 è il fattore maggiormente responsabile dei livelli di incremento del numero delle piastrine. Possono verificarsi anche aumenti nei basofili, negli eosinofili e nei monociti. Il miglioramento dell’anemia si verifica con l’inizio del trattamento del mieloma e può essere aumentato con l’uso di eritropoietina ricombinante (Gahrton & Durie et al. - 2004).

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1.3.3 - Ridotta funzionalità renale

La riduzione della funzionalità renale è una delle complicazioni più comuni nei pazienti con mieloma. In ogni modo, ciò non significa che ogni paziente debba avere questo problema. In alcuni pazienti, le proteine del mieloma, specialmente la proteina di Bence Jones, provoca lesioni renali causate da diversi meccanismi: danno tubolare dovuto all’accumulo di catene leggere, o selettivi danni tubolari che si manifestano con effetti metabolici chiamati sindrome di Fanconi. La sindrome di Fanconi è caratterizzata da un danno selettivo tubolare che si manifesta con la perdita di amminoacidi e fosfato nelle urine, che può causare una malattia metabolica dell’osso (Gahrton & Durie et al. - 2004).

1.4 - Tipi di mieloma

Ci sono differenti tipi e sottotipi di mieloma. Questa differenziazione si basa sul tipo di immunoglobuline (proteine) prodotte dalle cellule mielomatose. Normalmente, le immunoglobuline hanno varie funzioni all’interno del corpo. Ogni immunoglobulina è composta da due catene pesanti e da due leggere (vedi figura 1.3). Ci sono cinque tipi di catene pasanti: G, A, D, E ed M. Ci sono due tipi di catene leggere: Kappa (K) e Lambda (λ). La tipizzazione del Mieloma (eseguita con un test chiamato “immunofissazione”) identifica sia le catene pesanti che quelle leggere. Molti pazienti con mieloma, circa il 65%, hanno un Mieloma IgG (Immunoglobulina G) con catene Kappa o Lambda. Il secondo tipo più comune di mieloma è quello IgA (Immunoglobulina A), anch’esso sia con catene Kappa e Lambda (tabella 1.2) (Gahrton & Durie et al. - 2004). I mielomi IgM, IgD e IgE sono abbastanza rari.

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leggere nel sangue (come IgG Kappa). Nel 10% dei pazienti circa, le cellule mielomatose producono solo catene leggere e non catene pesanti. Questo viene definito mieloma delle “catene leggere” o di “Bence Jones”. Raramente (circa l’1-2%) le cellule mielomatose producono poche o addirittura nessuna proteina monoclonale. Questo viene definito mieloma “non secernente”. Un test di recente scoperta denominato Freelite Test (analisi del siero delle catene leggere) è in grado di chiarire il numero delle catene leggere presenti nel sangue di gran parte dei pazienti.

TABELLA 1.2 - Immunoglobuline implicate nel MM

Esistono delle differenze sottili nei comportamenti dei vari tipi di mieloma. Il mieloma IgG ha le tipiche caratteristiche del mieloma. Il tipo IgA talvolta può essere caratterizzato da localizzazioni extra-midollari. Il tipo IgD può essere accompagnato da leucemia e più frequentemente causa danni renali. Le catene leggere del mieloma di Bence Jones sono quelle che causano più spesso danni renali e/o il deposito di catene leggere nei reni e/o nei nervi e negli altri organi. Questa condizione viene chiamata amiloide o malattia da deposito delle catene leggere(Gahrton & Durie et al. - 2004).

CATENE PESANTI CATENE

LEGGERE TIPI DI MIELOMA

IgG:(InmunoglobulinaG)

Kappa (K) o Lambda (L) IgG K o IgG λ

Immunoglobulina G con catene leggere Kappa o Lambda

IgA:(InmunoglobulinaA)

Kappa (K)

o Lambda (L)

IgA K o IgA λ

Immunoglobulina A con catene leggere Kappa o Lambda

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1.5 - Trattamento

Da quando il melphalan fu introdotto per la prima volta nel 1962, sono stati utilizzati varie combinazioni di schemi terapeutici. Successivamente si sono ottenuti ottimi risultati usando alte dosi di regimi chemioterapici in accoppiamento con il trapianto di midollo osseo (BMT) o il trapianto di cellule staminali periferiche (PSCT). Nel BMT o PSCT standard, l’infusione delle cellule staminali sane, avviene solo nel momento in cui le cellule staminali preesistenti sono state già distrutte dalla chemioterapia ad alte dosi (solitamente melphalan). Non c’è finora nessun consenso sulla migliore strategia per trattare il mieloma e le terapie in atto, sia l’utilizzo di farmaci chemioterapici che fisiologici, hanno come attenzione primaria la qualità della vita (Alexanian et al. - 1994).

La prima e più importante decisione è capire se la terapia è necessaria. I pazienti con MGUS e mieloma asintomatico andrebbero più osservati che trattati. Attualmente non ci sono terapie che possano aumentare il controllo immunitario del mieloma di nuova diagnosi o ridurre la probabilità della progressione della malattia. Tuttavia, sono disponibili opzioni di ricerca come vaccini antiidiotipo. Terapie con bifosfonati possono essere usati per pazienti con la malattia dell’osso di nuova diagnosi. L’eritropoietina può essere considerata per il trattamento dell’anemia se è l’unico sintomo (Kyle et al. - 2002 e 1989; Weber et al. - 1997).

Il trattamento specifico anti-mieloma è raccomandato quando il mieloma risulta essere sintomatico, ciò in seguito all’incremento della componente M e/o problemi clinici (Tabella 1.1). I problemi sufficienti per richiedere il trattamento includono la distruzione dell’osso (lesioni litiche), insufficienza renale, progressiva riduzione dei valori del sangue (es. anemia, neutropenia), elevato calcio nel sangue, danno dei nervi, o altri significativi danni dell’organo e del tessuto

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del trattamento è analizzare i problemi specifici e ottenere un controllo generale della malattia.

1.5.1 - Meccanismo di azione dei farmaci chemioterapici più comunemente usati nel trattamento del MM.

Le cellule tumorali necessitano, come tutte le cellule, di quei processi molecolari fondamentali al sostentamento del loro ciclo vitale (replicazione del DNA, divisione cellulare etc….). L’utilizzo di farmaci in grado di interferire con questi processi, dunque, può avere il compito non solo di bloccare la proliferazione di tali cellule, ma anche di far regredire la neoplasia (Durie et al. - 1975).

I farmaci antitumorali più comunemente usati,anche nel trattamento del Mieloma Multiplo, possono essere così classificati:

 Agenti Specifici del Ciclo Cellulare:

Hanno un’attività specifica in precise fasi del ciclo cellulare. A tale classe appartengono gli Alcaloidi della Vinca, come la Vincristina e la Vinblastina (veleni del fuso mitotico). Questi ultimi bloccando l’assemblamento del fuso mitotico determinano l’arresto del ciclo cellulare.

Vincristina - Questo importante farmaco chemioterapico appartiene

ad una classe di composti denominati, alcaloidi della vinca in quanto estratti da particolari piante. Gli alcaloidi della vinca, come la vincristina agiscono da inibitori del ciclo cellulare bloccando il processo di mitosi alla metafase. La caratteristica di queste molecole è di legarsi ai dimeri di tubulina, unità strutturali e funzionali dei microtubuli del fuso. Questo legame impedisce alla tubulina di polimerizzare e quindi di formare quella struttura microtubulare mediante la quale i cromosomi possono disporsi uniformemente ai poli della cellula durante la mitosi. L’assenza del fuso, in presenza di vincristina, determina l’arresto in metafase della cellula e la dispersione dei cromosomi metafasici nel citoplasma, i quali formando inusuali aggregati determinano anzitempo la morte

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cellulare (Gilman et al. - 1990). Tuttavia la vincristina è un farmaco molto potente ed oltre agli effetti sul fuso è in grado, in alte concentrazioni, di associarsi al DNA inibendone i processi di trascrizione e traduzione (McEvoy et al. - 1993). La vincristina ha anche una evidente attività immunosoppressiva e una elevata tossicità per le cellule nervose (Goldstein et al. - 1981) . La vincristina essendo un agente legante i microtubuli, è cellulo-specifica, cioè determina la morte solo di quelle cellule che sono in una particolare fase del ciclo cellulare e non produce, in genere, effetti nocivi sulle altre cellule (come avviene per le staminali del midollo). Per tale motivo la vincristina insieme ad altri farmaci viene utilizzata in quei regimi chemioterapici di prima linea che precedono un trapianto di cellule staminali (Alexanian & Barbogie - 1990).

Il suo destino metabolico, a quanto pare, è poco chiaro. Il farmaco viene quasi totalmente metabolizzato, probabilmente nel fegato, ad opera degli enzimi CYP3A e GSTP1. Tuttavia l’analisi dei prodotti derivanti dal metabolismo, è complicata, in quanto tali prodotti,in vivo, si decompongono velocemente. La vincristina e suoi metaboliti, sono escreti per via biliare, si ritrovano principalmente nelle feci: circa il 30% dopo 24 ore dalla somministrazione e il restante 70% dopo 72 ore. Una piccola parte (10%) è escreta per via renale e si ritrova nelle urine (McEvoy et al. - 1993).

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Figura 1.6 - Struttura della Vincristina

 Agenti non - Specifici del Ciclo Cellulare:

Interferiscono anch’essi con alcuni processi che stanno alla base del ciclo cellulare, ma in maniera a-specifica, danneggiando il DNA. Essi sono rappresentati da: Agenti Alchilanti (melphalan e ciclofosfamide) e dalle Antracicline (doxorubicina).

Agenti Alchilanti - Gli agenti alchilanti agiscono formando nuovi

legami tra i filamenti di una doppia elica di DNA. La formazione di nuove interazioni tra le due eliche ostacola i normali processi a cui la doppia elica è sottoposta: replicazione, trascrizione, traduzione . Gli agenti alchilanti come il melphalan sono in grado di svolgere tale azione anche quando ancora i due filamenti devono separarsi per la replicazione. Tutto ciò conferisce a questi farmaci un alto potere terapeutico ma anche un’altissima e pericolosa a-specificità. Infatti la loro azione può essere espletata indipendentemente dalla fase del ciclo in cui la cellula si trova; ecco perché vengono utilizzati nelle terapie di prima linea per la cura di molti tumori. Esempi di agenti alchilanti sono: la ciclofosfamide e il melphalan.

Gli alchilanti sono sostanze che vengono trasformate in composti ionici carichi positivamente altamente reattivi e che possono formare legami

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covalenti con strutture ricche di elettroni come molte biomolecole, tra le quali gli acidi nucleici, le proteine e gli amminoacidi.

In condizioni fisiologiche, tali sostanze sono responsabili del processo di alchilazione che consiste nella sostituzione di un atomo di idrogeno con un gruppo alchilico in un composto organico.

Figura 1.7 - Meccanismo d’azione degli agenti alchilanti

La reazione con i nucleotidi si verifica con affinità decrescente tra purine e pirimidine secondo una scala di reattività delle basi azotate :

guanina (N-7, O-6) > adenina (N-3, N-1) > citosina (N-1) >> timina

Figura 1.8 - Struttura degli acidi nucleici

Inoltre gli agenti alchilanti, grazie alla loro elevata reattività, possono interagire con la maggior parte dei gruppi funzionali specificanti le basi. Ciò determina la loro diversa tossicità :

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Figura 1.9 - I più importanti target degli agenti alchilanti

Come accennavamo in precedenza, l’alchilazione delle basi eterocicliche nel DNA è responsabile della attività antitumorale e citotossica di questi farmaci in quanto può portare alla lettura errata o all’appaiamento anomalo durante la replicazione del DNA. Il principale evento citotossico per le cellule trattate con questi farmaci è un legame crociato “cross-link” interfilamento, generalmente tra due guanine, che è responsabile di rotture nella doppia elica di DNA.

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Figura 1.10 - Effetto dell’azione di cross-link

Tale danno può essere riparato da appositi sistemi enzimatici preposti alla riparazione delle rotture del doppio filamento. Tuttavia nonostante la cellula cerchi di difendersi, va spesso incontro ad apoptosi. Inoltre, il cross-link può impedire la despiralizzazione della catena di DNA bloccando il processo di svolgimento e di replicazione della doppia elica (Spanswick et al. - 2002).

Ciascuna di queste azioni inibisce la sintesi del DNA, dell’RNA e delle proteine. Gli agenti alchilanti possono legarsi al DNA durante qualsiasi fase del ciclo cellulare, ma esercitano il loro effetto citotossico quando la cellula entra in divisione. Appartengono a questo gruppo di farmaci le mostarde azotate che sono ottenute dal gas mostarda. Le strutture delle mostarde azotate più comunemente usate come farmaci sono il melphalan, la ciclofosfamide che sono utilizzati anche nel trattamento del MM, e in particolare nell’ autotrapianto.

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Figura 1.11 - Le formule di struttura delle mostarde azotate

L’efficacia di questi farmaci è spesso limitata dalla comparsa della resistenza acquisita (ADR), in cui dosi ripetute del farmaco si concludono in una insufficiente citotossicità nei confronti della cellula bersaglio e perciò in una ridotta efficacia terapeutica.

La ciclofosfamide (CPA) è un pro-farmaco antitumorale che deve essere attivato metabolicamente e il suo meccanismo d’azione e la sua tossicità sono stati associati all’attivazione epatica da parte del sistema Citocromo P450 (CYP3A4, CYP3A5, CYP2B6, CYP2C9), attraverso due vie principali che sono rispettivamente reazioni di attivazione e di inattivazione del farmaco.

Dalla prima via si formano metaboliti attivi coinvolti nel cross-link del DNA, mentre la via alternativa forma metaboliti inattivi ed è secondaria, interessando meno del 10% della dose (Pass et al., 2005).

Antracicline - Ai farmaci utilizzati nelle comuni chemioterapie

appartiene anche questa particolare classe di antibiotici (isolate dal fungo Streptococcus peucetius). A causa della loro elevata cardiotossicità, questi farmaci vengono utilizzati in piccole dosi. Le antracicline agiscono bloccando la divisione cellulare danneggiando la struttura del DNA e alterandone la sua funzione. La loro attività citotossica nei confronti delle cellule tumorali e non, può essere espletata mediante quattro vie : (1) inserimento di queste molecole

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all’interno dei solchi minori del DNA mediante intercalazione tra le basi (cross - link); (2) essi infliggono danni seri alle molecole di ribosio del DNA reclutando e formando potenti radicali liberi; (3) l’interazione di alcune antracicline (doxorubicina) con le topoisomerasi; (4) elevata capacità di queste molecole di formare interazioni con i lipidi di membrana e con alcune importanti proteine cellulari. Un’antraciclina molto utilizzata nei protocolli chemioterapici per la cura del mieloma, è rappresentata dalla Doxorubicina (Dox) (Adriblastina - nome commerciale). La doxorubicina è considerata “non fase - specifica”, sebbene il massimo effetto citotossico è evidente sulle cellule in fase-S. Infatti, è stato osservato che le cellule esposte al farmaco in G1 possono procedere attraverso la fase S ma poi si bloccano e muoiono in fase G2. La formula di struttura consiste in un nucleo di naftacenechinone legato, attraverso un legame glicosidico con un atomo C7, ad un amino - zucchero la “daunosamina” (Wolf MB et al. - 2006).

Figura 1.12 - Doxorubicina

L’anello di antraciclina è lipofilico, ma l’estremità saturata del sistema policiclico contiene gruppi idrossilici adiacenti all’ammino-zucchero, formando un centro idrofilico. Inoltre la molecola è anfoterica, con funzioni acide nei gruppi fenolici e funzione basica nell’ammino-zucchero.

La maggior parte dei dati fa ritenere che il principale meccanismo d’azione del farmaco sia da ricondurre alla sua attività di “intercalante”,

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intercalazione specifica del nucleo planare dell’antraciclina tra paia di basi adiacenti perpendicolarmente all’asse maggiore della doppia elica, determinando così un parziale srotolamento dell’elica di DNA (Richardson et al. 2005). Come conseguenza, questa semplice azione di cambiamento della conformazione va ad interferire con l’azione della RNA polimerasi DNA-dipendente impedendo la trascrizione e quindi la sintesi proteica, provocando così la morte cellulare.

La doxorubicina e i suoi derivati attivi sono in grado di interagire con il DNA formando legami cross - link interfilamento, con un meccanismo simile agli agenti alchilanti. Ciò ha come effetto la formazione di addotti DNA - doxorubicina e la successiva rottura del doppio filamento.

Figura 1.13 - Doxorubicina e cross - linkage

Tuttavia, la maggior parte del DNA è organizzato e compattato all’interno della cromatina, pertanto può essere protetto da questo tipo d’azione del farmaco.

Esiste, però, un secondo meccanismo con il quale la doxorubicina si complessa con enzimi nucleari, tra i quali la Topoisomerasi 2, inibendo la loro azione (Moro et al., 2004). La Topoisomerasi 2 è un enzima responsabile del rilassamento della sequenza di DNA necessario per la sua lettura durante la replicazione e la trascrizione. Il meccanismo d’azione dell’enzima consiste

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nella rottura temporanea del DNA, permettendo a entrambe le estremità di ruotare dentro l’enzima e consentendo al DNA di srotolarsi. Successivamente, l’enzima riconnette le due estremità lasciando una sezione di DNA rilassato pronto per il processamento. La doxorubicina, come inibitore, interagisce con la Topo2 che viene intrappolata sul DNA mediante legame covalente, formando così un complesso ternario stabile farmaco-enzima-DNA, detto “cleavable complex”, che rende più difficile la riunificazione dei filamenti. Il rilascio o la denaturazione dell’enzima produce doppi-filamenti di DNA troncati, caratterizzati alle loro estremità dalla presenza di un cap.

Figura 1.14 - Meccanismo d’ azione della Doxorubicina

Ciò causa la morte delle cellule tumorali in quanto i danni subiti dal loro DNA non ne consentono la traduzione e la replicazione.

La doxorubicina, somministrata per via endovenosa e distribuita ai tessuti (ad eccezione della barriera encefalica) in circa 5 min, è prevalentemente metabolizzata nel fegato per poi essere eliminata lentamente come glucoronide o coniugato idrossilato nella bile.

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Recentemente, numerosi studi hanno messo in luce la relazione esistente tra cardiotossicità indotta dalla doxorubicina e il suo metabolismo, che porta alla formazione di prodotti altamente reattivi. La DOX è rapidamente metabolizzata dalle aldo-cheto-Reduttasi NADPH - dipendenti, nel citoplasma, ad un alcol secondario “doxorubicinolo” e dalla citocromo P450-Reduttasi NADPH-dipendente a un gruppo di composti idrossi- o deossi-agliconi (Fig. 1.14).

È stato dimostrato che il doxorubicinolo, tra i vari prodotti della doxorubicina, è il metabolita con effetto cardiotossico che aumenta con la dose somministrata (Zhou et al, 2002).

Figura 1.15 - Metabolismo della doxorubicina

Inoltre, ci sono molti lavori che evidenziano la formazione di radicali liberi da parte della doxorubicina (Moody e Hassan, 1982; Hsie et al., 1986; Meneghini,1988).

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La riduzione a un elettrone della porzione chinonica dell’antraciclina genera un radicale libero semichinonico che, in presenza di ossigeno molecolare, produce specie altamente reattive, compresi superossidi, perossidi di idrogeno e radicali idrossilici.

Questi composti contribuiscono alla cardiotossicita del farmaco, perché possono danneggiare le membrane mitocondriali mediante perossidazione lipidica.

Questi prodotti metabolici, inoltre, possono indurre rotture del DNA, ossidazione diretta delle purine e delle pirimidine, cambiamenti che innescano l’apoptosi. Quindi, i diversi effetti pleiotropici hanno reso difficile stabilire l’esatta base molecolare dell’attività antitumorale della DOX, la cui citotossicità probabilmente deriva dalla sovrapposizione dei molteplici meccanismi di danno cellulare.

1.5.2 - Chemioterapia

Il primo tipo di trattamento per il mieloma è apparso quando il melphalan fu introdotto per la prima volta nel 1962 da Alexanian et al.. Con l’utilizzo di questo protocollo è stata registrata una risposta completa (RC) nel 50 - 60 % dei pazienti e una mediana di sopravvivenza totale che va da 2 a 3 anni dal trattamento (San Miguel et al. - 1999). Sebbene l’uso di una semplice combinazione orale di melphalan più prednisone (MP) è ancora un valido approccio, ora diversi fattori influenzano la scelta del tipo di terapia (Durie BGM et al - 2003).

• Il melphalan può danneggiare le normali cellule staminali del midollo osseo ed è quindi evitato in pazienti in cui si è pianificato il trapianto autologo di cellule staminali.

• Dato che l’età superiore ai 70 anni non è controindicazione assoluta a raccogliere cellule staminali e al trapianto, il ruolo del trapianto di cellule staminali deve essere valutato per ogni paziente su basi individuali.

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talidomide e il desametasone o cicli di terapia VAD i quali non danneggiano le cellule staminali. Anche il Citoxan

(Ciclofosfamide), piuttosto che il melphalan è un opzione. Così la semplice terapia orale può essere usata in modo sicuro senza escludere un uso successivo delle cellule staminali.

1.5.2.1 - Chemioterapia raccomandata se la raccolta di cellule staminali non viene pianificata ( terapia in fase iniziale ):

Questa scelta può essere correlata all’età, alle condizioni mediche generali o ad altri fattori.

Melphalan/Prednisone (MP) – l’associazione MP è la più frequentemente usata. Il 60% dei pazienti hanno almeno una risposta parziale, rappresentata da una riduzione del 50% del livello della proteina M associata al miglioramento dei valori del sangue, con miglioramento dei varisintomi della malattia, come dolore osseo . Il Cytoxan può essere sostituito con il Melphalan sino ad una consistente attività anti-mieloma. Il Cytoxan è meno tossico sulle normali cellule staminali del midollo osseo e può essere preso in considerazione per i pazienti che sono candidati ad un futuro trapianto di cellule staminali. Esso ha più immediati effetti collaterali del melphalan, includendo la tossicità di grado I come la nausea.Fino alla metà degli anni ’70, sono state provate diverse associazioni dei farmaci più comunemente usati (Kumar A et al. - 2003). Un nuovo protocollo denominato M2 (Vincristina + Carmustina + Melfalan + Ciclofosfamide + Prednisone : VBMCP) fu sviluppato al Memorial Sloan-Kettering Center a New York. Si è osservato che il protocollo M2, rispetto all’MP, fornisce risultati più soddisfacenti con un alto tasso di risposta e un miglior risultato globale. Per esempio, in una recente analisi della Eastern Cooperative Oncology Group (ECOG), la risposta globale dei pazienti trattati con M2 ha dimostrato di essere identica a quelli che ricevono MP; ma la sopravvivenza totale può

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arrivare fino a 5 anni rispetto al protocollo M2. La tossicità e i costi sono significativamente più alti con la strategia di combinazione M2. Informazioni similari sono state raccolte con i protocolli VMCP/VBAP e ABCM. Questi hanno mostrato qualche vantaggio nei confronti dell’MP, ma sono più tossiche e costose. I promotori di queste schede di combinazione, coloro che le hanno usate per molti anni, continuano a raccomandarla perché il risultato ha la stessa efficacia del protocollo MP, se non migliore. La tendenza corrente è di usare l’MP o il CP come prima scelta e di riservare le combinazioni più complesse come trattamento di seconda linea per i pazienti che non riescono ad ottenere una risposta soddisfacente.

1.5.2.2- Se si programma una raccolta di cellule staminali :

Il MP costituisce lo schema più classico nel trattamento del MM ed ormai l’esperienza su questa combinazione è di diversi decenni (Barlogie B et al.). La maggior parte dei pazienti così trattati ottiene una risposta e il trattamento è abbastanza ben tollerato con pochi effetti collaterali extraematologici. Tuttavia, inevitabilmente tutti i pazienti ricadono, e acquisiscono inevitabilmente una resisistenza agli agenti alchilanti (melphalan e ciclofosfamide), così da tempo si cercano combinazioni chemioterapiche in grado scavalcare la resistenza ai comuni agenti alchilanti utilizzati nella chemioterapia iniziale. Alternative di questo tipo possono essere rappresentate dalla terapia VAD, che non solo ha dimostrato una buona efficacia ma soprattutto è compatibile con un eventuale trapianto di midollo. Le ricerche a tale scopo, hanno infatti dimostrato che le terapie seguite da autotrapianto sono più efficaci della terapia convenzionale, almeno nei pazienti di età < 65 anni. Già nel 1996 un gruppo francese ha pubblicato i risultati di uno studio randomizzato dimostrando che con l’autotrapianto si ottengono migliori curve sia di sopravvivenza libera da eventi (EFS) che di sopravvivenza globale (OS) rispetto a quelle

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stati poi confermati da numerosi altri gruppi cooperativi, tanto che il passo successivo è stato quello di chiedersi se un doppio autotrapianto fosse meglio di uno singolo. Successivamente il gruppo cooperativo francese ha dimostrato che col doppio autotrapianto si ottiene una prolungata EFS e OS rispetto al singolo autotrapianto. In particolare dei due trapianti si giovano soprattutto quei pazienti che non hanno ottenuto una risposta completa dopo il primo autotrapianto (Attal M et al.).

Chemioterapia VAD – Il protocollo VAD (Vincristina, Doxorubicina o Adriblastina, Desametasone), introdotto per la prima volta nel 1984, divenne un’alternativa molto utilizzata di induzione rispetto all’MP o CP (Alexanian & Barlogie - 1990). Il motivo principale di questo largo uso fu che si poteva ottenere una risposta senza danneggiare le cellule staminali sane del midollo osseo, questo aspetto va considerato nella programmazione terapeutica di un paziente con MM perché se si prevede la possibilità di impiegare il trapianto di midollo autologo, un trattamento con MP diventa controindicato mentre è sicuramente favorito un trattamento con VAD o similari. Il trattamento con VAD permette di raggiungere, in pazienti affetti da MM, un sopravvivenza media di 10 mesi e un tempo medio di totale remissione di 6 - 8 mesi, prima che si verifichi la tipica ricaduta che caratterizza il corso della patologia. In poche parole il protocollo VAD stabilizza la fase di plateau della malatia, fase in cui la remissione è del tutto completa. Tuttavia malgrado il diffuso utilizzo del protocollo VAD, sono emersi svantaggi significativi, compresi l’aumentato rischio di infezione e trombosi e le disfunzioni renali che esso provoca (Alexanian et Al. , 1994).

Il gruppo di soggetti, affetti da mieloma, nostro oggetto di studio, sono stati trattati presso l’ ospedale di Lyon Sud, con terapia di induzione comprendente tre cicli VAD ogni quattro settimane. Ogni regime di VAD consiste in un’infusione di 0,4 mg/giorno di vincristina e 9 mg/m2/giorno di adriblastina per 4 giorni a cui si aggiunge l’assunzione per via orale di desametasone. Nei trial più recenti effettuati su pazienti

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refrattari, il protocollo VAD ha ottenuto una risposta parziale (PR) in circa il 20 - 30 % dei refrattari e del 45 - 70 % nei soggetti in cui si è verificata un ricaduta (Barbogie et al. , 1994 & Alexanian et al. , 1990). Tuttavia molti pazienti con malattia refrattaria o in recidiva sono anziani e non idonei al trapianto di midollo; per tali soggetti,dunque, la terapia VAD rappresenta un’importante terapia di mantenimento che ha lo scopo di mantenere sotto stretto controllo la mielotossicità (Monconduit M. et al. - 1986 ; Alexanian et al. - 1992 ; Harousseau et al. - 1992).

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TABELLA 1.3 - Categorie di risposta alla chemioterapia

Risposta Completa (CR)

- Componente monoclonale non evidenziabile nel sangue e/o nelle urine - Il midollo osseo non mostra segni di mieloma

- Altri test dimostrano lo stato di remissione Risposta Quasi

Completa (nCR)

- Componente monoclonale non è misurabile ma può essere evidenziata con tecniche più sensibili

- Il midollo osseo mostra segni residui del mieloma ≤ 5%

Risposta Parziale (PR)

- Proteina M* ridotta del ≥ 50% ma avente un conteggio ancora quantificabile

- Le plasmacellule del midollo osseo ridotte del ≥ 50% ma ancora rimanenti del > 5%

Risposta Minima (MR)

Proteina M* ridotta del ≥ 25% ma < 50%

Malattia Stabile (SD)

Proteina M* cambia del > ±25%

Malattia in Progressione (PD)

Proteina M* aumenta del ≥ 25%

Proteina M* è il livello della proteina monoclonale misurata dall’ elettroforesi delle proteine nel SIERO (SPEP) o nelle urine 24 ore (UPEP).

** Cambiamenti nell’M-PROTEIN dovrebbero essere supportati con un’altra prova del beneficio di trattamento per confermare la risposta.

*** Alcuni gruppi usano una sottocategoria di “risposta parziale molto buona” (VGPR) per indicare una risposta vicino alla completa risposta.

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1.5.3 - Il Trapianto

1.5.3.1 - Terapia ad alte dosi (HDT) con trapianto autologo di cellule staminali:

I buoni risultati ottenuti trattando il mieloma multiplo con i chemioterapici hanno spinto ad usare dosi progressivamente crescenti di questi farmaci. Esiste infatti una correlazione diretta tra dosaggio del farmaco chemioterapico e risposta della malattia, ossia più farmaco si somministra e maggiore è la distruzione delle cellule malate (Barbogie et al. - 2003) Tuttavia, gli effetti collaterali della chemioterapia impediscono di raggiungere dosi troppo elevate. Gli organi hanno una sensibilità differente all'azione dei chemioterapici e si può immaginare che esista una scala che vede nel gradino più basso il midollo osseo. Quindi, il maggior limite alla crescita di dosaggio dei chemioterapici è rappresentato proprio dalla tossicità midollare. Qualora fosse possibile ovviare ai problemi della tossicità midollare, al gradino successivo si incontrerebbe la tossicità intestinale. In effetti, il trapianto di midollo osseo autologo ha consentito di superare il limite imposto dalla tossicità midollare. Questo importante traguardo è stato reso possibile dal riconoscimento, all'interno del midollo osseo, di cellule staminali, che, se iniettate in sufficiente quantità, sono in grado di ricreare una normale funzione midollare. L'impiego delle cellule staminali è alla base del trapianto di midollo osseo autologo. Inizialmente le cellule staminali venivano prelevate direttamente dal midollo, con una procedura chiamata espianto di midollo. Successivamente si è scoperto che, con alte dosi di Melphalan o di Ciclofosfoamide (Endoxan o cytoxan) + fattori di crescita (Reiffers et al. -1989), o regimi contenenti Antracicline (stimolanti del midollo), è possibile mobilizzare le cellule staminali nel sangue circolante e quindi prelevarle direttamente dalle vene delle

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leucoferesi è possibile raccogliere un gran numero di cellule staminali di buona qualità, sufficienti per uno o più trapianti di midollo, ed attualmente la stimolazione midollare associata alla leucaferesi è la metodica di scelta nel trattamento del paziente affetto da Mieloma Multiplo. Le cellule staminali, sia raccolte dal midollo che prelevate dalle vene delle braccia, vengono poi congelate e possono essere conservate per oltre un decennio. Per diversi anni è stato fatto il tentativo di ripulire dalle cellule malate contaminanti (purging) le cellule staminali da reinfondere, nella speranza che questo potesse ridurre il numero di recidive dopo autotrapianto. In realtà, per quanto affascinante sul piano teorico, la pratica del purging non ha dato i risultati sperati ed è attualmente sempre meno utilizzata.

Successivamente alla raccolta di cellule staminali, l'autotrapianto di midollo osseo si concretizza nella somministrazione endovenosa di un alto dosaggio di Melfalan. A distanza di 24 ore si infondono dal catetere le cellule staminali precedentemente raccolte e cripreservate. Dopo 5 giorni si verifica la discesa dei valori dei globuli bianchi, dei globuli rossi e delle piastrine, con conseguente rischio di comparsa di febbre ed eventuale necessità di eseguire delle trasfusioni di emoderivati. A distanza di 10-12 giorni dalla reinfusione delle cellule staminali si ha la ripresa delle normale funzione midollare, con recupero dei valori di globuli bianchi, globuli rossi e piastrine.

Il trapianto di midollo può essere singolo oppure, in alcuni casi, essere seguito a pochi mesi di distanza da un secondo autotrapianto. Un secondo trapianto in un paziente è un’opzione realizzabile, specialmente se si è verificata una prima remissione superiore a 2 anni (Sirohi et al. - 2005).

Attualmente il beneficio aggiunto del doppio trapianto contro un singolo trapianto autologo non è conosciuto. I risultati con trapianti doppi pianificati sono stati buoni e la sopravvivenza mediana globale è stata di 68 mesi o anche più lunga. Tuttavia, studi recenti comparativi (Attal & Harousseau - 1997), hanno mostrato benefici soprattutto per un sottogruppo di pazienti che non hanno raggiunto una CR.

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migliorare sia il tasso di risposta sia la sopravvivenza in pazienti con il mieloma. Tuttavia, questo approccio non è curativo: sfortunatamente più del 90% dei pazienti recidiva.

• I tassi di remmissione completa con HDT in prima linea variano dal 24% al 75%.

• I tassi di remissione parziale (ad esempio > PR) con HDT in prima linea variano dal 75% al 90%.

• Il tempo di progressione della malattia (prima progressione o recidiva) è di 18-24 mesi.

• La sopravvivenza mediana globale con HDT è nel range di 4-5 anni.

1.5.3.2 - Malattia recidivante o refrattaria:

Come illustrato nella sezione fisiopatologia, un frequente problema che si verifica in pazienti con mieloma è la recidiva che può avvenire dopo un minimo di 1 anno fino a un massimo di 3 anni dalla remissione. Sebbene il mantenimento con interferone alfa, prednisone ,o talidomide aiuta il prolungamento del periodo di remissione iniziale, la recidiva è inevitabile e richiede una nuova terapia. Di seguito vengono esposte le strategie per la gestione della malattia recidivante.

Se la prima recidiva avviene dopo un periodo di remissione di almeno 6 - 12 mesi, la prima strategia è di riutilizzare la terapia che ha indotto la remissione la prima volta. Approssimativamente il 50% dei pazienti raggiunge la seconda remissione con la medesima terapia che ha indotto la prima. Questo è riscontrabile soprattutto in pazienti in remissione per più di un anno dopo la terapia di induzione. Per esempio, un paziente che ha ricevuto un trattamento con MP ottenendo la remissione può ricevere nuovamente MP.

Se la remissione è durata meno di 6 mesi è richiesta una terapia alternativa. Una nuova terapia è richiesta anche nel caso in cui la recidiva si è verificata dopo il secondo o terzo utilizzo del farmaco

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Dimopolous M. - 1994). L’utilizzo del VAD ha un’importante ruolo in questo campo in quanto è l’unico trattamento che ha fornito soddisfacenti risposte sia in refrattaria che in recidiva.

Anche VELCADE® ha mostrato ottimi risultati nel trattamento per la recidiva. I risultati finali di uno studio che prevedeva l’arruolamento di 202 pazienti recidivati o refrattari già precedentemente trattati (mediamente 6 linee di terapie precedenti) sono stati presentati all’ASH nel 2002. Il tasso di risposta globale (CR + PR + MR) è stato del 35%. Come noto, la durata mediana della risposta era di 12 mesi e la sopravvivenza globale mediana di 16 mesi. Seguenti follow-up hanno rivelato una durata mediana della risposta di 12.7 mesi. In un altro studio (CREST) i pazienti trattati con VELCADE® avevano ricevuto una media di tre precedenti regimi terapeutici, incluso il trapianto di cellule staminali nel 48% dei casi. In tale studio, le risposte globali (CR, PR, MR) sono state del 33% e del 50% alla dose di 1.0 e 1.3 mg/m2. Basandosi su questi promettenti risultati, VELCADE® è stato approvato dall’FDA per il trattamento dei pazienti con mieloma multiplo che hanno ricevuto almeno due linee di terapie precedenti e hanno avuto progressione di malattia all’ultima terapia (Richardson, Barbogie et al. - 2003).

1.5.3.3 - Conclusioni Sul Trattamento:

La possibilità di ottenere una buona risposta con la combinazione di chemioterapia e di farmaci biologici ha creato due scuole di pensiero: una cerca di ottenere la massima risposta possibile nel tentativo di ottenere una guarigione del MM e adoperando tutte le armi possibili (chemioterapia, trapianto di midollo, farmaci biologici) come è il caso della cosiddetta “Total Therapy III” del gruppo di Barlogie di Little Rock. L’altra strategia tende invece a rendere il MM una malattia cronica attraverso una risposta a vari farmaci che si susseguono nel tempo e che non mostrano resistenza crociata. E’ chiaro che il primo approccio è più seguito nei pazienti giovani mentre il secondo è più usato nel

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trattamento del paziente anziano ma ambedue sono espressione dei grandi progressi che la terapia del MM ha fatto negli ultimi anni.

Nonostante questi progressi, ancora molti aspetti restano poco chiari. Soprattutto resta da definire la modalità di quantificazione della risposta al trattamento. Fino ad ora la valutazione della risposta è basata soprattutto sulla entità della riduzione della componente monoclonale ma i criteri di questa valutazione cambiano nei diversi centri. Di recente i gruppi trapiantologici hanno cercato di definire meglio i criteri per la definizione della risposta completa (Bladè et al. - 1998) ma un altro studio recente ha dimostrato che, almeno per quanto riguarda la risposta alla chemioterapia convenzionale, non ha alcuna importanza l’entità della riduzione della componente monoclonale ma quello che fa la differenza ai fini della sopravvivenza globale è la presenza o meno di progressione di malattia (Durie et al; 2004). E’ chiaro quindi che occorre meglio definire i criteri di risposta ed occorre continuare sulla strada di una ricerca di nuovi farmaci sulla base delle conoscenza biologiche della malattia mielomatose (Di Raimondo et al.).

1.6 - Patogenesi

I primi studi atti a identificare le cause molecolari che stanno alla base patogenesi del mieloma multiplo, furono studi di citogenetica. In tali studi e mediante il contributo della tecnica FISH, è stato possibile identificare nelle cellule mielomatose una particolare instabilità cariotipica (Zandecki et al.). E’ stato osservato che tale instabilità cariotipica e la frequenza con cui essa si presenta, sono correlati allo stadio, alla durata e alla risposta al trattamento della malattia.

Le alterazioni genetiche riscontrate negli affetti da mieloma, sono di ogni tipo: parziali delezioni, traslocazioni, aneuploidie, disomie, poliploidie, che coinvolgono circa 20 cromosomi. Sono state osservate

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ras, con frequenza variabile tra il 15% e il 30% dei casi, che aumenta

negli stadi più avanzati della malattia. Tuttavia i due fenomeni che sembrano avere maggior importanza prognostica nella patologia sono rappresentati dalle delezioni osservate sul braccio lungo del cromosoma 13 (13q) e soprattutto dalla frequenza di traslocazioni nella regione 14q32.

Le traslocazioni nella regione 14q32, riscontrata in più del 90% delle cellule mielomatose e nel 50% degli affetti da MGUS, rappresenta probabilmente uno degli eventi più significativi in buona parte dei tumori del sangue e soprattutto nel mieloma multiplo (Bergsagel PL et al, 2001). Esse coinvolgono la regione del cromosoma 14 che codifica per le catene pesanti delle immunoglobuline (IgH). Dai molti studi realizzati su affetti da mieloma (in vari stadi della malattia) e nel MGUS, si è osservato che le traslocazioni 14q32 coinvolgono diversi cromosomi e diverse sequenze geniche di importanza rilevante, implicate nei meccanismi di regolazione del ciclo cellulare e non solo. Tuttavia queste traslocazioni da sole non rappresentano l’evento scatenante in grado di convertire una plasmacellula B in una cellula mielomatosa (Kuppers R et al). Infatti l’incidenza con cui queste traslocazioni si verificano variano con la progressione della malattia e inoltre, quelle che coinvolgono i loci del gene per le catene pesanti delle immunoglobuline (IgH), sono state identificate anche in cellule di individui sani (Pratt , 2002).

Si è osservato , che nelle molteplici traslocazioni 14q32, Il gene IgH di tale regione, può subire alterazioni specifiche che determinano la traslocazione, anche se con bassa frequenza, di parti intere o di intere sequenze oncogeneniche: c-myc, bcl-2, bcl-1 all’interno o in prossimità del suo locus. Ne consegue la deregolazione dell’espressione di tali oncogeni e la produzione di alti livelli del loro trascritto. Per quanto riguarda c-myc , alcune indagini molecolari hanno dimostrato un incremento del suo trascritto in linee cellulari di pazienti affetti da mieloma. La proteina prodotta da c-myc in elevata quantità ha un ruolo determinante nella trasformazione neoplastica, aumentando la proliferazione. Anche l’oncogene bcl-2 esprime un’elevata quantità del

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prodotto di trascrizione in circa il 75% dei pazienti affetti da mieloma. Tale oncogene sarebbe in grado di prevenire l’apoptosi e quindi determinerebbe un prolungamento della vita delle cellule mielomatose. Sono state individuate anomalie anche a carico della famiglia dei geni soppressori p53 e del gene del retinoblastoma Rb1 (presente sul q13, questo cromosoma come il 14 sembra avere,una stretta correlazione con la patogenesi del mieloma). L’assenza di questi geni o l’alterata trascrizione delle relative proteine induce un aumento incontrollato della proliferazione. Il gene soppressore p53 codifica per una fosfoproteina nucleare che è coinvolta nel controllo del ciclo cellulare. Mutazioni puntiformi a carico di un allele con perdita dell’altro allele sono state riscontrate nel 10 - 20% dei pazienti affetti da mieloma multiplo in fase avanzata o aggressiva, e in alcuni pazienti soprattutto in fase terminale. Nella fase avanzata della patologia un altro importante fenomeno è la perdita della proteina Rb1, una fosfoproteina nucleare codificata dal gene soppressore Rb1, che ha attività legante il DNA, ed è coinvolta nel controllo del ciclo cellulare e nella regolazione del gene per l’ interleuchina 6 (IL-6). La perdita di tale proteina è stata riscontrata nel 15% dei casi di mieloma multiplo.

La proliferazione e la differenziazione delle cellule linfoidi B avvengono per opere di alcune citochine, responsabili in un primo momento dell’attivazione e dell’espansione del compartimento cellulare B, e in un secondo momento della sua maturazione in plasmacellule secernenti immunoglobuline. E’ l’interleuchina 6 (IL-6) che ha l’importante ruolo di guidare la differenziazione delle cellule B in plasmacellule. Questa importante molecola viene prodotta dai linfoblasti, monociti, linfociti T e dalle cellule stromali del midollo (cellule endoteliali, fibroblasti,macrofagi). Questa citochina rappresenta il principale fattore di crescita delle cellule mielomatose. La produzione e l’azione dell’ IL-6 e la sensibilità delle plasmacellule alla stessa, sono regolate dall’espressione di altre citochine: IL-1 α e β, Tumor Necrosis Factor α e β (TNF), Granulocyte-Monocyte Colony Stimulating Factor (GM-CSF). L’ IL-1α e β e il TNF-α stimolerebbero il rilascio di IL-6, non

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cellule stromali. Pertanto la crescita delle plasmacellule mielomatose è favorita sia da un meccanismo autocrino, mediato dall’IL-6 prodotta dalle stesse cellule mielomatose, sia con un meccanismo paracrino mediato dall’IL-6 prodotta dalle cellule stromali. La produzione autocrina di IL-6 da parte delle plasmacellule mielomatose è il risultato di una inattivazione di Rb1, che ha il ruolo importante nella soppressione della trascrizione del gene per l’ IL-6 (Bonadonna et al. - “Medicina Oncologica” - 2003).

Nonostante la mole di analisi citogenetiche e molecolari effettuate negli ultimi anni in ematopatie come il mieloma multiplo, abbiamo solo importanti risposte riguardo le alterazioni cariotipiche nelle fasi avanzate della malattia, ma risultano ancora sconosciuti i meccanismi iniziali e trasformanti della patologia. Nell’imminente futuro importanti risultati possono essere raggiunti a partire dallo studio delle mutazioni dei geni coinvolti sia nella riparazione del DNA che nel metabolismo.

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Figura 1.17 - Instabilità Genomica nel MM

Il MM Noniperploide probabilmente si verifica,nel GC, in seguito ad errori durante i maeccanismi di specificazione delle cellule B, come il riarrangiamento genico e l’ ipermutazione somatica. Questi errori si originano da traslocazioni primarie, che pone diversi oncogeni sotto il controllo di promotori situati nel locus IgH all’interno della regione 14q32. Queste traslocazioni rappresentano l’evento oncogenico primario che potrebbe dar vita all’ MGUS. Essi inoltre risultano coinvolte nella deregolazione dell’ espressione di un tipo di clicline D (CCND). Per il MM iperploide,gli eventi iniziali sono sconosciuti, ciò che sembra chiaro è che tali eventi culminano con una aneuploidia. La cellula maligna in genere presenta una trisomia, ciò è quello che si è visto nello stadio di MGUS. Cyclin D1 è regolato a valle a bassi livelli di espressione, ciò si verifica nella maggior parte dei tumori iperpolidi. Le conseguenze di questa downregulation sono sconosciute. Delezioni nel cromosoma 13 sono state individuate nello stadio MGUS di entrambe i tipi di mieloma. Mutazioni in Ras si ritrovano raramente in MGUS, mentre sono rappresentative degli stadi più avanzati della patologia. Le traslocazioni secondarie aumentano con l’aumentare della progressione della malattia e delezioni in p53 sono predominanti in tumori extramidollari e HMCLs.

EM: extramidollare; GC: centro germinale; HMCL: Human myeloma cell lines; Ig:

Immunoglobulina; mieloma multiplo; PCL: Plasma cell leukemia; SMM: Smouldering multiple myeloma. (Wee Chng & Rafael Fonseca, Pharmacogenomics 2005).

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1.6.1 - Traslocazioni IgH nel mieloma multiplo

Sono stati individuati almeno tre enhancers che regolano la trascrizione del gene per le catene pesanti delle immunoglobuline (IgH): l’enhancer intronico (Eµ) localizzato nell’introne tra JH e la regione di scambio µ (Sµ); e due promotori forti in 3’ localizzati a monte delle regioni costanti α (Eα1 e Eα2). Nel linfoma follicolare i punti di rottura nelle traslocazioni riguardanti la regione IgH, si verificano nella regione VDJ. Nel mieloma invece, i punti di rottura si osservano in regioni di scambio non codificanti o caratterizzate da sequenze di DNA altamente ripetuto localizzate nella regione costante in 5’ (solo occasionalmente si verificano nella regione JV). Come abbiamo già detto in precedenza il risultato di traslocazioni riguardanti regioni di scambio in prossimità di enhancers, provoca la distribuzione di essi all’interno dei due cromosomi derivanti dalla traslocazione e allo stesso tempo permette a tali enhancers di mal regolare l’espressione di oncogeni presenti su entrambe i derivati cromosomici (fig. 1.16). Ciò è vero per le traslocazioni più ricorrenti, ad esempio nella traslocazione t(11;14) gli oncogeni regolati in maniera anomala sono

CCD1 (ciclina D1) su der(14) e myeov (myeloma overexpressed

gene) su der(11), mentre nella traslocazione t(4;14) gli oncogeni coinvolti sono FGFR3 (encodes fibroblast growth factor 3 receptor) su der(14) e MMSET su der(4). Sono state clonate le regioni codificanti per IgH contenenti i punti di rottura (al livello dei quali si concretizzano le traslocazioni) e si è osservato che le più comuni traslocazioni sono caratterizate da tre tagli , due nel locus IgH e uno sul cromosoma con cui avviene lo scambio (fig. 1.18) (Bergsagel PL et al;G Pratt).

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Figura 1.18 - Traslocazioni in 14q32 associate al MM

Le rotture avvengono in due regioni di scambio in 14q32. Gli enhancers sono presenti in entrambe I cromosomi ottenuti dalla traslocazione.Tale fenomeno causa la

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1.7 - Farmacogenetica e chemioterapia tumorale

Nella popolazione umana l’ utilizzo di una terapia standard, per curare una patologia tumorale come il MM, può rivelare, in un gruppo di pazienti, una evidente eterogeneità sia in termini di efficacia (risposta) che di tossicità ai farmaci. I fattori genetici rivestono un ruolo determinante in questa eterogeneità, modulando l’efficacia e la tossicità, in ogni individuo, ad un protocollo chemioterapico.

La Farmacogenetica si pone l’importante obiettivo di predire la risposta di un tessuto tumorale o normale ad una terapia standard, sulla base di un profilo genetico; ciò ci metterebbe in condizione di selezionare il farmaco più indicato e in dosi ottimali per ogni singolo paziente. Più semplicemente la farmacogenetica ci consente di individuare la terapia più efficace per un paziente affetto da neoplasia, in base al suo genotipo.

Il punto di partenza per un tale studio, è dunque la genotipizzazione dei campioni in esame, nel nostro caso pazienti affetti da MM.

La genotipizzazione viene effettuata in base all’analisi di polimorfismi a singolo nucleotide (SNP) in geni i cui prodotti agiscono:

a monte dei siti bersaglio dei farmaci: proteine addette al trasporto di farmaci (MDR1), enzimi di fase I e II addetti al metabolismo dei farmaci.

a valle dei siti bersaglio dei farmaci: enzimi addetti al metabolismo e alla biosintesi del DNA, enzimi della riparazione del DNA e proteine del fuso mitotico.

L’efficacia di un farmaco o di una chemioterapia, così come la sua inevitabile tossicità nei tessuti tumorali e non, sono caratteri

Figura

TABELLA 1.1 - Mieloma e gammopatia monoclonali correlate  NOME  STANDARD  NUOVO NOME PROPOSTO  DEFINIZIONE  MGUS  (Gammopatia  monoclonale  di incerto  significato)  MGUS  (es
Figura 1.2 - ESP di un paziente affetto da MM
Figura 1.3 - Immunoglobulina
Figura 1.4 -  Fasi Della Malattia                      10        ASINTOMATICO                    SINTOMATICO                                                                                                      Ricaduta
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