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CAPITOLO II LE MODIFICHE UNILATERALI AL CONTRATTO INDIVIDUALE DI LAVORO

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CAPITOLO II

LE MODIFICHE UNILATERALI AL CONTRATTO INDIVIDUALE

DI LAVORO

1. LA SOSTITUZIONE DEL CCNL APPLICATO IN AZIENDA

Stante l'inattuazione dell'art. 39 della Costituzione, non solo il CCNL non è efficace erga omnes ma il datore di lavoro, qualora decida di applicare un CCNL, non è vincolato dal settore merceologico a cui appartiene la sua attività d’impresa10, anche se

logicamente e razionalmente il datore di lavoro sarà normalmente orientato ad applicare un CCNL più idoneo e corrispondente alla propria attività imprenditoriale.

La libertà sindacale si traduce anche nel divieto di discriminazione di applicare, presso la stessa azienda, differenti CCNL in relazione alle diverse attività produttive svolte in base alla diversa affiliazione sindacale dei lavoratori, così come è sancito dall'art. 16 dello Statuto dei Lavoratori. Laddove il datore di lavoro decida di applicare nella propria azienda un CCNL, quest'ultimo sarà applicato a tutti i suoi dipendenti, a prescindere da una loro eventuale affiliazione sindacale.11

Secondo la Cassazione, 30 gennaio 1992, n. 976, il datore di lavoro, affiliato a più associazioni datoriali o anche in caso di applicazione implicita di CCNL, può applicare, in relazione alle diverse attività svolte nell'impresa, diversi contratti collettivi nazionali

10 Differentemente da quanto previsto dall’art. 2070 del codice civile, ormai superato dalla lettura costituzionalmente orientata delle norme civilistiche.

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ai propri lavoratori, purché non effettui discriminazioni fra i lavoratori addetti alle medesime attività, ai quali sarà applicato lo stesso CCNL a prescindere dalla loro eventuale affiliazione sindacale.

Qualora il datore di lavoro si iscriva a un’associazione datoriale è tenuto, in virtù dell'adesione, ad applicare il CCNL stipulato dall’associazione a cui si è affiliato.

Infine, ricordiamo che, ad oggi, non sussiste nel nostro ordinamento un obbligo, a carico del datore di lavoro, di trattare e stipulare contratti collettivi con tutte le organizzazioni sindacali dei lavoratori, rientrando nella sua autonomia negoziale, la possibilità di sottoscrivere un nuovo contratto collettivo con organizzazioni sindacali diverse da quelle che hanno trattato e sottoscritto il precedente.12

La contrattazione collettiva, oltre ad avere efficacia vincolante nei confronti dei datori di lavoro affiliati sindacalmente, ha anche efficacia soggettiva nei confronti dei datori di lavoro, che pur non essendo iscritti ad alcuna associazione datoriale, hanno, tramite un comportamento concludente, applicato di fatto, in modo continuativo nel tempo, un CCNL. Si tratta del caso di applicazione implicita, ed anche nel caso in cui venga inserito, nel contratto individuale di lavoro, un esplicito richiamo al CCNL da applicare al lavoratore13, si tratta invece di applicazione esplicita.

L'applicazione implicita di un CCNL comporta l'obbligo per il datore di lavoro di continuare ad applicare tale CCNL in azienda e determina un corrispondente diritto dei lavoratori a vedersi applicato tale contratto collettivo; tale applicazione implicita, continuativa ed incontestata di un determinato CCNL, all’interno dell’azienda, dovrà

12 Cassazione, 10 giugno 2013, n. 14511.

13 Cassazione, 26 marzo 1997, n. 2665; Cassazione, 30 gennaio 1992, n. 976; Cassazione 14 aprile 2001, n. 5596; Cassazione, 26 gennaio 1993, n. 928.

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riguardare l’osservanza delle clausole più rilevanti e significative, poiché non è sufficiente il semplice richiamo operato dal datore di lavoro, nel contratto individuale, alle tabelle dei minimi salariali previste dal CCNL o la circostanza in cui il datore di lavoro applichi soltanto alcune clausole del CCNL14, in quanto il CCNL dovrà essere

applicato nella sua interezza.

In linea di principio le clausole che possiamo ritenere più significative e rilevanti di un CCNL sono quelle che rendono peculiare e differente un contratto collettivo rispetto ad un altro, permettendone senza dubbi ed indugi la sua identificazione.

Nella prassi aziendale, il datore di lavoro applica solitamente ai lavoratori non affiliati sindacalmente il CCNL mediante l'uso di clausole di rinvio “dinamico”, consistente nell'esplicito richiamo al CCNL da applicare al rapporto lavorativo, inserito nel contratto individuale di lavoro, ad integrazione di quanto già pattuito nello stesso.

La clausola di rinvio dinamico opera come rinvio esplicito ad una determinata fonte contrattuale collettiva a cui le parti liberamente decidono di assoggettare il rapporto di lavoro anche alla disciplina che sarà nel tempo contenuta nei successivi contratti collettivi, caratterizzati da una certa omogeneità dei soggetti stipulanti i medesimi.

In dottrina15 vi è chi sostiene che il vincolo derivante dalla clausola di rinvio dinamico,

ad un determinato CCNL da applicare al rapporto di lavoro, sia assai rigido, in quanto potrebbe essere risolto solo per mutuo consenso delle parti.

14 Cassazione, 30 gennaio 1992, n. 976; Cassazione 14 aprile 2001, n. 5596.

15 Così G. PROSPERETTI, L'efficacia dei contratti collettivi nel pluralismo sindacale, Angeli,

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In presenza della clausola di rinvio dinamico ad un CCNL, inserita nel contratto individuale di lavoro, secondo la giurisprudenza16 ai lavoratori non affiliati

sindacalmente non potrà essere applicato unilateralmente dal datore di lavoro un differente CCNL, rispetto a quello previsto inizialmente nel contratto individuale di lavoro, o un nuovo accordo collettivo separato, salvo il caso in cui i lavoratori aderiscano a tale modifica unilaterale contrattuale in modo chiaro e incontrovertibile, dopo aver ottenuto una puntuale informazione in merito da parte del datore di lavoro.

La possibilità di disdettare un contratto collettivo è sempre stata pacificamente ammessa dalla giurisprudenza17, come anche la possibilità di recedere unilateralmente

da un contratto collettivo.

In considerazione della piena facoltà di autodeterminazione del datore di lavoro nella scelta del CCNL da applicare, ai rapporti con i propri dipendenti, è ormai ritenuto pacifico che la decisione di sostituire o disapplicare il CCNL applicato, presso la propria azienda, sia da ritenersi pienamente legittima ed attuabile.

Tale facoltà dovrà tenere conto tuttavia dei diritti maturati dai lavoratori assunti nel periodo precedente la variazione del CCNL applicato e della irriducibilità della retribuzione globale di fatto spettante ai lavoratori.

Il Tribunale di Genova, con sentenza del 21 Ottobre 2009, n. 1531,18 si è pronunciato

su alcuni nodi critici, concernenti l’efficacia soggettiva ed oggettiva dei contratti

16 Tribunale di Torino, 2 Maggio 2011, 26 Aprile 2011 e Tribunale di Modena, 22 Aprile 2011, in Lav. Giur., 2011, 7, pag.716 e seguenti.

17 Cassazione, 16 aprile 1993, n. 4507; Cassazione, 19 aprile 2011, n. 8994; Cassazione, 7 marzo 2002, n. 3296; Cassazione, 12 novembre 2002, n. 15863.

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collettivi; definendo, da un lato, la natura degli accordi stipulati tra datore e lavoratore, aventi ad oggetto modifiche del contratto collettivo e stabilendo, dall’altro lato, il potere del datore di recedere unilateralmente da un CCNL, applicandone uno diverso.

Normalmente le parti stipulanti un CCNL ne fissano la durata, nel qual caso, il datore di lavoro, secondo la dottrina19, in caso di rapporto lavorativo già in essere, dovrà

attendere la naturale scadenza del termine fissato, a partire dal quale il CCNL cesserà di produrre i suoi effetti; solo dopo, il datore di lavoro, ne potrà applicare uno diverso.

Senza attendere la scadenza del contratto collettivo vigente, il datore di lavoro può sostituire il CCNL con un altro o previa intesa con il lavoratore, meglio se raggiunta in sede protetta, o previo accordo di migrazione ad altro CCNL, quest’ultima ipotesi realizzabile soltanto dalle parti legittimate a stipulare CCNL, quindi non il datore di lavoro singolarmente.

Laddove si configuri il contratto collettivo come una fattispecie di diritto comune e, pertanto, qualora non sia previsto un limite temporale alla sua efficacia, è concesso alle parti di recedere anche unilateralmente ante tempus.

Il lavoratore, anche qualora non venisse consultato in prima persona, dovrà sempre essere messo al corrente della modifica del CCNL applicato in azienda dal proprio datore di lavoro.

19 A. MARESCA, Contratto collettivo e libertà di recesso, ne Arg. Dir. Lav., 1995, pag. 35 e

segg.; M. TIRABOSCHI, L'efficacia temporale del contratto di collettivo di lavoro: atipicità

dello schema negoziale, giuridicità del vincolo e cause di scioglimento, in Dir. Rel. Ind., 1994, 1, pag. 83 e segg.; G. PACCHIANA PARRAVICINI, Ultrattività, risoluzione, disdetta del

contratto collettivo nella prassi e nella giurisprudenza, ne Arg. Dir. Lav., 2012, pag. 397 e

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Nello specifico, la modifica del rapporto di lavoro può avvenire anche in assenza delle rappresentanze sindacali, purché tale variazione non comporti un mutamento in peius dei diritti del lavoratore, e non determini l’applicazione di un trattamento economico complessivo inferiore a quello percepito dal lavoratore anteriormente alla modifica contrattuale; questa ultima valutazione andrà effettuata considerando non solo la retribuzione tabellare ma l’insieme delle disposizioni economiche e normative dei due contratti, quello di provenienza e quello di destinazione20.

Le modifiche peggiorative non si potranno applicare ai lavoratori già in forza nell’azienda, prima dell’adozione del nuovo CCNL, bensì saranno integralmente applicabili solo ai lavoratori successivamente assunti all’adozione del nuovo CCNL, motivo per cui, i dipendenti già in forza avranno diritto a ricevere la medesima retribuzione globale prevista dal vecchio CCNL.

Quindi sarebbe consentito al datore di lavoro di recedere unilateralmente dall’applicazione del CCNL in corso, qualora egli ritenga di dover applicare un contratto collettivo di altra categoria, più vicina alla propria; questo è il caso in cui il datore di lavoro applica in origine un contratto collettivo di fatto, per decisione aziendale, pur non essendo iscritto a nessuna associazione imprenditoriale (trattasi del caso di applicazione implicita del CCNL).

Normalmente per evitare possibili controversie è preferibile acquisire il consenso dei lavoratori, già in forza nell’azienda e destinatari dunque del cambiamento contrattuale collettivo e delle relative ricadute sulla disciplina del rapporto lavorativo individuale, attraverso il ricorso alle sedi protette.

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Importante è altresì che, nella migrazione da un CCNL ad un altro, il datore di lavoro inquadri correttamente il personale nella fase di conversione, dal CCNL di partenza a quello di destinazione, fermo restando l’intangibilità dei diritti già acquisiti al patrimonio dei lavoratori assunti precedentemente alla sostituzione del CCNL.

Il “recesso unilaterale”21 esercitato dal datore di lavoro è ammissibile purché venga

sempre rispettato il principio della irriducibilità della retribuzione.

Riepilogando per quel che concerne le tecniche utilizzabili per la gestione del processo di sostituzione del CCNL, possono essere seguite due strade differenti:

a) il ricorso all’accordo collettivo;

b) accordo del datore di lavoro di intesa con il lavoratore.

Nel caso sub a) si attuerà una procedura negoziale che potrà portare ad un accordo sindacale di armonizzazione, detto anche accordo di migrazione, finalizzato a mediare i contenuti del CCNL di provenienza e di quello a cui si vorrebbe giungere, oppure ad un’intesa rigida che si limiterà a definire la data di decorrenza integrale della nuova regolamentazione contrattuale, che si applicherà ai soli nuovi assunti. In entrambi i casi occorrerà coinvolgere le rappresentanze delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative dei lavoratori (saranno rappresentanze aziendali, laddove esistenti, o territoriali).

Questa soluzione parrebbe essere più indicata per quei datori di lavoro che occupino un numero di dipendenti superiore a 15 unità o laddove siano presenti in azienda RSA o RSU.

21 Nella fattispecie in esame si trattava di una vera e propria sostituzione del CCNL, impropriamente definita come recesso unilaterale dal Tribunale di Genova, 21 Ottobre 2009, n. 1531.

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Nel caso sub b) la sostituzione del CCNL deriverà da una decisione del datore di lavoro, assunta però con il consenso del lavoratore, meglio ancora se ottenuto in sede protetta. Questa opzione sembrerebbe più adatta per realtà aziendali di dimensioni ridotte, in quanto comporterebbe l’applicazione immediata della nuova disciplina contrattuale collettiva ma con l’adozione di maggiori accorgimenti operativi.

Nello specifico il datore di lavoro, sempre previo accordo con il lavoratore, dovrà mantenere invariato l’importo della retribuzione pregressa alla variazione del CCNL, attraverso l’erogazione di una somma aggiuntiva22 a titolo di superminimo individuale.

Per quanto riguarda invece le forme di retribuzione indiretta, nel caso in cui, in base al CCNL disapplicato, i lavoratori abbiano maturato trattamenti superiori a quelli dovuti in applicazione del nuovo contratto, è auspicabile che il datore accrediti il differenziale economico, in un momento anche successivo alla variazione del CCNL applicato.

E’ altresì opportuno garantire a tutti i dipendenti l’iscrizione agli enti bilaterali, come gli enti di assistenza sanitaria supplementare, nel caso in cui tali prestazioni siano da considerarsi parte integrante della retribuzione ad essi spettante.

In entrambi i casi sub a) e sub b) si potrà formalizzare il nuovo CCNL da applicare mediante la stipula di un accordo di armonizzazione (o di migrazione).

Conseguentemente a tale formalizzazione si dovrà rendere noto al soggetto che redige materialmente i prospetti paga dei dipendenti della variazione del CCNL applicato in azienda, indicandone il nuovo contratto applicato e la data in cui è avvenuta tale variazione.

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Altro caso possibile è quello in cui il datore di lavoro, iscritto ad un’organizzazione imprenditoriale di categoria, decida di applicare un contratto collettivo differente, nel qual caso dovrà preventivamente sciogliere il vincolo associativo, nelle forme, nelle modalità e con i tempi stabiliti dalle norme statutarie dell’organizzazione imprenditoriale, e solo così successivamente potrà procedere all’applicazione del nuovo contratto collettivo, previamente iscrivendosi alla nuova organizzazione imprenditoriale stipulante; ovviamente la sostituzione potrà essere effettuata soltanto dopo il termine di scadenza fissato dal CCNL oggetto di sostituzione.

Nel caso, invece, in cui l’applicazione del contratto collettivo fosse dovuta per effetto di una clausola di rinvio al medesimo contenuta nel contratto individuale di lavoro, il passaggio ad un nuovo contratto collettivo richiederà il consenso del lavoratore e la sostituzione sarà applicabile alla scadenza del CCNL originario applicato.

Un ulteriore profilo su cui è opportuno soffermarsi è quello contributivo. In caso di pluralità di contratti collettivi che insistono nello stesso settore merceologico, il Legislatore attribuisce a quello maggiormente rappresentativo del settore il compito di disciplinare uno o più aspetti.

L’art. 1 della Legge n. 389/1989 prevede che: “in caso di pluralità di contratti collettivi intervenuti per la medesima categoria, la retribuzione da assumere come base dei contributi previdenziali e assistenziali è quella stabilita dai CCNL stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative della categoria. In relazione ai minimi retributivi per il calcolo dei contributi previdenziali, la base di calcolo dei contributi di previdenza e assistenza sociale non può essere inferiore all’importo delle retribuzioni stabilite da leggi,

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regolamenti, contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale, ovvero da accordi collettivi o contratti individuali, qualora ne derivi una retribuzione d’importo superiore a quello previsto dal contratto collettivo.”

Pertanto, a prescindere dal CCNL applicato, si impone l’applicazione del minimo salariale stabilito dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni maggiormente rappresentative ai fini del calcolo dell’obbligazione contributiva a carico del datore.

Il rispetto di queste retribuzioni minime è vincolante anche per i datori di lavoro non aderenti alle predetteorganizzazioni datoriali.

Il riferimento ai sindacati comparativamente più rappresentativi come interlocutore del datore di lavoro, al di là del caso di quelli individuabili secondo il modello definito dal T.U. sulla Rappresentanza del 201423, sarà verificato nel tempo, attraverso la

comparazione di volta in volta con altre associazioni24 per tener conto del mutevole

grado di rappresentatività, il quale potrà essere determinato mediante l’utilizzo dei seguenti criteri, in caso di assenza di specifiche disposizioni di legge: numero degli scritti a ciascun sindacato; effettivo svolgimento delle attività sindacali e di contrattazione da parte dei sindacati; presenza della sigla sindacale in più settori produttivi e territoriali.

23 In base al quale l'indice di rappresentatività di un sindacato, che dà diritto alla partecipazione alla negoziazione di un CCNL, è dato dal risultato della media semplice tra il dato

associativo (relativo al numero di iscritti a ciascun sindacato, ricavabile dal numero di deleghe conferite, dai lavoratori al proprio datore di lavoro, per trattenere dalle loro buste paga l'importo del contributo da devolvere al proprio sindacato rappresentante) ed il dato elettorale (desunto dai consensi ottenuti da ciascun sindacato nelle ultime elezioni triennali della RSU).

24 Secondo laCorte Costituzionale, 4 dicembre 1995, n. 492; Corte Costituzionale, 11 ottobre 1988, n. 975; Corte Costituzionale, 11 marzo 1988, n. 334.

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Ricordiamo infine che, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, ha chiarito in una propria circolare25 che il godimento di benefici normativi e sgravi contributivi è

subordinato al rispetto di contratti collettivi sottoscritti da organizzazioni comparativamente più rappresentative, secondo il principio in base al quale solo i datori di lavoro che garantiscono le tutele minime previste dai contratti collettivi sono meritevoli di godere di benefici normativi e contributivi.

In conclusione la modifica unilaterale del contratto collettivo applicato si può legittimamente attuare, ferma restando l’intangibilità dei diritti già acquisiti nel patrimonio del lavoratore, in forza in azienda precedentemente alla variazione contrattuale collettiva unilateralmente disposta dal datore di lavoro, e della irriducibilità della retribuzione.

E’ altresì opportuno verificare preventivamente se il CCNL di partenza preveda una procedura di allineamento da applicare ai lavoratori precedentemente assunti con tale CCNL; dunque prima dell’adozione del nuovo CCNL da applicare, laddove tale procedura fosse stata prevista dallo stesso contratto collettivo dovrà essere rispettata da parte del datore di lavoro, nel caso in cui volesse apportare nella propria azienda tale modifica unilaterale contrattuale.

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2. LA DISDETTA E IL RECESSO UNILATERALE DEL CONTRATTO COLLETTIVO

La possibilità di disdetta e di recesso unilaterale dal CCNL applicato, da parte del datore di lavoro, è un tema ritornato prepotentemente alla ribalta con le note vicende dell’azienda automobilistica Fiat, con la sua fuoriuscita da Confindustria ed con il recesso dal CCNL dei metalmeccanici, nonché a seguito della disdetta da parte di Federmeccanica, anch'essa avente la finalità di poter disapplicare il CCNL dei metalmeccanici del 2008.

Secondo la Suprema Corte di Cassazione (sentenze del 19 aprile 2011, n. 8994; 31 ottobre del 2013, n. 24575), la possibilità di disdettare il CCNL spetta soltanto alle parti stipulanti, ossia alle associazioni sindacali e datoriali, che di solito disciplinano nel contratto collettivo stesso le conseguenze della sua disdetta o del suo recesso. Da ciò deriva che al datore di lavoro non è concesso di recedere unilateralmente dal contratto collettivo nazionale, prima della sua naturale scadenza, in quanto non è parte stipulante del contratto collettivo stesso. E' inoltre da escludere la possibilità che il datore di lavoro possa addurre l’eccessiva onerosità sopraggiunta del CCNL a seguito di una propria situazione di difficoltà economica, come causa per effettuare la disdetta o il recesso unilaterale ante tempus del contratto collettivo, ex art. 1467 del codice civile, ad eccezione di contratti collettivi aziendali stipulati tra datore di lavoro e sindacati locali dei lavoratori 26 o nel caso di contratto collettivo ultrattivo.

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In questa ultima ipotesi, ossia di contratto collettivo ultrattivo, la Cassazione, con sentenza del 31 ottobre 2013, n. 24575 ha ritenuto che: “i contratti collettivi, costituendo una manifestazione dell’autonomia negoziale delle parti stipulanti, operino esclusivamente entro l’ambito temporale concordato dalle parti, poiché l’opposto principio di ultrattività sino ad un nuovo regolamento collettivo, secondo l’art. 2074 del codice civile27, si porrebbe come limite alla libera volontà delle organizzazioni

sindacali e dunque sarebbe in contrasto con la garanzia prevista dall’art. 39 della Costituzione.”

Il Tribunale di Torino, con decreti del 2 maggio 2011, 18 aprile 2011, 26 aprile 201128,

in riferimento alle società convenute Bulloneria Barge S.p.A., Emmegi S.p.A., Prima Industrie S.p.A., ha ritenuto che, data la natura privatistica del contratto collettivo 29,

le parti hanno piena libertà d'azione anche nel periodo successivo alla sua stipula, fino al punto di poter addivenire ad una rinegoziazione del contratto stesso prima della sua naturale scadenza.

Per tale motivo, la disdetta ante tempus di un contratto collettivo rispetto alla sua naturale scadenza è da considerarsi legittima, in quanto le organizzazioni sindacali, datoriali e dei lavoratori, sono libere di poter sottoscrivere in qualunque momento nuovi contratti collettivi modificativi dei precedenti.

Qualora esista una clausola di ultrattività, il contratto collettivo continuerà a produrre i suoi effetti, nonostante la disdetta effettuata ante tempus, fino alla stipula del nuovo

27 Ormai abrogato.

28 Tribunale di Torino, 2 maggio 2011, 18 aprile 2011, 26 aprile 2011, in Lav. Giur., 2011, 7, pag. 716 e segg..

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contratto collettivo; non si può sostenere una perdurante efficacia di un contratto collettivo disdettato sulla base del fatto che il nuovo contratto collettivo non sia stato sottoscritto dalle partistipulanti quello precedente, in quanto la clausola di ultrattività non contempla quasi mai nella prassi contrattuale collettiva l'obbligo di stipulare un nuovo contratto collettivo con le stesse parti sottoscriventi quello precedente, poiché nel caso contrario vi sarebbe una violazione delle libertà sindacali, ex art. 39 della Costituzione.

Ne consegue che il recesso unilaterale ante tempus del CCNL applicato, da parte del datore di lavoro, è illegittimo e privo di effetti, anche qualora fosse accompagnato da un congruo termine di preavviso, in quanto soltanto al momento della naturale scadenza del contratto collettivo sarà possibile, per il datore di lavoro, recedere unilateralmente dal contratto collettivo nazionale, dandone la relativa comunicazione alla controparte; solo da tale momento potrà applicarne uno diverso, a condizione che ne ricorrano i presupposti dell’art. 2069 del codice civile.

Da quanto esposto si evince che le difficoltà economiche e finanziarie del datore di lavoro potranno essere risolte non mediante il recesso dal CCNL vigente e applicato sino ad allora, bensì con altre metodologie di sostegno alle imprese in crisi, fra cui ricordiamo la cassa integrazione guadagni, i prepensionamenti, la mobilità dei lavoratori, contratti di solidarietà, e altri.

Infine ricordiamo che, nella sentenza 19 aprile 2011, n. 8994, la Corte di Cassazione ha giudicato illegittimo il comportamento dell’azienda receduta unilateralmente dal CCNL applicato, e che conseguentemente aveva ridotto la retribuzione spettante al

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proprio personale, con condanna al pagamento delle differenze retributive derivanti dall’applicazione dei due CCNL.

Nell’affrontare la questione, la Corte Suprema ha usato, come fossero sinonimi, le nozioni di disdetta e di recesso dal contratto collettivo; invece occorre operare un distinguo, trattandosi di istituti differenti e con funzioni diverse.

La disdetta, da un punto di vista civilistico, opera in riferimento ai soli contratti nei quali è espressamente previsto un termine di durata e non determina lo scioglimento del rapporto, ma produce l’effetto di impedire il rinnovo tacito del contratto alla sua scadenza.

Ne consegue che, nell’ambito che qui ci interessa, si potrà ricorrere a tale istituto solo con riguardo ai contratti collettivi nazionali, aziendali o territoriali, stipulati a tempo determinato.

Perciò, la disdetta del contratto collettivo eviterà il rinnovo automatico dello stesso alla sua naturale scadenza (salva comunque la speciale procedura di rinnovo prevista dallo stesso CCNL), non incidendo affatto sulla vigenza e vincolatività del rapporto in essere tra le parti, fino alla scadenza naturale.

Nel caso di disdetta da un contratto collettivo che, invece, non contenga un termine di durata prefissato, come spesso accade nei contratti collettivi aziendali, la giurisprudenza prevalente30 è orientata la legittimità della disdetta, purché venga preceduta da un

congruo preavviso, in genere di tre mesi. Per quanto riguarda i CCNL non contenenti il termine di durata (caso assai raro nella pratica), ossia a tempo indeterminato, tale mancanza di indicazione del termine non implica in nessun modo che gli effetti del

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contratto perdurino nel tempo senza limiti, in sintonia con il principio di buona fede nell’esecuzione del contratto31 ed in coerenza con la naturale temporaneità

dell’obbligazione, si dovrà dunque sempre riconoscere alle parti la possibilità di far cessare l’efficacia del CCNL, previa disdetta, anche in mancanza di una previsione legale o collettiva.32

Normalmente la procedura di disdetta viene specificamente disciplinata all'interno del contenuto del contratto collettivo nazionale stesso.

Il recesso, invece, previsto dall’ordinamento di diritto comune, determina la risoluzione del rapporto giuridico generato dal contratto; risoluzione che potrà essere immediata oppure a seguito di un intervallo temporale, denominato preavviso, purché precedente al termine prefissato dal contratto.

La fattispecie che venne sottoposta al giudizio della Suprema Corte di Cassazione33

configurava un’ipotesi di recesso straordinario, ovvero un’estinzione anticipata del rapporto, derivante da un contratto a termine, ammissibile unilateralmente solo in presenza di una giusta causa, in assenza di esplicite previsioni di legge o delle parti, il cui scopo sarebbe stato solo quello di far cessare il vincolo obbligatorio, laddove si verificassero eventi tali da impedire la regolare applicazione del contratto sino al momento della sua naturale scadenza, nella fattispecie in esame per la sopravvenuta eccessiva onerosità della prestazione lavorativa.

31 Ex art. 1375 del codice civile.

32 Cassazione, 16 aprile 1993, n. 4507.

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Il problema del recesso e della disdetta risulta essere strettamente connesso all’efficacia temporale del contratto collettivo, poiché le norme riferite al contratto collettivo dell'era corporativa in materia di durata, ultrattività ed efficacia retroattiva non trovano più applicazione negli attuali contratti collettivi dall’entrata in vigore della Carta Costituzionale.

Come già esposto, i contratti collettivi di diritto comune operano esclusivamente nell’ambito temporale concordato dalle parti stipulanti i medesimi34, in quanto massima

espressione della loro autonomia negoziale. Infatti, nella prassi sindacale, si riscontra una marcata tendenza alla stipula di CCNL a tempo determinato, anche in ossequio a quanto previsto dall’accordo quadro del 2009, grazie al quale è stata stabilita una durata triennale sia per la parte economica che per la parte normativa dei CCNL (mentre in precedenza la durata era di quattro anni per la parte normativa, e due per quella economica).

Sulla base di quanto esposto sino ad ora, il CCNL a tempo indeterminato si potrà configurare qualora le parti non provvedano a rinnovare il contratto al suo termine di scadenza, laddove nello stesso sia stata prevista una clausola di ultrattività, che ne prolungherà dunque la sua vigenza sino al momento della stipula del nuovo contratto collettivo.

È chiaro dunque che la questione del recesso del CCNL dovrà essere affrontata diversamente a seconda del fatto che esso abbia o non abbia un termine di durata.

Il diritto civile impone di fare riferimento all’art. 1372 comma primo e all’art. 1373 del codice civile, in base ai quali lo scioglimento anticipato di un contratto ad esecuzione

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periodica o continuata non è mai ammesso se non per mutuo consenso delle parti, nei casi espressamente previsti dalla legge, o laddove tale facoltà sia riconosciuta dal contratto stesso.

E’ ovvio che un contratto che obblighi in eterno le parti non può esistere, poiché li vincolerebbe ad un assetto di interessi, relativi ad un determinato contesto socio-economico, e annullerebbe così i poteri di iniziativa contrattuale, che si risolverebbero in una negazione della libertà negoziale e tutto ciò è incompatibile con quanto previsto dal nostro ordinamento, ma al tempo stesso non si vuole che si possa, a proprio piacimento, sottrarsi liberamente dagli obblighi assunti tramite un contratto.

Dottrina35 e giurisprudenza36 sono concordi nel ritenere che la mancanza di un termine

di scadenza non implichi che gli effetti del contratto perdurino nel tempo senza limiti, dunque si riconoscerà sempre alle parti la possibilità di recedere unilateralmente dal contratto, in tal caso specifico anche in assenza di disposizione legale o di espressa attribuzione contrattuale di tale facoltà ad una delle parti, in base al principio dell’inammissibilità di vincoli perpetui ed in base all’art. 39 primo comma della Costituzione in riferimento alla libertà sindacale.

Ad ogni modo, l’esercizio del recesso dovrà essere applicato secondo buonafede e correttezza, in modo da evitare che lo stesso possa tradursi in un abuso di diritto a danno della controparte, quindi a tal fine occorrerà che vi sia avvenuto un reale mutamento della situazione di fatto, che faceva da sfondo all’assetto degli interessi così

35 P. RESCIGNO, Contratto collettivo senza predeterminazione di durata e libertà di recesso, in

Mass. Giur. Lav., 1993, pag. 576 segg.; R. SCOGNAMIGLIO, Sulla controversa ultrattività del

contratto collettivo, in Mass. Giur. Lav., 1995, pag. 555 e segg..

36 Cassazione, 7 marzo 2002, n. 3296; Cassazione 4 agosto 2004, n. 14970; Cassazione, 7 ottobre 2010, n. 20784; Cassazione, 30 maggio 2005, n. 11325.

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come disciplinati inizialmente dal contratto collettivo e che il recesso venga comunicato in modo espresso ed univoco con un congruo preavviso alla controparte.

In dottrina37 si sono configurate dunque così due ipotesi di recesso:

1) ordinario, inteso come scioglimento anticipato da un contratto senza un predeterminato termine, unilateralmente ammissibile, con preavviso da rispettare, avente funzionalità di assicurare la temporaneità dei vincoli obbligatori;

2) straordinario, inteso come scioglimento anticipato da un contratto a termine, ammissibile unilateralmente solo in presenza di una giusta causa, il cui scopo è quello di far cessare il vincolo obbligatorio, laddove si verificassero eventi tali da impedire il regolare sviluppo del contratto fino al momento che ne avrebbe segnato la naturale scadenza. Tale fattispecie sarebbe ammissibile anche in assenza di un’esplicita previsione di legge o delle parti. Secondo la teoria generale dei contratti, la giusta causa si configurerebbe: nei casi di inadempimento di obblighi contrattuali o di legge e per altri eventi estranei al contratto, costitutivi di casi di impossibilità sopravvenuta della prestazione.

È difficile individuare una crisi aziendale che possa configurare una giusta causa, per poter recedere da un contratto collettivo, poiché ai sensi dell’art. 1467 del codice civile “nei contratti a esecuzione continuata o periodica ovvero a esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto, con gli effetti stabiliti dall’art. 1458. La

37 P. RESCIGNO, Contratto collettivo senza predeterminazione di durata, in Mass. Giur. Lav.,

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risoluzione non può essere domandata se la sopravvenuta onerosità rientra nell’alea normale del contratto. La parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto”. Il richiamo agli eventi straordinari ed imprevedibili si riferisce espressamente alla fattispecie della prestazione contrattuale considerata oggettivamente e non alla situazione soggettiva del debitore. Dunque, ritenere un calo di fatturato o una crisi aziendale alla stregua di un'impossibilità oggettiva della prestazione collettiva è arduo, poiché esistono nel nostro ordinamento strumenti di flessibilità deputati, specificamente, a fronteggiare tali situazioni di crisi.

In tali casi sarebbe più opportuno ricorrere all’art. 1468 del codice civile chiedendo una riduzione della prestazione lavorativa ovvero una modifica delle modalità di esecuzione della stessa piuttosto che un recesso dal contratto collettivo applicato; anche se, in questo caso, sarà comunque difficile provare che il contratto collettivo sia inquadrabile nell’ambito dei contratti con obbligazioni di una sola delle parti e ricorrere inoltre nei casi di crisi dovute a mutamenti improvvisi delle condizioni di mercato.

In base a quanto sino ad ora esposto, si può rilevare che le specificità che caratterizzano il contratto collettivo lo rendono difficilmente inquadrabile nella disciplina generale dei contratti, per cui il recesso, così come elaborato dalla dottrina civilistica, non risulterebbe del tutto in linea con la dimensione collettiva degli interessi regolati dal contratto collettivo. Infatti, autorevole dottrina38 sostiene che il recesso dal contratto

collettivo si propone di conseguire un effetto quasi mai estintivo, proprio invece della

38 S. CECCONI, Recesso dal contratto collettivo a tempo indeterminato e modificazione

unilaterale dell'orario di lavoro, inForo Italiano, 1994, I, pag. 437 e segg.;cosìC. ZOLI, Gli

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posizione civilistica, ma bensì di acquisire un maggiore potere contrattuale, finalizzato all’ottenimento di una modifica del contratto vigente, in senso più favorevole ai propri interessi. Secondo tale orientamento è chiaro che il recesso costituisce un elemento di cui è composto il processo di negoziazionesindacale e quindi un atto non autonomo ed estintivo del contratto ma bensì modificativo, o ancor meglio, un input per lo sviluppo di una fattispecie modificativa del contratto vigente in senso più favorevole ai propri interessi. Ragionando in questa ottica, il recesso avrebbe come unico effetto la riapertura delle trattative finalizzate alla conclusione di un nuovo contratto collettivo; in tal modo verrebbe a definirsi il legame tra recesso dal contratto e l’obbligo a trattarne uno nuovo, fermo restando i limiti inerenti alla legittimità delle parti esercitanti il recesso, spettante solamente alle stesse parti stipulanti il contratto collettivo da cui si vuol recedere.

Da tutto ciò ne deriverebbe che, il recesso unilaterale da un contratto collettivo a termine non sarebbe mai ammissibile fino alla naturale scadenza o fino al termine del processo negoziale modificativo del contratto previgente, in quanto incompatibile con l’intangibilità dei vincoli contrattuali collettivi, per cui l’unica forma di estinzione anticipata del contratto collettivo a termine diverrebbe solo quella per mutuo consenso delle parti, perfettamente in linea con il dettato costituzionale ex art. 39 primo comma della libertà sindacale. Ne consegue che, al di fuori del mutuo consenso delle parti, il recesso unilaterale da un CCNL a termine verrebbe considerato un inadempimento contrattuale; più controversa ma comunque possibile, come meglio vedremo nel proseguo della presente tesi, è la possibilità di configurare un recesso unilaterale illegittimo ed altresì come condotta antisindacale, ex art. 28 dello Statuto dei Lavoratori.

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Il recesso, in questo caso, produrrebbe come effetto, fino alla dichiarazione di invalidità dello stesso, l’inefficacia del contratto collettivo e conseguentemente, in applicazione dell’art. 19 dello Statuto dei Lavoratori, verrebbe meno il diritto dei lavoratori a costituire o mantenere proprie rappresentanze sindacali aziendali, nel caso in cui il contratto receduto fosse l’unico applicato nell’unità produttiva. In tali circostanze, il recesso unilaterale potrebbe integrare gli estremi di una condotta antisindacale, ex art. 28 dello Statuto dei Lavoratori, legittimamente perseguibile, poiché tale azione del datore di lavoro produrrebbe l’effetto concreto di una limitazione o impedimento dell’esercizio della libertà e dell’attività sindacale in azienda.

In un caso sottoposto al vaglio della Suprema Corte di Cassazione39, la condotta

datoriale è stata giudicata antisindacale, in quanto il recesso unilaterale ante tempus effettuato per poter applicare un diverso CCNL, meno favorevole ai lavoratori e firmato da associazioni sindacali scarsamente rappresentative oltre che non appartenenti alle confederazioni stipulanti quello receduto, aveva avuto come effetto quello di impedire ai sindacati stipulanti il CCNL receduto di potersi misurare nel conflitto negoziale per la stipula del nuovo accordo collettivo da adottare.

Sarà poi il giudice chiamato a valutare in concreto le modalità con cui è stato posto in essere il recesso unilaterale (se in modo legittimo o meno) e se da esso discendano comportamenti successivi, compiuti dal datore di lavoro, idonei obiettivamente a ledere le libertà e le attività sindacali, configuranti quindi una condotta antisindacale.

L’esercizio della facoltà di recesso non consentirebbe, ad ogni modo, l’anticipato svincolo dalla forza di legge, tra le parti, acquisita dal contratto, tale per cui se il termine

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di efficacia del contratto collettivo avesse una determinata durata, il recesso non porterà ad una immediata perdita di efficacia del contratto e ad un vuoto normativo.

Quindi, se in generale, la libertà di recesso unilaterale è pienamente compatibile con l’art. 39 della Costituzione, si tratterà di comprendere come tale norma possa influenzare l’interpretazione della clausola contrattuale che riconosca la facoltà di recesso, nel caso in cui non venga precisato se debba essere riconosciuta ad ogni singolo soggetto firmatario o se debbano essere riconosciute alle organizzazioni sindacali, in quanto unico centro di interessi, ad esercitarla in modo congiunto.

Nel caso in cui si riconoscesse la facoltà di recesso al singolo firmatario non risulterebbero essere frustrate le prerogative delle altre organizzazioni sindacali, ex art. 39 della Costituzione, che potrebbero voler disciplinare in modo diverso l’assetto dei propri rapporti e di quelli dei propri associati con la controparte contrattuale; si eviterà in tal modo che il dissenso di un sindacato possa vincolare le scelte in origine espresse degli altri sindacati, poiché ciò ostacolerebbe la loro libertà sindacale.

In conclusione, l’inammissibilità del recesso anticipato da un contratto collettivo a termine è, ad oggi, generalmente sostenuto da larga parte della dottrina e dalla giurisprudenza; fermo restando che il recesso non può essere in ogni caso operato personalmente dal datore di lavoro, in quanto non è parte stipulante di un CCNL, salvo il caso che si tratti un contratto collettivo aziendale.

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3. IL RECESSO UNILATERALE DAL PATTO DI RECEPIMENTO DEL CCNL

Esaminiamo un caso frequentemente riscontrabile nella prassi aziendale: il datore di lavoro, non affiliato a nessuna organizzazione datoriale, in accordo con i sindacati locali dei lavoratori decide di applicare di fatto l’integrale contenuto di un CCNL (applicazione implicita per fatti concludenti). La questione che sarà oggetto di trattazione è se il datore di lavoro possa recedere unilateralmente ante tempus dal patto di recepimento del CCNL, applicato nella propria azienda, e se tale condotta possa considerarsi o meno antisindacale ex art. 28 dello Statuto dei Lavoratori.

La facoltà di disdetta unilaterale dal CCNL applicato in azienda è riconosciuta solo alle parti stipulanti il contratto collettivo e quindi non effettuabile dal datore di lavoro in persona, il quale ove vi abbia aderito, non potrà recedere dalla sua applicazione fino alla naturale scadenza prevista dal CCNL; unica eccezione, a quanto appena esposto, è la facoltà riconosciuta al datore di lavoro di poter recedere unilateralmente dal contratto collettivo aziendale, avente spesso una durata indeterminata.

La questione della facoltà di recesso unilaterale dal patto di recepimento del contratto collettivo da applicare è fino ad oggi una questione poco esplorata dalla giurisprudenza40.

Qualora il datore di lavoro decida di applicare integralmente il contenuto di un CCNL, dunque sia la parte economica che la parte normativa ai propri dipendenti e la parte

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normativa obbligatoria ai sindacati locali, darà in tal modo luogo, nei confronti di entrambi (lavoratori e sindacati), per fatto concludente, ad un patto di recepimento del CCNL prescelto dal datore di lavoro sia nei confronti dei propri lavoratori che nei confronti dei sindacati locali; da ciò ne discende che tale patto implicherà senz’altro anche il recepimento della relativa clausola di durata del CCNL.

Come già esposto precedentemente, in base agli artt. 1372 e 1373 del codice civile, applicabili ai contratti collettivi di diritto comune, avendo i contratti, in generale, forza di legge tra le parti e stante l’inammissibilità di vincoli perpetui, qualora il contratto avesse un termine, come nella fattispecie in esame41, il recesso ante tempus non è

consentito se non per giusta causa .

La questione fondamentale è se il datore di lavoro possa decidere unilateralmente di disapplicare, ante tempus, il patto di recepimento e dunque disapplicare il contratto collettivo nazionale applicato, comunicando per iscritto ai soli lavoratori la volontà di applicare in sua sostituzione un altro CCNL, magari stipulato da differenti associazioni sindacali nazionali rispetto a quelli dei sindacati locali.

Un caso simile è stato posto recentemente al Tribunale di Roma, che con provvedimento del 14 giugno del 201642 si è pronunciato dichiarando:

- che era stato violato il patto di recepimento del contratto collettivo nazionale applicato a fronte di un diritto all'applicazione sino alla naturale scadenza, sia nei confronti delle organizzazioni sindacali ricorrenti in giudizio sia nei confronti dei lavoratori, in particolare di quei lavoratori iscritti ai sindacati

41 I CCNL hanno durata triennale in base a quanto stabilito dall'Accordo quadro del 22 gennaio del 2009.

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ricorrenti ed anche di tutti quelli, non affiliati sindacalmente, che ritenevano maggiormente rispondente ai propri interessi il mantenimento dell'applicazione del CCNL precedente alla modifica unilaterale posta in essere dal datore di lavoro;

- che la manifestazione di volontà di disapplicare il patto di recepimento integrava di per sé inadempimento e stato di mora, ex art. 1219 secondo comma del codice civile, oltre che integrare di per sé una limitazione all’esercizio delle libertà e delle attività sindacali, apparendo evidente il pregiudizio inflitto all'immagine ed al ruolo dei sindacati, discendenti da tale iniziativa unilaterale, risultando irrilevante la sussistenza di uno specifico intento lesivo da parte del datore di lavoro.

Il Tribunale di Roma ha ritenuto condotta antisindacale, ex art. 28 dello Statuto dei Lavoratori, l’applicazione di un’iniziativa unilaterale, da parte del datore di lavoro, che aveva negato l’applicazione delle regole contrattuali collettive disciplinanti i rapporti in atto; il Tribunale di Roma ha infine ordinato al datore di lavoro la rimozione di tale condotta ritenuta antisindacale.

Il Tribunale di Roma ha condiviso l'orientamento giurisprudenziale consolidato43

secondo cui la facoltà di disdetta di un CCNL spetta soltanto alle associazioni stipulanti, e non al singolo datore di lavoro, che, ove vi abbia ad esso aderito, non può recedere ed è tenuto a darvi applicazione fino alla scadenza, potendo derogarvi solo per contratti aziendali stipulati con i sindacati locali dei lavoratori.

43 Cassazione, 31 ottobre 2013, n. 24575; Cassazione, 19 aprile 2011, n. 8994; Cassazione, 12 novembre 2002, n. 15863; Cassazione, 7 marzo 2002, n. 3296.

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Le società convenute in giudizio non essendo affiliate ad alcuna sigla datoriale stipulante il CCNL applicato nelle proprie aziende, non possono in alcun modo interferire sulla vigenza e sull'efficacia di detto CCNL; poiché è risultato incontrovertibile, nel corso del giudizio, la spontanea applicazione del CCNL del commercio, sia nella parte economica che nella parte normativa ivi prevista nei confronti dei lavoratori ed anche nei confronti dei sindacati, nella parte obbligatoria prevista da tale CCNL, il giudice competente ha ritenuto che nei confronti di entrambi è stato dato luogo, per fatto concludente, un patto di recepimento del CCNL del commercio, patto che non può che implicare il recepimento della relativa clausola di durata.

Ai sensi degli artt. 1372 e 1373 del codice civile, il contratto ha forza di legge tra le parti ed in particolare quando esso ha un termine, il recesso ante tempus non è consentito se non per giusta causa; a ciò il giudice competente ha aggiunto che anche ove il CCNL recepito non abbia una clausola di durata, il recesso dal patto di recepimento, almeno nei confronti dei lavoratori, non è comunque consentito,44 perché

tale patto ha di per sé un naturale termine nel decesso dello stesso e quindi per esso non vale la regola della libera recedibilità dai vincoli obbligatori perpetui, da cui comunque sussisterebbe l'illecito sindacale.

Si può evidenziare, inoltre che il giudizio del Tribunale di Roma, in riferimento alla non ammissibilità di un recesso unilaterale ante tempus, se non per giusta causa, è in linea con quanto già espresso dalla giurisprudenza di merito45 e secondo l’orientamento

44 Cassazione, 7 marzo 2002, n. 3296. 45 Cassazione, n. 3296/2002, ult. cit.

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consolidato in dottrina46, come già evidenziato precedentemente, di non ritenere

ammissibile il recesso unilaterale ante tempus, però in tal caso, in riferimento al contratto collettivo, nazionale o aziendale che sia, avente un termine di durata.

Le questioni rilevanti del caso concreto di particolare interesse sono essenzialmente tre:

1) il recepimento di un CCNL per comportamento concludente del datore di lavoro;

2) l’efficacia temporale del patto di recepimento del contratto collettivo nazionale e conseguentemente l’eventuale possibilità di recesso unilaterale dal patto di recepimento;

3) la condotta antisindacale e illegittima del datore di lavoro in caso di disapplicazione unilaterale del patto di recepimento, sia nei confronti dei lavoratori che nei confronti dei sindacati locali.

In dottrina47 è pacifico che il rinvio esplicito, effettuato nel contratto individuale di

lavoro, ad un CCNL, da applicare al rapporto lavorativo che si vuole porre in essere, sia da considerarsi meramente ricognitivo, quindi privo di un’autonoma valenza negoziale, nel caso in cui il datore di lavoro si sia affiliato all’organizzazione datoriale stipulante il contratto collettivo a cui viene effettuato il rinvio esplicito, in quanto l’iscrizione stessa

46 M. FORLIVESI, Il recesso dal contratto collettivo tra diritto civile e ordinamento

intersindacale, in Riv. It. Dir. Lav., 2014, II, pag. 421 e segg.; A. TURSI, La pretesa

ultrattività del contratto collettivo di lavoro e l'incerto statuto teorico dell'autonomia collettiva, in Riv. It. Dir. Lav., 2006, I, pag. 203 e segg.; M. TIRABOSCHI, Contratto collettivo

di lavoro a tempo indeterminato e libertà di recesso: considerazioni a proposito di una recente mutamento di indirizzo della nostra giurisprudenza di cassazione, in Orient. Giur. Lav., 1994, I, pag.11 e segg.; A. MARESCA, Contratto collettivo e libertà di recesso, ne Arg.

Dir. Lav., 1995, pag. 37 e segg..

47 S. P. EMILIANI, L'efficacia del contratto collettivo tra iscrizione al sindacato e adesione

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comporta l’obbligatorietà di applicazione delle pattuizioni collettive stipulate dall’organizzazione sindacale datoriale.

Frequentemente nella prassi aziendale accade, invece, che il datore di lavoro non sia iscritto ad alcuna organizzazione sindacale datoriale ed in virtù della libertà sindacale, sancita dall’art. 39 della Costituzione, il datore di lavoro potrebbe anche decidere di non applicare nessun contratto collettivo, fermo restando la corresponsione al lavoratore subordinato di una retribuzione minima sufficiente e proporzionale al lavoro prestato. Nel caso in cui il datore di lavoro, pur non essendo iscritto a nessuna sigla datoriale stipulante contratti collettivi nazionali, decidesse, in sede di contrattazione individuale, di rinviare esplicitamente ad un CCNL, tale rinvio contenuto nel contratto individuale di lavoro diverrà in tal modo la fonte dell’obbligazione, per il datore di lavoro, di applicare le pattuizioni in esso contenute.

Per quanto attiene, invece, la durata del patto di recepimento si è visto come il Tribunale di Roma abbia logicamente esteso il termine di durata del CCNL, a cui è stato fatto rinvio esplicito nel contratto individuale di lavoro, al patto di recepimento.

E’ opportuno evidenziare che, dalla clausola di durata discende una diversa qualificazione giuridica in merito alla possibilità di un recesso unilaterale.

Se nel contratto collettivo di diritto comune non fosse previsto un termine di durata, allora sarebbe sempre riconosciuto alle parti il diritto di recesso unilaterale; laddove fosse previsto invece un termine di durata, il recesso unilaterale, non sarebbe possibile se non nell’esclusivo caso in cui la legge o le parti lo prevedano espressamente e soltanto per giusta causa.

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Nel caso esaminato dal Tribunale di Roma il recesso unilaterale ante tempus dal patto di recepimento individuale non sarebbe altresì legittimo anche laddove il contratto collettivo recepito avesse durata indeterminata, in quanto non sarebbe invocabile il principio dell’inammissibilità di vincoli contrattuali perpetui poiché il patto di recepimento individuale avrebbe, al contrario di un contratto collettivo a tempo indeterminato, un suo termine naturale ossia il decesso del lavoratore; sicuramente questo è il punto più controverso della fattispecie in esame, poiché questa conclusione appare un po' troppo rigida.

Per comprendere meglio tale pronuncia, occorre soffermarsi più dettagliatamente sulla clausola di rinvio alla contrattazione collettiva inserita nel contratto individuale di lavoro.

Il rinvio alla contrattazione collettiva di riferimento può essere esplicito (dunque previsto espressamente nel contratto individuale di lavoro) od implicito (quindi per comportamento concludente del datore di lavoro), oppure si potrebbe avere (ipotesi alquanto rara) un rinvio esplicito ma solo in riferimento al testo contrattuale collettivo vigente al momento del rinvio48; normalmente nella prassi aziendale il rinvio è esplicito

ed ha ad oggetto il contratto collettivo vigente e quelli che si succederanno nel tempo.

Inserendo la clausola di rinvio alla contrattazione collettiva da applicare all’interno del contratto individuale di lavoro, si può ragionevolmente dedurre che, laddove il CCNL a tempo determinato venisse rinnovato alla scadenza, per effetto del rinvio il datore di lavoro dovrà applicare il CCNL successivo, in quanto la funzione assolta dal rinvio sarebbe quella di voler cristallizzare il regolamento di interessi, così come stabilito nel

48 In tal caso occorrerà un’inequivocabile manifestazione di volontà delle parti in tal senso specifico, che sarà oggetto di attenta valutazione da parte del giudice.

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contratto individuale di lavoro, sottraendolo in tal modo alle successive vicende della disciplina sindacale; nel caso invece in cui il CCNL non fosse rinnovato alla scadenza e dunque divenisse ultrattivo (dunque a tempo indeterminato) in forza di apposita pattuizione fra le parti stipulanti, il datore di lavoro dovrà continuare ad applicare il medesimo CCNL. A sostegno di tali tesi, la dottrina49 ha ribadito più volte in simili

casi che le clausole contrattuali collettive non assumerebbero natura di pattuizione individuale, ma conserverebbero sempre la loro dimensione collettiva, operanti dall’esterno del contratto individuale di lavoro come fonte eteronoma di regolamentazione; conseguentemente a ciò si dovrebbe riconoscere alle parti del rapporto lavorativo la facoltà di recedere dalla clausola di rinvio, in costanza del rapporto in essere.

Tale facoltà di recesso sarebbe esercitabile, da ciascuna delle due parti, al momento della scadenza naturale del vigente contratto collettivo richiamato oppure in qualsiasi momento laddove il contratto collettivo richiamato avesse durata indeterminata.

Laddove si ragionasse in modo opposto, si avrebbe una lesione del pieno esercizio delle libertà sindacali delle parti ed anche, per il datore di lavoro, una violazione della libertà di organizzare nel modo più efficace ed efficiente l’impresa, e ricordiamo che entrambe sono libertà riconosciute e garantite dalla nostra Carta Costituzionale, ex artt. 39 e 41.

49 M. PALLINI, Le clausole di rinvio al contratto collettivo tra libertà d'impresa e libertà

sindacale negativa, in Riv. It. Dir. Lav., 2014, II, pag. 30 e segg.; così S. P. EMILIANI,

L'efficacia delle clausole di rinvio dinamico al contratto collettivo alla luce del Protocollo d'intesa 31 maggio 2013, in M. BARBERA, A. PERULLI ( a cura di ) in Consenso, dissenso e

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4. LA CONDOTTA ANTISINDACALE NEL CASO DI DISAPPLICAZIONE UNILATERALE DEL CCNL

Il legislatore ha fornito al sindacato dei lavoratori un particolare strumento giudiziario, quello previsto dall'art. 28 dello Statuto dei Lavoratori, ossia un procedimento giudiziario urgente, appartenente alla categoria dei procedimenti sommari, avente la funzione di reprimere tutti i comportamenti datoriali diretti ad impedire o limitare l'esercizio della libertà e delle attività sindacali nei luoghi di lavoro nonché il diritto di sciopero50. L'associazione sindacale che ritenga che in azienda si sia verificato un

comportamento antisindacale potrà ricorrere al giudice del lavoro, il quale convocate le parti e assunte le informazioni sommarie, laddove ritenesse la condotta oggettivamente antisindacale, con decreto motivato esecutivo, ordinerà al datore di lavoro la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti da esso provocati. L'inottemperanza a tale decreto immediatamente esecutivo è punita come reato ex art. 650 del codice di procedura penale.

La lesione dei diritti sindacali, previsti sia dallo Statuto dei Lavoratori che dalla legge e dai contratti collettivi, deve ritenersi condotta antisindacale, dunque illegittima, qualora il comportamento del datore di lavoro oggettivamente risulta essere lesivo di interessi sindacali giuridicamente protetti, a prescindere dalla responsabilità soggettiva del datore di lavoro; infatti, l'art. 28 dello Statuto dei lavoratori ha lasciato volutamente imprecisata la descrizione dei comportamenti non consentiti al datore di lavoro.51

50 Cassazione, 17 giugno 2014, n. 13726.

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Può essere considerato antisindacale quel comportamento datoriale apparentemente legittimo che però abbia come conseguenza indiretta quella presenta di frustare le attività e le libertà sindacali dei lavoratori; oppure è antisindacale quella condotta datoriale che si concretizzi in una lesione illegittima e diretta di un diritto sindacale previsto dalla legge o dal contratto collettivo.

Secondo Cassazione 22 aprile 2004, n. 7706, per integrare gli estremi di una condotta antisindacale è sufficiente che il comportamento del datore di lavoro leda oggettivamente gli interessi collettivi, di cui sono portatrici le organizzazioni sindacali, senza che si renda necessario uno specifico intento lesivo da parte del datore di lavoro, né nel caso di condotte tipizzate, in quanto consistenti nell’illegittimo diniego di prerogative sindacali52, né nel caso di condotte non tipizzate ed in astratto lecite ma, in

concreto, oggettivamente idonee a limitare la libertà o le attività sindacali. Come altresì potrebbe accadere che un intento specifico lesivo del datore di lavoro non possa di per sé far considerare antisindacale quella condotta che non abbia un rilievo oggettivo tale da limitare la libertà sindacale53. Sarà compito del giudice quello di accertare

l’obiettiva idoneità della condotta denunciata a produrre l’effetto che la disposizione dell’art. 28 dello Statuto dei Lavoratori intende impedire, ossia la lesione delle attività nonché libertà sindacali ed il diritto di sciopero.

Pertanto, non ogni inadempimento datoriale costituisce di per sé condotta antisindacale, ma occorre che da tale inadempimento derivi una lesione oggettiva alle libertà ed alle attività sindacali.

52 Ad esempio il diritto all’assemblea, il diritto ai permessi sindacali, il diritto delle rappresentanze aziendali ad avere locali idonei allo svolgimento delle proprie funzioni ect.

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In ogni caso, poiché il diritto alla consultazione sindacale non costituisce di per sé uno strumento di protezione dell’azione sindacale, ne consegue che non potrà mai essere considerato il recesso unilaterale dal contratto collettivo, senza una preventiva consultazione della parti sindacali, sanzionabile ex art. 28 dello Statuto dei Lavoratori, laddove tale consultazione non sia stata prevista specificamente dal contratto collettivo o dalla legge ovvero sussistano circostanze tali da connotare la condotta del datore di lavoro come causa di oggettivo impedimento per il sindacato di operare nel contesto aziendale il ruolo di controparte contrattuale; fermo restando che tale ruolo, che si acquisisce attraverso le capacità di negoziazione e di azione sindacale, è oggetto di protezione giuridica nel periodo di vigenza del contratto collettivo, ma non oltre lo stesso.

Nel lungo dibattito in merito alla questione della condotta antisindacale del datore di lavoro in riferimento al caso del recesso dal contratto collettivo, in dottrina54 veniva

sostenuto che l’antisindacalità fosse da ravvisare qualora venisse provata la volontà del datore recedente di ledere tali beni sindacali.

L’intervento delle Sezioni Unite ha chiarito il punto di tale annoso dibattito, accogliendo favorevolmente la tesi per cui rileva solo l’oggettiva condotta antisindacale, idonea ad arrecare lesione ai beni sindacali protetti55, escludendo così la rilevanza

dell’intenzionalità lesiva del datore di lavoro.

54 A. MARESCA, Contratto collettivo e libertà di recesso, ne Arg. Dir. Lav., 1995, 2, op. cit.,

pagg. 55 e 56.

55 Cassazione, 12 giugno 1997, n. 5295; Cassazione, 17 giugno 2014, n. 13726 ; Cassazione, 20 marzo 2008, n. 7604; Cassazione, 1 dicembre 1999, n. 13383.

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Anche la soluzione adottata dalle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione è apparsa ad una parte della dottrina56 ancora non del tutto soddisfacente per la risoluzione

di controversie inerenti al recesso dal contratto collettivo applicato o richiamato; infatti, a tal proposito, non essendo configurabile un interesse giuridico vincolante al mantenimento del contratto collettivo applicato o richiamato da parte del sindacato, nel caso in cui venisse effettuato un recesso lecito, sul piano civilistico, la condotta non potrebbe essere oggettivamente valutata antisindacale in quanto non lederebbe il bene protetto. Tuttavia , secondo Cassazione, 22 aprile 2004, n. 7706, qualora l’utilizzo di strumenti apparentemente leciti fosse in concreto diretto a limitare l’attività e la libertà sindacale, impedendo così alle rappresentanze aziendali di operare nell’impresa, allora sarebbe comunque ravvisabile l’antisindacalità della condotta.

Certamente tale conclusione rispecchia l'orientamento giurisprudenziale più consolidato, per cui risulterebbe irrilevante l’intenzionalità della condotta del datore di lavoro solo nel caso in cui il suo comportamento fosse di per sé contrastante con norme imperative, tale per cui la condotta sarà sempre qualificabile come antisindacale.

L’antisindacalità della condotta datoriale, altresì, acquisirebbe rilevanza qualora, pur essendo lecita la condotta, presentasse il carattere dell’abuso di diritto nella sua sostanza; contro tale tesi, in dottrina57 si è obiettato che si è innalzata la categoria

dell’abuso di diritto al rango di limite generale applicabile a tutti gli atti di autonomia

56 Così P. CIPRESSI, I comportamenti antisindacali del datore di lavoro, Giuffré, Milano, 1983,

pag. 33.

57 A. TURSI, Contratto a tempo indeterminato e recesso ad nutum, in Riv. It. Dir. Lav., 1993, 1,

op. cit. pagg. 483 e 484; A. BOLLANI, Recesso unilaterale dal contratto collettivo e

comportamento antisindacale nella giurisprudenza di Cassazione, in Riv. It. Dir. Lav., 2005,

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negoziale, per il tramite delle clausole di correttezza e buona fede, da ciò ne risulterebbe inficiata la validità del recesso sul piano civilistico.

Dunque alla luce di tutto ciò, appare senz’altro condivisibile la soluzione data con decreto del 28 luglio 2016 emessa dal Tribunale di Roma; secondo il Tribunale deve essere affermata l’illiceità della disapplicazione unilaterale del CCNL, prima del decorso del suo naturale termine di scadenza previsto dal contratto collettivo stesso, ritenendo altresì che la condotta datoriale fosse antisindacale, in quanto lesiva dell’immagine, del ruolo e delle attività sindacali, e quindi suscettibile di loro tutela, attivabile ai sensi dell’art. 28 dello Statuto dei Lavoratori. Ai fini dell’antisindacalità rileva il fatto che la condotta datoriale viola l’art. 39 della Costituzione, alterando le regole del confronto negoziale, impedendo così al sindacato di svolgere il suo ruolo di controparte contrattuale; infatti, nel decreto del 28 luglio 2016 del Tribunale di Roma viene sottolineato che il recepimento di un CCNL in azienda non iscritta alle associazioni stipulanti non può che presumersi dovuto dall’iniziativa e dall’opera degli interlocutori sindacali facenti capo all’associazione dei lavoratori stipulanti lo stresso contratto collettivo recepito od applicato.

Procediamo alla disamina di altri casi sottoposti al vaglio di vari tribunali italiani in cui la disapplicazione unilaterale di un CCNL è stata talvolta giudicata come condotta antisindacale da parte del datore di lavoro ed altre volte no.

Nel 2011 le segreterie provinciali delle FIOM – CGIL presentarono, con riferimento a quattro società differenti, quattro ricorsi ex art. 28 dello Statuto dei Lavoratori, con richiesta di accertamento della condotta antisindacale delle società convenute, per aver

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disapplicato il contratto collettivo nazionali dei metalmeccanici, avente decorrenza 1 gennaio 2008 e scadenza prevista al 31 dicembre 2011.

Nel giugno del 2009, Fim e Uilm comunicarono la volontà di disdettare il CCNL dei metalmeccanici alla controparte datoriale, Federmeccanica e Assital; Federmeccanica rifiutò la proposta di rinnovo della parte economica del CCNL avanzata dalla Fiom, che nel frattempo aveva disdettato a sua volta il biennio economico del CCNL 2008-2009.

Nell'ottobre del 2009 venne sottoscritto da Federmeccanica e Assital e Fim e Uilm, in attuazione dell'Accordo Interconfederale del 2009, l'ipotesi per l'accordo di rinnovo del CCNL dei metalmeccanici; in seguito le parti giunsero alla stipula di vari accordi separati. Nel settembre 2010 Federmeccanica comunicò alla Fiom la volontà di recedere dal CCNL del 2008, con decorrenza dal 1 gennaio 2012.

Nei decreti del Tribunale di Torino, 18 aprile 2011 e del 26 aprile 2011, e del Tribunale di Modena, 22 aprile 2011,58 nei giudizi introdotti contro le società convenute,

Bullonerie Barge S.p.A., Emmegi S.p.A., Tyco Electronics Amp Italia S.r.l, i giudici hanno ritenuto antisindacale la condotta dei datori di lavoro, per aver negato la perdurante operatività del CCNL dei metalmeccanici del 2008, nei confronti dei lavoratori iscritti alla Fiom ed altresì per aver indotto i lavoratori non sindacalizzati a ritenere non più applicabile tale contratto collettivo.

Nei provvedimenti giudiziali è stata imposta la cessazione degli effetti di tale condotta antisindacale, ordinandone l'immediata applicazione del CCNL del 2008 sia ai lavoratori iscritti alla Fiom che a quelli non iscritti al sindacato Fiom, che ne avessero

58 Tribunale di Torino, 18 aprile 2011 e 26 aprile 2011, Tribunale di Modena, 22 aprile 2011, Tribunale di Torino, 2 maggio 2011, in Lav. Giur., 2011, 7, pag. 716 e segg..

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richiesta fino alla relativa scadenza da inviare alla Fiom, in quanto parte ricorrente nei vari giudizi.

Di tutt'altro parere è stato il decreto del Tribunale di Torino del 2 maggio 2011, nei confronti di Prima Industrie S.p.A., in cui è stata negata la sussistenza di una condotta antisindacale dell'azienda convenuta, ritenendo dimostrato che l'azienda avesse applicato la parte normativa del CCNL del 2008 ai lavoratori iscritti alla Fiom.

In conclusione, sia nel caso di disapplicazione unilaterale ante tempus di un CCNL a termine o di un CCNL a tempo indeterminato, o del patto di recepimento di un CCNL da esso richiamato, il datore di lavoro dovrà fare particolare attenzione alle modalità con cui porrà in essere tale recesso, in quanto esse incideranno sia sulla liceità civilistica del recesso che su eventuali profili di antisindacalità dello stesso.

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