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La contraffazione attuata attraverso i nomi a dominio

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(1)

C

APITOLO

QUARTO

La contraffazione attuata

attraverso i nomi a dominio

SOMMARIO: A. FATTISPECIE CONCRETA — 1. Il domain grabbing. — 1.1. La condotta. — 1.2. Il vaglio delle Autorità di Registrazione — 1.3. L’illiceità del fenomeno. — 2. L’illiceità della semplice registrazione. — B. PROFILI CONTRAFFATTORI — 3. Il danno alla rinomanza. — 3.1. Il vantaggio tratto dall’altrui rinomanza. — 3.2. (Segue) La capacità attrattiva dell’indirizzo web. — 3.3. Il pregiudizio alla rinomanza e il periculum in mora. — 4. Il pregiudizio e lo sfruttamento della capacità distintiva. — 4.1. Il typosquatting. — 4.2. (Segue) La dottrina anti-dilution. — 4.3. (Segue) I marchi «semplici». — 4.4. I marchi di alta rinomanza. — C. UTILIZZAZIONE DEL NOME A DOMINIO — 5. La registrazione come forma di utilizzo del marchio altrui. — 6. Le funzioni assolte dalla registrazione di un domain name. — 7. La dottrina dell’«uso commerciale» del segno altrui. — 8. L’attività di promozione di un domain name imitante. — 9. Il nome a dominio come “nome o indirizzo” ex art. 21 c.p.i. — 10. La necessità e l’opportunità di una qualificazione giuridica. — 11. Gli articoli 118 e 133 c.p.i. — 12. Alcune conclusioni.

1. - Il domain grabbing.

1.1. - La condotta.

Nell’analizzare, sotto il profilo della contraffazione, la condotta che vedremo infra, per un verso la questione concernente l’attribuzione di una determinata qualificazione giuridica al nome a domino appare puramente dogmatica e non dirimente; per altro

(2)

verso invece, se anche il tema riveste una qualche importanza nel delimitare l’area della responsabilità, sembra comunque destinato a rimanere assorbito in un’altra e più generale questione, che può riassumersi nel quesito seguente: quali forme di utilizzazione di un

domain name sono suscettibili di incidere, con giuridica rilevanza, su

altre sfere di tutela?

Prima di affrontare questo tema, è bene descrivere i tratti generali delle operazioni illecite storicamente più diffuse in materia di nomi a dominio.

Per domain grabbing o cybersquatting si intendono 1

generalmente quelle pratiche consistenti nella registrazione, presso una qualunque delle Autorità che attendono tale funzione, di uno o più nomi a dominio contenenti espressioni linguistiche su cui altri soggetti possano vantare diritti poziori, sulla base di titoli di varia natura. Più precisamente, al di là dei casi in cui la scelta e/o il concreto utilizzo di una certa denominazione risultano illegittimi, nell’esperienza giuridica italiana e straniera queste pratiche sembrano aver assunto una specifica connotazione a causa delle finalità perseguite, che si risolvono nell’abuso della facoltà di registrazione. Inoltre, dal lato della consistenza delle situazioni giuridiche oggetto di lesione, l’illiceità di queste condotte è spesso riconducibile ad un palese conflitto con lo ius excludendi attribuito — sia dalla disciplina della sleale concorrenza che da quella sulle proprietà industriali — ai titolari di marchi e segni distintivi in genere . 2

Il già richiamato Regolamento di Assegnazione e Gestione dei nomi a dominio, nel bandire queste pratiche abusive, afferma

I termini anglofoni derivano, rispettivamente, dal verbo to grab, traducibile con

1

“arraffare”, e to squat, che contra tra i suoi diversi significati, quello di “occupare abusivamente una casa”.

Evidenzia questo stretto rapporto del fenomeno abusivo con marchi e segni

2

distintivi altrui PICCARRETA-TERRANO, in Il Nuovo Diritto Industriale, 2005, Milano, 84.

(3)

testualmente che il Registro “ripudia l’accaparramento sistematico ed il cybersquatting” . Come si vede, anche in questa disposizione 3

la censura non si appunta sull’interferenza fra il nome assegnato ed altre situazioni giuridiche nella titolarità dei terzi, aventi ad oggetto la stessa denominazione od una denominazione simile: la disposizione del Regolamento sembra far leva, piuttosto, sulla scorrettezza insita nello sfruttare le funzioni del Registro per finalità di sistematica occupazione dei nomi a dominio disponibili.

Si delinea così una connotazione teleologica di queste pratiche illecite, peraltro puntualmente evidenziata dai diversi provvedimenti giurisdizionali resi in materia, anche all’infuori della giurisdizione italiana. Ad emergere, sia in giurisprudenza che in dottrina, sono infatti le circostanze in cui si realizzano le appropriazioni effettuate dal domain grabber, che rivelano pressoché costantemente almeno uno degli scopi seguenti:

1. Sfruttare in qualche modo la notorietà di un nome o segno distintivo altrui. Nel caso si tratti di un marchio od un segno registrato, la condotta costituirà sicuramente un atto di contraffazione ai danni del suo titolare ;4

2. Trarre un ingiusto profitto dalla assegnazione a proprio favore del nome a dominio, soprattutto attraverso la successiva offerta in vendita ai terzi interessati, ivi compresi gli stessi titolari del marchio o del nome imitato da quel nome a dominio.

Come sottolineato da un’attenta dottrina, “domain grabbing” e

Par. 1.2.3. del Regolamento di Assegnazione e Gestione dei Nomi a Dominio,

3

d’ora in avanti abbreviato “Reg.”, versione 7.1. Il Regolamento è consultabile sul sito www.nic.it.

Nei confronti dei marchi dotati di rinomanza l’immediato vantaggio si manifesta

4

nell’associazione mentale instaurata agli occhi degli utenti dall’utilizzatore del

domain name: grazie alla somiglianza dei due segni, egli può indurre infatti a

(4)

“cybersquatting” non appartengono affatto alla terminologia del diritto positivo: si tratta, in effetti, di qualificazioni nominali che rispondono ad un esigenza sociale di regolamentazione. Pertanto il loro contenuto non è altro che la stratificazione di alcune concezioni ed interpretazioni che hanno individuato i principali elementi delle relative condotte, talvolta adattando la terminologia giuridica in vigore negli ordinamenti stranieri . Così il rilievo preponderante che 5

entrambe le finalità appena menzionate hanno assunto nella prassi, spesso ha indotto autori ed interpreti a ricondurre genericamente gli illeciti associati alla registrazione degli indirizzi web al tipico accaparramento realizzato dal cybersquatter o dal domain grabber, quando in realtà una violazione può perfezionarsi anche al di là di questi scopi e in assenza di una vera e propria incetta di nomi. L’equazione tra domain grabbing e illecita registrazione di un nome a dominio è dunque un’approssimazione.

In dottrina sono state avanzate delle distinzioni, a seconda dell’intento perseguito dal registrante ovvero della natura 6

patrimoniale — ad esempio riproduzione di un segno distintivo altrui — o personale-esistenziale della sfera di interessi incisa da queste condotte . Si tratta comunque di categorizzazioni che hanno avuto 7

scarso seguito.

Ciò che preme sottolineare qui è invece il fatto che da un lato l’illiceità può non aver nulla a che vedere con la pluralità delle

CASSANO, Diritto dell’internet. Il sistema di tutele della persona, 2005, Milano,

5

173-174

Così nel caso in cui l’intento del registrante fosse quello di lucrare sulla

6

successiva rivendita del nome a dominio, si tratterebbe di un’ipotesi di

cybersquatting; mentre se l’utilizzo del dominio procura vantaggi che spetterebbero

al legittimo titolare, si tratterebbe di domain grabbbing. CASSANO, Diritto

dell’internet. Il sistema di tutele della persona, 2005, Milano, 173-174.

Nel primo caso dovrebbe parlarsi di domain grabbing, nel secondo di

7

cybersquatting. CASSANO, Diritto dell’internet. Il sistema di tutele della persona, 2005, Milano, 174.

(5)

registrazioni o le finalità emulative o speculative ; dall’altro, una 8

violazione può discendere dalla lesione di beni giuridici anche marcatamente differenti fra loro, la cui disciplina fa capo a distinti

corpus normativi: non solo beni oggetto di proprietà industriale, ma

anche di proprietà intellettuale, diritto al nome , diritto all’immagine, 9

diritto alla riservatezza, diritto d’autore e, non ultimo, quel peculiare diritto soggettivo che gli artt. 2598 e successivi del nostro Codice Civile declinano come il diritto ad una leale concorrenza . A queste 10

situazioni di carattere individuale si possono aggiungere quelle aventi natura collettiva: come evidenziato da un recente provvedimento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, il conflitto tra un nome a dominio ed un marchio può avere infatti anche una rilevanza “pubblicistica”. Ciò in considerazione della sua potenziale ingannevolezza per i consumatori, in grado di falsare la percezione sull’origine imprenditoriale e sulla qualità dei prodotti o servizi offerti, influenzando così il comportamento e le scelte d’acquisto di questa categoria di soggetti . L’indebita 11

registrazione di un nome a dominio ed il suo uso concreto sarebbero dunque passibili di censura non solo nei rapporti tra privati, ma anche in base alle norme Codice del consumo: in definitiva, l’indebita registrazione potrebbe costituire un’ipotesi di pratica commerciale scorretta. Occorre notare che le forme di tutela

Caratteri con cui spesso si tende a riassumere il fenomeno del domain grabbing.

8

Cfr. MARCHEGIANI, Il diritto sulla propria notorietà, in Riv. dir. civ., 2001, I, 239. Spesso che a costituire oggetto di registrazione fossero nomi di persone famose.

9

Per un caso in cui è stato respinto l’appello al diritto al nome, si veda Trib. Bergamo, 19 marzo 2003, in BOTTERO-TRAVOSTINO, Diritto dei Marchi d’Impresa,

2009, Torino, 284 e ss., che ha condannato il sig. Luca Armani, titolare di un timbrificio, a rinunciare al dominio registrato col suo cognome “www.armani.it”, in quanto ritenuto contraffattorio del marchio dell’omonimo stilista.

ASCARELLI, Teoria della concorrenza e dei beni immateriali, 1960, Milano,

10

190-196, 205-206.

GIUSTI, Tutela cautelare eccezionale per i nomi a dominio: osservazioni a latere

11

(6)

predisposte per questa tipologia di condotte non sono riferibili a qualunque individuo che registri od utilizzi un indirizzo web imitante un segno distintivo altrui: come è noto, infatti, le norme poste a tutela dei consumatori possono trovare applicazione unicamente nei confronti di soggetti “professionisti”, termine con cui il Codice del Consumo designa una precisa ed atipica categoria di soggetti, non necessariamente imprenditori . Si noti, per inciso, che i 12

provvedimento emessi dall’autorità Antitrust del nostro Paese, oltre a poter disporre un ordine di inibitoria, possono comminare anche sanzioni pecuniarie: tutto ciò è accaduto anche nel caso di specie, con il provvedimento citato in nota, che oltre a disporre la cancellazione della registrazione effettuata ed il divieto di farne utilizzo in futuro, ha anche irrogato una multa nei confronti del registrante .13

Ferma restando l’eterogeneità delle sfere di tutela appena viste, il carattere contra ius delle condotte legate alla registrazione di nomi a dominio trova un denominatore comune nell’attitudine degli indirizzi web, intesi come strumenti tecnici, a fungere da «contenitori» di espressioni non liberamente disponibili. Come si è già accennato supra, questa attitudine riguarda precisamente una singola parte della stringa alfanumerica in cui si manifesta l’indirizzo

web: il Second Level Domain. Alla libertà con cui è dato scegliere,

nel rispetto dei vari vincoli tecnici, i termini ed i simboli con cui comporre questa parte del domain name, si associa inevitabilmente la possibilità che la relativa registrazione ed utilizzo diano luogo ad una violazione e al danno ingiusto che ne consegue. Invero, nonostante le varie regole di soft-law che presiedono alla corretta gestione dei database dei registri ed informano la composizione

MARTINELLI, La disciplina dei nomi a dominio e rimedi esperibili in caso di

12

cybersquatting, in Ciberspazio e Diritto, 2015, 405-420. A.G.C.M., provvedimento n. 23976 del 9 ottobre 2012.

(7)

alfanumerica dell’indirizzo web , tale scelta denota sempre un certo 14

margine di discrezionalità ed arbitrarietà.

1.2. - Il vaglio delle Autorità di Registrazione.

In ordine all’attribuzione del dominio o, più precisamente, alla sua assegnazione o concessione in uso al richiedente da parte degli organismi di competenza, posto che quest’ultimi non compiono su di esso atti traslativi della proprietà , è bene notare quali funzioni 15

siano chiamate a svolgere le varie Autorità di Registrazione. In

primis il controllo da esse svolto al momento della richiesta è

condotto unicamente sulla base del proprio Regolamento di Naming e mai si sostanzia, o potrebbe sostanziarsi, in un’indagine a tutto campo sull’eventuale interferenza con le privative industriali o i diritti d’autore altrui, volta ad appurare se il richiedente goda o meno di un effettivo titolo a vedersi assegnato il dominio prescelto . All’esito 16

delle verifiche svolte nella procedura di registrazione, infatti, l’autorità si limiterà a respingere la richiesta solo nel caso in cui il nome non possa assolvere all’unica funzione che ad esso è riconosciuta dalla regolamentazione tecnica: quella di codice mnemonico idoneo a “facilitare l’accesso a risorse della rete internet” .17

Si tratta delle cosiddette regole di “naming”, come si vedrà infra.

14

COSTANZO, voce «Internet»,in Digesto Pubblico , Aggiornamento, Torino, 2000,

15

354-355.

VISCONTI, La valutazione dei nomi a dominio su Intenet, in Dir. ind., 2015, 34;

16

CARAPELLA-CASSANO, I conflitti tra marchi e nomi a dominio tra pronunce dei giudici

e primi accenni a una risoluzione «virtuale», in Riv. dir. ind., 2000, II, 378;

analogamente in giurisprudenza, si veda Trib. Modena, 27 settembre 2004, in Dir.

Inform., 2005, II, 295-296; cfr. anche Trib. Napoli, 26 febbraio 2002, in Dir. Inform.,

2002, 1014, in cui si dichiara l’Autorità estranea da ogni giudizio di corrispondenza con nomi commerciali anteriori.

Par. 1.2.1 Reg.

(8)

Invero, se anche l’accertamento potesse spingersi oltre la valutazione dei meri profili tecnici, il controllo resterebbe in parte vanificato del valore contrattuale su cui si regge l’intero impianto delle autorità stesse . Storicamente questi organismi sono infatti 18

sorti come enti a formazione spontanea con cui ci si proponeva di erogare il servizio di gestione di un determinato settore del DNS, corrispondente al relativo suffisso (ad esempio .it, .fr., .org, .net ecc.). In questo senso, le regolamentazioni predisposte non sono che uno dei tanti strumenti con cui esse attendono alle proprie funzioni tecniche.

Come è stato efficacemente sottolineato in dottrina, la forza delle regole che presiedono all'assegnazione dei nomi di dominio è tratta in massima parte dal fatto di essere fondate su esigenze di tipo tecnico. In nessun caso ciò può giustificarne la prevalenza sulla normativa in tema di segni distintivi: una simile interpretazione sarebbe senz'altro da rigettare in considerazione di esigenze di ordine generale, ed in specie, di corretto funzionamento del mercato, cui presiede quest'ultima. Tale normativa, anche omettendo ogni considerazione circa la sicura supremazia delle regole di diritto su quelle di altra natura, è infatti strettamente connessa a quella sulla concorrenza e non può tollerare limiti che non siano quelli imposti dal raggiungimento delle finalità a cui è deputata . 19

Considerate sotto il profilo formale, le autorità di registrazione hanno nella maggior parte dei casi la struttura di associazioni private, aperte alla partecipazione di tutti i soggetti interessati. Ciò si riflette nella natura e negli effetti dello stesso procedimento di

D’ARCANGELI, Il dibattito sul Domain Name e la prima sentenza di merito, in Riv.

18

dir. civ., 2004, IV, 508-509. Cfr. anche DE MARZI, Interferenza tra nome a dominio e

marchio: il ruolo del Registro, in Dir. inform., 2005, 303-304.

MAYR, I domain names ed i diritti sui segni distintivi: una coesistenza

19

(9)

registrazione: esso, come è stato rilevato, instaura con il richiedente una relazione di tipo contrattualistico che tertium neque nocet neque

prodest, essendo i diritti dei terzi tutelati da norme cogenti ed efficaci erga omnes, destinate in quanto tali a prevalere in ogni caso . 20

Per quanto riguarda gli eventuali obblighi imposti in sede registrazione agli organismi in parola, merita segnalare l’orientamento di netta esclusione espresso in una decisione Tribunale di Modena, il cui estensore ha avuto modo di precisare che in capo ai gestori del Registro italiano non è possibile delineare alcun dovere di diligenza che si estenda “fino al controllo preventivo delle interferenze tra domain names oggetto di registrazione e gli altrui segni proteggibili non ancora registrati quali marchi” . A 21

conclusioni non dissimili si dovrebbe peraltro giungere, secondo una parte della dottrina, anche per quei segni distintivi che sono stati oggetto di registrazione, posto che porre a carico del Registro l’onere di verificare la preesistenza di un titolo sul segno, significherebbe investire l’ente di potestà pubbliche in contrasto con le sue attività di natura squisitamente privatistica .22

Se la soccombenza delle regole tecniche di fronte alle norme imperative di un ordinamento giuridico costituisce oggi un dato pacificamente assunto sia in dottrina che in giurisprudenza , è 23

sufficiente la lettura del primo ed assai dibattuto provvedimento edito in materia di nomi a dominio nel nostro Paese , per 24

TOSI, voce «Tutela dei nomi di dominio e segni distintivi», in Digesto delle

20

discipline privatistiche, Sez. Commerciale, Aggiornamento, Torino, 2013, 946.

Trib. Modena 27 settembre 2004, in Dir. inform., 2005, 295-296.

21

DE MARZI, Interferenza tra nome a dominio e marchio: il ruolo del Registro, in Dir.

22

inform., 2005, 303-304.

Trib. Roma, 2 agosto 1997, in Dir. ind., 1998, 138, con nota di MONTUSCHI; cfr.

23

anche Trib. Modena, 27 settembre 2004, in Dir. Inform., 2005, 295, per un esempio di prevalenza delle disposizioni processuali stabilite dal c.p.c., su una specifica clausola del regolamento di naming allora in vigore.

Trib. Bari, 24 luglio 1996, in Foro It., 1997, I, 2316.

(10)

constatare come una simile uniformità di vedute, in origine, non vi sia stata. Nell’emettere l’ordinanza, i giudici dovettero affrontare il tema per la prima volta ed optarono per una soluzione che, implicitamente, sembra smentire quanto appena detto in proposito. Il caso portato all’attenzione dei giudici pugliesi verteva sull’utilizzo della denominazione sociale dell’attrice in un domain name registrato dalla resistente, nelle vesti una s.p.a. operante in un settore imprenditoriale del tutto eterogeneo con quello della controparte. Investito della questione, il Tribunale di Bari emise ordinanza in cui si riteneva essere “legittimamente acquistato il diritto all’ utilizzazione (del nome)” fintanto che tale l’acquisto fosse avvenuto conformemente alle regole tecniche stabilite dalle autorità di registrazione e, soprattutto, in ossequio al principio generale su cui esse si fondano, quello della priorità cronologica delle richieste (first to come, first to serve). Dalle motivazioni della pronuncia emerge con chiarezza che all’autorità giudiziaria mai sarebbe dato vietare l’utilizzo di un nome a dominio al soggetto che per primo ne avesse ottenuto la registrazione presso l’organismo competente. Inoltre l’uso della denominazione non potrebbe essere inibito a fronte della mancata corrispondenza fra denominazione prescelta e segni distintivi legittimamente usati dal richiedente, in quanto nessuna delle disposizioni del regolamento tecnico impone tale corrispondenza.

Siffatto modo di argomentare — oltre a negare ogni altra funzione al nome a dominio in aggiunta a quella di mero mezzo logico-operativo o di semplice indirizzo — finiva per ammettere implicitamente la prevalenza delle regole tecniche sulle norme poste a tutela dei segni distintivi .25

Sulla scia dell’ordinanza suddetta si collocano poi due decisioni

D’ARCANGELI, Il Dibattito sul Domain Name e la prima Sentenza di merito, in. Riv.

25

(11)

di poco successive emesse dal Tribunale di Firenze con cui, oltre a 26

respingere l’assimilazione del nome a dominio all’insegna affermata in altri precedenti giurisprudenziali, si rimette la sua regolamentazione alle sole norme tecniche della rete. Quest’ultime, secondo la prima delle due pronunce citate, sarebbero tali da configurare un ordinamento a sé stante fondato su regole di contenuto strettamente tecnico: ciò, unitamente alla mancata inclusione di Internet nell’ordinamento giuridico generale, dovuta all’assenza di regolamentazione , determinerebbe una limitata 27

possibilità di incidenza del diritto positivo in questo contesto. Le norme giuridiche, si legge nelle motivazioni del provvedimento, sono applicabili ai soli contenuti che il web veicola, in quanto frutto di attività umana, mentre deve recisamente negarsi la possibilità che esse interferiscano con i relativi strumenti tecnici, come ad esempio i nomi a dominio . Del pari, in una seconda pronuncia del foro 28

fiorentino si constata ancora un problema di lacune normative, stavolta di entità più modesta, circoscritta alle modalità di assegnazione e composizione del second level domain . Al nome a 29

dominio veniva data così una definizione tutta incentrata sugli aspetti tecnici ed operativi del sistema da cui deriva ed al quale è preordinato, il DNS. Necessaria conseguenza di questa ricostruzione fu il riconoscimento al domain name della sola

Trib. Firenze 8 luglio 2000 e Trib. Firenze sez. dist. Empoli 23 novembre 2000,

26

entrambe in GALLI, I domain names nella giurisprudenza, 2001, Milano, 321 e 398. Di cui oggi invece può si può rinvenire traccia in quei (pochi) riferimenti del c.p.i.

27

al nome a dominio “aziendale” o “usato nell’attività economica” e nel d.lgs. n. 259 del 2003, cosiddetto Codice delle Comunicazioni elettroniche. Quest’ultimo tuttavia considera il domain name in un’unica disposizione, l’art. 15: si tratta di un isolato riferimento dal contenuto programmatico, in cui il nome a dominio è considerato come mera risorsa dei mezzi di comunicazione elettronica e non come bene giuridico.

Trib. Firenze 8 luglio 2000, in Dir. ind., 2000, 331.

28

Trib. Firenze sez. dist. Empoli 23 novembre 2000, in GALLI, I domain names nella

29

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funzione di indirizzo telematico.

Ciò che interessa di queste pronunce è la forte correlazione tra la prevalenza delle regole tecniche, assunta più o meno implicitamente, la negazione del carattere distintivo del domain

name e il conseguente rigetto delle ragioni dei ricorrenti, in entrambi

i casi titolari di marchi registrati. In particolare di questa stretta correlazione si dà conto a chiare lettere nella prima delle due ordinanze citate, in cui si attesta la prevalenza delle regole tecniche sull’utilità che la singola impresa potrebbe ricavare dalla corrispondenza marchio-dominio: corrispondenza che non solo non rappresenterebbe un “bene assoluto”, ma soprattutto non costituirebbe un “principio positivamente sancito nel nostro ordinamento” . E alle stesse conclusioni si giunge nella pronuncia 30

successiva nel momento in cui si sottolinea la mancanza di disciplina positiva per l’assegnazione dei nomi a dominio, rimettendo di fatto ogni questione alle regole tecniche delle Autorità.

Merita, da ultimo, far cenno al fatto che sia la decisione del Tribunale di Bari che quella del Tribunale di Firenze, sono state considerate come una conferma di quella peculiare visione del fenomeno Internet come universo “nuovo”, che pur non potendo essere considerato come una sorta di zona franca o ambiente avulso da ogni regola, non sempre si presta ad un’automatica trasposizione delle leggi che governano il mondo “non virtuale”. Spesso si verifica anzi che le stesse regole, calate in questo contesto, non possano mantenere un’identità di scopi con quelli da esse perseguiti nel mondo “reale”, rendendo evidente la forzatura insita nei vari tentativi di tipizzazione di fattispecie, che per loro natura, tipiche non sono . Difficoltà a cui sono da aggiungere quelle 31

Trib. Firenze, 8 luglio 2000, in GALLI, I domain names nella giurisprudenza, 2001,

30

Milano, 321.

TARIZZO, L'Applicabilità della Disciplina sui Marchi ai Nomi di Dominio: certezze e

31

(13)

connesse alla caratteristica internazionalità della rete, che complica non poco le possibilità di attuazione ed esecuzione di qualunque forma di tutela .32

1.3. - L’illiceità del fenomeno.

Come si è detto, la maggior parte del contenzioso che ha impegnato i nostri giudici in materia di domain name ha riguardato la registrazione di denominazioni uguali o identiche a quelle già oggetto di privativa discendente da un marchio registrato anteriormente. Per la maggior parte, le censure espresse in giurisprudenza nei confronti di questo modo di operare vertono sullo sfruttamento parassitario della notorietà altrui e, segnatamente, sugli ingiusti profitti realizzati attraverso la successiva rivendita del nome assegnato. Non c’è dunque da sorprendersi se, sia in Italia che all’estero, la giurisprudenza prevalente in materia domain grabbing si è formata a seguito di controversie in cui erano coinvolti titolari di marchi cosiddetti celebri, che nel nostro ordinamento corrispondono a quei segni che godono di un alto grado di rinomanza nello stato.

Giuridicamente, i profili di rilevanza della condotta in esame si apprezzano innanzitutto dal lato contraffattorio e da quello della concorrenza sleale: due discipline che, come sottolineato da dottrina autorevole, non solo possono sovrapporsi — rectius concorrere — nella qualificazione di medesime fattispecie concrete, ma offrono inoltre due forme di tutela parallele, cumulabili e concretamente esperibili nello stesso procedimento giurisdizionale per i soggetti lesi. In generale, si parla infatti di una concorrenza sleale “dipendente” che si presenta, al ricorrere dei relativi presupposti, ogniqualvolta un atto di contraffazione si risolve anche in una violazione del diritto soggettivo ad una leale concorrenza fra

Trib. Firenze 8 luglio 2000, in GALLI, I domain names nella giurisprudenza, 2001,

32

(14)

imprenditori. Ciò può verificarsi per una qualunque delle tre ipotesi di illecito descritte dall’art. 2598 c.c. : ovviamente la fattispecie 33

concorrenziale che si associa più frequentemente alla contraffazione sarà quella rappresentata dagli atti confusori, destinata ad operare anche in qualunque caso di utilizzo illegittimo e confusorio di nomi e segni distintivi altrui .34

La ricostruzione appena descritta è il frutto di un orientamento, largamente seguito nella dottrina industrialistica, che cerca offrire una soluzione al problema del non facile coordinamento tra la disciplina della concorrenza e quella dei marchi, le cui normative presentano numerosi punti di contatto. Tale orientamento sembra raccogliere consensi anche presso quella parte di dottrina che si è occupata dell’analisi del domain grabbing e delle problematiche affini, in materia di domain names. Si è infatti sostenuto che in caso di appropriazione ed uso del marchio o del segno distintivo di un’impresa concorrente attraverso un nome a dominio, sussista sempre, oltre ad un’ipotesi di contraffazione, un caso di concorrenza sleale, tanto per attività confusoria, quanto per appropriazione di pregi o concorrenza parassitaria. Ciò ovviamente purché la condotta integri i relativi presupposti, stabiliti — a seconda dei casi — dall’art. 2598, ai nn. 1, 2 e 3 c.c. , o quantomeno da quelli richiesti per la 35 sub-fattispecie dell’uso confusorio dei segni, giacché una volta

esclusa l’interferenza con altre denominazioni, sembrerebbe di

VANZETTI-DI CATALDO, op. cit., 49.

33

In giurisprudenza una fattispecie di concorrenza sleale “dipendente” è stata

34

rilevata anche in relazione all’art. 2598 n. 3 c.c. a fronte della violazione, posta in essere da un concorrente, di diritti di utilizzazione di un’opera televisiva e dei diritti connessi dell’emittente. La condotta, oltre a costituire un illecito in base alla Legge D’Autore, è stata qualificata, in quanto contraria al canone di correttezza professionale, come un’ipotesi di concorrenza parassitaria. Cfr. Trib. Trento, 22 febbraio 2000, in AIDA, 2000, 721 e ss.

TOSI, Contraffazione di Marchio e Concorrenza Sleale in Internet: dal classico

35

«Domain Grabbing» all'innovativo «Key-Word» marketing confusorio, in Riv. dir. ind., 2009, II, 394.

(15)

doversi negare la possibilità che il comportamento configuri qualunque altra ipotesi di concorrenza sleale disciplinata dalla legge .36

Con riferimento alla contraffazione, è poi lo stesso c.p.i., come novellato dal d. lgs. n. 131 del 2010, che, nel delineare il già citato principio dell’unitarietà dei segni distintivi, sancisce l’illiceità dell’adozione dell’altrui marchio come nome a dominio di un sito usato nell’attività economica.

I due tipi di responsabilità, a titolo di contraffazione ed ex art. 2598 c.c., mantengono comunque una certa diversità di presupposti, tra cui, l’essenziale presupposto rappresentato dal rapporto di concorrenzialità intercorrente tra danneggiato e danneggiante e la qualità soggettiva degli individui coinvolti: ciò fa sì che non vi è mai un’implicazione automatica tra le rispettive fattispecie astratte. A tal proposito in giurisprudenza si è rilevato, già prima dell’entrata in vigore del c.p.i., che non sempre la contraffazione costituisce un atto confusorio, atteso che la disciplina della concorrenza sleale presenta diversi limitazioni rispetto alla tutela prevista nella vecchia legge marchi .37

Lo rileva efficacemente Trib. Modena 27 settembre 2004, in Dir. inform., 2005, II,

36

287, con nota di DE MARZI. L’integrazione delle restanti fattispecie disciplinate dal 2598 c.c. si può escludere in radice una volta constatato come esse presuppongano sempre l’adozione di mezzi o il compimento di atti che sono diversi ed ulteriori rispetto all’altrui appropriazione di segni. Tali fattispecie potrebbero essere poste in essere in Internet solo mediante la predisposizione di un qualche contenuto nel sito, giammai attraverso la mera adozione, per esso, di un determinato nome a dominio (si pensi all’appropriazione di pregi o all’imitazione servile di un prodotto o servizio).

Trib. Bergamo 6 marzo 2003, in BOTTERO-TRAVOSTINO, Diritto dei Marchi

37

(16)

2. - L’illiceità della semplice registrazione.

Un primo problema di notevole rilievo pratico, posto all’attenzione della giurisprudenza sia italiana che straniera, è stato quello di stabilire se già la mera registrazione di un domain name possa costituire un illecito nei confronti del titolare di segno distintivo simile . Mentre in materia di marchi si esclude generalmente che la 38

registrazione non seguita dall’uso dia luogo a contraffazione di un segno altrui, per quanto riguarda i nomi a dominio il problema si pone essenzialmente a causa dell’effetto che consegue all’assegnazione in uso concessa dalla Registration Authority: quello dell’attivazione dell’indirizzo e della conseguente possibilità di raggiungerlo nell’esplorazione della rete da parte degli utenti-navigatori. Nella dimensione del web, ciò accade infatti a prescindere da qualsiasi corrispondenza di quell’indirizzo ad un qualche contenuto informatico , ossia prescindere da un’attività 39

ulteriore e successiva che normalmente compie qualsiasi assegnatario di un domain name: la creazione e il caricamento

online di un sito web. Fintanto che quest’ultimo non sia allestito, ogni

tentativo di connettersi a quell’indirizzo da parte degli utenti avrà come unico risultato la visualizzazione di uno spazio “vuoto”, del tutto assimilabile ad una pagina bianca.

Ora, ultimata la procedura di registrazione, l’indirizzo telematico solitamente viene inserito nell’apposito database di registro tenuto

GALLI, I domain names nella giurisprudenza, 2001, Milano, 61.

38

Pone in rilievo questo aspetto, evidenziando la conoscibilità da parte del pubblico

39

dei navigatori di Internet il fatto dell’avvenuta registrazione, da ritenersi perciò confusoria ed integrante in sé un uso illecito del marchio altrui, Trib. Modena 1 agosto 2000, in Giur. merito, 2001, 328. Alle stesse conclusioni giunge, sul presupposto che la mera registrazione può indurre gli utenti a ritenere che il titolare del segno distintivo usurpato non abbia la capacità organizzativa ed imprenditoriale per rendersi reperibile in rete, Trib. Firenze 16 maggio 2006, in Giur. dir. ind., 2006, 809.

(17)

dall’autorità competente, cosicché quest’ultimo risulta pienamente operativo e nella completa disponibilità del soggetto che ne ha fatto richiesta. Inoltre, l’esistenza di un registro fa sì che gli utenti possano, più o meno facilmente, ottenere informazioni su quel nome a dominio, sino a rendersi edotti dell’identità del soggetto registrante. Simili circostanze hanno indotto una parte di dottrina e giurisprudenza a ritenere integrata una forma d’uso del segno registrato: un utilizzo che, come si intuisce, acquista una certa rilevanza giuridica qualora il segno inserito nel domain name sia anche solo parzialmente coincidente con espressioni oggetto di privativa, esclusiva od altri diritti, come quello al nome. Si è così affermato che la registrazione in sé considerata presenterebbe i caratteri dell’uso della denominazione . Questa conclusione, 40

specialmente nella giurisprudenza straniera, è stata spesso giustificata constatando il comportamento del registrante, il quale con la semplice detenzione di un nome a dominio mirerebbe alla successiva offerta in vendita di quell’indirizzo web ai terzi interessati. Così, se anche quest’ultimo non designa alcun sito internet, la protratta detenzione da parte del registrante potrebbe considerarsi come un “uso”, nonostante il termine sembrerebbe presupporre che il domain name corrisponda ad un sito accessibile agli utenti . 41

E’ evidente tuttavia come la semplice detenzione configuri piuttosto una forma di utilizzo alquanto «embrionale». Essa appare del tutto inidonea, ad esempio, a generare quel pericolo di confusione che delimita la sfera di protezione di un marchio registrato e non dotato di rinomanza; così come appare inidonea a configurare un pregiudizio nei confronti di un concorrente che

GALLI, I domain names nella giurisprudenza, 2001, Milano, 61; in giurisprudenza,

40

oltre alle pronunce citate in nota precedente, in cui ciò risulta implicitamente, si veda Trib. Cagliari, 30 marzo 2000, in Foro it., 2000, 1671, con nota di PEYRON.

Cfr. INTROVIGINE, in Bottero (a cura di), La riforma del codice della proprietà

41

industriale. Commentario alle modifiche al codice della proprietà industriale apportate dal decreto legislativo 13 agosto 2010, n.131, 2011, Milano, 57.

(18)

legittimamente utilizzi nomi e segni distintivi simili, posto che le disposizioni in materia di concorrenza presenti nel nostro ordinamento offrono una tutela nei limiti del pericolo di confusione. Intuitivamente, solo l’esistenza di materiali iconografici, testuali o sonori — ovvero di dati e informazioni digitali — allocati nella struttura liberamente consultabile di un sito web, potrebbero indurre gli utenti che vi accedano a cadere in errore circa una provenienza imprenditoriale. In altri termini, in assenza di questi contenuti dovrebbe venir meno la possibilità che taluno sia indotto ad associare erroneamente l’ubicazione telematica in questione ad un segno di sua conoscenza o comunque a confondere due imprese, giacché la denominazione, identificando uno “spazio vuoto”, non è in grado di suscitare l’instaurazione di un nesso tra un segno ed un oggetto contraddistinto.

Un problema si pone invece per quei marchi registrati la cui rinomanza, ex art. 22/2 c.p.i., non solo determina un ampliamento, a livello orizzontale, della tutela merceologica, ma soprattutto estende l’ambito della privativa a livello verticale, includendo pregiudizi di natura diversa rispetto al mero rischio di confusione generato dall’impiego di segni identici o simili per prodotti identici o simili.

Per quanto riguarda la condotta in esame, la presenza o l’assenza di notorietà costituisce un fattore determinante, di cui anche i primi autori che si sono confrontati con il problema dell’illiceità sotto il profilo contraffattorio si sono mostrati ben consapevoli. Per fare solo un esempio, vi sono ricostruzioni che tracciano una nettissima linea di discrimine nel considerare la condotta di semplice registrazione di un marchio altrui come nome a dominio: nei confronti dei marchi di alta rinomanza, il comportamento in esame integrerebbe un atto di contraffazione in re

ipsa, essendo l’illecito connaturato al fatto della semplice

registrazione. Così, i titolari di questi segni sarebbero pienamente legittimati ad adire l’autorità giudiziaria a prescindere dall’effettivo

(19)

utilizzo, da parte del registrante, dell’indirizzo web contestato, e ciò senza alcuna necessità di verificare che il TLD prescelto, tematico o geografico, possa determinare un conflitto con il diritto di monopolio sul marchio dotato di notorietà . Come specificato anche dal 42

Tribunale di Reggio Emilia, l’estensione finale del nome a dominio, pur essendo inidonea a differenziare l’indirizzo telematico dal marchio che esso riproduce, è comunque in grado, in linea teorica, di identificare il luogo in cui è avvenuta l’assegnazione : ciò che, 43

all’infuori delle ipotesi di rinomanza, consentirebbe al titolare del segno di reagire nei soli confronti di quegli indirizzi caratterizzati da un TLD nazionale corrispondente al paese in cui egli può vantare il proprio diritto di esclusiva. In modo del tutto analogo ciò accadrebbe anche per i TLD generici, come “.com” o “.net”, posto che anch’essi hanno comunque un certo legame geografico-territoriale, essendo assegnati da società accreditate in un determinato Stato . 44

Invero, anche alla luce dell’attuale disciplina positiva le valutazioni cambiano radicalmente nel caso in cui ad essere registrati come indirizzi web siano segni dotati di notorietà. I titolari del relativo diritto di privativa sono infatti posti in condizione di vietare qualsiasi utilizzo di segni imitanti che, adottati nel contesto di un’attività economica, possano arrecare un pregiudizio alla rinomanza legittimamente acquisita e alla capacità distintiva, o comunque fruttare al contraffattore un indebito vantaggio. Il campo di applicazione della norma in esame è dunque circoscritto non tanto in ragione del pericolo di confusione generato dalle imitazioni

Cfr., ex multis, PEYRON, Osservazioni in tema di domain name, marchi,

42

contraffazione, in Giur. it., 2001, 96-97, che ritiene dunque ammissibile una

contraffazione del marchio notorio o dotato di alta rinomanza in re ipsa, connaturata al fatto della mera registrazione di un nome a dominio imitante, prescindendo quindi dall’uso effettivo.

Trib. Reggio Emilia 30 maggio 2000, in Giur. It., 2001, 96 e ss.

43

Nella maggior parte dei casi gli enti che gestiscono i T.L.D. sono società aventi

44

(20)

del segno, quanto dall’effetto contemplato nelle due clausole generali appena richiamate, che consistono nell’illegittimo approfittamento e nel pregiudizio causato, e che sono entrambe riferibili ad una delle due facce, rinomanza e forza distintiva, della stessa medaglia, cioè il marchio registrato che gode di rinomanza.

L’estensione di tutela accordata dal legislatore ai titolari di una privativa sui segni con tale livello di notorietà, è caratteristica che riguarda da vicino il fenomeno del domain grabbing, considerando che, lo si è già detto, ad essere il bersaglio prediletto di questa pratica sono stati innanzitutto, e sono tuttora, quei marchi di alta rinomanza, altrimenti detti “celebri”.

Le argomentazioni normalmente addotte in dottrina, sulla scorta di una parte della giurisprudenza, a sostegno della tesi che la mera registrazione di un nome a dominio possa configurare un illecito, specialmente sotto il profilo della contraffazione, si possono ricondurre essenzialmente a due ordini di ragioni.

In primo luogo, l’assegnazione in uso del domain name operata dall’organismo competente, a prescindere dall’attivazione di un sito

web e dall’inserimento di contenuti di qualche tipo, consultabili

attraverso l’accesso all’indirizzo prescelto, costituisce di fatto un sicuro impedimento per la successiva registrazione di un identico nome, a causa della struttura tecnica del web e del già menzionato principio di unicità, che impedisce la convivenza in rete di indirizzi identici. Si è cosi affermato che la sola registrazione è fonte di sicuro pregiudizio per colui che è titolare di un diritto poziore, come il diritto sul marchio registrato anteriormente. L’assegnazione di un nome a dominio identico o simile infatti verrebbe illegittimamente a porre un

(21)

ostacolo all’esercizio di quel diritto sul segno , o a determinare una 45

compressione della portata dell’esclusiva conferita dal marchio . 46

In termini parzialmente analoghi, in giurisprudenza si è parlato altresì di “effetto paralizzante” o "impeditivo" che la preventiva registrazione di un domain name comporterebbe per il legittimo titolare della privativa, talvolta evidenziando anche i suoi effetti negativi dal punto di vista concorrenziale: così, il mero registrante di un indirizzo totalmente o parzialmente coincidente con un marchio altrui potrebbe essere ritenuto responsabile anche per violazione della norme in materia di concorrenza sleale, in quanto tra i soggetti coinvolti da questo modo di operare si potrebbe configurare un rapporto concorrenziale nell’ambito dell’accesso ai sistemi informatici . 47

Sotto il profilo della contraffazione, la mancanza di disposizioni

ad hoc per il nome a dominio nella disciplina previgente, ha indotto

giudici ed interpreti ad individuare un pregiudizio rilevante attraverso il classico schema dell’uso illecito del marchio rinomato altrui, con cui è stato ritenuto censurabile anche il semplice atto di

Trib. Parma, 11 gennaio 1999, in GALLI, I domain names nella giurisprudenza,

45

2001, Milano, 165; nella stessa opera, Trib. Parma 22 febbraio 1999, 176; Trib. Parma, 22 gennaio 2001, 447; Trib. Parma, 26 febbraio 2001, 482. Tuttavia in tutti e quattro i casi risolti dal giudice emiliano, sebbene sia sottolineata l’esistenza di questo obiettivo impedimento, la ricorrente aveva raggiunto la prova, per confessione dei resistenti, che la registrazione era avvenuta con l’univoco e dichiarato intento di commercializzare il domain name in futuro.

Trib. Torino 30 aprile 1999. L’ordinanza è inedita, ma la si può reperire all’indirizzo

46

www.giurisprudenza.piemonte.it.

Trib. Genova 17 luglio 1999, in Dir. inf., 2000, 341 e ss. Benché il principio

47

statuito dal giudice ligure possa riferirsi all’atto di registrazione in senso stretto, nella fattispecie fu riscontrato anche un previo e temporaneo utilizzo della denominazione attraverso l’attivazione di un sito web: ciò che sicuramente fece temere il un pericolo di reiterazione. Si tratta di un rilievo non secondario, visto che il procedimento di specie, come la maggior parte degli altri contenziosi in materia, si è esaurito nella fase cautelare, accertando la sussistenza di un periculum in mora; in senso contrario alla pronuncia appena citata si veda Trib. Modena 23 maggio 2000, in Dir. inf., 2000, 665, il quale ha negato l’esistenza di tale effetto impeditivo in considerazione delle infinite possibilità di idonea differenziazione.

(22)

registrazione . 48

In dottrina, la preclusione derivante dalla precedente assegnazione di un domain name, in ipotesi corrispondente ad un marchio, ha fatto ritenere che l’interferenza fra segni così creata sarebbe immediata, e per ciò suscettibile di ricadere nel campo di applicazione dell’art. 22/2 c.p.i. Il “pregiudizio” richiesto da quest’ultima disposizione per la contraffazione dei marchi dotati di rinomanza sarebbe appunto integrato dall’esclusiva assoluta che il protocollo di comunicazione — il DNS — su cui si fonda la rete è in grado di attribuire al primo registrante. Stando a questa dottrina, la violazione della privativa altrui si perfezionerebbe anche con l’atto della semplice registrazione, prescindendo dall’uso concreto e dai criteri di specialità e territorialità. Invero, l’ipotesi appena descritta non si discosterebbe troppo da quelle situazioni in cui, all’infuori del contesto telematico, la contraffazione risulta perfezionata al di là di ogni rischio di confusione merceologica .49

Quest’ultima ricostruzione tuttavia non sempre ha trovato riscontro positivo in giurisprudenza: accanto ad alcune pronunce in cui sono riportate le medesime considerazioni appena richiamate , 50

ve ne sono infatti altre in cui si è evidenziato che all’impedimento opposto dal registrante non può attribuirsi una rilevanza generalizzata, che equivarrebbe a disconoscere il principio di

Ex art. 1, comma 1, lett. c, legge marchi, ora art. 20, comma 1, lett. c, c.p.i. Cfr.

48

SAMMARCO, in Rosello-Finocchiaro-Tosi (a cura di), Commercio elettronico

documento informatico e firma digitale. la nuova disciplina, 2003, Torino, 490

SENA, Il Diritto dei Marchi, Milano, 2007, 122.

49

In senso conforme si vedano Trib. Parma 26 febbraio 2001, in GALLI, I domain

50

names nella giurisprudenza, 2001, Milano, 482, e Trib. Milano 2 febbraio 2002, in

Riv. dir. ind., 2002, II, 352 e ss., spec. 355. In entrambe le ordinanze si evidenzia,

peraltro con identiche formule, che l’immediata interferenza con il marchio registrato si realizza a causa dell’effetto della registrazione ed a prescindere sia dall’uso che dai criteri di specialità e territorialità: con la registrazione si viene infatti a creare un impedimento assoluto al titolare del marchio per l’utilizzazione del segno in internet, alla stregua di nuovo ed ulteriore segno distintivo.

(23)

specialità della tutela a cui è soggetto il marchio nel nostro ordinamento. La protezione accordata al titolare è infatti sempre funzionalizzata all’esclusiva sul segno in un ambito commerciale dato, cosicché essa non si estenderebbe sino a coprire la pretesa del titolare di far uso di quel segno come domain name, e nessun rilievo potrebbe essere quindi attribuito all’impedimento creato dalla previa registrazione di un nome a dominio imitante da parte di un soggetto operante in un settore commerciale del tutto diverso .51

Un secondo ordine di argomentazioni con cui una parte di dottrina e giurisprudenza hanno attribuito rilevanza all’atto della mera registrazione, pone enfasi su una circostanza diversa: l’eventualità che l’utente tenti di digitare autonomamente un indirizzo

web di cui non conosce esattamente gli estremi, mosso dalla

volontà di accedere ad un sito che egli associa mentalmente ad un’azienda di cui conosce il marchio. Così facendo, il navigatore si imbatte inevitabilmente nel nome a dominio simile ottenuto dal terzo registrante. Nonostante l’indirizzo web possa essere del tutto privo di contenuti, la circostanza appena descritta sarebbe infatti idonea a realizzare un potenziale sfruttamento ed agganciamento al marchio altrui, a causa del numero di connessioni ricevute, in gran parte dovuto alla notorietà acquisita dal segno. Attraverso la semplice priorità con cui il terzo ha agito, anticipando il titolare della privativa nella richiesta del dominio corrispondente a quel marchio, si concretizzerebbe quindi un indebito vantaggio ed un corrispettivo nocumento per l’altrui rinomanza, risultando perciò integrato un atto di contraffazione.

Si tratta di osservazioni che non sono andate esenti da qualche critica: si è ad esempio sottolineato che il vantaggio correlato alle infruttuose ricerche telematiche degli utenti, pur potendo prescindere dalla tipologia dei contenuti facenti capo all’indirizzo

Trib. Modena 24 gennaio 2001, in GALLI, I domain names nella giurisprudenza,

51

(24)

assegnato, presuppone quantomeno l’esistenza degli stessi. Per un effettivo sfruttamento sembrerebbe quindi necessaria la successiva attivazione del paradigma iper-testuale di navigazione destinato ad ospitare dati ed informazioni, che è esattamente ciò che rappresentano il sito web e le sue pagine . 52

Simili conclusioni identiche si rinvengono anche nella giurisprudenza più recente: richiamandosi all’art. 22 c.p.i., alcuni giudici hanno infatti individuato un possibile pregiudizio nella “scarsa vitalità commerciale” che gli utenti sarebbero indotti ad attribuire all’impresa titolare del segno riprodotto nel nome a dominio, una volta effettuato l’accesso a quell’indirizzo e constatata l’inattività del relativo sito web . Nel caso di specie, il Trib. di Roma ha avuto 53

modo di affermare, in sede di reclamo, che anche la “protratta inattività” del sito sarebbe idonea a creare un’ “immagine che non è coerente con quella del marchio” riprodotto. I giudici capitolini hanno così confermato il provvedimento di inibitoria disposto nel giudizio cautelare a carico della reclamante, e ciò nonostante il riconoscimento che un conflitto rilevante tra segni identici possa configurarsi solo guardando al mercato di riferimento in cui si inseriscono i prodotti e servizi contrassegnati dai due utilizzatori. Oltre alla percezione di una “scarsa vitalità commerciale” da parte del pubblico, che la mera ed inerte registrazione sicuramente comporta, nella decisione in esame sembrano poi pesare anche valutazioni processuali: al di là degli aspetti sostanziali delle situazioni giuridiche coinvolte, il giudice del reclamo conferma infatti la sussistenza di quei presupposti a sostegno dell’azione cautelare e dell’inibitoria concessa avverso la registrazione del domain name,

Cfr. GALLI, I domain names nella giurisprudenza, 2001, Milano, 62-63. L’Autore

52

sembra condizionare la configurabilità di questo vantaggio alla possibilità che il

domain name sia digitato dall’utente alla ricerca di un sito appartenente al titolare

del marchio.

Trib. Roma 15 giugno 2012, in Giur. dir. ind., 2013, 558.

(25)

costituiti dal “rischio di una violazione imminente” e da quello del proseguimento o della ripetizione delle violazioni in atto . Simili 54

valutazioni potrebbero dunque far ritenere che, almeno in parte, la condotta del oggetto del giudizio non è censurata per la sua completa integrazione della fattispecie contraffattoria, ma piuttosto a causa del pericolo di un suo futuro e probabile perfezionamento con la successiva attivazione di un sito web ed una correlata attività di commercializzazione di prodotti e servizi.

3. - Il danno alla rinomanza.

3.1. - Il vantaggio tratto dall’altrui rinomanza.

Fin qui si è considerato l’atto della registrazione nella sua oggettiva attitudine ad arrecare pregiudizio o a fruttare un indebito vantaggio. Ben diverso è invece il caso in cui un soggetto faccia domanda di registrazione mosso unicamente dallo scopo di cedere ad altri il nome a dominio, una volta ottenuto. In quest’ipotesi non c’è dubbio che dal fatto dell’assegnazione in suo favore egli tenti di trarre un vantaggio che è indebito, specialmente qualora il successivo trasferimento avvenga a titolo oneroso. Lo sfruttamento della rinomanza di cui gode il marchio, attraverso l’appropriazione di un domain name che ne ricalca, più o meno fedelmente, la componente terminologica, in questo caso risulta sicuramente comprovato dall’eventuale somma incassata a fronte della cessione. Invero, quale vantaggio più concreto, quale sfruttamento della fama altrui più percepibile è dato ipotizzare, se non quello derivante dalla monetizzazione della rinomanza stessa?

Ciononostante è bene constatare come qui la violazione si manifesti a causa di un elemento ulteriore rispetto al mero atto della

Trib. Roma 15 giugno 2012, in Giur. dir. ind., 2013, 558.

(26)

registrazione: in questo caso si ha infatti un’offerta ai terzi dell’indirizzo assegnato, ed anche a prescindere dall’effettiva conclusione della transazione, la condotta rivela comunque l’intento speculativo perseguito dal registrante. Peraltro, specialmente ove sia inquadrabile in un’operazione complessiva e reiterata, come spesso è accaduto per i soggetti impegnati nell’incetta di nomi tipica del domain grabbing, la condotta qui considerata assume i caratteri dell’uso della denominazione: nonostante le modalità di uitilizzo esulino dallo sfruttamento delle potenzialità divulgative di contenuti

web, che costituiscono la ragion d’essere del nome a dominio,

quest’ultimo, come qualsiasi altro bene giuridico , si può ben 55

prestare ad un uso commerciale che lo coinvolge semplicemente in veste di oggetto di scambio. Si tratta di un’impostazione accolta anche in alcune pronunce dei nostri Tribunali, che hanno espressamente qualificato come utilizzazione commerciale ex se, l’atto di registrazione e successiva rivendita di nomi a dominio . 56

Accertata questa forma di sfruttamento, non sarà affatto necessario che l’indirizzo telematico identifichi concretamente dei contenuti informatici per poter affermare che si è di fronte ad un atto di contraffazione.

In questo senso l’obiezione secondo cui, nel caso concreto, il

domain name non assumesse una funzione di marchio ed il suo

impiego non potesse essere reputato “in the course of trade” , come richiesto dalla normativa anglosassone in materia di contraffazione, è stato respinto anche dalla Chancery Division della High Court of

Justice inglese. Le considerazioni svolte dai giudici inglesi nel

condannare gli autori di uno dei primi casi di domain grabbing evidenziano bene come lo sfruttamento commerciale di un segno

SAMMARCO, in Rosello-Finocchiaro-Tosi (a cura di), Commercio elettronico

55

documento informatico e firma digitale. la nuova disciplina, 2003, Torino, 505-509.

Cfr. Trib. Parma 11 gennaio 1999, in GALLI, I domain names nella giurisprudenza,

56

(27)

confondibile, e perciò inviso alla disciplina delle proprietà industriali, possa dipendere non soltanto dalla funzione assolta dal segno per l’indebito registrante-utilizzatore, ma anche dall'intento speculativo ed il conseguente pregiudizio sofferto dal titolare del marchio .57

Stesse conclusioni si possono trarre nell’ipotesi in cui si dimostri che tale modo di operare sia adottato nella consapevolezza di ledere le aspettative del proprietario del segno usurpato . Così, 58

l’occupazione di un domain name identico o simile al marchio altrui sarà parimenti inaccettabile quando realizzata in mala fede, concetto che, come accade per il deposito di un marchio presso l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi, può trovare diverse specificazioni, tra cui quella di effettuare una registrazione che non sia finalizzata ad assolvere alcuna concreta funzione distintiva sul mercato . Una 59

di queste specificazioni, inoltre, è costituita certamente dall’intento emulativo di danneggiare il titolare della privativa, impedendogli di avvalersi di quella denominazione anche sulla rete .60

Che si tratti di circostanze ulteriori, da considerarsi tali rispetto al dato di fatto dell’iscrizione del domain name in favore del richiedente, come comprovato dall’apposito database gestito dalle autorità competenti, lo si deduce agevolmente anche dalla necessità di allegarle in sede processuale per chiunque lamenti una lesione a

High Court of Justice, Chancery Division, CH1997 M.5403, 28 novembre 1997,

57

Marks & Spencer PLC v. One in a Million, in World Intellectual Property Report,

gennaio 1998, 32.

Aspettativa legittimamente riconosciuta al titolare del marchio dall’art. 22 c.p.i.

58

Cfr. MARTORANA, Deposito del marchio del licenziante e autotutela del

59

licenziatario, in Dir. ind., 2013, 478.

FITTANTE, La rilevanza del nome a dominio ed il conflitto con i marchi


60

e gli altri segni distintivi, in Dir. ind., 2018, 88; TOSI, «Domain Grabbing», «linking»,

«framing» e utilizzo illecito di «meta-tag» nella giurisprudenza italiana: pratiche confusorie online «vecchie» e nuove tra contraffazione di marchio e concorrenza sleale, in Riv. dir. ind., 2002, II, 381.

(28)

suo carico . Invero, chi intenda ottenere pieno ristoro della propria 61

situazione giuridica soggettiva nella fase di merito, non potrà esimersi dall’onere di provare le peculiari circostanze appena descritte, attraverso le quali un terzo ne ha causato la menomazione.

Viceversa, una volta esclusi tali elementi ulteriori, appare arduo immaginare un qualche tornaconto di diversa natura per il presunto contraffattore — rilevante ex art. 22 citato — la cui concreta attuazione non passi attraverso l’immissione di un contenuto di qualche tipo, correlato a quell’ubicazione telematica.

3.2. - (Segue) La capacità attrattiva dell’indirizzo web.

Sempre dal lato dell’agganciamento alla rinomanza del segno altrui, merita valutare quel vantaggio che è rappresentato dal maggior numero di visite che il registrante può procurarsi scegliendo un domain name identico o simile ad un marchio rinomato . Si tratta 62

di un aspetto peculiare poiché ci si può chiedere se in questo caso il vantaggio sia realizzato concretamente soltanto al momento della creazione del sito web oppure già al momento dell’assegnazione dell’indirizzo.

Sembra piuttosto evidente che l’attivazione di un sito consente di beneficiare effettivamente dei traffici di utenza sviati a causa della denominazione scelta per l’indirizzo telematico ed il suo potere attrattivo. Occorre notare che l’assenza di un sito web non preclude

Trib. Parma 11 gennaio 1999, in GALLI, I domain names nella giurisprudenza,

61

2001, Milano, 167, in cui l’illiceità della mera registrazione consegue all’univoca e comprovata finalità di commercializzare il domain name ottenuto. Finalità che, nella fattispecie, fu considerata alla stregua di un uso commerciale, mentre l’incontestabile accertamento della sua univocità si ebbe non solo grazie alle risultanze documentali prodotte dal ricorrente, ma anche con riferimento alle ammissioni della stessa resistente.

Cfr. Trib. di Modena 17 giugno 2003, in Foro pad., 2004, I, 116 e ss. con nota di

62

(29)

agli utenti della rete anche il semplice tentativo di accesso a quell’indirizzo. Il risultato di una ricerca condotta attraverso la digitazione per caratteri, o attraverso la selezione di un link che funge da collegamento a quello spazio telematico, avrà come unico risultato la visualizzazione di uno spazio «vuoto», privo di contenuti, ovvero la visualizzazione di pagina di errore.

Tuttavia, è attraverso questi tentativi di connessione che l’indirizzo manifesta effettivamente la sua potenziale capacità attrattiva: il suo valore sarà destinato dunque ad incrementare in modo progressivo, all’aumentare del bacino di utenza che è in grado di intercettare, e che è rivelato dal numero di connessioni ricevute. Si tratta di dati che possono essere monitorati da chiunque abbia interesse ad una posizione di visibilità sul web, soprattutto dagli inserzionisti online e dalle agenzie pubblicitarie, cosicché il valore di mercato di un certo nome a dominio può accrescersi anche in assenza un sito attivo, rendendo possibile ipotizzare un vantaggio per il suo assegnatario che si concretizza strada facendo, attirando gli interessi dei soggetti interessati ai flussi di utenza che l’indirizzo è in grado di attrarre . 63

Naturalmente, un trasferimento a titolo oneroso o un qualsiasi sfruttamento commerciale del traffico così generato darebbero luogo ad una violazione della privativa sul marchio di cui quel nome a dominio ricalca la parte terminologica. Ed infatti è pressoché certo che ove questa volontà del registrante emerga con sufficiente grado di probabilità, risulteranno integrati i requisiti del fumus boni iuris e del periculum in mora che sorreggono i vari provvedimenti di natura cautelare utilmente esperibili in questo contesto, tra cui quello dell’inibitoria di utilizzo. L’intento di una futura attivazione di un sito

I vantaggi, a fini pubblicitari, dovuti all’incremento dei «contatti» ricevuti dal sito

63

internet, sono sottolineati da Trib. di Modena 17 giugno 2003, in Foro pad., 2004, I, 116 e ss. con nota di GUERRINI. Nello stesso senso, GALLI, I domain names nella

giurisprudenza, 2001, Milano, 58; SCIAUDONE, L’uso del marchio altrui come metatag, in Riv. dir. ind., 2002, II, 190 e ss., spec. 191.

(30)

web da parte di un concorrente, o quello abusivo-speculativo che

anima il domain grabber, costituiscono i classici disegni «criminosi» che possono emergere dalle circostanze concrete — specialmente ove vi sia una pluralità di atti univocamente diretti ad uno sfruttamento abusivo, come accade quando un soggetto realizza con le plurime registrazioni una vera e propria incetta di nomi a dominio — consentendo di prevenire in via cautelare quel pregiudizio o sfruttamento della rinomanza del marchio, che ne costituiscono la contraffazione.

Non può comunque negarsi che, posto che l’assegnatario svolga un’attività economica, il valore assunto dalla disponibilità di quell’ubicazione telematica, come una sorta di asset non monetizzatile appartenente al proprio patrimonio aziendale, potrebbe essere ricondotto ad uno sfruttamento della rinomanza del marchio altrui. Così il detentore di un domain name che imita un segno rinomato potrebbe già essere ritenuto responsabile a causa della mera registrazione ottenuta.

3.3. - Il pregiudizio alla rinomanza e il periculm in

mora.

Stesso discorso vale per l’eventuale pregiudizio alla rinomanza subito dal titolare della privativa, id est l’altro dei requisiti contemplati dalla disgiuntiva dell’art. 22/2 c.p.i. Quest’ultimo sussisterà solo qualora il contraffattore «contamini» il messaggio ricollegato dal pubblico al segno imitato, registrato come marchio. L’ipotesi è quella del tarnishment, termine con cui le corti e la dottrina statunitensi designano l’offuscamento dell’immagine connessa ad un marchio per effetto dell’indebito utilizzo di un segno uguale o simile, a prescindere dalla confusione generata con i relativi prodotti o

(31)

servizi . Nel nostro ordinamento tale fattispecie può trovare il suo 64

omologo nel pregiudizio alla rinomanza subito dal marchio — ammesso che il segno goda di un tale livello di notorietà — stabilito dall’art. 22/2 c.p.i. appena citato.

Nell’appropriazione di un nome a dominio, la possibilità di distorcere il messaggio e/o di offuscare lo «stile» espresso dal segno imitato agli occhi degli utenti navigatori, senza però indurli in errore circa la titolarità dell’ubicazione telematica o la provenienza imprenditoriale dei prodotti o servizi ivi offerti, che come vedremo

infra sono fenomeni correlati piuttosto alla capacità distintiva,

appare, ancora una volta, strettamente legata all’esistenza del sito stesso. Solo qualora quest’ultimo sia stato allestito e reso concretamente operativo e visualizzabile, si potrà infatti valutare la presenza di elementi distorsivi e screditanti per il marchio imitato: di conseguenza un pregiudizio si configurerà nel momento in cui l’indirizzo web richiami il marchio originale e il messaggio di cui esso è stato caricato dal suo titolare, in modo tale da comunicare al pubblico elementi in grado di «contaminarlo». Il potenziale discredito si realizzerà non solo quando l’usurpatore adotti quel nome per contraddistinguere prodotti o servizi vili o di infima qualità. Più in generale, si potrà constatare un pregiudizio per la reputazione commerciale del titolare del marchio ogniqualvolta la denominazione sia impiegata da un terzo con modalità che non sono coerenti con l’immagine che il segno originale si è accreditato e le suggestioni positive che è in grado di evocare. E’ noto infatti come una parte considerevole del valore di mercato dei marchi, specialmente se dotati di notorietà, risieda nella coerenza di utilizzo da parte del proprietario: ciò che, col passare del tempo, fa sì che il segno possa

Si veda in proposito, SWANN-DAVIS, Dilution, an Idea Whose Time Has Gone;

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Brand Equity as Protectible Property, the New/Old Paradigm, in The Trademark Reporter, 1994, LXXXIV, 269.

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