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CAPITOLO III

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Academic year: 2021

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CAPITOLO III

LA DIMENSIONE FAMILIARE DEL LUTTO 3.1 I primi contributi

Il tema della morte e del morire negli studi sulla famiglia ha subito fluttuazioni negli anni: è stato oggetto di riflessione negli anni Settanta e poi ha subito un declino di attenzione. A seguito di una conferenza internazionale organizzata nel 1988 da Norman Paul, uno dei pochi ad aver affrontato questo tema, Mc Goldrick e Walsh (1991) raccolgono in un volume intitolato Living Beyond Loss: Death in the Family - il primo su questo tema- gli articoli più vecchi di Paul e Bowen e le riflessioni più recenti sull’impatto della perdita e della morte sulla famiglia.

Nelle prime formulazioni del ciclo di vita della famiglia, il tema della perdita era fatto coincidere con l’esperienza della morte e posto nella fase della famiglia con anziani (Solomon, 1973).

Walsh e McGoldrik (1991), osservano che l’assunzione del modello strutturale strategico prima, e di una prospettiva costruttivista poi, entrambi centrati sull’osservazione del presente, non ha permesso agli studiosi di afferrare l’importanza di questo tema. Legami che sono venuti meno, e come tali appartengono al passato, o che si teme possano venire a mancare in futuro, sono infatti ‘fuori dal campo di osservazione’, anche se hanno un rapporto diretto con il disagio attuale della famiglia. L’espulsione della storia dal presente, frutto dello stesso miope punto di vista che rimuove la morte dal contesto del vivere, impedisce di connettere i tempi della vita e, così facendo, smarrisce gli aspetti di continuità nel passaggio delle generazioni.

L’evento dell’11 settembre ha risvegliato gli americani, e non solo loro, dall’illusione d’immortalità e invulnerabilità, diffondendo un palpabile sentimento di precarietà della vita e della morte in un contesto mondiale instabile e incerto (Silver, Holman, McIntosh, Poulin, Gil-Rivas, 2002). Il problema della mortalità e della perdita sta 1

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emergendo come evidenzia il fiorire di produzione letterarie e cinematografiche sul tema della morte e del lutto, e sul dopo vita.

In conseguenza allo sconvolgimento economico e sociale delle ultime decadi, le famiglie si devono confrontare con molteplici perdite e trasferimenti. La migrazione e le perdite di lavoro hanno distrutto la stabilità e le sicurezze di un numero crescente di famiglie: quasi il 50% delle famiglie soffre la perdita da separazione e divorzio, sperimentando nuove transizioni nel momento in cui si ricombinano in nuove forme famigliari. Adozioni e affidi sono anch’essi basati sulla perdita (Walsh, McGoldrick, 2004).

L’utilizzo dei termini familiare e coniugale nella società contemporanea è ampio, e include una varietà di figure parentali significative e relazioni di coppia (Walsh, 2003a). Nell’approccio sistemico ci si riferisce con tali termini anche a legami non parentali, amicizie e famiglie di fatto, comprendendo anche agli animali domestici e di compagnia: lo sguardo sconfina oltre i confini domestici a tutte le relazioni significative.

Molti studi clinici e sperimentali si sono focalizzati sulla perdita all’interno di una relazione diadica significativa nel caso d’individui sintomatici, lasciando spesso la famiglia relegata sullo sfondo, presumendo che i rimanenti membri asintomatici presentino un normale adattamento e non considerando quindi il loro coinvolgimento (Worden, 2002, 1996; Rando, 1986; Doka, 1996; Parkes, 2001, Bowlby, 1980; Kübler-Ross, 1969).

Secondo Walsh e McGoldrick (2004) il campo della terapia della famiglia è stato lento ad approcciare il tema della perdita, riflettendo l’avversione culturale di fronte alla morte.

Le stesse hanno anche evidenziato, dopo un’attenta revisione della letteratura recente, un’insufficiente o comunque scarsa presenza nella maggior parte delle ricerche, nelle teorie cliniche, nella formazione e nella pratica, della prospettiva sistemica sulla perdita.

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3.2 Murray Bowen e l’onda d’urto emotiva

Murray Bowen (1979), ha indicato la morte come il principale tabù e evidenziato come un’elevata percentuale di persone muore in solitudine, chiusa nei propri pensieri, impossibilitata nel comunicarli ad altri. Ha identificato almeno due processi attivi: il primo intrapsichico, all’interno del sé, che spesso comporta negazione della morte, il secondo consistente nella chiusura del sistema relazionale, a causa dell’impossibilità per le persone di comunicare i loro pensieri, per non sconvolgere la famiglia o gli altri.

Bowen (1974), ha evidenziato che vi sono almeno tre sistemi chiusi alla comunicazione, che operano intorno al malato terminale. Il primo è relativo al paziente stesso che ha una certa consapevolezza dell’imminenza della morte e spesso anche una conoscenza privata elevata, che non può condividere con nessuno. Un secondo sistema chiuso è relativo alla famiglia che ottiene informazioni di base dai medici, le quali vengono integrate con informazioni ottenute da altre fonti, amplificate, distorte e reinterpretate e comunicate al paziente in modo da evitargli reazioni d’ansia. Anche il sussurrare di certi familiari, credendo che il paziente non ascolti, ne incrementa la preoccupazione. Lo staff medico e assistenziale costituiscono il terzo sistema chiuso; la comunicazione, che si suppone basata su dati medici, è influenzata dalla reattività emozionale della famiglia ma anche da quella interna allo staff. Più ansioso è il medico più tenderà a parlare in un linguaggio tecnico o a semplificare, e la famiglia tenderà a non ascoltare, tenderà a parlare troppo e ascoltare poco. Alla fine il messaggio alla famiglia sarà vago, distorto, e la consapevolezza della famiglia sarà poca e accompagnata da un’errata percezione del messaggio. Più il medico verrà percepito ansioso, più la famiglia chiederà dettagli, più lui non saprà rispondere, replicando con ipergeneralizzazioni. Anche il medico che è d’accordo con il principio di raccontare la realtà al paziente, può comunicarla con così tanta ansia che il paziente non risponderà al contenuto di ciò che sta dicendo. I problemi insorgono quando il sistema chiuso della medicina, incontra il sistema chiuso della famiglia e del paziente, e l’ansia viene alimentata.

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Fino alla metà degli anni ’60, la maggior parte dei medici si opponeva al comunicare al paziente di essere affetto da una malattia terminale. Nelle ultime decadi l’atteggiamento nei riguardi della comunicazione della malattia è molto cambiato, ma la pratica medica non è stata in grado di tenere il passo a questo cambiamento. La scarsa comunicazione fra medico e paziente, tra il medico e la famiglia, e tra la famiglia e il paziente sono tuttora come prima. Il problema alla base è unico e di natura emozionale. Il medico può credere di aver dato informazioni sui fatti al paziente, ma nell’emozione di quel momento, (la precipitazione e l’indeterminatezza della comunicazione, insieme al processo emotivo del paziente), il paziente non sarà riuscito a sentire. Egli ritiene che la tendenza verso ‘il dire al paziente la realtà riguardo la malattia incurabile’ sia un cambiamento sano in medicina, ma un sistema chiuso non può divenire aperto quando un chirurgo o un medico parlano, sono pervasi dall’ansia. Entrambi avrebbero necessità di imparare i principi emotivi dei sistemi chiusi nel triangolo medici-pazienti-famiglia, oppure potrebbero avvalersi di esperti di terapia familiare.

Secondo Bowen il tempo richiesto da una famiglia per stabilire un nuovo equilibrio emotivo, dipende dall’integrazione emozionale della famiglia e dall’intensità del disturbo. Un famiglia ben integrata può manifestare una maggior reazione al momento del cambiamento ma adattarsi ad esso più rapidamente a differenza di famiglie meno integrate che possono manifestare una piccola reazione al momento e rispondere tardivamente con sintomi fisici, disturbi affettivi o comportamenti sociali inadeguati. L’intensità della reazione sarà regolata dal livello di maturità emozionale nella famiglia al tempo della perdita e dal significato funzionale del membro perduto, perché le onde d’urto operano attraverso le sottostanti interdipendenze emotive dei membri della famiglia.

Mentre più ricerche si sono focalizzate sull’impatto di una morte per un soggetto individuale, bambino, genitore o fratello, le perdite sono simultaneamente sperimentate da multiple prospettive nelle tre generazioni del sistema familiare. La perdita di un genitore per un bambino, può coinvolgere la perdita del coniuge per il

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genitore, e la perdita di un figlio per i nonni. Tutte le loro reazioni riverbereranno mediante una catena circolare.

Bowen (1976) descrive il distruttivo impatto della minaccia della perdita o della morte, sull’equilibrio funzionale della famiglia, come l’onda d’urto emotiva.

L’emotional shock wave consiste in una rete di scosse di assestamento sotterranee, di gravi eventi di vita, che possono verificarsi ovunque nel sistema famigliare in mesi o anni, in seguito a gravi eventi emotivi della famiglia. Si verifica più spesso dopo la morte o la minaccia di morte di un membro significativo della famiglia, ma può verificarsi anche per perdite di altro tipo. Non è direttamente collegata alle tipiche reazioni di dolore o lutto delle persone vicine al defunto, opera su una rete sotterranea di dipendenza emotiva dei membri di una famiglia, uno sull’altro. La dipendenza emotiva è negata, e il grave evento di vita appare scollegato; la famiglia tende a camuffare ogni connessione con l’evento e vi è una forte reazione di negazione quando qualcuno cerca di legare gli eventi insieme. Avviene soprattutto in famiglie ad elevata fusionalità emotiva, spesso negata, in cui i membri hanno potuto mantenere, sino a quel momento, un buon livello di equilibrio emozionale asintomatico nel sistema. Fu notata per la prima volta durante una ricerca transgenerazionale. I sintomi possono includere malattie fisiche di varia natura e gravità, da un aumento dell’incidenza di raffreddori o infezioni respiratorie, alla prima manifestazione di una condizione cronica come diabete, o allergie, o a problematiche cliniche o chirurgiche acute, e persino episodi psicotici. È come se l’onda emotiva fosse lo stimolo attivante il processo. I sintomi possono apparire in un bambino o in un altro membro vulnerabile della famiglia o può sfociare in un conflitto interpersonale. Possono anche manifestarsi insuccessi scolastici o lavorativi, alcolismo, aborti o nascite illegittime.

Non tutte le morti hanno la stessa importanza nella famiglia, alcune sono più neutre e sono seguite da comuni reazioni di lutto e dolore, altre possono rappresentare un sollievo per la famiglia, a queste solitamente segue un periodo di miglior funzionamento. Tra le morti che più facilmente possono essere seguite da un’onda d’urto severa e prolungata vi è la morte di entrambi i genitori, quando la famiglia è

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giovane, la morte di un bambino significativo o di un ‘capo’, come un nonno che è stato una figura centrale sia nella vita emotiva sia per la stabilita della famiglia. Raramente un’onda emotiva fa seguito alla morte di un membro disfunzionale, a meno che la stessa disfunzione giochi un ruolo critico nel mantenere l’equilibrio emozionale della famiglia. Nel caso di suicidio abitualmente segue una reazione prolungata di dolore e lutto, ma l’onda emotiva è solitamente minore a meno che il suicidio sia stato una rinuncia a un ruolo funzionale essenziale.

3.3 Norman Paul

Norman Paul (1965) un altro pioniere della terapia familiare, ha anch’egli studiato il profondo impatto della perdita sulla famiglia e la riluttanza sia dei terapeuti sia dei clienti nell’affrontare il tema della morte.

Paul si esprime rispetto alla terapia ammonendo i clinici per l’avversione alla morte e al dolore, nonché per l’osservazione esclusivamente centrata sul qui ed ora, come impedimento a indagare perdite nel passato storico della famiglia. L’approccio terapeutico attivo dovrebbe confrontarsi con le perdite nascoste, favorendo la consapevolezza delle loro connessioni con le relazioni, incoraggiando la mutua empatia nella terapia di coppia e famigliare. Per portare in superficie un lutto bloccato egli spesso utilizza stimoli ‘grilletto’ come poesie, lettere, e filmati, inoltre egli ha sviluppato una metodica innovativa: visualizzare come in uno schermo diviso immagini video di loro stessi e di un caro defunto.

In definitiva sia Bowen sia Paul enfatizzano. seppur mediante approcci diversi, l’importanza di venire a patti con la perdita e di rivolgere l’attenzione ai modelli relazionali a essa associati.

3.4 Il modello del Ciclo di Vita Familiare

Dall’integrazione della Teoria del Family Stress di Hill (1949), con gli approcci evolutivi allo studio della famiglia, e attraverso sviluppi successivi, si giunge alla

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costruzione del Modello del Ciclo di Vita Famigliare (Mc Goldrick, Heiman, Carter, 1993; McGoldrick, Carter, 1982; Carter, McGoldrick, 1980).

In questo modello, la famiglia è descritta come un sistema emozionale plurigenerazionale. Tale sistema comprende almeno tre generazioni, ma, con l’aumento dell’aspettativa di vita, oggi se ne contano a volte più di quattro. Il ciclo di vita famigliare rappresenta il contesto relazionale ed evolutivo attorno al quale si struttura e si sviluppa l’identità individuale e la cultura familiare. La famiglia nucleare rappresenta un sottosistema emotivo, che s’interfaccia con il passato e con il presente attraverso gli intrecci relazionali. La famiglia non può essere isolata né dalle sue radici, né dalle sue prospettive di sviluppo. Se il suo movimento nel tempo presente risulta chiaramente lineare, è necessario considerare un tempo storico che intercetta il presente. Il modello risultante dall’interazione tra i diversi livelli sistemici, individuale, familiare e culturale, si articola lungo due dimensioni temporali, in cui la famiglia si colloca tra individuo e cultura. Quella verticale è riferita al tempo storico e include l’ereditarietà biologica e temperamentale, la storia familiare con i suoi modelli di funzionamento e di regolazione delle distanze che sono trasmesse lungo le generazioni, credenze, tabù, pregiudizi, atteggiamenti, aspettative e paure. Quella orizzontale è riferita al tempo che si svolge nel presente e include i cambiamenti fisici, emotivi e psicologici dell’individuo lungo il corso della sua vita, ma anche le transizioni e i cambiamenti che la famiglia incontra nel suo ciclo di vita.

McGoldrick e Walsh (1983), hanno articolato e sviluppato una prospettiva sistemica della perdita, basata sul ciclo di vita famigliare pluricontestuale, che ha guidato per quattro decenni la teoria, la ricerca e la clinica. La morte di un membro della famiglia è una profonda perdita per l’intera famiglia, che colpisce tutti i membri, le loro relazioni e la famiglia come unità funzionale. Da una prospettiva sistemico-relazionale, il lutto è visto come un processo di transizione influenzato dalle perdite precedenti, e che coinvolge sia coloro che muoiono sia coloro che sopravvivono, in un ciclo di vita familiare multigenerazionale condiviso. Una morte nella famiglia coinvolge molteplici perdite, la perdita della persona, la perdita dei ruoli e delle

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relazioni, la perdita della famiglia come unità e non ultima, la perdita di speranza e di sogni per tutto quello che avrebbe potuto essere, ponendo sfide d’adattamento condivise di riorganizzazione e cambiamenti alla definzione, all’identità e agli scopi della famiglia (Crenshow, 1996; Jordan, Kraus, Ware, 1993; Rosen, 1998; Walsh, 1983; McGoldrick, Walsh; 2013, Shapiro, 2002).

Una prospettiva familiare di ciclo di vita pone attenzione alle influenze reciproche, delle diverse generazioni, che si muovono in avanti nel tempo e a come approcciano e rispondono alla perdita (Carter, McGoldrick, 1999).

La perdita coinvolge i processi nel tempo: dalla minaccia alla morte, nel suo periodo immediatamente successivo e nelle implicazioni a lungo termine (McGoldrick, Walsh, 2004).

Un buon funzionamento familiare tende ad avere un senso evolutivo nel tempo e nel processo di crescita, cambiamento e perdita nelle generazioni. Questa prospettiva aiuta i membri della famiglia a vedere ogni perdita e ogni transizione come pietre miliari sul loro percorso di vita condivisa. I molteplici significati di ogni morte sono trasformati nel tempo, così come sono integrate altre esperienze di vita. Ogni perdita si ricollega a tutte le altre perdite, ma unica nel suo significato. I lasciti delle perdite trovano espressione nei modelli continui di interazione e reciproca influenza tra i sopravvissuti e le generazioni, influenzando anche le loro relazioni con altri che non hanno mai potuto conoscere il defunto (Beavers, Hampson, 2003).

3.5 Organizzazione familiare e comunicazione

L’inquadramento della resilienza familiare (Walsh, 2007, 2003b) ha sintetizzato la ricerca sulla resilienza e il funzionamento familiare per meglio comprendere il ruolo dei processi chiave organizzati in tre dimensioni: sistemi di credenze, modelli di organizzazione, e comunicazione/problem-solving.

Mentre il sistema familiare influenza come le persone definiscono la loro relazione con gli altri (sia all’interno che all’esterno del sistema medesimo), le famiglie

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variano l’una dall’altra, e all’interno di esse nel tempo, riguardo la rigidità o la flessibilità dei legami (Combrinck-Graham, 2004).

Nell’organizzazione familiare la coesione, la flessibilità, la comunicazione aperta e sincera, e l’accettazione sono i prerequisiti per il mantenimento e la riorganizzazione funzionale del sistema familiare dopo la morte. In quanto sistema costituito da regole, ruoli e confini, la famiglia ha infatti necessità di essere flessibile e coesa al punto giusto, per riorganizzarsi dopo una perdita.

Se la famiglia è coesa, tollerante e rispettosa verso le differenti reazioni alla perdita e consente un reciproco sostegno, l’adattamento sarà facilitato.

Agli estremi dei livelli di coesione ed adattabilità troviamo invece le organizzazioni più disfunzionali. Una famiglia disfunzionale tenderà a negare l’evento, mantenendo legami mai spezzati, e incontrerà difficoltà nel mantenere una leadership autorevole, una continuità e una stabilità necessarie per gestire lo sconvolgimento in transizione. I membri saranno isolati nel loro dolore. Una famiglia troppo rigida potrà resistere alle modificazioni necessarie per l’adattamento. Modelli estremi di disimpegno presentano maggior probabilità di evitamento del dolore mediante distacco emozionale. Inoltre, le famiglie disimpegnate possono accentuare l’indipendenza e di conseguenza non fornire ai membri della famiglia il necessario supporto emotivo quando accade una morte (Corr, Corr, 2013).

All’opposto, le famiglie invischiate, ovvero quelle che sono caratterizzate da membri estremamente coinvolti nelle vite e nelle emozioni uno dell’altro, possono non permettere la differenziazione e limitare l’espressione individuale dei sentimenti. È presente, in queste famiglie, un’elevata fusionalità, e la differenziazione può essere letta come slealtà o minaccia, portando i membri a nascondere o distorcere i sentimenti, a ricercare un sostituto indifferenziato, e ad avere difficoltà in separazioni successive. Se memorie, pensieri ed emozioni sono censurate a causa della fedeltà alla famiglia, di tabù sociali o di miti, la comunicazione relativa all’esperienza di perdita può essere distorta e contribuire ad un comportamento sintomatico (Imber-Black, 1995).

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Di fronte al dolore le famiglie avviano modelli di comunicazione e negoziazione diversi, che offrono chiavi di comprensione del loro funzionamento (Shapiro, 2001). La famiglia può essere definita sulla base delle diverse modalità di comunicazione. Famiglie definite 'arena' (Gilbert, 1996) sono caratterizzate da membri che sperimentano il dolore individualmente in modalità differenziate, in funzione del significato che la perdita assume per i singoli membri.

Il sistema famigliare viene invece definito 'caotico' quando l’informazione non è condivisa o è distorta, e le emozioni e le esperienze sono negate (Breen, 1997). La definizione di una famiglia influenza come i ruoli sono differenziati in termini di posizione, di come le regole reciprocamente condivise stabiliscono chi dovrà piangere e come il lutto dovrà essere espresso. Più flessibili saranno tali ruoli, maggiori saranno le probabilità che i membri potranno facilmente esprimere liberamente i loro sentimenti e le regole essere modificate se ritenute inadeguate (Nadeau, 2001).

Rispetto a ciò, è esemplificativa l’identificazione delle famiglie di Kissane (1998, 1996) in 5 modalità organizzative poste su un continuum, distinguendo famiglie funzionali, intermedie e famiglie disfunzionali. La maggior parte delle famiglie sono identificate a buon funzionamento mentre il 15-20% come famiglie disfunzionali i cui membri sono più inclini a sperimentare il lutto complicato. Secondo Kissane l’intimità della relazione è fondamentale per l’elaborazione del lutto. Quando muore un membro, la comunicazione all’interno della famiglia può divenire più chiusa, e l’ansia e lo stress possono aumentare la fusionalità, oppure la reattività emozionale e la rigidità dei modelli comunicativi (Shapiro, 2001).

Tuttavia, il dolore può mobilizzare risorse familiari per mantenere sentimenti intensi, e riorganizzare l’interazione quotidiana ridefininendo le collaborazioni familiari (Shapiro, 1994).

Alcuni autori hanno ipotizzato che dare un senso alla perdita avrebbe potuto facilitare e incoraggiare la comunicazione nella famiglia. I loro dati suggeriscono che un’aperta comunicazione precedente alla perdita, è associata a un maggiore sentimento di crescita personale. Contrariamente, una famiglia orientata al

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conformarsi, è stata associata ad una minor crescita personale (Carmon, Western, Pearson, Fowler, 2010). Questi risultati indicano l’importanza del facilitare la comunicazione sulla perdita.

Visto dalla prospettiva della famiglia, come sistema dinamico di relazioni, il dolore può essere espresso o meno in maniera simile tra i membri della famiglia (Cook, 2007).

In realtà è probabile che si verifichi normalmente tra le famiglie il dolore differenziato (Gilbert, 1996). Analogamente, la modalità di piangere (esprimendo i sentimenti di ognuno nei termini di ricerca dell’altro rispetto al lavoro dentro di sé) (Martin,Doka, 1999), tra i membri di una famiglia non è necessariamente condivisa e sincrona.

3.6 L’adattamento familiare alla perdita

La morte pone alle famiglie sfide nell’immediato e a lungo termine. L’adattamento alla perdita non significa risoluzione nel senso di ottenere un completamento su essa una volta per tutte (Walsh, McGoldrick, 2013).

L’abilità di accettare una perdita è il cuore di tutti i processi all’interno di un sano sistema famigliare (Beavers & Hampson, 2003), e coinvolge il ritrovare modalità per dare significato a quell’esperienza, ponendola all’interno di una trama, di un tessuto di vita.

Lutto e adattamento non hanno tempi o sequenze prevedibili: la valutazione degli aspetti relazionali del lutto ci dimostra che è un errore aspettarsi degli stadi o delle sequenze fissi e prestabiliti. Le perdite significative o traumatiche possono anche non essere mai completamente risolte. Il significato e l’effetto di una morte variano anche in funzione delle sfide di sviluppo che la famiglia sta affrontando (Shapiro, 1999), e il processo può essere visto come una trasformazione della relazione che continua. (Klass, Silverman, & Nickman, 1996). Ricerche ed esperienze cliniche evidenziano che ci sono sfide cruciali adattive per la famiglia che se non vengono

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affrontate, incrementano il rischio di disfunzionalità individuale e familiare (Walsh, McGoldrick, 2004).

3.6.1 I quattro compiti della famiglia

Analogamente ai compiti adattativi identificati da Worden (2009), per l’adattamento individuale alla perdita, Walsh e McGoldrick (2013) hanno postulato quattro compiti familiari che hanno la funzione di promuovere l’adattamento dei membri, e rafforzare l’unità funzionale, nell’immediato e a lungo termine.

Condividere il riconoscimento della realtà della morte.

Questo compito è facilitato dal diretto contatto con il morente quando è possibile, e da chiare informazioni relative ai fatti e alle circostanze della perdita. Quando si realizza che il tempo che rimane è limitato, si accende il desiderio di passare più tempo possibile insieme, il rapporto si approfondisce, si arricchisce pur nella tragicità e questo assumerà successivamente un importante ruolo nel dare un senso in coloro che sopravvivono, e non solo. Un buon funzionamento familiare tende a modificare le priorità per passare più tempo possibile a contatto con la persona amata, e apprezzandola maggiormente (Walsh, 2006; Rolland, 2011). Il contatto diretto con il morente è auspicabile anche per i bambini e per i componenti più vulnerabili della famiglia (Bowen, 1976). I tentativi in buonafede di proteggerli da un potenziale sconvolgimento emotivo in realtà può isolarli, e impedirne il processo del lutto (Bowen, 1979). I bambini sono più facilmente sconvolti dall’ansia di chi sopravvive e dalle loro fantasie, più che dall’essere partecipi ed esposti alla morte e al morire (Silverman, 2000).

In questa fase tutti i membri della famiglia, ognuno nella propria modalità, si devono confrontare con la morte. Nel caso di una morte improvvisa, questo processo può cominciare bruscamente, mentre in una situazione di pericolo di vita, può iniziare in maniera provvisoria, inizialmente con l’anticipazione di una possibile perdita, conservando la speranza, alla quale segue prima il riconoscimento di “una

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possibile” perdita, poi la certezza della perdita medesima come nella fase terminale di una malattia (Rolland, 1994).

L’incapacità di accettare la realtà della morte può portare un componente della famiglia all’isolamento dalla stessa oppure a sperimentare rabbia verso coloro che stanno elaborando il lutto (McGoldrick, Watson, Benton, 1999).

Esperienza condivisa della perdita.

I riti funebri, come la partecipazione a commemorazioni (Black, 2012; Imber-Black, Roberts, Whiting, 2003) e le visite alla tomba (Williamson, 1978), hanno la funzione vitale di confrontarci direttamente con la realtà della morte, di rendere omaggio, di condividere il dolore e di ricevere conforto all’interno di una rete di sostegno parentale e sociale. Data la complessità del processo del lutto familiare nel tempo, è cruciale un’aperta comunicazione associata a supporto empatico, nel rispetto delle diverse reazioni dei membri.

Probabilmente le famiglie sperimentano una gamma di sentimenti che dipendono dal significato delle singole relazioni di ogni componente con il defunto e della sua morte, e anche dalle implicazioni della morte per la famiglia come unità. Forti emozioni possono emergere in tempi diversi per i diversi componenti, sentimenti ambivalenti come rabbia, delusione, perdita di speranza, liberazione, senso di colpa e senso di abbandono. Queste emozioni che possono emergere normalmente nei rapporti familiari, si possono presentare in misura maggiore in caso di perdita e morte. Inoltre sono apprezzabili molteplici e fluttuanti reazioni, spesso conflittuali, evidenziando così la diversità e la complessità e i differenti stili di coping individuali, caratterizzanti il processo di elaborazione del lutto famigliare. Deve anche essere considerato che i membri di una famiglia possono avere uniche esperienze del significato del rapporto perduto, ad esempio fratelli possono avere avuto rapporti diversi con il genitore per età o genere. Il processo del lutto può essere bloccato da ruoli e responsabilità: i bambini possono colludere con parenti per mantenere il genitore sopravvissuto forte e funzionale, come una roccia a cui aggrapparsi (Fulmer, 1983).

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Quando il processo del lutto e la comunicazione sono bloccati, il non detto può rimanere occultato per poi riemergere in altri contesti o in comportamenti sintomatici. Inoltre se la famiglia non è in grado di tollerare certi sentimenti, il membro che li esprime direttamente può divenire un capro espiatorio, così come emozioni insopportabili possono essere delegate nell’espressione e in maniera frammentaria: un membro può incarnare tutta la rabbia della famiglia, così come un altro può farsi portatore della tristezza. Il dolore e shock per la perdita può frantumare la coesione familiare, lasciando i membri isolati e chiusi nel loro dolore.

Riorganizzazione del sistema familiare.

Flessibilità adattiva, continuità, coesione e connessione nel sistema famiglia possono richiedere un riallineamento e una ridistribuzione dei ruoli per compensare la perdita. È importante, per tamponare sconvolgimenti nella vita quotidiana, ristabilire un’organizzazione della vita e ridefinire gradualmente le routine. Precipitosi trasferimenti possono aggiungere ulteriori tensioni e rotture nella vita della famiglia e rischiano di ridurre le opportunità di supporto sociale. All’estremo opposto, l’esperienza della perdita nell’immediato può portare alcuni familiari ad aggrapparsi con rigidità a vecchi modelli, ormai non più funzionali, per minimizzare il senso di perdita e di disintegrazione.

Reinvestire in altre relazioni e attività.

Mano a mano che il tempo passa, i membri della famiglia sopravvissuti riconfigurano gradualmente le loro vite e le loro relazioni, per muovere verso una revisione dei progetti di vita, speranze e sogni. Il processo del lutto è piuttosto variabile, spesso dura molto di più di quanto si aspettino le persone. Paura di altre perdite, l’idealizzazione del defunto e un senso di infedeltà, possono bloccare la formazione di un nuovo attaccamento. L’evitamento del lutto mediante un matrimonio precipitoso o un attaccamento sostitutivo (Legg, Sherick, 1979) rischia di complicare le nuove relazioni.

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3.6.2 Variabili relative alla perdita

Ci sono alcune variabili che influenzano il processo dell’adattamento della famiglia, riferibili al momento, alla natura e alle circostanze della perdita; allo stato delle relazioni e le funzioni dei ruoli; al tempo della perdita; alla presenza nella storia di perdite traumatiche o lutti non risolti.

Età.

Morti che sono “fuori tempo”, in termini di aspettativa cronologica o sociale, come precoci vedovanze, morte di un genitore giovane o di bambini, possono essere più difficili per le famiglie, impegnandole in processi di lutto che frequentemente durano molti anni.

Modalità della morte.

Quando la morte è improvvisa, la famiglia non ha il tempo di prepararsi alla perdita, né il tempo di dire addio. Come un fulmine a ciel sereno, il senso di normalità e prevedibilità si frantuma, e la famiglia precipita in una situazione di caos e disorganizzazione che necessiterebbe l’intervento di supporto, pratico ed emotivo da parte della rete parentale e sociale. Quando il processo del morire è stato lento, vi può essere una situazione in cui i caregivers familiari e le risorse finanziarie sono state depauperate e i bisogni dei componenti della famiglia accantonati. In tali circostanze il senso di sollievo percepito può alimentare vissuti di colpa (Rolland, 2011). I familiari possono entrare in conflitto riguardo decisioni sul fine vita, che pongono dilemmi profondi di natura etica e religiosa (Walsh, 2009b).

La perdita ambigua (Boss, 1999) può determinare ansia, angoscia, depressione e conflitti. È il caso di un bambino scomparso o di un soggetto disperso, quando cioè permane una presenza psicologica accanto ad una assenza fisica, l’incertezza e il non sapere se è vivo o morto. Le famiglie possono dividersi fra chi continua una ricerca di conferme e chi vorrebbe continuare la propria vita.

Le demenze, in particolare quella di Alzheimer, chiamata ‘il lungo addio’, sono molto dolorose per le famiglie, perché assistono ad una graduale e progressiva

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compromissione delle funzioni cognitive, dei ruoli, della personalità e della capacità di riconoscimento.

Perdite nascoste come figli nati morti, aborti spontanei o volontari, rimangono spesso sconosciute oppure non riconosciute e minimizzate dagli altri, e ciò fa sì che il dolore della perdita sia ancor più dolorosa. L’infertilità rappresenta una perdita dei propri sogni per il futuro: ripetuti tentativi di concepimento seguiti da insuccessi, mentre il tempo scorre, possono causare elevato distress all’interno della coppia con pervasivi sensi di colpa, e conseguente evitamento da parte della stessa, di discutere apertamente della situazione. La mancata progressione nel ciclo di vita della famiglia deve essere incanalata in una modalità significativa per la coppia, per esprimerne la creatività.

Il dolore per una perdita prenatale e perinatale, che spesso sono minimizzate e accompagnate da un’intensa paura di complicazioni per gravidanze future, ha bisogno di essere condiviso dai genitori (DeFrain, 1991).

Nel caso di morte violenta e traumatica, l’impatto può essere devastante per tutta la rete familiare (Walsh, 2007), soprattutto nel caso di omicidi o suicidi. Gli omicidi sono più frequentemente commessi da parenti o stretti conoscenti, e spesso in caso di violenze domestiche. I familiari si struggono per comprendere queste azioni distruttive, spesso con ruminazioni su cosa potrebbe aver fatto la differenza (Dunne, Dunne-Maxim, 2004).

Una ricerca ha evidenziato che l’impatto di perdite traumatiche multiple nelle famiglie di tossicodipendenti hanno contribuito al loro comportamento autodistruttivo (Coleman, Stanton, 1978).

Risultano essere particolarmente difficili da sopportare le perdite conseguenti ad atti deliberati, come attacchi terroristici o da negligenza, o nel caso della guida in stato di ebbrezza. In questo caso, si può evidenziare nei sopravvissuti la presenza di significativi sintomi di disturbo post-traumatico da stress (Walsh, Mcgoldrich, 2004). Vi sono anche perdite non riconosciute e stigmatizzate: sono i casi in cui la morte viene nascosta o minimizzata dagli altri e il lutto viene emarginato, privato dei suoi diritti, 'disenfrainchised' (Doka, 2002), lasciando chi è in lutto nel suo dolore, privo

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di supporto. Ciò accade comunemente con le perdite prenatali e la morte di un animale di compagnia (Walsh, 2009a).

La perdita può essere nascosta quando la relazione è un segreto e/o è disapprovata dalla famiglia o dalla comunità. Lo stigma dell’HIV/AIDS favorisce segreti, disinformazione ed emarginazione, compromettendo il supporto familiare e sociale così come la terapia intensiva e la prevenzione. La morte per suicidio è la più difficile con cui fare i conti (McGoldrich, 1995; Dunne, McIntosh, Dunne-Maxime, 1988), la condanna religiosa e lo stigma possono contribuire alla vergogna famigliare, ai sensi di colpa e al nascondimento, fino a ridurre i riti funerari e della sepoltura. Se il rischio è particolarmente più elevato in soggetti affetti da disturbi psichiatrici e per uomini in età avanzata, soprattutto entro i primi sei mesi dall’essere rimasti vedovi, l’attuale aumento del simbolismo della morte e del suicidio negli adolescenti richiede una particolare attenzione (Shneidman,2001).

Funzione di ruolo e stato delle relazioni

Il generale livello di funzionamento familiare e lo stato delle relazioni prima e dopo una perdita debbono essere valutati con cura, comprese le reazioni e le risorse potenziali della rete familiare estesa.

Più importante è stata la persona nella famiglia, ricoprendo un ruolo centrale nel suo funzionamento, maggiore sarà la significatività della perdita: la morte di un genitore di un bambino, è spesso più sconvolgente della morte di un nonno anziano, che magari ha assunto un ruolo più marginale. La perdita di un leader o di un caregiver sarà vissuta più dolorosamente. Una famiglia può essere paralizzata se il membro perduto è ritenuto così essenziale che i membri sopravvissuti sono incapaci di ricollocare la funzione del suo ruolo o creare nuovi legami di attaccamento. Il processo del lutto può complicarsi in caso di conflitti intensi e persistenti, oppure se è presente una forte ambivalenza nei rapporti già in precedenza alla perdita.

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3.6.3 Perdita nei diversi stadi del ciclo di vita

Il particolare tempo della perdita può complicare il processo del lutto e l’adattamento (McGoldrick, Walsh, 2011). Come abbiamo accennato, morti che sono cronologicamente premature, in particolare una vedovanza precoce, la prematura perdita di un genitore o la morte di un bambino, tendono ad essere più difficili da sopportare per le famiglie.

Morti premature

La morte di un bambino, e in generale di un figlio, è la più tragica di tutte le morti premature, perché inverte le aspettative generazionali, e pertanto è particolarmente tragica, appare ingiusta e infrange speranze e sogni condivisi (Walsh, McGoldrick, 2013; Worden, 1996; Worden, Davies, McCown, 1999).

L’immatura e ingiusta morte di un bambino può porre la famiglia di fronte a domande sul significato della vita (De Vries et al., 1994), e creare ‘uno spazio vuoto’, allentando il sistema famiglia (McClowry, Davies, May, 1987).

Il senso di colpa del sopravvissuto può a volte interferire con gli scopi di vita e la soddisfazione per i genitori e i fratelli sopravvissuti, specialmente se si sentono responsabili per il benessere del bambino o che hanno contribuito alla morte in qualche modo (McGoldrick, Walsh, 2013).

È molto difficile non idealizzare un bambino che muore, il dolore tende a perdurare per anni, anzi può intensificarsi con il passare del tempo (Rando, 1986a) e l’effetto sulla salute e sul rapporto dei genitori può essere devastante. Numerosi studi hanno evidenziato l’elevato distress dei genitori in lutto, su alcuni indicatori come depressione, ansia, sintomi somatici, autostima, e percezione di controllo nella vita. La relazione di coppia può essere vulnerabile alla rottura (Rando, 1986b), tuttavia ricerche indicano che la maggior parte delle coppie resiste alla tragedia (Oliver, 1999). Particolarmente difficile può essere la morte del primo figlio, di un figlio unico, dell’unico figlio di un sesso, di un figlio particolarmente dotato, di un figlio con cui la famiglia aveva una relazione ambivalente o negativa (DeFrain, 1991; DeFrain, Taylor, Ernst, 1982). Il processo del lutto è facilitato quando entrambi i

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genitori possono curare il bambino malato prima della morte, e quando condividono la stessa filosofia di vita o la stessa credenza religiosa.

La spinta frequente di avere un altro figlio può portare conforto, ma soprattutto se il dolore è imprevisto, la relazione rischia di essere investita del bisogno di sostituire o da difficoltà di attaccamento (Johnson, Jordan, Kraus, Ware, 1993).

La morte di un figlio, specialmente dopo una lunga malattia, spesso fa sì che i bisogni dei fratelli possano essere trascurati. Loro possono soffrire in silenzio, al margine, non volendo sovraccaricare i genitori o preoccupandosi di poter causare in qualche modo la morte attraverso giochi o rivalità. Inoltre spesso temono che un giorno anche loro moriranno nello stesso modo per una causa genetica che li espone allo stesso rischio (Rolland, 2011).

La rivalità tra fratelli può contribuire a intensificare i vissuti di colpa e bloccare gli sforzi di sviluppo verso l’età adulta.

I genitori possono essere coinvolti in una seconda perdita a causa della preoccupazione per il lutto dei figli sopravvissuti, oppure possono ritirarsi dai loro bambini per la paura di essere vulnerabili ad una nuova perdita, infine possono divenire estremamente protettivi verso i bambini e successivamente manifestare difficoltà nella transizione della separazione.

Morte nella fase di sviluppo del giovane adulto

La famiglia deve continuamente rinegoziare le relazioni dell’individuo in crescita, dalla dipendenza all’autorevolezza gerarchica, fino alla definizione di relazione egualitaria da adulto ad adulto. In famiglie in cui le relazioni sono molto conflittuali e sono carenti le capacità di comunicazione aperta ed efficace, i figli adulti possono interrompere la relazione, per ottenere una distanza fisica e ricercare una distanza emotiva. In realtà questi distacchi producono soltanto una pseudo-dipendenza, tendono cioè a tagliare i legami con la famiglia d’origine e creare i presupposti per sofferenze a lungo termine e coinvolgimenti in altre relazioni disfunzionali. Quando viene a mancare un giovane, la famiglia sperimenta un senso di ingiustizia crudele verso la fine di una vita che prima è stata nutrita e poi precocemente strappata. Il dolore e il vissuto di colpa dei genitori e dei fratelli può bloccare la progettualità e

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gli scopi di ognuno. Una precedente rivalità presente fra fratelli può acuire i vissuti di colpa e, associata alle aspettative genitoriali, spingere il superstite a prendere il posto del fratello perduto (Arnold, Gemma, 1994; McGoldrick, 1995; McGoldrick, Watson, Benton, 1999, Worden, 1996).

La tendenza nella nostra società a negare l’importanza dei legami familiari in questa fase, può portare a sottovalutarne l’impatto della morte di un genitore.

La malattia e la morte di un genitore per il giovane adulto e i parenti, i bisogni e gli obblighi possono scontarsi (Rolland, 2011).

Ad esempio, giovani che stanno intraprendendo una carriera lavorativa e impegnandosi in una nuova relazione, divisi tra i propri progetti di vita e i doveri verso la famiglia di origine, possono sentirsi minacciati dalla chiusura e dipendenza familiare. Se l’impatto della perdita non è riconosciuto, il giovane adulto può prendere ancora più le distanze dalla famiglia e ricercare emozioni sostitutive in un coinvolgimento romantico o nell’avere un bambino. Un’altra fonte di distanza è il timore che la nuova vita a cui il giovane si sta affacciando debba essere abbandonata o posta in attesa, per prendersi cura del genitore morente o di chi a lui sopravvive. Questa aspettativa solitamente tende a essere attesa dal figlio maggiore o da quello genitorializzato, a cui viene tacitamente richiesto ad esempio di svolgere le funzioni di capofamiglia. Quando le responsabilità del prendersi cura dell’altro si prolungano nel tempo, i passaggi del ciclo di vita possono bloccarsi; è interessante notare come una volta che si riappropriano della loro esistenza tendono a costruire relazioni con partner con la stessa storia di vita.

La vedovanza prematura

All’interno di giovani coppie la vedovanza non è comune e quando si verifica, il suo essere “fuori tempo” causa processi del lutto molto complessi per il coniuge che sopravvive (Parkers, Weiss, 1983). In questa fase, più che in altre, la morte improvvisa è molto traumatica (Kastenbaum, 1998; Parkes, 1972). Il coniuge sopravvissuto oltre a dover fare i conti con la sua perdita, spesso è evitato da fratelli e coetanei che non vogliono confrontarsi con la loro possibile morte o vedovanza. Vi è inoltre la tendenza ad attendere che il vedovo muova verso nuove relazioni,

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minimizzando il significato dell’esperienza. La ricerca di precoci relazioni per evitare il dolore della perdita, può portare ad un prolungato processo del lutto che emergerà successivamente. Gli uomini tendono più delle donne a muoversi verso un nuovo partner (Glick, Parkers, Weiss, 1975), a differenza delle donne, soprattutto quando sensi di colpa e infedeltà inquinano il rapporto con i suoceri. Importante è il supporto da altri adulti della rete parentale di cui solitamente beneficiano più le vedove, mentre i vedovi hanno con minore probabilità relazioni intime amichevoli che facilitino l’elaborazione emotiva, e sono più facilmente portati a confondere un’intimità sessuale con il bisogno di conforto.

Morte di un genitore nelle famiglie con figli bambini

La morte in una famiglia composta da due genitori, è complicata dalla necessità di dovere riallineare i ruoli e le risorse su un unico genitore familiare. Combinare lavoro, finanze con le richieste di crescita del bambino può esaurire le energie del genitore sopravvissuto e interferire con il processo del lutto. L’adattamento dei bambini non dipende solamente dalla forza del legame d’attaccamento né dal livello di cura, ma anche da come il genitore sopravvissuto e i parenti affrontano con loro la morte e dalla loro coordinazione nella vita di famiglia in seguito (Greeff, Human, 2004). I bambini generalmente temono di perdere il genitore sopravvissuto, e tendono a mascherare il loro dolore per confortare il genitore in lutto o a mostrare attenzioni per distrarlo (McGoldrick, 1999; Fulmer, 1983).

I bambini hanno bisogno di aiuto per dare un significato all’esperienza di perdita in funzione del loro livello di sviluppo. Loro cercano di comprendere osservando le reazioni dei parenti adulti e hanno benefici dall’essere inclusi nei rituali del lutto condivisi.

La comunicazione con i bambini deve essere mantenuta aperta nel tempo adeguandola alla loro maturazione.

La struttura familiare può disintegrarsi quando muore un genitore, i ruoli di comando e la comunicazione possono vacillare, spostando i membri all’interno di una nuova relazione e negli schemi familiari. Per i bambini questa situazione deve essere tamponata a breve termine, attraverso la riconfigurazione familiare, il fornire

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una struttura e un nutrimento caldo ogni giorno, e una continuità tra i pari nello stato di shock (Walsh, 2006). Nel caso di perdita di entrambi i genitori dovrebbe essere fatto ogni possibile sforzo per mantenere i fratelli insieme, perché il loro legame potrebbe essere un’ancora di salvezza vitale (McGoldrick, Watson, Benton, 1999). È importante fornire loro spiegazioni chiare e precise riguardo a cosa succederà, quando e chi si occuperà di loro. La perdita di un genitore può disintegrare la struttura familiare, e i membri della rete parentale possono aiutare a riorganizzare il quotidiano, fornendo un supporto materiale e di protezione oltre che emotivo. Il supporto sociale a un genitore che vive il lutto isolato può prevenire carichi inadeguati, abbandoni e abusi sul minore.

Per i bambini che perdono un genitore, la separazione distruttiva, la confusione e l’instabilità familiare, così come una scarsa protezione rappresenta un maggiore rischio di soffrire di profonde conseguenze, che includono depressione, malattie e altri disturbi emozionali che possono manifestarsi in età adulta (Webb, 2002; Cook, Oltjenbruns, 1998; Furman, 1974; Osterweis, Solomon, Green, 1984; Worden, 1996); inoltre possono presentare difficoltà nella formazione di legami di attaccamento o provare intense paure di abbandono o di separazione. Non è infrequente che un genitore sopraffatto, possa designare il bambino più grande a sostituire il genitore perduto come ‘uomo di casa’ o ‘piccola madre’.

A volte è necessario progettare una nuova organizzazione ancor prima di aver vissuto il proprio cordoglio e dolore; è il caso ad esempio di un bambino che ha perduto un genitore per AIDS e che ha anche il padre malato, quest’ultimo dovrà pensare al futuro del bambino mentre piange la scomparsa della compagna.

La morte in famiglie con adolescenti

La morte in famiglie con adolescenti è particolarmente complessa, perché l’adolescenza ha come compiti di sviluppo l’attraversamento della graduale separazione e differenziazione che entrano in conflitto con l’esperienza della perdita, la quale richiede ai membri della famiglia coesione per elaborare il lutto. Il riconoscimento del significato della perdita e la capacità di scambiare supporto reciproco possono risultare più difficili in questo momento del ciclo di sviluppo

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individuale. Animati conflitti e il desiderio di liberarsi dal controllo genitoriale, possono deflagrare in sensi di colpa, quando un genitore muore. Gli adolescenti comunemente si rivolgono agli amici per ricevere supporto sociale. Coloro che non hanno forti risorse familiari sono più vulnerabili alle influenze negative dei pari, fuggendo il dolore della perdita, attraverso comportamenti di rischio che spesso si associano a sfide del controllo genitoriale aggiungendo stressor alla famiglia in lutto. In questa fase di età la perdita di un genitore può spingere l’adolescente di sesso maschile all’uso di droghe e alcol, a delinquere o comunque al ritiro sociale, mentre le ragazze possono più facilmente sviluppare disturbi del comportamento alimentare o instaurare rapporti sessuali a rischio, nella ricerca di un conforto alla perdita.

La morte di un adolescente è una tragedia per i genitori che hanno nutrito il loro giovane quasi fino all’età adulta. Le più diffuse cause di morte per gli adolescenti sono gli incidenti, il suicido e l’omicidio, correlati a comportamenti impulsivi o di rischio, spesso incoraggiati dai pari, come l’uso di droga o di alcol, (McGolgrich, Walsh, 2013; McIntosh, 1999).

Gli adolescenti, come i bambini, si preoccupano non solo per la perdita del genitore ma anche per il benessere del genitore sopravvissuto e di come questo potrà prendersi cura di loro. Sono spesso il barometro dei sentimenti della famiglia, coloro che esprimono l’inesprimibile e che richiamano l’attenzione sui problemi della famiglia. Se il genitore ha problemi emozionali con la propria perdita, un adolescente si farà carico delle emozioni del genitore e, non sapendo come aiutarlo, ne attirerà l’attenzione mediante comportamenti vistosi e problematici.

La vedovanza nella mezza età

Una volta che i figli sono usciti dalla casa genitoriale, la coppia si trova di fronte ad una nuova riorganizzazione. La vedovanza nella mezza età è molto più complicata che in età avanzata perché è fuori tempo rispetto alle aspettative sociali e non è un’esperienza comune fra i coetanei. Le speranze e i sogni di una coppia che per anni ha progettato e reinvestito energie per il loro futuro insieme, alla morte di un partner, vanno perdute. Inoltre, gli amici e le coppie incapaci di confrontarsi con la

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propria morte e sopravvivenza, spesso prendono le distanze dal coniuge che sopravvive. Le donne presentano un migliore adattamento alla morte del coniuge rispetto agli uomini. Il tasso di suicidio di vedovi di mezza età è estremamente elevato (Butler, Lewis, Sunderland, 1998). È importante evidenziare come molti adulti di mezza età si devono confrontare con due tipi di perdite contemporaneamente: l’uscita di casa dei propri figli e il possibile decadimento o morte dei genitori anziani (Walsh, 1999b).

La morte di un anziano

Con l’aumento dell’aspettativa di vita hanno cominciato ad essere comuni famiglie costituite da quattro, cinque generazioni. I compiti relativi al ciclo di vita degli anziani, l’accettazione della propria mortalità, divengono più visibili e pressanti con la morte di fratelli, coniugi e coetanei (Walsh, 1999a).

Ad oggi i figli adulti tendono sempre più a vivere distanti, le donne tradizionalmente deputate all’accudimento primario sono impegnate nel lavoro e le nascite vengono posticipate, meno bambini e nipoti sono disponibili a partecipare a morire e a vedovanze precoci. Figli adulti in età più avanzata, con la riduzione della salute e delle risorse hanno necessità di prendersi cura dei loro fragili e anziani genitori, che muoiono più spesso a causa di malattie croniche e disabilità (Qualls, Zarit, 2009). La morte di un figlio adulto o di un nipote prima degli anziani della famiglia, ribalta le aspettative del ciclo di vita della famiglia, e soprattutto è difficile da sopportare (Walsh, 2012b).

È da sottolineare che con l’invecchiamento emerge la ricerca di un significato trascendente della vita mediante riflessioni esistenziali e spirituali (Walsh, 2012b). Gli sforzi degli anziani e delle loro famiglie per integrare le varie esperienze di una vita in un senso di coerenza per se stessi, per l’identità della famiglia e per il significato di vita favoriscono l’integrità intergenerazionale e l’adattamento alla perdita e alla morte (King, Wynne, 2004). Gli anziani approcciando la fine della vita sono spesso in grado di essere più sinceri riguardo le loro trasgressioni precedenti o di condividere problematiche familiari pesanti, offrendo l’opportunità per guarire vecchie ferite.

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Una maggiore comprensione e una prospettiva più equilibrata e evolutiva delle relazioni familiari nel tempo, può essere acquisita dai membri mediante una revisione congiunta della vita familiare (Walsh, 2012b). Nel condividere ricordi i membri della famiglia possono integrare prospettive multiple ed esperienze individuali del loro passaggio condiviso nella vita, allargando la storia familiare e rafforzando i loro legami.

In un matrimonio è inevitabile che uno dei coniugi muoia prima; solitamente sono le donne a sopravvivere ai propri mariti. Molti vedovi scelgono di non risposarsi perché il rapporto nel precedente matrimonio era profondo e di valore, o anche per motivazioni economiche. Questa differenza di genere è una delle problematiche principali nell’anziano. Uomini anziani che tendono a scegliere partner più giovani hanno maggiori opportunità di risposarsi rispetto a vedove, che oltre ad avere una minor possibilità di scelta fra uomini della loro età, più difficilmente instaurano relazioni con uomini più giovani, a causa di pregiudizi sociali. I vedovi presentano un maggiore rischio di morte per suicidio nel primo anno di vedovanza, a causa di un senso di disorientamento, solitudine e abbandono e per la perdita della funzione di accudimento svolta dalla moglie. Sebbene le donne in generale abbiano un maggior rischio di sviluppare depressione, il rischio di depressione per gli uomini, dopo la morte del coniuge, è più alto (Strobe et al., 2001). La vulnerabilità dei mariti alla perdita, può essere maggiore anche a causa della scarsa consapevolezza della dipendenza dalle loro mogli, indotta dalla socializzazione. La morte di vedovi nei primi sei mesi è stata trovata essere il 40% in più del tasso atteso per uomini sposati della stessa età. Sebbene i vedovi appartengano ad una classe specificamente etichettata che definisce la loro situazione, questa identificazione è anche un continuo richiamo alla perdita che può impedire il processo di adattamento.

In relazione alla solitudine del coniuge sopravvissuto, Weiss (1975) ha distinto una solitudine da isolamento sociale e una solitudine da isolamento affettivo, come dimensioni separate all’interno della teoria dell’attaccamento. La solitudine affettiva troverebbe rimedio soltanto in un coinvolgimento in una relazione di reciproco impegno, senza il quale non esisterebbe un sentimento di sicurezza. La

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solitudine da isolamento potrebbe essere alleviata dal supporto sociale, senza che questo abbia però effetti sulla solitudine affettiva.

La morte di un nonno solitamente è la prima esperienza di morte per un bambino, e di apprendimento di come affrontare una perdita significativa. Spesso il legame fra un nonno e un nipote è speciale perché non complicato da responsabilità, obblighi e conflitti genitoriali. Quando un nonno ha svolto un ruolo centrale nell’educazione di nipoti, le famiglie hanno bisogno di partecipare al dolore per la perdita sia del bambino sia dell’importante funzione familiare (Hayslip, Kaminski, 2005). Per McGodrick e Walsh (2013) in famiglie monogenitoriali, conflitti di lunga data fra genitore e nonno sull’autorità e la lealtà al bambino possono complicare il processo del lutto genitoriale.

La coincidenza temporale della perdita con altri stressor

La coincidenza temporale della perdita con forti stress, richieste incompatibili, e tensioni cumulative spesso sovraccaricano il funzionamento familiare e interferiscono con il lutto (Walsh, McGoldrick, 2013). Complicazioni sono più probabili quando il lutto coincide con altre transizioni o tappe di sviluppo del ciclo di vita familiare, che richiedono spostamenti di confini e ridefinizioni di ruoli e relazioni, come un matrimonio, la nascita di un bambino, un divorzio, un secondo matrimonio (McGoldrick, Walsh, 2011; Rolland, 2011; Walsh, 1983). In una famiglia sottoposta a molteplici fonti di stress, la parentela estesa e il supporto sociale sono cruciali per portare attenzione sia al processo del lutto sia a un’altra relazione e alle sfide adattive (Walsh, 2006).

La coincidenza di una morte con la nascita di un bambino espone quest’ultimo a rivestire il pericoloso ruolo di “sostituto”, a causa dell’interferenza del processo del lutto sul compito genitoriale, così come un matrimonio sulla scia di una perdita può facilmente portare a confondere le due relazioni (McGoldrick, Walsh, 1999, 1983). Oggi è necessario un ampliamento della visione de ciclo di vita familiare per la molteplicità delle forme di famiglia esistenti e le variabili traiettorie di vita. La maggior parte delle vite oggi non si adatta ai modelli di fasi sequenziali di vita descritti nei decenni precedenti (Walsh, 2012a). Nel corso della vita le persone

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possono avere due o più matrimoni, con bambini in diversi momenti delle fasi dello sviluppo, così come periodi di convivenze e periodi di vita senza partner. I bambini e i genitori sono suscettibili di passaggi dentro e fuori diverse famiglie, e di variabili disposizioni parentali nel tempo. Di conseguenza, le famiglie hanno la necessità di tamponare le transizioni che implicano molteplici perdite e riconfigurazioni di vite in un più fluido e complesso riarrangiamento. La valutazione dei processi di lutto familiari deve quindi considerare il complesso network di relazioni familiari e le perdite nel tempo.

La morte di un genitore in famiglie dello stesso sesso, può essere complicato dalla famiglia di origine o dalla disapprovazione religiosa e dalle leggi sociali che negano i benefici di morte al cogenitore non biologico, e la continuazione delle relazioni con i bambini che loro hanno allevato.

In caso di matrimoni successivi, dove i conflitti di lealtà sono forti, i figli biologici e quelli non biologici, possono scontrarsi sulle decisioni riguardo alle volontà del genitore o alla sepoltura.

3.7 Perdite passate e lasciti intergenerazionali

Eventi di passate perdite traumatiche e lutti non risolti possono portare a problematiche tramandate nel tempo. Alcuni studi hanno evidenziato che la morte di un nonno in prossimità della nascita di un bambino può contribuire a problematiche emozionali nel tempo, ad esempio all’uscita dalla casa genitoriale proprio di quel bambino divenuto adulto (Walsh, 1978; Mueller, McGoldrick, Orfanidis, 1976).

La convergenza di pressioni multi generazionali e di sviluppo aumenta il distress e il rischio di disfunzione (McGoldrick, Walsh, 2011). La ricerca di esperienze di passate perdite familiari evidenzia spesso come esse influenzano le aspettative, da paure catastrofiche a una prospettiva di speranza. Quando memorie opprimenti ed emozioni sono riattivate, i membri della famiglia possono perdere prospettive, confondere situazioni attuali con eventi passati, o staccare contatti e sentimenti

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insopportabili. È anche importante identificare lasciti di resilienza, nella storia della famiglia, nei racconti, e nei modelli di ruoli di coping adattivo ed evoluzione positiva in risposta a passate avversità, che possono ispirare gli sforzi attuali (Walsh, 2006, 2007).

Numerosi studi clinici e storici su sistemi familiari ( McGoldrick, Gerson, Petry, 2008; Byng-Hall, 2004; Walsh, McGoldrick, 2004; Paul, 1980) hanno evidenziato sorprendenti esempi di “sindrome dell’anniversario” a seguito di morti traumatiche. Spesso le famiglie funzionano bene fino a quando non raggiungono una pietra miliare dello sviluppo che riattiva la perdita passata. In alcuni casi, gli scenari della morte traumatica erano replicati nella successiva generazione attraverso una rievocazione del bambino al raggiungimento dell’età del genitore al momento dell’evento. Per esempio, dopo che un adolescente aveva cercato di impiccarsi, si è appreso che sua madre, alla stessa età, aveva assistito alla morte del fratello impiccatosi. Byng-Hall (2004) ha postulato l’influenza degli script familiari nascosti, in tali casi. Sono necessarie ulteriori ricerche per comprendere meglio i processi di trasmissione trans generazionale.

3.8 Coping e Resilienza familiare

I processi di coping e di adattamento sono estremamente complessi. Essi si realizzano e si trasformano nella vita dell’individuo, attraverso le innumerevoli relazioni dello stesso in una modalità mai uguale a se stessa, in una dinamicità continua.

Nell’ambito della teoria del Family Stress, Hill (1949) identifica la crisi come risultato dell’interazione tra un evento stressante e le sue conseguenze, le capacità della famiglia di attingere alle risorse, la definizione che la famiglia conferisce all’evento e alla sua gravità. Nel corso del ciclo di vita la famiglia incontra numerose sfide e tappe che richiedono cambiamenti, a cui la famiglia risponde mediante risorse, strategie di coping e adattamento. Il coping familiare sembra comunque essere mediato da numerosi fattori come: la coesione, l’adattamento, la forza coniugale, la

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capacità di stabilire confini, l’abilità di risolvere i problemi e il senso della padronanza nelle situazioni.

La crisi vera insorge quando la famiglia si trova a fronteggiare situazioni che superano le sue capacità, e che richiedono sia profondi cambiamenti dell’organizzazione famigliare, come abbiamo visto ad esempio nel caso di una perdita, sia una nuova consapevolezza da parte dei membri della famiglia rispetto alla necessità di dover cambiare qualche cosa, il cercare di dare una definizione condivisa dell’evento e l’attivazione di strategie di coping, per ridurre o comunque gestire le tensioni cui la famiglia è sottoposta (Patterson, 1988).

Ottimizzare i comportamenti di coping significa per Olson e Stuart (1990), aumentare i livelli di coesione, di adattamento e di comunicazione: se nelle situazioni di stress, la famiglia si caratterizza per maggiore comunicazione e vicinanza emotiva, flessibilità rispetto alle norme e adattabilità rispetto ai ruoli, più facilmente sarà in grado di affrontare e superare le situazioni stressanti.

In realtà, studi successivi (Lavee, Olson, 1991) hanno evidenziato che, a volte, in situazioni molto stressanti, la famiglia rigida, più strutturata, è quella che risulta più protettiva. In generale, comunque, la coesione e l’adattabilità attiverebbero risorse con funzione protettiva, nei confronti delle situazioni stressanti.

I comportamenti di coping della famiglia, a cui contribuiscono i singoli stili di coping dei membri, in genere hanno l’obiettivo di ridurre il numero e l’intensità delle richieste, di acquisire risorse non ancora disponibili, di mantenere e riutilizzare le risorse conosciute e disponibili, imparare a elaborare e a sopportare le tensioni che accompagnano l’adattamento, modificare il modo di vedere la situazione e il significato della crisi per ridurne la minacciosità e renderla più gestibile. Anche per gli orientamenti globali, gli assunti di base e le credenze condivise del sistema famiglia, così come per il singolo individuo, è importante il senso di coerenza di Antonovsky. In particolare per la famiglia, l’autore evidenzia come le abilità di coping siano rafforzate dalla condivisione di valori, scopi e impegni, da una visione realistica e ottimistica della vita, dal fatto di considerare le situazioni come eventi

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specifici e non assoluti, dalla fiducia nell’ambiente e nel supporto esterni, e dalla percezione di controllo e d’influenzamento degli eventi della famiglia.

La resilienza di fronte alla morte, solitamente fraintesa, non significa ottenere rapidamente una chiusura emozionale o semplicemente “rimbalzare” di fronte al trauma e andare avanti (Walsh, 2003b). Al contrario, il lutto e il recupero sono processi che si sviluppano gradualmente nel tempo, in cui solitamente si riduce l’intensità della sofferenza, anche se il dolore può riemergere con inaspettata forza in occasione di anniversari o altri eventi nodali. Per i membri della famiglia il coping adattivo nel tempo coinvolge una dinamica oscillazione nell’attenzione, alternando tra perdita e recupero, talvolta soffermandosi sul dolore, talvolta sulla padronanza delle sfide emergenti, talvolta sull’evitamento (Rubin, Malikson, Witzum, 2012; Stroebe, Schut, 2010).

Con la morte finisce la vita ma non le relazioni, e il processo del lutto coinvolge una trasformazione di queste relazioni dalla presenza fisica, alla continuazione del legami attraverso connessioni spirituali, memorie, gesta e racconti che sono passati attraverso la rete parentale alle generazioni successive (Stroebe, Schut, Boerner, 2010; Klass, 2009; Walsh, McGoldrick, 2013).

Legami con fratelli e animali da compagnia possono essere supporti vitali per la resilienza (McGoldrick, Walsh, 2011; Walsh, 2009a).

Gli effetti della condivisione del dare un significato alla perdita, mediante transazioni familiari e risorse culturali e spirituali, aiuta i membri a dare una prospettiva coerente alla morte e alle conseguenze della perdita, favorendo un senso di continuità con il loro sistema di credenze e il corso della vita (Greef, Vansteenwegen, Herbiest, 2011; Nadeau, 2008; Walsh, 2006; Antonovsky, Sourani, 1988). In seno alla famiglia, i membri lottano per dare un senso alla loro perdita, ponendola in una prospettiva dotata di significato e rendendola così più accettabile (Nadeau, 1998; Neimeyer, 2001a).

Accettare la morte significa proprio questo, darle un senso, darlo al lutto, ponendola nella giusta prospettiva e integrando questa esperienza nella rete dell’esistenza personale, relazionale e sociale.

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La resilienza relazionale tra i sopravvissuti è favorita da tutte le commemorazioni o situazioni che riuniscono familiari e parenti per ricordare il defunto, così come dalla comunicazione sincera e chiara all’interno del sistema famiglia soprattutto nei momenti di criticità, immediatamente dopo la perdita.

Secondo Bowlby-West (1983), l’anniversario della morte, la data di nascita, quella del matrimonio, e i periodi di vacanza sono particolarmente stressanti per la famiglia in lutto, e ricordano la morte. L’adattamento al tempo dei ricordi può divenire un rituale o essere un tempo in cui la famiglia e gli amici si ritrovano insieme, o un tempo in cui ci si lascia andare al pianto e alla commemorazione. Nel lungo periodo queste esperienze possono rinforzare un lutto non risolto, specialmente se in famiglia il lutto non è stato elaborato.

La resilienza comprende la capacità di controllare le cose possibili, e accettare quelle che sono al di là del nostro controllo (Walsh, 2006). La speranza è sicuramente un atteggiamento positivo e vitale ad esempio quando insorge la disperazione della prossimità e inevitabilità della morte. Mantenere la speranza permette di vivere pienamente il tempo rimasto.

Il rischio e la resilienza nell’adattamento sono viste alla luce di multiple e ricorsive influenze che coinvolgono variabili individuali, familiari, sociali e culturali. I fattori sociali come la povertà e discriminazione rendono alcune famiglie a maggior rischio di scarso supporto. I rapporti tra famiglia e risorse sociali, culturali e spirituali possono supportare l’adattamento positivo. Le risorse spirituali, inclusi la fede condivisa, le pratiche contemplative e il supporto delle congregazioni offrono spesso conforto, significato e sollievo, così come l’anticipazione della vita oltre la vita e del reincontro con l’amato; tuttavia, in altre circostanze, gli interessi religiosi possono complicare il processo del lutto (Walsh, 2009).

Nonostante le accurate revisioni critiche della letteratura relative all’intervento sul lutto (Schut, Stroebe den Bout, Terheggen, 2001), queste non hanno contemplato la famiglia. Allo stesso modo numerose revisioni (Raphael, Minkov, Dobson, 2001; Neimeyer, Currier, 2009) hanno ignorato la terapia familiare come strumento per comprendere il lutto e l’adattamento alla perdita a livello del sistema familiare. Il

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lutto ha ricevuto una piccola attenzione nella letteratura della terapia familiare (Rycrofit, Perlesz, 2001); è emerso un piccolo corpo di lavori sperimentali, ma è stato evidenziato che l’intervento è stato più teorico e focalizzato sulla modalità in cui la terapia sistemica familiare può informare la ricerca, con piccole validazioni sperimentali o spiegazioni per evidenziare gli effetti sulla famiglia che hanno sperimentato alcune forme di terapie (Thirsk, Moules, 2012; Thirsk, 2009).

Nell’enfatizzare l’aumento della coesione, della comunicazione, della risoluzione di conflitti, attraverso la condivisione del lutto, Chan O’Neill, McKenzie, Love, Kissane (2004), hanno verificato l’adesione dei terapeuti alla Family Focused Grief Terapy (Kissane, Bloch, 2002), durante le cure palliative e dopo la morte, e identificato tale adesione come variabile cruciale per stabilire l’efficacia del trattamento.

Un importante esempio di ricerca sulla terapia familiare basata sulla teoria dell’attaccamento è quella di Kissane e Lichetenthal (2008), i cui risultati di mostrano che mentre i miglioramenti correlati al trattamento nella depressione e nel distress erano stati effettivamente riscontrati tra gli individui, tali effetti non erano stati generalizzati alla valutazione del funzionamento familiare, anche se i miglioramenti rispetto al funzionamento familiare erano stati osservati per i membri delle famiglie intermedie e cupe, ma non per quelle ostili.

Collegato con il sistema familiare e la comprensione degli interventi sul lutto, McBrinde e Simms (2001) hanno sottolineato il coinvolgimento del terapeuta nel contesto degli sforzi di negare o sfidare la morte, così come nel contesto della comprensione dell’identità familiare nella comunità, nell’eredità entico-culturale e nello stile di vita. Allo stesso modo, il momento della sessione, alla luce di come e quando la morte accade, è critico per le famiglie e per gli individui: il cordoglio ha diversi ritmi e costi, coerenti con la natura della morte.

3.9 Possibili linee di ricerca future

Sarebbe auspicabile che la ricerca indagasse la morte di amici di lunga data e la perdita di figli adulti. Anche la relazione tra il ruolo di genere maschile e la famiglia

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in lutto andrebbe esplorata con attenzione, le conoscenze sperimentali a tale riguardo sono limitate. L’importanza dei singoli ruoli richiama l’attenzione sulla necessità di comprendere il sistema del lutto famigliare come integrato in una più ampia rete di altri, che possono supportare il singolo individuo in tale momento, nel suo contesto e in relazione con gli altri membri del suo sistema familiare (Hayslip, Page, 2013).

Il lavoro con le famiglie in lutto è complesso in particolar modo quando le deduzioni sul funzionamento familiare spesso si basano sulle risposte individuali (Mehta, Cohen, Chan, 2009). Inoltre spesso le ricerche sugli interventi mancano di controllo al follow-up, di un gruppo di controllo o di un assegnamento random dei partecipanti. (Thirsk, Moules, 2012; Thirsk, 2009, Schut et al. 2001).

L’approccio alle relazioni tra lutto e famiglia può essere sia quantitativo (autovalutazioni), sia qualitativo (interviste strutturate), sia misto (Waldrop, 2007). in questa ottica la ricerca sull’intervento che è narrativo e centrato sul dare un significato non è meno prezioso per la clinica (Nadeau, 2008). Il lavoro su questo tema può anche beneficiare di dati provenienti da studi longitudinali, da membri di molteplici famiglie relativi a cultura, razza ed etnia e dall’utilizzo di marcatori di distress (Townsend, 2012).

Le dinamiche familiari, valutate come apertura emotiva e coesione, sembra siano in grado di predire i sintomi del lutto individuale nel tempo, a differenza della sofferenza che non è un predittore delle dinamiche della famiglia, nel tempo (Traylor, 2003).

Se molto è stato fatto da un punto di vista concettuale e metodologico vi è ancora molto da apprendere sul sistema famiglia e il lutto.

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