XLII
Capitolo 3
SWEET HOPE – SUNNYSIDE:
DAL ROMANZO ALLA REALTÁ
Come è stato già osservato nei capitoli precedenti, il picco dell’emigrazione italiana in America si è registrato tra fine Ottocento e inizio Novecento, prima che la politica americana iniziasse a porre forti limiti – su base razziale – al numero di persone che potevano entrare nel Paese. Nel 1917 fu imposto un test di comprensione linguistica per ogni immigrato che avesse superato i 16 anni d’età, fu aumentata la tassazione all’arrivo nei porti americani e impedito l’accesso agli immigrati di origine asiatica tranne giapponesi e filippini, regolamentati da altri accordi. Nel 1924 il Congresso promulgò l’Immigration Act, che proibiva completamente l’ingresso ai giapponesi – poiché non avrebbero avuto la possibilità di fare domanda per ottenere la cittadinanza americana – e limitava l’afflusso delle altre etnie a un numero equivalente al 2% del totale di immigrati, appartenenti a ciascuna nazionalità, già presenti sul suolo statunitense in base al censimento del 1890.1
1 Cfr. The Immigration Act of 1924 (The Johnson-Reed Act),
https://history.state.gov/milestones/1921-1936/immigration-act (ultimo accesso: 17/03/2014). I Giapponesi non potevano più ottenere la cittadinanza americana in base al Naturalization Act del 1906, che aveva riservato questo diritto ai bianchi e ai discendenti degli africani (“European Immigration and Defining Whiteness”,
http://www.understandingrace.org/history/gov/eastern_southern_immigration.html, ultimo accesso 25/03/2014).
XLIII Un altro aspetto da tenere in considerazione e da correlare al forte flusso migratorio che ha colpito gli Stati Uniti fino al 1924 è quello che riguarda le condizioni economiche del Sud del Paese, basate principalmente su grandi distese di piantagioni – dal cotone alla canna da zucchero – proprietà di ricchi latifondisti bianchi che si servivano degli schiavi africani per mantenere alto il livello di produzione. La guerra di Secessione americana, terminata nel 1865, aveva portato con sé l’abolizione della schiavitù, sancita dal XIII emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti d’America, che fu ratificato quello stesso anno da quasi tutti gli Stati membri (l’ultimo Stato a ratificarlo formalmente è stato il Mississippi, nel febbraio 2013). L’emendamento dichiara che negli Stati Uniti o nei Paesi soggetti alla loro giurisdizione non deve esistere alcun tipo di schiavitù o di servitù involontaria, a meno che non si tratti della pena comminata a un crimine per cui si è stati debitamente condannati.2 Per i proprietari terrieri degli Stati del Sud, che reggevano la propria economia sull’agricoltura con una manodopera sfruttata e priva di diritti civili, si trattò di un grave danno. “Although […] the new situation in which they found themselves did not differ substantially from that of slavery”3, e nonostante il governo federale avesse dato agli schiavi la libertà ma non i mezzi pratici (terre, soldi) per poterla esercitare, i latifondisti rischiavano di veder drasticamente ridotto il numero di lavoratori all’interno delle piantagioni – dato che gli ex schiavi erano ormai liberi di uscire e di lavorare per il “miglior offerente”. L’alternativa era quella di dover sostenere costi più alti rispetto al passato, ricorrendo alla mezzadria o affittando porzioni di terreno coltivabile, affidandosi all’incertezza del mercato per quanto riguardava il prezzo
2 Cfr. 13th Amendment to the U.S. Constitution: Abolition of Slavery (1865),
http://www.ourdocuments.gov/doc.php?flash=true&doc=40 (ultimo accesso: 18/03/2014).
XLIV del cotone o delle altre merci in oggetto e quindi, in sintesi, correndo il rischio di non avere introiti che anni prima erano sicuri. Si svilupparono così le forme lavorative di sharecropping e tenancy associabili, in italiano, proprio alla mezzadria e all’affitto di terreni coltivabili, quali forme di compromesso tra i nuovi uomini liberi desiderosi di terre e i vecchi proprietari desiderosi di operai senza grandi pretese e di tornare quanto più possibile allo status quo precedente.4
1. La piantagione Sunnyside e l’“Italian Colony Experiment”.
Il binomio tra eccesso di immigrazione e carenza di personale all’interno delle piantagioni è alla base di una delle pagine più dolorose e meno conosciute che siano mai state scritte nella storia degli italiani in America, il cosiddetto “Italian Colony Experiment”. Teatro principale di questa vicenda fu la piantagione di cotone Sunnyside, situata sulle rive del Mississippi nella Chicot County, Arkansas; il periodo gli anni tra il 1895 e il 1907.
La piantagione di Sunnyside era stata fondata negli anni Trenta dell’Ottocento da Abner Johnson, proprietario terriero proveniente dal Kentucky e giunto in Arkansas alla ricerca di terreni coltivabili a buon prezzo. Nel 1860, quando la piantagione si era espansa acquisendo altri terreni, il nucleo originario comprendeva poco più di 1.200 ettari di pianura fertile parzialmente coltivata e parzialmente boscosa, facilmente raggiungibile da New Orleans dove attraccavano le navi che trasportavano merci e passeggeri dall’Europa, e la sua
4 Cfr. Whayne, Jeannie M., “The Changing Face of Sharecropping and Tenancy”,
http://historicaltextarchive.com/sections.php?action=read&artid=657 (ultimo accesso: 25/03/2014).
XLV migliore caratteristica era quella di non essere soggetta ad alluvioni disastrose come molte zone circostanti.5
La piantagione subì vari passaggi di proprietà nel corso degli anni, finché nell’ottobre del 1886 divenne possedimento di Austin Corbin, uomo d’affari newyorkese, costruttore di ferrovie ma anche segretario, nel 1879, dell’American Society for the Suppression of Jews, ruolo apprezzato dall’alta società razzista di quel tempo. La gestione di Corbin, una volta acquisita la piantagione e dopo averla ulteriormente ingrandita, si trovò a dover fronteggiare una forte carenza di manodopera, dal momento che molti afroamericani si rifiutavano di lavorare per un uomo del Nord che si affidava a propri supervisori per tenerli sotto controllo.
L’iniziale idea di affidarsi a una forza-lavoro costituita da condannati cedette il passo, nel 1895, a un progetto più ambizioso e, nei piani di Corbin, più redditizio e innovativo: portare intere famiglie di immigrati italiani nella piantagione di Sunnyside, sfruttando i propri contatti con un’agenzia di immigrazione italiana a New York, con la diplomazia e addirittura con l’allora sindaco di Roma, Don Emanuele Ruspoli.6 La condizione razziale degli italiani, come appurato nel capitolo precedente, era superiore a quella degli ex schiavi afroamericani, nonostante a questi ultimi il governo statunitense avesse concesso la libertà personale, ma rimaneva inferiore a quella dei proprietari terrieri bianchi e li rendeva, perciò, un ottimo surrogato della manodopera nera, di cui i migranti italiani non conoscevano i trascorsi. L’organizzazione di Corbin gli permise di accogliere i primi italiani – arrivati al porto di New Orleans alla fine di novembre
5 Cfr. Gatewood, Willard B., “Sunnyside: The Evolution of an Arkansas Plantation, 1840-1945”,
in Whayne, Jeannie M. (ed.), Shadows over Sunnyside. An Arkansas Plantation in Transition,
1830-1945, Fayettville, University of Arkansas Press, 1993, pp. 3-4.
XLVI del 18957 – con un contratto già pronto che attirò l’attenzione della stampa locale per il timore che violasse l’Alien Contract Labor Act, approvato nel 1885, con il quale si impediva l’accesso negli Stati Uniti agli immigrati tramite un contratto di lavoro stipulato prima del loro arrivo.8 Il contratto di Corbin prevedeva condizioni che regolavano in modo severo la vendita del cotone e che a ogni famiglia di coloni fosse assegnato un appezzamento di terreno: “il prezzo di ogni appezzamento con la casa era di $2.000 pagabili in 21 anni a un tasso di interesse del 5% annuo sulla quota non pagata.”9 Le condizioni che gli italiani si trovarono a fronteggiare, tuttavia, non furono rosee come erano state paventate dagli agenti dell’immigrazione che li avevano convinti a partire, e i problemi maggiori riguardarono la salute, provata da acqua non potabile e febbre malarica.10
La morte improvvisa di Austin Corbin, avvenuta nel 1896, permise a molti italiani di lasciare la piantagione, in una sorta di ammutinamento, e stabilirsi nella zona nord-ovest dell’Arkansas, dove una quarantina di famiglie al seguito di padre Bandini – prete cattolico di stanza a Sunnyside – nel 1898 fondarono la città di Tontitown, svincolandosi dalla piantagione di cotone. Alla malasanità, infatti, si erano aggiunte le lamentele per il tasso d’interesse troppo alto e per la mancanza di denaro da poter spendere in beni di prima necessità, senza contare che i proprietari non parlavano italiano e si servivano di pochi interpreti per comunicare
7 Cfr. Ibidem, p. 19.
8 Cfr. Alien Contract Labor Law, 1885,
http://library.uwb.edu/guides/usimmigration/1885_contract_labor_law.html (ultimo accesso: 19/03/2014).
9 Cfr. Canonici, Paul V., Gli italiani del Delta: alla ricerca di una vita migliore tra zanzare,
inondazioni e pregiudizi (orig.: The Delta Italians), trad. Marina Calderigi, Patricia Clark e Carla
Novelli, 2009, p. 16. Ulteriori informazioni sull’argomento si trovano in Poggi, Fabrizio, “The
Delta Italians – Italiani nel Delta del Mississippi”, http://www.chickenmambo.com/ita/?p=498
(ultimo accesso: 20/03/2014). Si tratta di un’appassionata recensione che il musicista blues italiano Fabrizio Poggi dedica al libro di Canonici.
XLVII con gli immigrati. In questo modo, quando alcune concessioni erano state fatte, tante famiglie erano ormai lontane da Sunnyside.11
Nel 1898 la piantagione, insieme ad altre precedentemente appartenute a Corbin, fu affittata a tre imprenditori latifondisti di Greenville, O. B. Crittenden, Morris Rosenstock e l’astro nascente della politica locale Leroy Percy. Quest’ultimo era fortemente intenzionato a riprendere in mano la politica lavorativa dell’“Italian Colony Experiment” di Corbin, deportando a Sunnyside intere famiglie italiane per ripopolare la piantagione e affiancare manodopera ai pochi ex schiavi rimasti, che ora lavoravano come mezzadri supervisori. Per realizzare il suo piano stipulò accordi diretti con politici e agenti di reclutamento che avevano già lavorato con Corbin e Ruspoli, ritenendo che la creazione di colonie italiane nel Sud degli Stati Uniti – altre piantagioni, infatti, avevano seguito l’esempio di Sunnyside – convenisse sia ai proprietari terrieri americani, che ovviavano in questo modo alla mancanza di lavoratori coatti, sia al governo italiano che risolveva i problemi di disoccupazione e povertà che affliggevano il Mezzogiorno.12
La strategia di reclutamento di Percy coinvolgeva un ragazzo italiano arrivato a Sunnyside nel 1897, Umberto Pierini, che lavorava lì come interprete e che, già prima di partire per l’America, aveva lavorato come reclutatore ricevendo un compenso dai due ai cinque dollari per ogni famiglia che riusciva a portare alla piantagione13; suo padre Alessandro rimasto in Italia a Montignano, nei pressi di
11 Cfr. Canonici, Paul V., op. cit., p. 18.
12 Cfr. Milani, Ernesto R., “Peonage at Sunnyside and the Reaction of the Italian Government”, in
Whayne, Jeannie M. (ed.), op. cit., p. 44-5.
XLVIII Senigallia, e due agenti dell’immigrazione statunitensi, uno di New York e l’altro di New Orleans.14
Gli immigrati italiani, convinti a partire per l’America con la promessa di soldi e lavoro, affrontavano il viaggio su navi colme ai limiti del possibile, tra malattie e carenza di viveri. Una volta sbarcati venivano sottoposti a identificazione e accertamenti fisici e, se riuscivano a lasciare il primo centro di accoglienza per essere trasportati alla piantagione, si trovavano nelle stesse condizioni che erano già state sperimentate dai primi migranti nel 1895: “unsanitary water, substandard housing, inadequate, expensive medical care, and rapacious prices and interest costs for goods at the company store.”15 Dovevano affittare ogni cosa fosse loro necessaria sottostando ai prezzi imposti dai creditori, non potevano commerciare al di fuori della piantagione e non potevano lasciare la piantagione finché non avessero saldato il debito che avevano contratto con i proprietari terrieri, che comprendeva i costi del viaggio per arrivare negli Stati Uniti, l’appezzamento di terreno che era stato loro affittato, tutti i beni di prima necessità che potevano reperire soltanto all’emporio della piantagione e un tasso d’interesse elevato al 10%.16 Si trattava di un circolo vizioso di debiti dal quale era praticamente impossibile uscire, che condannava gli italiani a una forma di peonaggio somigliante a una vera e propria schiavitù. Nulla di più diverso da quanto desiderato dagli immigrati italiani, il cui intento originario sarebbe stato
14 Cfr. Canonici, Paul V., op. cit., p. 19. 15 Cfr. Milani, Ernesto R., op. cit., p. 46. 16 Cfr. Canonici, Paul V., op. cit., p. 25.
XLIX trovare un lavoro che permettesse di guadagnare e risparmiare il più possibile per tornare presto a vivere in Italia con una bella somma di denaro.17
La situazione fin qui descritta vede i latifondisti degli Stati del Sud che non avevano intenzione di cambiare la propria politica economica a dispetto delle leggi successive alla guerra di Secessione; i pochi afroamericani rimasti nelle piantagioni che, sebbene liberi, lavoravano in un sistema di mezzadria a stretto contatto con gli italiani e gli italiani, attratti negli Stati Uniti con l’inganno, vincolati da un contratto che li rendeva debitori e, di fatto, schiavi:
Si possono citare numerosi casi in cui affittuari furono catturati e arrestati per aver tentato di lasciare la piantagione prima di aver estinto completamente il debito. […] Molti italiani venivano trattenuti nelle piantagioni dalla paura di ciò che poteva accadere se si fossero lamentati o avessero tentato di fuggire. […] Molti di coloro che espressero le proprie lamentele dovettero pagare caro il loro coraggio, e furono usati come esempio per gli altri italiani. […] L’intento dei “Padroni” era quello di tenere gli affittuari nelle piantagioni in stato di asservimento. Il loro problema non era tanto che il debito venisse ripagato, quanto che la manodopera restasse sulla terra.18
2. Mary Grace Quackenbos, paladina dei più deboli.
Le precarie condizioni in cui versavano gli immigrati stanziati a Sunnyside saltarono prepotentemente agli occhi del governo italiano nel 1905, quando l’ambasciatore negli Stati Uniti d’America Edmondo Mayor Des Planches si recò in visita alla piantagione. Benché ignaro dei metodi illegali con cui i lavoratori erano stati portati in quell’angolo di Arkansas, egli stesso dichiarò che “the Italian immigrant at Sunnyside is a human production machine. He is better off than the
17 Cfr. Pozzetta, George E., “Italian Migration: From Sunnyside to the World”, in Whayne, Jeannie
M. (ed.), op. cit., p. 100.
L black man, more perfect than he is, but like the black man, still a machine.”19 Ulteriori visite nel 1906 e nel 1907, stavolta da parte di Lionello Scelsi e Luigi Villari, console e vice-console italiani a New Orleans, confermarono la mancanza di acqua potabile, l’inadeguatezza degli alloggi e dell’assistenza medica, l’esagerazione dei prezzi e dei tassi d’interesse, e la loro protesta arrivò fino al Segretario di Stato americano e al Dipartimento di Giustizia, che avevano già affrontato altri casi di lavoratori immigrati costretti al peonaggio negli Stati del Sud, richiedendo che fosse avviata un’indagine nella piantagione di cotone di Sunnyside.
L’incarico di svolgere l’inchiesta fu affidato a una donna, Mary Grace Quackenbos. Quackenbos fu un personaggio piuttosto insolito per l’epoca in cui visse: laureata in legge e avvocato, proveniva da una famiglia newyorkese che da generazioni professava l’antischiavismo (suo nonno aveva appoggiato le idee abolizioniste di William Lloyd Garrison).20 Quackenbos dedicò gran parte delle sue battaglie legali in difesa della popolazione più povera e nel 1905 fondò la “People’s Law Firm”, a sostegno di operai e immigrati:
Her political and professional audacity was heightened by an intense commitment to see that justice should not be denied to the poor. This commitment was evident in her undertaking a dangerous private investigation in 1906 of labor camps in Florida, Alabama, and Tennessee that were suspected of practicing peonage on immigrants lured from New York.21
19 Cfr. Milani, Ernesto R., op. cit., p. 45.
20 Cfr. “Woman Will Help in War Against Trusts: Mrs. Quackenbos, Attorney General’s Assistant,
a Lawyer and Member of an Old New York Family”, The New York Times, 15 September 1907,
http://query.nytimes.com/mem/archive-free/pdf?res=FA0912F7355A17738DDDAC0994D1405B878CF1D3 (ultimo accesso: 22/03/2014).
21 Cfr. Bohem, Randolph H., “Mary Grace Quackenbos and the Federal Campaign against
Peonage”, in Whayne, Jeannie M. (ed.), op. cit., p. 54. Ulteriori informazioni sulle indagini svolte in quegli anni circa l’attività illegale di peonaggio si trovano in Daniel, Pete (ed.), “The Peonage Files of U.S. Department of Justice, 1901-1945”, in Bracey Jr, John H., Meier, August (eds.),
LI Questo forte impegno sociale le permise di diventare la prima donna a lavorare presso l’ufficio della Procura degli Stati Uniti d’America per il distretto meridionale di New York e a farle ottenere l’incarico per stilare un rapporto sulle condizioni lavorative a Sunnyside nel 1907.
Quackenbos tentò inizialmente di agire sotto copertura, spacciando due collaboratori per contadini della piantagione e avvicinando in questo modo i lavoratori italiani, al fine di ottenere informazioni di prima mano sulle loro condizioni. Uno dei due infiltrati, tuttavia, venne scoperto e arrestato, portando alla luce il piano di Quackenbos. La donna tentò allora di tornare alla piantagione rivolgendosi direttamente al governatore dell’Arkansas, il quale le confessò di essere a conoscenza del peonaggio che veniva esercitato a Sunnyside. Una lettera del governatore, indirizzata direttamente alla Crittenden Company che gestiva la piantagione, le permise di proseguire la propria indagine. Quackenbos stavolta ebbe a che fare direttamente con Leroy Percy, ignaro del precedente tentativo e perciò disponibile, in un primo momento, a lasciare la donna libera di svolgere la propria inchiesta a contatto con i lavoratori, controllata dai supervisori ma non osteggiata. La situazione variò dopo alcuni giorni, quando Percy pretese che nelle interviste Quackenbos si avvalesse di un interprete italiano scelto da lui, e che si facesse accompagnare in giro per la piantagione dai proprietari della stessa, circostanza che non permetteva ai lavoratori di parlare liberamente. L’impressione di Quackenbos rimase comunque negativa e si aggravò quando, controllando la contabilità di Sunnyside, si rese conto che i proprietari potevano destinare alcuni
University Publications of America, 1989,
LII lavoratori ai campi di altre famiglie impossibilitate a lavorare per motivi di salute, addebitando a queste ultime anche la paga per i lavoratori accorsi in loro aiuto.22
Nelle conclusioni che presentò al procuratore generale Bonaparte, Quackenbos descrisse le condizioni di vita malsane dei lavoratori nella piantagione, i metodi illegali con cui erano stati condotti lì e l’atmosfera intimidatoria cui erano costretti, ma propose anche tredici modifiche significative da negoziare con Percy e Crittenden per trasformare Sunnyside in un vero modello per le altre piantagioni del Delta: le modifiche riguardavano la costruzione di un pozzo artesiano, l’abbassamento del tasso di interesse sulla somma che gli immigrati dovevano restituire, la dotazione di zanzariere alle abitazioni dei lavoratori e la possibilità, per questi, di vendere ai proprietari della piantagione un cotone già lavorato a un prezzo più vicino a quello di mercato. Parallelamente, Quackenbos proseguì la propria indagine sul sospetto peonaggio praticato a Sunnyside, e quando si sparse la voce su questa attività la stampa locale dette avvio a una vera e propria campagna denigratoria nei suoi confronti. Percy era un personaggio molto influente nella politica dell’epoca e vantava un personale rapporto d’amicizia con il presidente degli Stati Uniti Theodore Roosevelt, per il quale rappresentava un modello politico nuovo venuto dagli Stati del Sud, capace e intraprendente.23
Rivolgendosi direttamente a Roosevelt, il gestore di Sunnyside fece presente che le accuse mosse da Quackenbos avrebbero rovinato il futuro economico del Sud, inibendo l’immigrazione verso il Delta, e richiese che un’ulteriore indagine
22 Cfr. Ibidem, pp. 55-8. 23 Cfr. Ibidem, pp. 58-65.
LIII fosse svolta da “men of practical understanding,”24 assicurandosi che l’avvocato Quackenbos fosse rimossa dall’incarico. Percy ridusse tutto a un conflitto sessista, dipingendo l’ispettore della Procura come una “‘Lady Bountiful’ dispensing alms”25 e come una donna del Nord incompatibile con l’ambiente del Sud.
L’intervento del Presidente degli Stati Uniti ebbe l’effetto desiderato dagli amministratori di Sunnyside: Quackenbos fu allontanata e fu fatta una nuova ispezione per rettificare quando emerso fino a quel momento. L’inviato fu Albert Bushnell Hart, professore di storia americana molto vicino a Roosevelt, proveniente da Harvard. Le conclusioni cui giunse furono radicalmente opposte a quelle di Quackenbos, perché per Hart Sunnyside era un modello virtuoso dove italiani e neri venivano trattati molto meglio che in altre piantagioni, non c’erano obblighi prossimi alla schiavitù, vi si poteva accedere liberamente e, dal momento che la sua visita era avvenuta a gennaio, non c’erano neanche segnali di devastazione provocati dall’epidemia malarica.26
Non è dato sapere se le modifiche proposte da Quackenbos fossero state adottate, almeno in parte, e se avessero riguardato la salute della manodopera, l’unica cosa certa è che a Sunnyside l’accesso non era libero come credeva Hart. Ad ogni modo, i risultati di questa seconda indagine dettero nuova forza a quanto affermato da Leroy Percy, che nel frattempo era anche divenuto senatore, insabbiando definitivamente qualunque sospetto di peonaggio toccasse Sunnyside.27
24 Cfr. Ibidem, p. 65, corsivo dell’autore. 25 Cfr. Ibidem, p. 66.
26 Cfr. Ibidem, pp. 68-9. 27 Cfr. Ibidem, pp. 70, 74.
LIV Negli anni successivi al 1907, tuttavia, il numero di famiglie italiane nelle piantagioni di cotone diminuì e la maggioranza dei lavoratori tornò a essere afroamericana.
L’“Italian Colony Experiment”, ispiratore di un nuovo modello di economia rurale basato su manodopera europea, si rivelò un sostanziale fallimento a Sunnyside. Nel saggio “Leroy Percy and Sunnyside: Planter Mentality and Italian Peonage in Mississippi”, lo storico Bertram Wyatt-Brown imputa tutto l’insuccesso allo stesso Percy e alla sua amministrazione di vecchia scuola:
John Gracie of New Gascony, another very wealthy Arkansas landlord, had cooperated with Quackenbos and undertook most of the reforms she suggested – without going out of business. He even learned some Italian. Percy was too arrogant to bend, particularly to a demanding woman. […] Percy relied on old methods: surveillance by bull-necked police, crooked magistrates, and hard-minded plantation managers; political manipulation; and sometimes veiled personal threats. Pride and rigidity, as well as a typically southern defensiveness that precluded any admission of blunder or wrongdoing, governed his conduct.28
3. Tracce di dolore portate via dalle alluvioni.
Nell’epilogo di Sweet Hope Mary Bucci Bush fa un breve riassunto delle vicende storiche che portarono, pian piano, a ridurre il numero di lavoratori italiani dopo l’inchiesta federale del 1907. La maggiore possibilità di svincolarsi dai contratti e alcune calamità naturali fecero sì che, con il tempo, di questa triste pagina di storia rimanessero poche tracce e venisse pressoché ignorata da un pubblico che non fosse esperto della materia.
28 Cfr. Wyatt-Brown, Bertram, “Leroy Percy and Sunnyside: Planter Mentality and Italian Peonage
LV L’evento che cancellò la maggior parte delle prove a testimonianza di questa deportazione negli Stati del Sud fu la grande alluvione del Mississippi nella primavera del 1927, considerata ancora oggi uno degli eventi più catastrofici nella storia degli Stati Uniti d’America. Il fiume Mississippi esondò per 153 giorni e il territorio più colpito fu proprio l’Arkansas, con più di 350.000 persone alluvionate e più di due milioni di acri di terreno coltivabile inondati.29
Molti edifici sono andati distrutti e le testimonianze chiuse negli archivi o nella memoria di chi visse quei giorni. Bucci Bush, con un accurato lavoro di indagine culminato nel romanzo storico oggetto della mia traduzione, ha permesso al grande pubblico di conoscerle: “To my grandmother […] and all the inhabitants of Sunnyside Plantation, Italian and African American, whose voices were never heard and whose stories were never told.” (S.H., 5)
29 Cfr. Bearden, Russell E., “The Great Flood of 1927: A Portfolio of Photographs”, The Arkansas