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C APITOLO 17. B REVI NOTE SU ALCUNE TOMBE MINORI O DI INCERTA DATAZIONE

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C

APITOLO

17. B

REVI NOTE SU ALCUNE TOMBE MINORI

O DI INCERTA DATAZIONE

§ 1. Premessa

Oltre alle tombe prese in esame, un nutrito gruppo di sepolcri ha per diverse ragioni ricevuto un’attenzione minore da parte degli studiosi, ragion per cui oggi la bibliografia a disposizione su questi monumenti è estremamente limitata.

In alcuni casi si tratta di tombe di grandi dimensioni e dal notevole valore storico, perché i nomi dei loro proprietari si sono conservati (il Visir Amenhotep, l’Intendente Ramose, l’Intendente in Menfi Ipy), ma che nessuno egittologo ha mai studiato con scavi e rilievi approfonditi.

In altri casi, l’attribuzione delle sepolture al periodo preso in esame ha seguito criteri puramente stilistici o architettonici, quelli in generale formulati da F. Kampp nella sua importante opera sulle tombe tebane (Kampp -277-, -281-, TT 152, TT 275, Amenhotep figlio di Hapu). Queste tombe, però, in mancanza di iscrizioni o reperti archeologici databili con certezza hanno un valore storico assai più limitato.

Un terzo gruppo di sepolture può essere datato alla tarda XVIII dinastia, ma senza giungere a maggiore precisione (TT 254, pozzo Deir el-Medina 1138). Senza espliciti riferimenti all’Aten, purtroppo, si deve escludere che appartengano al regno di questo sovrano, ma potrebbero risalire agli anni immediatamente successivi.

Un’ultima tomba (Kampp -162-), di grande importanza, è stata scavata dall’Università di Heidelberg fra 1990 e 1993 e attende di essere pubblicata.

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§ 2. Amenhotep, Visir del Basso Egitto (Kampp -28-)1,

Nella necropoli dell’Asasif, esattamente a N-W della tomba di Kheruef (TT 192) e con questa direttamente confinante, il Visir Amenhotep fece costruire la propria monumentale tomba, che con quella di Kheruef condivide non solo la posizione, ma anche a grandi linee le caratteristiche architettoniche.

Un grande cortile, più largo ma più corto di quello di Kheruef, porticato sui due lati paralleli all’asse di simmetria, conduceva ad una grande sala trasversa di 31,90 x 11,96 m, il cui soffitto di 381 m2 era sostenuto da ben 36 colonne. Oltre la sala trasversa si può solo ipotizzare l’esistenza di un corridoio, come nelle tombe contemporanee (TT 192, TT 55, TT 48).

Nulla si sa sulle camere ipogee e persino le decorazioni delle pareti ci sono ignote: nessuna indagine archeologica è mai stata effettuata in quella che viene qualificata come la più grande tomba della XVIII dinastia a Tebe.

Solo alcune iscrizioni frammentarie del soffitto sono state copiate e tradotte da A. Gordon negli anni ‘80 del secolo scorso. Le più lunghe fra di esse si riducono a pochi segni geroglifici e le riportiamo qui: “Parole dette dal Cielo

inferiore, il grande […] (per) il Principe ereditario e Governatore, la bocca che pacifica l’intera terra, Controllore [dell’Alto e del Basso Egitto], Sovrintendente a tutti i lavori nei grandi monumenti, Direttore della Casa dell’Oro, che emette [ordini per i cortigiani, Governatore della Città e Visir, Amenhotep, giusto di voce]” (sala trasversa, soffitto settentrionale); “[…] (per) [il Principe ereditario e Governatore], amato Padre del dio, consigliere privato del Palazzo, grande capo nella terra [intera], [sacerdote-sem, controllore dei] gonnellini cerimoniali, il favor[ito che p]arla in [confidenza…] [Governatore della Città e Visir, Amenhotep, giusto di voce]” (sala trasversa, soffitto centrale); “Parole dette da Nut, la grande e perfetta: «O Osiri […] al dio buono per il ka del Principe ereditario e Governatore, [colui che il R]e dell’Alto Egitto [ha glorificato], colui che il Re del Basso Egitto ha reso eccellente, colui il cui posto il Signore delle Due Terre ha avanzato […] del Signore delle [Due] Terre, il Governatore della

1 EIGNER D., Das thebanische Grab des Amenhotep, Wesir der Unterägypten: die Architektur, pp.

39-50; GORDON A., The tomb of the Vizier Amenhotep at Thebes, in MDAIK 39 (1983), pp. 73-90;

GORDON A., Who was the Southern Vizier during the Last Part of the Reign of Amenhotep III?, in

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Città e Visir, [Am]enhotep, [giusto di voce]»” (sala trasversa, soffitto

meridionale).

Non occorre qui ritornare sulla questione del Visirato di Amenhotep in relazione con quello di Ramose: se ne è già discusso al Capitolo 9. Ricorderemo qui che gli altri monumenti lasciati da questo Visir sono le etichette di giara di Malqata (datate all’anno XXX)2, due sculture rinvenute a Bubastis3 e, forse, uno dei santuari di Amenhotep III a Gebel el-Silsileh (anno XXXV)4.

I paragoni architettonici con altre sepolture collocherebbero la realizzazione della tomba alla fine del regno di Amenhotep III, nell’epoca in cui Kheruef, Nefersekheru, Ramose, Amenhotep figlio di Hapu (?) e Amenemhat Surer scavavano i propri ipogei. Sulla base di attente osservazioni D. Eigner ritenne che il portico meridionale della corte del Visir fosse stata tagliato dopo il corridoio a pilastri di Kheruef; secondo A. Gordon la costruzione non venne continuata sotto il regno di Amenhotep IV, in quanto – benché non terminata – era già sufficientemente avanzata da ospitare la sepoltura del Visir5.

§ 3. Amenhotep figlio di Hapu (Kampp -396-)6,

Questa tomba, situata nella Qurnet Murai, potrebbe appartenere al famoso Amenhotep figlio di Hapu, della cui possibile parentela con il Visir Ramose si è discusso al Capitolo 9. La sepoltura è stata descritta da D. Bidoli negli anni ‘70 del secolo scorso, ma nella sua ricognizione una ventina di anni dopo F. Kampp non fu in grado di identificarla con precisione “da seine Lokalisation zu ungenau

beschrieben ist”7. La struttura si deve trovare immediatamente ad W della tomba Kampp -281-, probabilmente al di sotto di un gruppo di case (l’intera collina di Qurnet Murai è densamente edificata: le TT 40 e 271, già discusse, sono effettivamente inglobate nelle abitazioni moderne).

2HAYES W.C., Inscriptions from the palace of Amenhotep III, in JNES 10 (1951), p. 100, nr. 103 e

185.

3 NAVILLE E., Bubastis, Egypt Exploration Fund Memoirs 8, Egypt Exploration Society, London

1891, pp. 31-33, tavv. XIII, XXXVE-F.

4 LEGRAIN G., Notes d’inspection, in ASAE 4 (1903), p. 198.

5 GORDON A., The tomb of the Vizier Amenhotep at Thebes, in MDAIK 39 (1983), p. 78.

6 BIDOLI D., Zur Lage des Grabes des Amenophis, Sohn des Hapu, in MDAIK 26 (1970), pp.

11-14, tav. VII; KAMPP, pp. 766-67. 7 KAMPP, pp. 766.

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Amenhotep figlio di Hapu, un uomo molto influente della corte di Amenhotep III, pare sia morto intorno all’anno XXXV di questo re e quindi che non abbia conosciuto il regno di Amenhotep IV. Nonostante ciò, F. Kampp ritiene di poter estendere la datazione della tomba agli ultimi anni di Amenhotep III e ai primi del successore. Gli indizi sono tutti di ordine architettonico: finestre nella sala a pilastri, imboccatura dello sloping passage all’estremità sinistra della sala trasversa, caratteristiche della corta epoca di passaggio prima di (cfr. TT 192) o subito dopo l’Età amarniana (cfr. TT 271).

§ 4. Ramose, Intendente dell’Hut-pa-Aten (TT 46)8,

Nella vasta necropoli di Sheikh Abd el-Qurna diversi funzionari vissuti all’epoca di Amenhotep III decisero di costruire la propria tomba; fra di essi un secondo Ramose, politicamente meno potente dell’omonimo Visir, ma con una disponibilità finanziaria comunque non indifferente, fece scavare la tomba che nel catalogo di Gardiner e Weigall assunse il numero 46. Essa si trova poche decine di metri a N-W della TT 55.

L’analisi condotta sul campo da F. Kampp nel 1990 rivelò l’esistenza di due fasi edilizie nettamente identificabili: l’originaria tomba di fine XVII-inizio XVIII dinastia prevedeva una facciata a portico con sei pilastri, un corridoio e una camera interna trasversale. Sul soffitto e sul muro W dell’ingresso del portico si ha ancora qualche resto sbiadito della decorazione di colore rosa e grigio-azzurro. Le scene purtroppo, in queste circostanze di degrado, non sono leggibili. Ramose dispose poi la trasformazione del corridoio in un’ampia sala a otto pilastri (non terminati), su uno dei quali si può ricostruire il cartiglio, parzialmente distrutto, di Amenhotep III.

L’avancorte è distesa in massima parte sotto le macerie, mentre l’architettura del portico, i passaggi dei cui pilastri vennero chiusi con muri di mattoni in età sconosciuta, ma probabilmente nel XIX secolo, ricorda i modelli pressoché contemporanei di Kheruef (TT 192) e Nefersekheru (TT 107).

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Il pozzo disegnato da N. Davies nei suoi manoscritti e collocato nell’angolo di sinistra della sala trasversa originaria, alla fine del corridoio, risale con ogni probabilità alla prima fase di utilizzo. L’esistenza di altri ambienti ipogei è per ora sconosciuta.

La decorazione, mai pubblicata sistematicamente, presenta un’iconografia piuttosto standard: la moglie offre unguenti al defunto per la festa del nuovo anno, testi che menzionano il deceduto come cantante della regina Ahmose Nefertari (faccia S del primo pilastro ad E del portico); un uomo offre al defunto e alla moglie (?) (angolo W della parete N del portico); il defunto adora Osiri (parete N, porzione E, della sala a pilastri). Sui pilastri le scene non sono meno stereotipe: defunto che offre con un incensiere, ora con un figlio, ora con la moglie in adorazione; tre donne con sistri; il defunto purificato; ancora il defunto e la moglie si muovono “per vedere l’Aten”. Quest’ultima espressione, benché non inusuale anche in epoche precedenti, avvicina Ramose all’Età amarniana, nella quale egli fu certamente coinvolto, come dimostra una evoluzione del titolo di “Intendente dello Hut-Amon-Signore-degli-dei” in “Intendente dell’Hut-pa-Aten”. La menzione del tempio tebano eretto da Amenhotep IV per il Disco precisa che Ramose sopravvisse ad Amenhotep III e continuò a servirne il figlio almeno fin verso agli anni III-IV.

Un Intendente della Casa di Nebmaatra è attestato ad el-Amarna e possiede la tomba AT 11; il titolo non corrisponde con quelli di Ramose TT 46 e così nessuno dei titoli di cui i due uomini si fregiano, però testimonia di un legame fra il funzionario amarniano e l’«Ancient Régime»; purtroppo il Ramose amarniano non ci dà informazioni da confrontare con il suo omonimo tebano riguardo alla propria famiglia.

§ 5. Ipy, Scriba reale e Intendente in Menfi(TT 136),

Classificata da Porter-Moss9 come la sepoltura di un anonimo scriba reale della XIX dinastia e analizzata da F. Kampp10 come un’usurpazione ramesside di

9 PM I 1, p. 251, mappa a p. 248.

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una tomba della XVIII dinastia, TT 136 ha ricevuto recente attenzione con un breve saggio di A. Grimm e H.A. Schlögl11.

La tomba, ora completamente inserita in un complesso abitativo che ne cela l’accesso (tav. XXVIa), si compone di una prima sala trasversa a pilastri osiriaci12, di un corridoio della lunghezza di 7 m ca. e di un santuario13 (tav. XXVIb).

L’unica decorazione, oltre all’aspetto mummiforme dei pilastri, è costituita dai rilievi sui due lati del passaggio d’ingresso, dove due figure del defunto in piedi, in atteggiamento orante, sono poste davanti ad alcune colonne di testo (tav. XXVIIa-b). Le lacune, la mancanza di luce, l’intonaco di fango che in alcuni tratti copre i rilievi e lo stato di conservazione della superficie rocciosa permettono solo con grande difficoltà di ricostruire il testo. Secondo quanto affermato dai due studiosi è possibile riconoscere alcuni dettagli di grande importanza: 1. l’esistenza di un palinsesto originale di Età amarniana al di sotto di una riscrittura più tarda e meno accurata; 2. l’esistenza di un graffito con scena di adorazioni osiriaca, anch’esso opera dell’usurpatore ramesside, sulla parete di destra, al di sopra delle colonne di iscrizione; 3. la presenza di un cartiglio graffito di Amenhotep IV, sempre sulla parete di destra, alle spalle della figura del defunto; 4. il nome del proprietario originale e dell’usurpatore, sulla stessa parete.

La parete di destra del passaggio d’ingresso, dunque, concentra la maggior parte dell’interesse di questa tomba. Nella prima si leggerebbe, secondo gli editori, l’originale “pA ’Itn”, ‘l’Aten’, trasformato in: “[dwA] Rcw”, ‘Adorazione di

Ra’. Dopo una lacuna, il testo proseguirebbe: “dỉ=ỉ t mw ḥbs (n) ḥqr (n) ỉb (n)

ḥAw”, ‘Io ho dato pane, acqua (e) vesti a colui che era affamato, assetato e nudo’.

Il resto dell’iscrizione si presenta pressoché illeggibile, tranne i nomi del possessore originario e dell’usurpatore: indicati da Grimm e Schlögl rispettivamente in Ipy e Ipuankhu.

Al di sotto e a fianco dell’iscrizione si vede un’immagine del defunto con le braccia in avanti in segno di adorazione: a torso nudo, con un piccolo collare e

11 GRIMM A. – SCHLÖGL H.A., Das thebanische Grab Nr. 136 und der Beginn der Amarnazeit,

Harrassowitz Verlag, Wiesbaden 2005.

12 Gli editori propongono di identificare queste figure osiriache con quelle del sovrano, sulla base

di paragoni più o meno puntuali, ma, a nostro avviso, inifluenti (colossi tebani, stele funerarie di Deir el-Medina, sculture di divinità, etc.).

13 A tav. XXVIb si fornisce una mappa della cappella più dettagliata dello schizzo fornito da

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un corto gonnellino. Gli occhi a mandorla sono caratteristici della fase artistica del tardo Amenhotep III e fino ad Horemheb; lo stato di conservazione della figura non permette di vedere l’inclinazione del ventre, un segno inequivocabile dello stile amarniano. Alle spalle di questa figura, tracciato in maniera assai leggera, è graffito il cartiglio di Akhenaten: (Neferkheperura Uaenra)|.

Sulla parete sinistra la figura del defunto è quasi completamente cancellata, tranne per parte del piede e della lunga tunica. Il testo recita: “(1) [Lo

scriba reale] del Signore delle Due Terre, [Ipy], giusto di voce, [Egli dice:] “[…] Signore [dell’Orizzonte], come sei bello! (2) [Tu] sei giunto, [tu ti alzi in alto]. La tua barca [scivola là?], mentre essa guarda nel cielo inferiore. Tu attraversi il cielo, il tuo nemico è sconfitto, il tuo volto è indirizzato (3) verso l’Oriente […]. Il tuo Ba è solido e il [tuo] potere è esaltato, le tue doppie piume ti guidano nella via oscura. (4) Tu puoi sentire il giubilo e l’esultanza, che sono nella tua barca. Tu hai il cuore colmo di delizia, il Signore dei cieli si è congiunto con la felicità. I Grandi del Duat giubilano […]”.

Tutti questi elementi sono della massima importanza, tuttavia vanno discussi puntualmente, perché in alcuni casi sono imprecisi o erronei:

1. In realtà, sia dall’osservazione autoptica sia dall’analisi delle fotografie scattate in occasione di una ricognizione nel novembre e dicembre 200614, non sembrano esserci tracce di due scritture sovrapposte. La superficie rocciosa è molto rovinata e ciò che gli autori indicano come il geroglifico del Disco solare (Gardiner N 5) a determinativo poi cancellato di “’Itn” è chiaramente una scalfitura della pietra di forma vagamente rotonda.

14 Il 27 novembre e il 7 dicembre 2006. L’accesso, situato verso N-N-W, è ben addentro la casa di

un certo Hassan Omar Akhmed, venditore di souvenir presso la tomba di Ramose. Nella sala trasversa quattro pilastri osiriaci: i due a destra integri, il successivo verso sinistra inglobato in un muro più recente (fine XIX secolo?), il quarto distrutto. La metà meridionale della sala trasversa è occupata da un muro: fino al soffitto dall’ingresso alla fina di pilastri, alto circa 1,50 m dalla fila di pilastri all’imboccatura del corridoio. La porzione merdiionale del corridoio è interessata da un crollo seguito all’apertura di un varco, probabilmente vero una tomba vicina. La tomba si presenta completamente annerita dalla fuliggine. Dal santuario si apre, a sinistra all’altezza del pavimento, un buco della larghezza di 0,70 m, aperto a suo tempo da saccheggiatori e che conduce ad un corridoio. Qui vi è una camera finemente dipinta con scene di divinità, un pozzo e ovunque resti di bende e di mummie. Potrebbe trattarsi della tomba Kampp -290-, che però la studiosa tedesca non descrive né stende in pianta. Da un’altra apertura del santuario, inaccessibile in quanto coperta dal letto del proprietario, secondo gli occupanti si apre una seconda tomba di grandi dimensioni (forse Kampp -529-, parimenti non descritta né mappata). La tomba è usata come ripostiglio e luogo di riposo ed è modestamente ammobiliata. Il proprietario assicura essere fresca d’estate e calda d’inverno; prenderci il tè è effettivamente un’esperienza piacevole.

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2. Il graffito di adorazione “osiriaca” come riportato da Grimm e Schlögl non corrisponde all’originale. In esso vi è una divinità seduta in trono al di sotto di un baldacchino e fronteggiata da almeno due persone, la prima delle quali è un uomo con gonnellino e il braccio sinistro lungo il corpo (e non in avanti in posa orante). Della seconda figura si vede solo il braccio destro steso in avanti verso il basso. La divinità seduta non può essere identificata con Osiri, innanzitutto perché non se ne vede il volto, in lacuna, e nemmeno la tipica corona piumata; il dio, inoltre, stende in avanti il braccio afferrando uno scettro wAs: essendo mummiforme, l’iconografia di Osiri prevede che le braccia siano sempre aderenti al corpo (dal bendaggio escono solo le mani), sia che tenga in mano pastorale e flagello sia che abbia scettri più lunghi come lo wAs:

Figura 1. Graffito con adorazione divina, parete N del passaggio d’ingresso

3. Sulla presenza del cartiglio possiamo solo affermare che il tratto è veramente leggero e i segni sono irriconoscibili a una visione superficiale; durante la ricognizione non è stato possibile identificarlo.

4. La lettura del nome del proprietario si presenta in verità molto dubbia: l’unico segno chiaramente riconoscibile è lo ỉ (Gardiner M 18); immediatamente a destra si può vedere la parte superiore del geroglifico dell’uomo seduto (Gardiner A 1); dove gli editori collocano il segno p (Gardiner Q 3) la superficie è invece

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chiaramente liscia, e dove collocano i due trattini (Gardiner Z 4), la lacuna non permette alcuna lettura. Infine, leggere il nome del secondo proprietario mantenendo la prima parte come “Ip-” non è possibile, perché l’inizio della colonna successiva, dove si dovrebbe trovare la seconda parte del nuovo nome (“-uankhu”), è in lacuna per almeno un modulo quadrato e, se il pulcino di quaglia è una lettura verosimile, il segno cnḫ non è possibile per due motivi: manca il

trattino orizzontale; l’ovale “a goccia rovesciata” di supposto Gardiner S 34 ha invece una forma spigolosa e “a goccia diritta”, che lo avvicina di più a Gardiner V 16 (sA), P 6 (ḫsf) o U 34 (cḥc); considerando i segni successivi, potrebbe vi si potrebbe leggere cḥcw, ‘durata di vita’.

L’intero testo di questa parete è in realtà trascritto con diverse imprecisioni: nelle due colonne precedenti a quelle trascritte, all’altezza del gomito del defunto, si possono leggere due parole parallele “[’I?]tn” e “nfr ’Imnt” che non vengono riportate; la prima parola della colonna è distintamente “nṯr.t” (la t finale non può far parte di un originale ’Itn, perché appartiene al modulo superiore), il segno Gardiner V 28 (ḥ) in ḥqr, ‘affamato’, è frutto di un’integrazione, perché il quel punto la parete è patentemente liscia; l’ideogramma Gardiner X 2 per ‘pane’ e il complemento fonetico t sono in realtà ricostruzione di una lacuna.

Anche il testo sulla parete sinistra del passaggio presenta alcuni problemi: - nella colonna (1) le letture “nb tA.wy”, “mAc ḫrw” e “nb”, integrate liberamente

da [sš nswt], [’Ipy] e [Aḫt], devono essere rigettate rispettivamente in favore di “[…]=k m” (lettura chiarissima) e “[…] Rc nb”; nella parte superiore del testo si

può leggere, con qualche dubbio, “’Itn”.

- alla fine della colonna (2) il termine “ḥr=k” è frutto di un’integrazione; si deve anche considerare che fra il supposto “ḥr=k” e “r ’IAbt” vi è una lacuna di almeno sei moduli; la lettura stessa di “r ’IAbt” è incerta e si propone in alternativa wAḏ (Gardiner M 13*).

- alla colonna (4) bisogna aggiungere in alto “[…] mA=s n […]” (Gardiner U 3 + Gardiner O 34 + Gardiner N 35).

- della colonna (5), di cui non si riporta nessuna trascrizione, si può leggere distintamente “ỉgr[.t] […] […]mr[…] […] dỉ […] s[…]”.

Se la lettura del cartiglio e delle tracce amarniane del testo sono corrette (oltre al caso, dubbio, indicato da Grimm e Schlögl, ve ne sono dunque altri due,

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sebbene incerti) la datazione della tomba alla XIX dinastia deve essere ridiscussa. Il termine “Aten” nell’inno rimanda senza dubbi al periodo attorno all’Età amarniana; il graffito del cartiglio, inciso rozzamente, non è però parte armoniosamente inserita nel programma decorativo: è un’aggiunta successiva, sicuramente entro il regno di Akhenaten e molto probabilmente entro la fase tebana di questo regno: chi avrebbe avuto interesse alla sua morte a scrivere il nome di un re che ci si stava sforzando di dimenticare (e in Età successiva si condannò all’oblio)?

Sebbene ritenga che la lettura Ipy sia scorretta, nel caso in cui non lo fosse si può abbozzare un’identificazione; questa tomba non ci restituisce alcun titolo, eppure Ipy non è un nome nuovo in ambito amarniano. Ad el-Amarna si conserva una tomba (AT 10) scavata per uno Scriba reale ed Intendente Ipy; gli scavi nel centro urbano condotti da L. Borchardt fruttarono al Museo di Berlino un bell’architrave in pietra (n. 21597), dove il proprietario è mostrato in adorazione dei cartigli dell’Aten (I forma) e di Akhenaten: egli è lo “Scriba reale e Intendente

a Menfi, Ipy. […] Sovrintendente all’Harem nel Palazzo Reale – vita, forza e salute – in Akhetaten, l’Intendente Ipy”15. Un ultimo testimone di questo Ipy, che dati gli incarichi non può che essere il figlio di quell’Amenhotep rappresentato nella TT 55 (egli è dunque il cognato del Visir Ramose), è la lettera da Gurob già citata al Capitolo 1 e precedente di una decina di giorni il cambiamento del nome del re attestato sulle stele di confine di Akhetaten:

“L’Intendente Ipy a Horo, [Possente] Toro, “Alto di piume”, Le Due

Signore “Grande di regalità in Karnak”, Horo d’oro “Che eleva le corone nella Heliopolis del Sud”, il Re dell’Alto e del Basso Egitto, vivente nella Maat, [il Signore delle Due Terre] (Neferkheperura)|, Figlio di Ra, vivente nella Maat

(Amenhotep Netjer-heqa-Uaset)|, durevole nella sua esistenza, possa egli vivere

per sempre, eternamente.

Possa [Ptah dall’] aria benigna, agire per te – Colui che ha creato la tua bellezza; il tuo vero padre, dal quale sei uscito per essere il Signore di ciò che l’Aten circonda. Possa [Egli] stendere le sue [braccia] e portare [per] te i [meridionali], prostrati [davanti] a te, mentre le terre [sono piene di] terrore. Possa Egli collocarli sotto i tuoi sandali, poiché tu sei l’unico Signore,

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l’immagine di Ra. [Finché] Egli splende in cielo, tu possiederai continuità ed eternità con vita ed anni pacifici.

[Questa è] una comunicazione [per il mio Signore], vita, forza e salute, per permettergli di sapere che il Tempio di tuo padre Ptah a-Sud-del-suo-muro è in buon ordine, e che le proprietà di Faraone, vita, forza e salute, sono in buon ordine e sicurezza. Le offerte per tutti gli dei e le dee che sono sul suolo di Menfi [sono state] tutte [distribuite], e niente è stato trattenuto, ma è stato offerto – puro, accettabile, approvato e selezionato – per la vita, la prosperità e la salute del Re dell’Alto e del Basso Egitto, vivente nella Maat, il Signore delle Due Terre

(Neferkheperura Uaenra)|, Figlio di Ra, vivente nella Maat (Amenhotep

Netjer-heqa-Uaset)|, [durevole] nella sua esistenza, che vive per sempre, eternamente. Questa comunicazione riguardo a ciò è data nel V anno di regno, terzo mese di peret, giorno 19”16.

§ 6. Nakhy, Servitore nella Sede della Verità (n. 1138)17,

Il pozzo venne scavato a Deir el-Medina nel 1919. Essendosi riempito poi di nuovo di terra e poiché la camera più interna non era mai stata scavata, B. Bruyère compì ulteriori scavi nel 1928.

L’architettura si compone in superficie di una corte quadrata di circa 10 metri di lato delimitata da muretti in parte distrutti. Qui si aprono, oltre al n. 1138, altri quattro pozzi. L’accesso al pozzo è sovrastato da una piramide in mattoni crudi con una cappella funeraria dalle pareti intonacate di fango e sabbia, ma senza decorazioni pittoriche, mentre la sagoma per una stele centinata è ricavata sulla parete di fondo. Diversi coni funerari rinvenuti nei pressi e dentro la tomba sono a nome di Nakhy, Servitore nella Sede della Verità (31 coni), di Nakhy e della moglie Nefertari (12 coni), di Amenuahmin18 e della moglie Merytra (28 coni).

16 MURNANE W.J., Text from the Amarna Period in Egypt, Scholars Press, Atlanta 1995, pp. 50-51. 17 PM I 2, p. 687.

18 La trascrizione di Bruyère riporta Amenuahsu, ma il fac-simile del cono sembrerebbe leggersi

chiaramente Amenuahmin; si tratta forse di una forzatura che lo studioso francese opera per identificare questo personaggio con quello citato nella stele Torino n. 1586 di cui si parlerà più oltre.

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Il pozzo rettangolare, dotato di qualche gradino iniziale e con pareti di pietra e intonaco di fango, scende al di sotto della piramide. Esso conduce ad una modesta camera, allargata in Età successiva a S e a N, a comunicare con le camere ipogee del pozzo 325. Nell’angolo N-W della camera si apre un secondo pozzo con qualche gradino che conduce a una camera dal soffitto voltato. Nell’ambiente del pozzo, a sua volta dotato di volta, si apre una piccola nicchia di natura probabilmente cultuale.

B. Bruyère propose di identificare questo Nakhy con quello nominato in diversi oggetti sparsi per i musei europei; in alcuni casi si tratta probabilmente di semplici casi di omonimia, perché non vi sono particolari corrispondenze fra i due personaggi. Egli nomina innanzitutto una stele torinese (n. 1586)19, scolpita in stile amarniano20, in cui Nakhy e la moglie Nefertari ricevono culto funerario da

parte dei figli e delle figlie: Amenuahsu21, Pair, Mahuy, Henutkha[….]u[…], Thutmosi, Paur, Ai, Merytra22 e Kay. Una stele conservata a Stoccolma23 non sembra avere attinenza con il nostro Nakhy, perché non è nominata la moglie né alcuno dei figli corrisponde con quelli della stele di Torino. Bruyère cita altre due stele entrambe conservate al British Museum: nella prima (n. 281)24 Nakhy e Nefertari sono rappresentati mentre adorano Osiri e Horemakhet; la seconda (n. 360)25, in stile amarniano, venne offerta da Nakhy a Pair (il figlio o un antenato omonimo?). Bisogna però ammettere che nessuna delle stele citate ha le misure adatte per entrare nella nicchia predisposta nella cappella della piramide.

Lo studioso francese nomina anche un cubito conservato ad Oxford (a Liverpool secondo il Porter-Moss)26, su cui è iscritta una formula ḥtp dỉ nswt ad Amon-Ra, Ptah e Thot in favore di Nakhy.

A questa documentazione si devono aggiungere un architrave di cappella funeraria al British Museum27 e un frammento di sedia ora disperso28. In questo

19 PM I 2, p. 726.

20 Nelle stele realizzate dalla classe medio-bassa di Deir el-Medina alcuni elementi dello stile

amarniano sembrano perdurare più a lungo, almeno fino alla XIX dinastia: crani allungati, occhi a mandorla, membra sottili. Questo criterio di datazione è quindi poco stringente.

21 Qui la lettura è certa, poiché il segno sw è scritto con il giunco (Gardiner M 23) e non con il

semplice chiavistello s (Gardiner O 34).

22 Senza alcuna necessità, Bruyère spiega l’omonimia fra la figlia di Nakhy e la moglie di

Amenuahsu: la ragazza era figlia di altre nozze fra Nefertari e un uomo sconosciuto e quindi sorellastra di Amenuahsu (e sposa senza incesto).

23 BRUYERE B., op. cit., p. 17. 24 Ibidem.

25 Ibidem.

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secondo oggetto il testo ricopiato provvidenzialmente da Brugsch recita: “Servitore nella Sede della Verità a ovest di Akhet-en-Aten, Nakhy”. J. Černý ritenne che questa fosse una testimonianza del perdurare anche in Età amarniana del termine “Sede della Verità” a significare la tomba reale e che provasse che questo luogo si trovasse allora ad el-Amarna. Notando la differenza fra Akhet-en-aten e Akhet-Akhet-en-aten, e ricordando alcuni edifici tebani, probabilmente un Palazzo residenziale di Amenhotep IV, M. Gabolde rigettò la seconda ipotesi, mantenendo in ambito tebano il toponimo. A questo punto cadrebbe anche l’osservazione di Černý, che obiettava come in realtà tutte le tombe amarniane si trovino sulla riva orientale. Molto interessante anche l’architrave della cappella funeraria (dal rapporto di Bruyère non sembra però mancare, per cui bisogna chiedersi se l’identificazione fra tomba e architrave sia corretta). In esso è scolpita una doppia rappresentazione di culto: da una parte ‘Ra-Horakhty che gioisce all’Orizzonte’, dall’altra Osiri Khentamentiu. A parte il sincretismo tipico dei primi anni del regno, la menzione del protocollo divino fuori dal cartiglio rimanda necessariamente a non oltre l’anno III di Amenhotep IV.

La datazione di Bruyère più o meno corrisponde: egli notava che l’uso dei coni funerari cessò temporaneamente con la fine della XVIII dinastia. R. Lepsius datava inoltre Amenuahsu all’epoca di Sethy I, quindi è corretto dire che Nakhy fosse della tarda XVIII dinastia. Ora, con la possibilità di discutere la datazione di Lepsius e con il dubbio se Amenuahsu fosse o meno figlio di Nakhy, questo elemento conta poco. L’architrave, cui va aggiunto il frammento di sedia, ci riporta ai primi tre anni di regno di Amenhotep IV.

§ 7. Kampp -277-29

Sebbene tracce del riutilizzo che ne venne fatto probabilmente in Età ramesside abbiano interferito con l’impianto originale della tomba, la datazione

27 GABOLDE M., D’Akhenaton à Toutânkhamon, Université Lumière-Lyon 2, Institut

d'Archéologie et d'Histoire de l'Antiquité, Lyon 1998, p. 25, n. 197; BIERBRIER M.L., Hieroglyphic Texts from Egyptian Stelae, Vol. X, The Trustees of the British Museum, London 1982, p. 10. 28 PM I 2, p. 748; BRUGSCH H., Geographische Inschriften altägyptischer Denkmäler, Verlag der

J.C. Hinrichs’schen Buchhandlung, Leipzig 1857, p. 274; PETRIE W.M.F., A History of Egypt. II:

During the XVIIth and the XVIIIth Dynasties, Methuen & Co., London 1896, p. 227; ČERNÝ J., A

Community of Workmen at Thebes in the Ramesside Period, IFAO, Cairo 20012, pp. 50-52;

GABOLDE M., op. cit., p. 28, n. 218. 29 KAMPP, pp. 752-53.

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può essere stabilita con relativa sicurezza fra la fine del regno di Amenhotep III e il regno di Ay, forse di Tutankhamen; ne danno indizio la concezione complessiva dell’architettura e gli scarni resti della decorazione.

Anche questa tomba si trova a Qurnet Murai come molte dell’epoca e come queste è utilizzata da una famiglia locale (la stessa che abita in Kampp -276-), che si serve dell’ampia corte come aia e della sala trasversa come fienile e pollaio.

Sopra la fronte della tomba si trovano i resti di una sovrastruttura in mattoni con cappella centrale (?), la cui forma precisa e le misure non sono più determinabili. Non essendosi conservato alcun angolo di inclinazione, una piramide non essere ricostruita con sicurezza, sebbene questo tipo di sovrastruttura è probabile.

L’interno rimasto incompiuto consiste di una gigantesca sala a pilastri con due file di dieci pilastri e due lesene ciascuna, una copertura piana e uno sproporzionatamente piccolo corridoio con nicchia nel muro di fondo. La fila di pilastri anteriore è quasi completamente distrutta. Il tipo di tomba con molteplici pilastri o file di colonne nella sala trasversa compare solo nella XVIII dinastia e all’interno di questo periodo quasi esclusivamente nel periodo fra Amenhotep III e Ay, il che fornisce un elemento datante significativo per questa tomba.

Sul muro a sinistra del corridoio si hanno non più precisamente identificabili resti di decorazione di colore rosso-bruno e di intonaco di fango nilotico, che sembra però appartenere alla fase di riutilizzo ramesside.

Lo sloping passage, che si apre all’estremità sinistra del muro W della sala trasversa, può datarsi alla XVIII dinastia; poiché ingombro di detriti non è ora percorribile. Un secondo sloping passage ha inizio a sinistra della nicchia della sala trasversa e, con diversi gradini, si sviluppa in un secondo, molto elaborato, ambiente ipogeo, con una sequenza di numerose camere; probabilmente la sua datazione è ramesside.

§ 8. Kampp -281-30

30 KAMPP, p. 755; EIGNER D., op. cit., in MDAIK 39 (1983), pp. 39-50, dove la tomba in questione

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La tomba si trova a Qurnet Murai, dove sembra sempre chiaro dagli studi recenti che diversi funzionari della tarda XVIII dinastia decisero di costruire le proprie sepolture. La forma della tomba suggerì a F. Kampp una datazione estesa fra la fine del regno di Amenhotep III e il regno di Ay, forse di Tutankhamen.

Le dimensioni della tomba sono notevoli: nella sala trasversa (26,50 x 7,85 m) vi è una doppia fila di otto pilastri ciascuna, che sorreggono una superficie di ben 208 m2 ca. La grande corte aperta è oggi integrata in un complesso abitativo e la maggior parte della facciata è infatti coperta dalle case moderne; tuttavia, l’apertura di quattro finestre è chiaramente riconoscibile31.

Qualche metro al di sopra della facciata si intravedono i resti amorfi di una sovrastruttura in mattoni di cui, però, nessuna misurazione può essere compiuta.

§ 9. TT 15232

Situata nella necropoli di Dra Abu el-Naga, la tomba ha una struttura molto semplice: da una corte di forma quadrata si accede ad una piccola sala trasversa e da questa a una camera grosso modo quadrata, con una nicchia sulla parete di fondo e l’apertura di uno sloping passage nell’angolo settentrionale verso N-W.

La tomba anonima viene datata in Porter-Moss alla tarda XVIII dinastia, riconoscendo una fase di usurpazione in Età ramesside.

F. Kampp ha potuto individuare diverse fasi di occupazione: le pitture sul soffitto della sala trasversa sono state applicate su un sottile strato di stucco di gesso e possono perciò risalire alla prima XVIII dinastia. A giudicare dai resti della decorazione, le pitture murarie nel corridoio possono risalire all’epoca di Amenhotep III oppure persino all’Età post-amarniana: nella stesura degli intonaci si possono distinguere fra una fase precedente all’Età amarniana (parte delle pitture del soffitto della sala trasversa) e una fase in prossimità dell’Età amarniana (fra pareti e soffitto del corridoio). Una fase di occupazione ancora più tarda è testimoniata da parte del soffitto del sala trasversa e parte della decorazione del corridoio.

31 KAMPP, p. 755, fig. 686.

32 PM I 1, p. 262; KAMPP, p. 440; WERBROUCKE M., Les Pleureuses dans l’Égypte ancienne,

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Le scene rappresentate nel santuario non forniscono ulteriori elementi di datazione: sulla parete meridionale, su due registri sovrapposti, sono rappresentati un uomo con offerte e un uomo con altare e braciere; sulla parete occidentale, disposti in tre registri, vi sono i resti di una scena di funerale con lamentatori verso Anubi e le dea dell’Ovest, e uomo con dei buoi.

§ 10. Sobekmose, Capo sacerdote-uab (TT 275)33,

La tomba venne scavata nella collina di Qurnet Murai da Sobekmose, che deteneva le cariche di Capo sacerdote-uab e di Padre divino nei templi di Amenhotep III e di Sokar.

Porter-Moss data la tomba all’Età ramesside, ma recentemente L. Gabolde ha spostato l’attenzione sulla costante cancellazione del teonimo, alzando la datazione all’Età amarniana. L’indagine poi portata avanti da F. Kampp in collaborazione con E. Hoffmann ha svelato l’ampiezza di questa vera e propria

damnatio memoriae le cui martellate hanno sfigurato anche il volto del

proprietario. Altre piccole cancellazioni riguardano nomi divini isolati.

In conclusione, F. Kampp sostiene che attraverso paragoni stilistici e in parte per l’insolito contenuto iconografico, la tomba può essere datata nella immediata epoca post-amarniana, anche se non è impossibile che Sobekmose fosse già in carica sotto Amenhotep III. In effetti, un Sovrintendente al Tesoro Sobekmose visse sotto Amenhotep III e lasciò un graffito ad Aswan assieme all’Intendente della Grande Sposa Reale Tiy Kheruef34, sebbene l’identificazione sia tutt’altro che certa.

La tomba si compone di una corte, una sala trasversa, un corridoio e un santuario dalla pianta cruciforme. Tre diversi sloping passage conducono a livelli sotterranei non indagati.

33 PM I 1, p. 352; GAUTHIER H., Rapport sommaire sur les fouilles de l’Institut Français d’Archéologie Orientale dans les nécropoles thébaines en 1917 et 1918, in ASAE 19 (1920), p. 8;

KAMPP, pp. 546-47; GABOLDE L., Autour de la tombe 276: Pourquoi va-t-on se faire enterrer à Gournet Mourai au début du Nouvel Empire?, in ASSMANN J. – DZIOBEK E. – GUKSCH H. – KAMPP F., Thebanische Beamtennekropolen. Neue Perspektiven archäologischer Forschung, Internationales Symposion Heidelberg 9.-13.6.1993, Heidelberger Orientverlag, Heidelberg 1995,

pp. 155-165.

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Fra i temi iconografici, spiccano, accanto a scelte più tradizionali (il defunto e moglie adorano Anubi e la Dea dell’Occidente, portatori di offerte, defunto e moglie con vaso da libagione, ancora defunto in adorazione di Hathor), un “ungewöhnlichen Szeneninhalte”: il defunto e la moglie adorano una mummia, riti funerari celebrati in un giardino, scene dal Libro delle Porte, Confessione

negativa.

§ 11. Parennefer/Unennefer, Primo Profeta di Amon (Kampp -162-)35,

,

Questa grande tomba venne rinvenuta dalla Missione dell’Università di Heidelberg nella necropoli di Dra Abu el-Naga nord solo nel 1990, a poca distanza dalle note tombe di Roy (TT 255), Shuroy (TT 13) e Huy (TT 14) (tav. XXVIIIa). Essa venne scavata da Parennefer, chiamato anche Unennefer, che detenne la carica di Primo Profeta di Amon sotto Tutankhamen, Ay e Horemheb. Si sospetta, a ragione, che sia il primo pontefice tebano dopo l’esperienza amarniana e quindi successore, dopo una decina d’anni di “sede vacante”, di quel May attestato nello Wadi Hammamat.

Fino allo scoprimento della tomba, il Primo Profeta di Amon Parennefer era menzionato in due varianti solo su due impronte di mattone, uno dei quali portato da R. Lepsius 1844-45 a Berlino. Da Lepsius deriva anche la datazione alla prima XVIII dinastia, ripreso poi da Lefebvre, desunta dalle numerose tombe della prima XVIII dinastia trovate nelle vicinanze. Egli evidentemente non aveva scoperto l’ingresso della tomba e quindi il suo giudizio non poté basarsi sulla decorazione.

La datazione in prossimità dell’Età amarniana venne avanzata da L. Manniche36 nel sostenere l’identità fra questo Parennefer e un Padre divino di Amon omonimo citato nella tomba di Neferhotep (TT 50). Ma poiché Parennefer nella sua tomba non porta mai il titolo di Padre divino di Amon, secondo F.

35 KAMPP, pp. 713-16; KAMPP F., Vierter Vorbericht über die Arbeiten des Ägyptologischen Instituts der Universität Heidelberg in thebanischen Gräbern der Ramessidenzeit, in MDAIK 50

(1994), pp. 175-188.

36 MANNICHE L., recensione di HARI R., La tombe thébaine du Père divin Neferhotep (TT 50),

(18)

Kampp questo tentativo di identificazione appare certamente più improbabile. In ogni caso un cartiglio di Horemheb ne coprì uno precedente di Tutankhamen, fornendo un elemento sicuro per la datazione.

Bisogna qui rinunciare a una descrizione in dettaglio della decorazione, poiché si attende ancora la pubblicazione e F. Kampp evitò di inserirla nel proprio volume perché troppo voluminosa. Fra le scene conservate – la tomba ha sofferto molti danneggiamenti – alcune sono molto simili a quelle della Tomba Reale di el-Amarna, con animali in adorazione del sole che sorge. Altre: un banchetto, imbarcazioni sul Nilo, un santuario con tre divinità e con Ahmose Nefertari e Amenhotep I. Il programma decorativo tematico e stilistico si orienta comunque verso il regno di Amenhotep III e l’Età amarniana. M. Gabolde cita anche una scena di adorazione del Disco solare mentre sorge da una collina: “Information

aimablement communiquée par K.J. Seyfried et F. Kampp lors d’une visite de cet hypogée en 1992”37.

L’architettura è piuttosto articolata e dimostra il livello di potere politico e la disponibilità economica del clero tebano dopo la morte di Akhenaten (si faccia un confronto con la minuscola tomba di Maya): un portico si apre sull’avancorte e conduce ad una sala trasversa con una fila centrale di sei pilastri. Da qui, il corridoio immette in una seconda sala trasversa, più piccola della prima, e nel santuario, il cui soffitto è sostenuto da due pilastri. Dalle due estremità della seconda sala trasversa si aprono due sloping passage con scale; quello di sinistra conduce ad una camera sotterranea con due colonne e un podio per l’allocazione del sarcofago.

§ 12. Amenmose detto Mose, Custode capo del Tesoro della tenuta di Amon-Ra

(TT 254), ,

L’accesso alla tomba venne bloccato nel 1914 con l’installazione di una cancellata. N. de Garis Davies prese qualche appunto e disegnò alcune scene della tomba negli anni ‘20 del secolo scorso; tra il 1929 e il 1936 Schott scattò alcune

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fotografie, cui vanno aggiunte quelle fatte da Burton nel 1939 per il Metropolitan Museum. La pubblicazione completa è recente, del 1996, a cura di N. Strudwick.

I testi, mal conservati, si limitano a liste di nomi e titoli: materiale utile per gli studi di prosopografia, dato che si nominano fino a cinquanta persone diverse.

Fra i numerosi titoli di Amenmose vi sono delle ripetizioni; si tratta di un completo cursus honorum più che di un insieme di cariche tenute contemporaneamente: Custode capo del Tesoro della tenuta di Amon-Ra, Custode del Tesoro, Custode del Tesoro di Amon, Scriba del Tesoro di Amon, Scriba del Padre divino di Amon, Custode della tenuta di Tiy nella tenuta di Amon.

La moglie, anche se l’identificazione è incerta, dovrebbe chiamarsi Duaneferet, ed era cantante di Amon in Karnak. I loro numerosi figli sono rappresentati nella tomba; essi sono: Amenmose detto Mose, Amenemopet, Amenhotep/Amennakht, Khonsuhotep, Nefer[…], Rema, User, Userhat, […]ay, Iuia, Mutemuia, Hemetnetjer.

La tomba si trova nell’angolo S-W di una grande corte interrata, che ospita anche le TT 253 e 294 (tav. XXVIIIb). L’ingresso è introdotto da sette scalini: la piccola sala trasversa è l’unico ambiente della cappella e misura 5,03 x 2,09 metri (tav. XXVIIIc). Amenmose era al limite della classe sociale che poteva permettersi una tomba nella necropoli tebana, quindi non ci stupisce che la tomba fosse così modesta. A causa della poca bontà della roccia, la parte centrale del soffitto è crollata e la parte restante è sostenuta da due travi di legno.

Alle estremità N e S della camera vi sono due pozzi: dal pozzo N si scende in una camera orientata in direzione N; il pozzo S conduce a una camera settentrionale e a una camera meridionale, da cui a E si collega con una tomba scoperta nella campagna 1986-87 da N. Strudwick (chiamata TT 253a). La maggior parte del materiale trovato negli ambienti ipogei risale all’Età tarda; pochissimi oggetti appartengono XVIII dinastia e nessuno inequivocabilmente collegabile con la sepoltura di Amenmose.

Le scene sono piuttosto comuni. Sulla porzione meridionale della parete E si trovano sacerdoti con offerte e due scene del defunto e della moglie nell’atto di ispezionare agricoltori al lavoro; nella porzione settentrionale della medesima parete vi sono due raffigurazioni di magazzini con Amenmose e Duaneferet in osservazione e una scena in cui Amenhotep I è mostrato davanti ad Osiri.

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La parete meridionale presenta scene di banchetto, una processione di barche e scene del funerale; la parete opposta è provvista di una stele circondata da scene di offerte.

Nella parte centrale della parete occidentale vi è una stele; nella porzione meridionale della parete sono state dipinte scene del defunto con la famiglia davanti ad Osiri, dall’altra parte della stele il defunto con i suoi ospiti siedono a un banchetto allietato da musiche e un’altra immagine di Amenmose davanti alla propria casa con i laboratori del tempio alle spalle.

La tomba presenta diverse caratteristiche affini con TT 40 e TT 49, se si esclude ovviamente la pianta, determinata dalle possibilità economiche del proprietario e dal grado sociale. I cartigli della regina Tiy datano la tomba sicuramente a dopo Amenhotep III38; le figure di Osiri e nessuna opera di

damnatio memoriae indicano che la decorazione della tomba non venne

approntata durante il regno di Akhenaten. In effetti, l’arte è influenzata dallo stile amarniano39, ma in molti casi se ne distacca.

Le scene agricole, di festa e di offerta attorno alla stele sono tipiche della XVIII dinastia e quasi nessuna delle caratteristiche delle tombe ramessidi è qui inclusa: non c’è una prevalenza di scene mistiche su quelle terrene, non vi sono vignette tratte dal Libro dei Morti né scene di adorazione degli dèi. Parallelamente, i colori e lo stile oscillano fra XVIII e XIX dinastia. Poiché la tomba abbandona le caratteristiche amarniane che la TT 49 invece mantiene, ma non possiede caratteristiche marcatamente ramessidi, possiamo concordare con la valutazione di N. Strudwick, che colloca la tomba dopo Tutankhamen, ma non troppo oltre nel regno di Horemheb.

38 Si tratta della Grande Sposa Reale di Amenhotep III o della moglie dell’effimero Ay? Entrambi

i casi sono possibili, perché le proprietà della prima Tiy continuarono a sussistere anche in Età ramesside. Se l’identificazione con la madre di Akhenaten è corretta, Amenmose lavorava nella stessa tenuta i cui Kheruef (TT 192) era stato l’Intendente.

39 Nella resa anatomica il ventre appare cadente e il cranio allungato; la scena in cui gli ospiti

mangiano anatre è una reminescenza della tomba amarniana di Huya (AT 1; cfr. DAVIES III, tav.

Figura

Figura 1. Graffito con adorazione divina, parete N del passaggio d’ingresso

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