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Academic year: 2021

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Indice

Introduzione

p. 4

Parte prima

1.1 L'interesse per la vita quotidiana p. 6

1.2 Oggetti materiali: nuove riflessioni p. 8

1.3 Oggetti e “biografia” p. 11

1.4 Le cose ci raccontano p. 13

Parte Seconda

2.1 La nascita della fotografia p. 14

2.2 La dimensione familiare della fotografia p. 19

2.3 Ricordi individuali e memoria collettiva p. 22

2.4 Una nuova epoca p. 24

Schede interviste p. 27

2.5 La fotografia nello spazio domestico p. 98

2.6 Gli album di famiglia p. 106

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Introduzione

Il presente lavoro si inserisce nell'ambito del recente interesse antropologico verso quegli oggetti materiali e comuni che ci circondano nella vita quotidiana e che, in tale contesto, hanno acquisito un'importanza crescente.

In particolare l'elaborato si fonda su una ricerca etnografica volta a indagare il tema della memoria familiare attraverso l'analisi del rapporto tra le persone, gli oggetti e la sfera domestica, specificatamente fissando l'attenzione sulle fotografie di famiglia.

Il materiale etnogarafico è stato raccolto attraverso interviste svolte su un campione di otto famiglie di classe media, scegliendo i soggetti intervistati tra quei conoscenti che maggiore interesse hanno manifestato per l'argomento trattato.

A tal riguardo occorre rilevare come protagoniste indiscusse delle interviste, al di là di un unico caso, si siano dimostrate le donne, le cui testimonianze, espresse in maniera libera senza seguire uno schema definito di domande e precedute da una visita delle casa, sono state raccolte attraverso una registrazione.

La trascrizione di parti delle stesse, citate nel corpo dell'elaborato, è avvenuta in maniera fedele, rispettando, quindi, il racconto orale senza alcun intervento correttivo.

Non manca, poi, una documentazione fotografica a testimonianza ed esplicazione di quanto trascritto.

Dopo aver ripercorso, nella prima parte, il cammino che ha portato le scienze sociali a un nuovo interesse per gli oggetti, per il loro significato sociale e per il ruolo svolto all'interno della società, nella seconda parte, affrontato l'aspetto storico della fotografia, dalla sua nascita fino a quella

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diffusione di massa che l'ha resa protagonista della nostra vita quotidiana, la riflessione si sofferma sulla dimensione familiare della pratica fotografica, sulla sua capacità di rappresentare la famiglia, di costruire una memoria familiare, per concludersi con alcune considerazioni relative alle modalità di conservazione, esposizione e utilizzo delle fotografie nella sfera domestica e, quindi, sugli stessi album di famiglia, secondo quanto emerso dall'analisi della ricerca etnografica svolta.

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Parte Prima

1.1

L'interesse per la vita quotidiana

Il grande sviluppo economico che interessa l'Italia negli anni '60 del XX secolo porta le scienze sociali ad una nuova e graduale riflessione sulla vita quotidiana e ad un conseguente mutato atteggiamento nei confronti degli oggetti quotidiani.

Sono questi anni di particolare importanza per il paese, che segnano l'inizio di profondi cambiamenti in campo economico e sociale, che mutano profondamente il volto della società.

Si modificano gli stili di vita, si accresce il benessere, vi è una generale e nuova propensione al consumo di massa.

E infatti, se da un lato il “miracolo economico” fa dell'Italia un moderno paese industrializzato, cui fa seguito un processo di emigrazione e di urbanizzazione, dall'altro la trasforma in una “società dei consumi”, con uno spostamento, quindi, di attenzione da quelli che sono i bisogni e le necessità primarie delle persone a quegli oggetti capaci di cambiare la vita di ogni giorno delle famiglie.

Simboli del cambiamento in questi anni diventano la televisione e l'automobile.

La prima, in particolare, diviene non solo strumento di aggregazione delle famiglie, ma anche di unificazione linguistica e culturale, mentre l'automobile, simbolo di libertà e velocità, modifica il modo di impiego del tempo libero degli italiani: le gite della domenica in macchina diventano un'abitudine, così come aumentano gli spostamenti per le vacanze.

Ma è soprattutto l'introduzione degli elettrodomestici nelle case degli italiani a portare considerevoli trasformazioni, e per le donne in particolare.

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Cucine a gas, frigoriferi, lavatrici influiscono sull'organizzazione dei lavori domestici e delle cure familiari, modificando e agevolando il lavoro delle donne, che, con maggiore tempo a propria disposizione, possono dedicarsi alla cura dei figli, alla propria cura personale, nonché impegnarsi in attività ricreative.

Grandi trasformazioni, dunque, capaci di coinvolgere le pratiche della vita quotidiana.

Ma se è vero che la vita quotidiana degli italiani in questi anni risulta profondamente modificata, e in ogni suo aspetto, a questa dimensione dell'esistenza le scienze sociali continuano a guardare con un'attenzione ancora relativa, persistendo ad indagarla in dipendenza di altri interessi, tutti rivolti alle prospettive di modernizzazione e di rinnovamento delle abitudini della vita sociale nei suoi vari ambiti; in tale ottica, trasformazione del mondo del lavoro, urbanizzazione, istruzione, cambiamenti in ambito familiare, consumi risultano e continuano ad essere i principali oggetti di ricerca.

Un atteggiamento questo che non cambia nel corso degli anni successivi, nel mentre che alla vita quotidiana quale luogo della normalità, della ripetizione, del sacrificio, si sostituisce una visione della quotidianità quale luogo della possibilità, della realizzazione dei desideri, del benessere, delle comodità.

E così, è solo nel corso del decennio successivo e, ancor più, a partire dagli anni '80 che agli aspetti della vita di ogni giorno si inizia a guardare con sempre maggiore attenzione e, soprattutto, li si comincia a considerare in sé meritevoli di interesse.

Una nuova considerazione cui ha influito non solo la tradizione marxista, che ha portato a riflettere su quei bisogni sociali che si sono sviluppati e resi evidenti nella dimensione quotidiana e che per la loro realizzazione presuppongono una trasformazione sociale, ma anche il movimento femminista, che, sullo sfondo dei cambiamenti avuti nei ruoli

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femminili, si è proposto di analizzare le disuguaglianze di genere in quelli che sono i luoghi più rappresentativi della quotidianità: la famiglia, il lavoro domestico, la cura dei figli.

E ancora, è lo stesso movimento giovanile a portare l'attenzione verso la vita quotidiana quale luogo di lotta contro ogni forma di potere, di autoritarismo, di disuguaglianza e discriminazione.

È, dunque, ora l'intera società ad occuparsi del quotidiano, che viene indagato nella sua complessità e varietà, e, sullo sfondo di una società in continua trasformazione ed evoluzione, ad interessare sono temi quali la salute, il tempo libero, l'ambiente, la casa, l'abbigliamento, i consumi, gli oggetti di uso comune.

Al centro dell'attenzione viene, quindi, posto il soggetto e tutto ciò che gli sta immediatamente attorno.

1.2

Oggetti materiali: nuove riflessioni

Il diffondersi delle pratiche di consumo su larga scala e il conseguente sviluppo dell'interesse per il quotidiano hanno favorito, inoltre, il nascere di nuove riflessioni sugli oggetti materiali, e quotidiani in particolare, che hanno acquistato, sempre più, una crescente e primaria importanza nella nostra vita.

Si è prodotto e consumato un numero sempre più elevato di oggetti materiali; la vita di ogni giorno si è affollata ed è stata invasa da oggetti, i più disparati, oggetti che, entrati a fare parte della quotidianità, hanno riflesso i comportamenti, le abitudini, i valori e i principi degli individui, le relazioni sociali, il funzionamento stesso della realtà sociale.

Oggetti che sono diventati, così, rappresentazione ed espressione di una determinata cultura.

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capacità di aver colto l'importanza, in tal senso, degli oggetti di uso comune e ciò nel momento in cui ha indirizzato la propria attenzione verso le pratiche del consumo di massa.

Tutto questo ha portato, dunque, allo sviluppo di un interesse per il significato sociale degli oggetti materiali e per il ruolo che riescono a svolgere all'interno della società, laddove, in precedenza, la riflessione delle scienze sociali aveva risentito, a lungo, di una concezione materiale della natura degli oggetti, ai quali non poteva essere riconosciuto che solo un ruolo sociale passivo, di semplice prodotto dell'attività umana, di strumento, di indizio o testimonianza di società non più esistenti.

Stante quanto sopra, ciò che è emerso e si è reso evidente è che gli oggetti facenti parte della vita quotidiana delle persone non sono solo materia, con una determinata forma in virtù di una specifica funzione, e la loro importanza non può essere riferita alla sola funzione svolta, ma, al contrario e soprattutto, al valore simbolico assunto.

Valore simbolico degli oggetti che già Marcel Mauss aveva riscontrato nelle sua analisi sullo scambio dei beni.

Alla base dello scambio dei doni, osservava l'antropologo francese, non vi è alcuna forma di scambio economico, ma la volontà di creare e rinnovare i rapporti tra gli individui e i gruppi sociali.

Ed è proprio qui che sta l'importanza del dono, nella sua capacità di instaurare relazioni, di permettere alle società di continuare ad esistere.

Ma perché ciò possa avvenire, perché si possano rafforzare i legami sociali diviene fondamentale, allora, l'obbligo alla reciprocità; è nel dare, ricevere, contraccambiare, è in queste tre caratteristiche fondamentali del dono che si crea il vincolo sociale e si decreta l'esclusione dal gruppo.

“Un clan, una famiglia, una comitiva, un ospite non sono liberi di non chiedere, di non ricevere regali, di non commerciare, di non stipulare alleanze

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tramite le donne e il sangue (…) L'obbligo di donare non è meno importante; il suo studio offrirebbe la possibilità di comprendere come sia invalso tra gli uomini il sistema dello scambio. Possiamo indicare solo alcuni fatti. Rifiutare di donare, trascurare di invitare, così come rifiutare di accettare equivalgono ad una dichiarazione di guerra; è come rifiutare l'alleanza e la comunione.1

Il non partecipare al rito del dono, l'interrompere il flusso dello scambio equivale, infatti, a interrompere le relazioni sociali.

Altro importante contributo, certo non il solo, nel cogliere il significato e il valore simbolico degli oggetti, è quello offerto dalla riflessione di Mary Douglas2, che ravvisa la funzione sociale degli oggetti nella loro capacità di creare significato.

Sono gli oggetti e il loro consumo a permettere di dare un senso alla realtà circostante, di rendere evidenti e stabili tutti quei significati e valori condivisi dalla collettività.

Ciò consente la creazione di un sistema di comunicazione condiviso che facilita l'individuo nel rapportarsi agli altri e fa delle pratiche di consumo l'elemento fondamentale, indispensabile per creare e mantenere rapporti sociali.

Ma nell'ambito delle molteplici riflessioni che si sono succedute, l'approccio più significativo, perché più innovativo, è stato quello che ha proposto una nuova prospettiva nella comprensione del mondo sociale in base alla quale gli oggetti possiedono una vera e propria vita sociale, vivono una loro vita.

1Marcel Mauss, Saggio sul dono. Forma e motivo dello scambio nelle società arcaiche, Einaudi, Torino, 2002, p. 21 (ed. orig. 1924)

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1.3

Oggetti e “biografia”

Ad avanzare l'idea che gli oggetti potessero avere una propria vita segnata dal trascorrere del tempo, dagli eventi, dai cambiamenti, che potessero avere una loro “biografia” è Igor Kopytoff.

Partendo dalla concezione marxiana di mercificazione, ossia dall'idea secondo la quale tutti gli oggetti altro non sono che merci destinate allo scambio, non solo la mette in discussione contestando il concetto in base al quale gli oggetti hanno in sé lo status di merce, ma rivaluta, al contrario, la capacità degli oggetti di farsi portatori di ulteriori significati che emergono dalla loro interazione con gli uomini

“nel pensiero occidentale contemporaneo diamo in parte per scontato che gli oggetti – intesi come oggetti fisici e come diritti inerenti a essi – rappresentino l'universo naturale delle merci. Al polo opposto collochiamo le persone, che rappresentano l'universo naturale dell'individuazione e della singolarizzazione.”3

Essere merce per l'oggetto non è, dunque, una condizione unica e definitiva, bensì transitoria, del tutto paragonabile per Kopytoff allo status di schiavo per le persone.

“(...) la schiavitù non è considerata come uno status fisso e unitario, ma come un processo di trasformazione sociale che comporta un succedersi di fasi e cambiamenti nello status (…) In breve, il processo ha spostato lo schiavo da semplice status di merce di scambio a quello di singolo individuo che occupa una particolare nicchia sociale e personale. Ma lo schiavo solitamente rimane una merce potenziale: continua ad avere un potenziale valore di scambio, che 3 Igor Kopytoff, “The cultural biography of things: commoditization as process” in Appadurai, The Social Life of

Things, 1986, pp. 64-91; trad. it. in E. Mora, a cura di, Gli attrezzi per vivere. Forma della produzione culturale

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potrebbe essere realizzato per mezzo della rivendita (…) Questa considerazione biografica della schiavitù come processo suggerisce che la mercificazione di altri oggetti può essere utilmente considerata sotto la stessa luce, cioè come parte della formazione culturale delle biografie”4

L'oggetto assume, in effetti, lo status di merce in determinate fasi della sua esistenza, all'interno di un'alternanza di dinamiche di mercificazione e demercificazione in virtù dell'utilizzo e della funzione che gli vengono attribuiti.

“La merce perfetta sarebbe scambiabile con qualsiasi altra cosa, in quanto il mondo perfettamente mercificato è quello dove tutto può essere scambiato e venduto. Allo stesso modo il mondo perfettamente demercificato sarebbe quello in cui ogni cosa è singolare, unica e non scambiabile”5

Ai momenti della mercificazione dove gli oggetti standardizzati assumono solo un valore di scambio, si alternano momenti dove gli stessi, sottraendosi alle regole del mercato, perdono lo status di merce, si personalizzano, si singolarizzano, facendosi portatori di significati diversi, e, da oggetti serializzati e omologati, si trasformano in qualcosa di unico, insostituibile e non più scambiabile.

Ed è proprio questa alternanza e successione di singolarizzazioni a costituire la biografia di un oggetto sulla quale influisce, arricchendo le cose di nuovi valori e significati, e lo scorrere del tempo e la storia personale dei possessori, e il solo ripercorrerne le tappe può aiutare a comprendere il senso di cui l'oggetto viene investito.

4 Ivi pp. 78 - 79 5 Ivi p. 84

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1.4

Le cose ci raccontano

Caricati di significati, di valori affettivi gli oggetti diventano cose, capaci di distinguersi dalle merci quali semplici prodotti di scambio.

Nella nostra quotidianità siamo circondati da una molteplicità di cose, le più disparate, con le quali viviamo e che, anche, utilizziamo; cose che contribuiscono a creare la nostra rete di relazioni, la nostra identità, attraverso le quali costruiamo un'immagine di noi e ci presentiamo agli altri.

Si tratta di oggetti unici, ai quali attribuiamo un valore particolare e ai quali ciascuno di noi, nonostante la possibilità oggi offerta di una loro rapida sostituzione, rimane, per così dire, attaccato.

Sono questi, spesso, piccole cose, le proprie cose, cose familiari, che ognuno di noi custodisce gelosamente, il più delle volte prive di un vero e proprio valore economico e investite, invece, di sentimento e di valore affettivo, capaci di legarci a un ricordo, di riportarci alla mente un evento particolare della nostra vita, di risvegliare e trasmettere memorie e proprio per questo conservate, per ricordare, per preservare e dare impulso a una memoria che, diversamente, andrebbe perduta.

È nella casa, luogo dell'intimità e degli affetti, dove gli oggetti vengono conservati, che memorie e ricordi possono trovare espressione e condivisione.

Ma lo spazio domestico non è solo luogo di memoria.

La casa è anche rappresentazione di sé stessi, della propria identità e personalità e tale diventa nel momento in cui la si abita, la si fa propria, dando forma e contenuto ai suoi spazi.

È attraverso gli oggetti e il loro ordine che ci si appropria dello spazio domestico, personalizzandolo; è attraverso l'ordinare e le operazioni ad esso collegate di scelta, di conservazione, di disposizione, di collocazione degli oggetti che mettiamo in scena quella rappresentazione dell'immagine di noi stessi che vogliamo trasmettere e far arrivare agli altri.

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Parte Seconda

Tra gli oggetti che ritroviamo negli ambienti domestici sono le fotografie ad avere un ruolo di primo piano nel conservare e mantenere vivi i ricordi e le memorie familiari.

È attraverso questi attimi fermati in immagini, conservate poi in album, incorniciate ed esposte, appese alle pareti o archiviate elettronicamente, che le famiglie costruiscono una propria storia illustrata grazie alla quale si rappresentano, si raccontano, si tramandano.

Capaci, così, di farci conoscere il nostro passato, di mantenere viva nel pensiero la presenza di persone care, abbattendo le barriere del tempo e dello spazio, le fotografie sono diventate oggetti progressivamente sempre più presenti, che accompagnano le famiglie lungo il loro percorso e che, pur invecchiate, ridotte, ingrandite, tagliate, ma anche ritoccate, mantengono sempre il loro valore affettivo.

E se gli sviluppi della tecnologia, rapidi e continui, hanno favorito modalità differenti e nell'utilizzo e nella circolazione delle foto, rendendole protagoniste della nostra vita quotidiana, è pur vero che “conservare il ricordo delle gesta dei singoli individui, intesi come membri di una famiglia (o di qualche altro gruppo), è la più antica utilizzazione della fotografia.”6

2.1 La nascita della fotografia

Il riprendere e il riprodurre la realtà attraverso le immagini, siano esse di persone, animali, oggetti, paesaggi, manifestazioni e fatti della vita, è sempre stato un desiderio dell'uomo che ha trovato piena espressione attraverso la fotografia.

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Preceduta da una serie di intense ricerche e sperimentazioni tecniche - scientifiche, nonché quale conseguenza della combinazione di più elementi appartenenti non solo all'ambito artistico, ma anche a quello storico e sociale, la fotografia vide la propria nascita ufficiale nel 1839, quando Louis Jacques Mandé Daguerre7 rese noto il processo fotografico da lui stesso progettato e ribattezzato dagherrotipia8, che permetteva di riprodurre un'immagine finissima nei dettagli e nelle ombre, al tempo stesso unica e non riproducibile.

Tuttavia, nonostante l'immediata popolarità, la dagherrotipia non fu il solo processo fotografico del momento.

Quale alternativa, infatti, si pose nel 1841 il procedimento messo a punto da colui che può essere considerato l'inventore della fotografia così come oggi è concepita, ovvero come possibilità di produrre più immagini da un'unica matrice, William Henry Fox Talbot9.

Il nuovo processo della calotipia10, così come fu chiamato, possedeva sì meno qualità di stampa e inferiore definizione dei dettagli, ma “ha i colori 7 Louis Jacques Mandé Daguerre (Cormeilles en Parisis, 1789 – Bry-sur-Marne, 1851) è stato scenografo e fisico

francese. Allievo dello scenografo Degoti, apportò notevoli innovazioni nell'arte della decorazione teatrale, e si specializzò nell'esecuzione di vedute panoramiche: nel 1822 inventò e aprì al pubblico un diorama, apparecchio che con un gioco di trasparenze e luci dava agli spettatori l'illusione di una visione prospettica. Dal 1824 iniziò a fare esperimenti per giungere a fissare le immagini riprese mediante camera oscura su supporti sensibilizzati, culminati con l'invenzione della dagherrotipia. Invenzione presentata ufficialmente, il 7 gennaio del 1839, dal deputato Francois Arago all'Académie des Sciences e all'Académie des beaux-arts di Parigi riunite e il brevetto acquistato dallo stato francese. Grande Dizionario Enciclopedico UTET, Quarta Edizione, Torino

8Il processo consisteva nell'esporre in una speciale camera oscura munita di una lente che fungeva da obiettivo una lastra di rame argentata sulla quale, in precedenza, per esposizione a vapori di iodio, si era formato un sottile strato di ioduro d'argento sensibile alla luce. Dopo l'esposizione, sempre molto lunga, la lastra veniva sviluppata con vapori di mercurio che si depositavano sulle pareti colpite dalla luce in modo da rendere visibile l'immagine latente formata dalla luce sullo strato di ioduro. Se ne otteneva un'immagine positiva del soggetto che appariva specularmente invertita, visibile sono sotto un certo anglo visuale e non riproducibile. Giovanni Bai, “Fotografia”, Grande Dizionario Enciclopedico UTET, Quarta Edizione, Torino

9 William Henry Fox Talbot (Melbury House, Dorset, 1800 – Lacock Abbey Wiltshire, 1877) fisico e letterato

inglese. Gli si deve la messa a punto di un sistema per fissare le immagini su carta sensibile detto calotipia, che segnò un decisivo progresso nella storia della fotografia, in quanto consentiva la stampa di un numero illimitato di copie partendo da un'unica negativa. Talbot si occupò pure di archeologia, dedicandosi alla decifrazione delle iscrizioni cuneiformi di Ninive. Grande Dizionario Enciclopedico UTET, Quarta Edizione, Torino

10Il procedimento consisteva nell'esporre nella camera oscura un foglio di carta sensibilizzato, ovvero impregnato di ioduro d'argento, per poi rendere visibile l'immagine con una soluzione di acido gallico e di nitrato d'argento e quindi fissata con iposolfito. Le immagini negative così ottenute venivano rese traspiranti impregnando il supporto di carta con cera, e quindi riprodotte in positivo su carta al cloruro.Giovanni Bai, “Fotografia”, Grande Dizionario Enciclopedico UTET, Quarta Edizione, Torino

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invertiti, ciò che sarà più tardi chiamato negativo, e per giungere al positivo bisogna imprimere il negativo su un secondo foglio di carta sensibile, invertendo nuovamente il bianco e il nero. Con lo stesso metodo del negativo è possibile ottenere un numero più elevato di copie positive”11.

In quegli stessi anni, poi, ai progressi tecnici si affiancò la produzione dei primi apparecchi fotografici e, nonostante questi risultassero costosi, scomodi e limitati, la fotografia cominciò a dilagare.

Ma si trattava di una fotografia ancora non per tutti.

Di gran moda divenne il ritratto fotografico, tant'è che allo scopo nacquero i primi studi fotografici e gli ateliers dove farsi ritrarre, e gli editori cominciarono a pubblicare libri di viaggio, dove la nuova tecnica andò a sostituire la rappresentazione grafica e pittorica dei luoghi visitati.

Certo è che un primo impulso alla diffusione di massa della fotografia venne dato dall'invenzione del procedimento del collodio umido12 che soppiantò i metodi precedenti del dagherrotipo e della calotipia, producendo un'immagine fotografica di qualità e definizioni superiori.

Era il 1851.

Progressivamente i materiali sensibili divennero sempre più efficienti, gli obiettivi più luminosi, i tempi di esposizione più ridotti e la fotografia conobbe, così, nuovi ambiti di applicazione, arrivando a permeare ogni ambito della società e della cultura.

E così,

“Essa si rivolge anche a territori preclusi all'occhio umano: l'infinitamente lontano e l'infinitamente piccolo.

11Enrico Menduni, La fotografia. Dalla camera oscura al digitale, Il Mulino e-book, Bologna, 2010, p. 54. 12 Il procedimento fu inventato dall'inglese Frederich Scott Archer, architetto e appassionato di chimica. Il collodio era una sorta di pasta giallastra ricavata da nitrato di cellulosa sciolto in alcool: con l'aggiunta di ioduro di potassio veniva stesa su una lastra di vetro, ove si depositava sotto forma di sottile pellicola, che veniva resa sensibile immergendola in nitrato d'argento e sviluppata in una soluzione di pirogallico. Le lastre al collodio dovevano essere utilizzate prima che il collodio asciugasse, da ciò il metodo fu denominato “del collodio umido”. A partire dal 1854 si cominciarono a produrre le prime lastre a secco per dare al fotografo maggiore libertà d'azione. Giovanni Bai, “Fotografia”, Grande Dizionario Enciclopedico UTET, Quarta Edizione, Torino

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Gli scienziati adatteranno l'apparecchio a telescopi e microscopi, riprendendo astri e stelle (…) Il fotografo francese Nadar (Gaspard-Féelix Tournachon), appassionato di palloni aerostatici, scatta nel 1859 la prima fotografia aerea, 80 metri sopra i sobborghi di Parigi (…) Ma la fotografia scende anche sottoterra e nelle profondità marine: sempre Nadar, utilizzando per la prima volta la luce elettrica a pila, fotografa i canali delle fogne di Parigi. È il 1861 (…) Quattro anni dopo, utilizzando la luce artificiale, si scattano fotografie sottomarine a 100 m di profondità”13.

Furono questi anche gli anni dei primi reportage fotografici di guerra, che fecero della fotografia, considerata quale rappresentazione della verità, strumento di racconto degli avvenimenti di cronaca, affidandole, così, al tempo stesso un ruolo di primo piano nella costruzione della memoria storica.

Il primo esempio di reportage fotografico di guerra fu quello ad opera di Stefano Lecchi, che nel 1849 fotografò i luoghi teatro, a Roma, degli scontri tra Francesi, forze papaline e sostenitori della Repubblica.

Un più ampio servizio di immagini di guerra si dovette, invece, a colui che fu considerato il primo reporter nella storia della fotografia, Roger Fenton, che nel 1855 documentò le condizioni di vita del contingente britannico impegnato nella guerra di Crimea, mostrando luoghi, truppe, accampamenti militari, ambientazioni dove si svolgevano le attività di guerra.

Non meno importante risultò il lavoro di Felice Beato che documentò nel 1856 la seconda guerra dell'oppio in Cina, rappresentando attraverso una serie di immagini datate e correlate la campagna militare nel suo svolgimento e, quindi, immagini di avvicinamento ai forti, l'effetto e la devastazione dei bombardamenti.

Gli stessi orrori della Guerra di Secessione americana, documentati da parte nordista tra il 1861 e il 1865, vennero testimoniati da Mathew B. Brady 13Enrico Menduni, La fotografia. Dalla camera oscura al digitale, cit., pp. 62 - 63.

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che, con il collega Alexander Gardener, organizzò un'equipe di fotografi considerata la prima agenzia fotografica della storia.

Parimenti, un importante settore quale quello della ritrattistica continuò ad evolversi, aprendo nuove possibilità alla diffusione e democratizzazione della fotografia.

In tale ottica si mosse il nuovo e innovativo sistema per ritratti, la carte

de visite, messo a punto da André Adolphe Eugène Disdéri nel 1854, che,

utilizzando una fotocamera con quattro, e successivamente otto o dodici obiettivi, permetteva lo sviluppo in serie di altrettante stampe di dimensioni ridotte, montate su un cartoncino rigido, e soprattutto con un costo ridotto, 20 franchi, offriva ai ceti meno elitari, e non solo alla borghesia o alla nobiltà, la possibilità di un strumento per farsi ritrarre14.

La semplificazione dei processi fotochimici15, poi, favorì anche la nascita della figura del fotografo dilettante, così come lo sviluppo di circoli e associazioni, di società fotografiche e la pubblicazione di manuali, annuari, bollettini, riviste.

Ma la vera svolta verso la democratizzazione della fotografia si ebbe nel 1888 quando si stabilirono le premesse per rendere la pratica fotografica accessibile a tutti, con l'allargamento di un mercato ancora limitato ai fotografi professionisti e a ristretti circoli amatoriali.

Artefice ne fu l'imprenditore George Eastman16 che, creato il marchio 14 “Il soggetto è generalmente ritratto in piedi (…) Il soggetto coopera con il fotografo, si «mette in posa», seguendo le indicazioni del professionista; assume intenzionalmente un aspetto pensoso o sorridente, talvolta davanti a una scenografia messa a disposizione dalla ditta: fondali, tende e darppeggi, tappeti mobili e soprammobili di prestigio”. Enrico Menduni, La fotografia. Dalla camera oscura al digitale, cit., pp. 65 – 66 - 67.

15Nel 1871 il medico inglese Richard Leach Maddox rese nota la tecnica alla gelatina-bromuro d'argento, che prevalse su quella al collodio. Mediante questa tecnica si semplificò il procedimento fotochimico e si perfezionarono e miniaturizzarono anche gli strumenti di ripresa, sempre più leggeri, agili e precisi. Tecnica che aprì le porte all'industrializzazione della fotografia e, come conseguenza, alla sua diffusione capillare che vide nascere il dilettantismo di massa. “Fotografia”, Enciclopedie on line www.treccani.it

16 George Eastman (Waterville, New York, 1854 – Rochester 1932), imprenditore statunitense che nel 1878 mise

a punto la preparazione di lastre secche alla gelatina bromuro e brevettò una macchina per la preparazione di elevate quantità di lastre. Nel 1880 fondò con Henry A. Strong la Eastman Dry Plate Company, società operane nel ramo fotografico. Nel 1884 introdusse la pellicola flessibile in celluloide. Storia di Kodak, www.kodak.com

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Kodak17, lanciò sul mercato con lo slogan pubblicitario “You press the button, we do the rest” (“Voi premete il bottone, noi facciamo il resto”) la prima macchina fotografica destinata al grande consumo: la Box Kodak, un apparecchio economico, maneggevole, contenente un rullino da 100 pose, che, una volta terminate, doveva essere inviata alla fabbrica per lo sviluppo, la stampa e il ricaricamento18.

“Le foto della prima Kodak erano circolari. La macchina non aveva mirino, né si poteva regolare la distanza; un manuale accluso indicava a che distanza e a che altezza del soggetto rappresentato si doveva mettere l'apparecchio, a seconda che fosse una persona, un cane, un cavallo, una casa. Una chiavetta serviva a far avanzare la pellicola. Il funzionamento era elementare”19.

Un apparecchio, dunque, facile da usare, capace di tradurre sul piano pratico quanto coniato con il motto pubblicitario.

Iniziava, così, a realizzarsi quell'obiettivo, che Eastman aveva fatto proprio, di rendere la fotografia “semplice come disegnare”, più utile e divertente, un'attività quotidiana20.

2.2 La dimensione familiare della fotografia

Il progressivo perfezionamento della tecnica fotografica, così come la disponibilità di apparecchi fotografici sempre più semplici ed economici, di 17 È lo stesso Eastman a coniare e registrare nel 1888 il marchio Kodak. Come egli spiegò: «Trovai io il nome. La lettera “K” era una delle mie preferite, perché trasmetteva l'idea di qualcosa di solido e incisivo. Si trattava di trovare la giusta combinazione di lettere che componevano parole che iniziavano e terminavano con una “K”. Il risultato fu la parola “Kodak”». Storia di Kodak, www.kodak.com

18 Una volta esposta la pellicola, l'intero apparecchio veniva rispedito a Rochester, dove la pellicola veniva sviluppata, le fotografie stampate e una nuova pellicola veniva inserita nella macchina. Questo procedimento che veniva eseguito al prezzo di 10 dollari. Storia di Kodak, www.kodak.com

19Enrico Menduni, La fotografia. Dalla camera oscura al digitale, cit., p. 112.

20 Nel 1895 venne presentata la macchina tascabile Kodak, mentre nel 1900 venne lanciata Kodak Brownie: l'apparecchio costava un dollaro e utilizzava una pellicola venduta a 15 centesimi al rullino. Per la prima volta, l'hobby della fotografia era alla portata di tutte le tasche. Storia di Kodak, www.kodak.com

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cui la Box Kodak ne è diventata il simbolo, hanno favorito e il diffondersi della fotografia e una sua diversa fruizione da parte di un pubblico sempre più vasto, contribuendo, in tal modo, a fare del XX secolo il secolo dell'immagine.

È così che la fotografia si è resa confacente a più usi sociali, assumendo un ruolo di primo piano quale strumento di comunicazione e rappresentazione.

E difatti, non solo è riuscita ad inserirsi nell'ambito delle attività artistiche, riducendone il campo di applicazione, così come avvenuto per la pittura, ma si è resa protagonista anche nella sfera pubblica laddove è stata sempre più in grado di fornire al giornalismo un'ulteriore possibilità di documentazione degli eventi, atteso il suo carattere di testimonianza diretta e rappresentazione fedele della realtà; è diventata uno strumento indispensabile nel settore della ricerca scientifica, e a tal proposito basti pensare all'importanza in ambito medico della “diagnostica per immagini”; ha trovato applicazione nei libri di testo, nei manuali, nei cataloghi e nelle schede segnaletiche e la stessa pubblicità, poi, non ha mai mancato di utilizzare immagini fotografiche.

Allo stesso tempo, la fotografia è riuscita a fare emergere anche una propria dimensione familiare, intima e privata, ed è proprio nel momento in cui la vita familiare viene percepita come un tempo da trascorrere assieme, da condividere, è quando avvenimenti come la nascita, o il battesimo e la cresima, e ancor più il matrimonio diventano occasioni di vita familiare, ricorrenze da ricordare, che la fotografia si insinua nel ciclo della vita delle persone e ne diviene inseparabile, assumendo un ruolo primario nella rappresentazione e diffusione dell'immagine familiare.

Del resto, il desiderio dei soggetti rappresentati è proprio questo, ossia quello di raffigurare la famiglia, o ancor meglio, di dar vita a un'autorappresentazione sia, per così dire, privata, creando una memoria personale da poter trasmettere nel tempo, capace di rendere più saldi i legami di parentela, sia per gli altri, pubblica, di riconoscimento sociale, che traspare

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già dalle prime fotografie di famiglia degli inizi del '900, quando fotografare e possedere una macchina fotografica non è ancora consuetudine diffusa e gli scatti vengono commissionati a fotografi di professione.

Sono queste per lo più immagini che ritraggono l'intero gruppo familiare, scattate all'interno dello studio fotografico e nel rispetto di rigidi canoni di rappresentazione dove è la stessa collocazione delle persone a rispecchiare ruoli e legami di parentela, una precisa gerarchia sociale con la coppia anziana al centro, i figli per ordine di età e sesso ai lati, i piccoli agli estremi o seduti davanti, e, comunque, immagini tali da rappresentare i soggetti come desiderano apparire e, quindi, scattate anche nel rigido rispetto di regole di messinscena, con i soggetti rigorosamente in posa, così da assumere un determinato atteggiamento, con un retrostante fondale e con tutta una serie di oggetti, quali balaustre, colonne, tende e drappeggi, mobili e soprammobili, poltroncine e divani, atti ad allestire la scena.

E a quel desiderio di autorappresentazione contribuisce a dare espressione, e fin da quegli stessi anni, l'album di famiglia che, raccogliendo tra le sue pagine i ritratti dei suoi componenti, ma anche tutte quelle fotografie, cerimoniali e collettive, scattate nei momenti particolarmente significativi della vita familiare, e continuamente arricchito di immagini, si fa strumento di un racconto illustrato della storia della famiglia, delle sue vicende, e di testimonianza della sua continuità nel succedersi delle generazioni.

Testimone, dunque, della vita familiare, la fotografia si inserisce sempre più costantemente nella vita delle persone non appena che, negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, l'evoluzione degli apparecchi fotografici nel segno della semplicità e più favorevoli condizioni economiche ne rendono possibile una sua popolarizzazione.

Si moltiplicano, da allora, gli scatti fotografici amatoriali e fanno la loro comparsa fotografie più spontanee e meno cerimoniali rispetto a quelle di

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inizio secolo.

È così che accanto a quelle fotografie tanto ricorrenti negli album di famiglia, del matrimonio21, della prima comunione, per non dire del battesimo e della cresima, del compleanno e del ricordo degli anni scolastici, del fidanzamento come del servizio militare, iniziano a comparire anche le istantanee dei momenti ordinari della vita quotidiana alle quali, proprio negli anni del boom economico, si chiede di attestare il benessere raggiunto.

Diventano, così, abituali le fotografie scattate all'interno dell'abitazione, divenuta luogo per eccellenza della rappresentazione di sé stessi, nelle quali i soggetti sono ritratti accanto a quegli oggetti simbolo del cambiamento in atto, su tutti radio e televisione, così come l'automobile e la stessa Vespa non mancano di comparire sullo sfondo di molte fotografie di famiglia.

Allo stesso tempo, poi, il contesto fotografico si sposta all'esterno, rappresentando le famiglie nei momenti del loro tempo libero durante gite fuori porta, al mare o in montagna, durante le vacanze.

E la pratica fotografica progressivamente si trasforma sempre più in una forma di divertimento, moltiplicando gli attimi fotografici, e nell'ambito dello spazio domestico le immagini fotografiche diventano parte fondamentale dell'arredamento.

2.3 Ricordi individuali e memoria collettiva

Con la loro capacità di immortalare un instante, un momento irripetibile le fotografie hanno, dunque, permesso non solo di registrare e rendere concreti i propri ricordi, ma anche di illustrare aspetti e costumi della realtà circostante, 21Evento questo tra i più memorabili proprio quale simbolo di nascita di una nuova famiglia; inizialmente ne venivano fotografati i momenti simbolici, più rappresentativi. La scena veniva occupata dalla sposa ed era il suo arrivo alla chiesa ad essere documentato. È solo dalla fine degli anni '60 che le fotografie raccontano l'intera giornata a partire dal momento della vestizione della sposa fino alla fine del ricevimento e lo stesso viaggio di nozze. De Luna, G., D'Autilia, G., Criscenti, L., L'Italia del Novecento. Le fotografie e la storia. Volume terzo.

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andando in tal modo a rafforzare due memorie, quella individuale e quella collettiva, che, dagli stessi concetti elaborati da Maurice Halbwachs nell'ambito delle sue riflessioni sulla memoria, appaiono inscindibili una dall'altra.

“Ma i nostri ricordi vivono in noi come ricordi collettivi, e ci sono rammentati dagli altri, anche quando si tratta di avvenimenti in cui siamo stati coinvolti solo noi, e di oggetti che solo noi abbiamo visto. Il fatto è, che in realtà, non siamo mai soli. Non è necessario che altri siano presenti, che si distinguano materialmente da noi: perché ciascuno di noi porta sempre con sé una quantità di persone distinte...per meglio ricordare, mi rivolgo verso di loro, adotto momentaneamente il loro punto di vista, rientro nel gruppo, del quale continuo a far parte, perché ne subisco l'influsso e perché ritrovo in me idee e modi di pensare a cui da solo non sarei arrivato, e tramite i quali rimango in contatto con loro”22.

I ricordi individuali sono, dunque, dipendenti e determinati dall'appartenenza a uno specifico gruppo e possono essere rievocati solo grazie a quell'interazione sociale che si stabilisce tra coloro che condividono uno stesso ricordo.

È la memoria collettiva, allora, e solo attraverso i quadri sociali, a consentire la fissazione e la rievocazione dei ricordi.

“non c'è memoria possibile al di fuori dei quadri di cui si servono gli uomini che vivono in società per fissare e ritrovare i propri ricordi”23

E così, consistenti in “correnti di pensiero e di esperienza”, in un corredo collettivo di idee, principi, credenze, e non già solo “forme vuote”, 22 Maurice Halbwachs, La memoria collettiva, Edizioni Unicopli, Milano, 2001, p. 80

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sono i quadri sociali a definire un contesto all'interno del quale collocare i ricordi, che altro non sono che una ricostruzione del passato volta al presente.

“I quadri collettivi della memoria non sono costituiti a posteriori (…), ma che questi sono al contrario gli strumenti dei quali la memoria collettiva si serve per ricomporre un'immagine del passato che in ogni epoca si accorda con i pensieri dominanti della società”24.

Nulla, pertanto, si conserva e il passato non viene semplicemente rivissuto, ma ricostruito e reinterpretato alla luce degli interessi, delle esigenze e dei modi di pensare della realtà attuale.

2.4 Una nuova epoca

Un nuovo capitolo nella storia della fotografia inizia a scriversi nell'ultimo decennio del Novecento allorquando la nascente tecnologia digitale segna la fine di un'epoca, quella della fotografia fatta di pellicola, carta sensibile e stampa, e determina l'inizio di quella nella quale l'immagine, rilevata da sensori e memorizzata su schede di memoria, è trasformata in un documento informatico, in un file, e, soprattutto, influente in maniera significativa nell'originare nuove pratiche e usi sociali della fotografia, a loro volta ulteriormente favoriti dalla continua evoluzione del web.

Con la nuova tecnologia fare fotografie è diventato non solo meno costoso, e, quindi, sempre più alla portata di tutti, ma, nel contempo, anche estremamente più semplice, con un livello di automatismo tale da far venir meno quella competenza professionale da sempre richiesta e da sempre ostacolo ad un pratica più strettamente amatoriale.

E così, ampliandosi notevolmente la fascia degli utilizzatori dilettanti, 24 Ivi, p. 24

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la fotografia si è trasformata in un fenomeno di massa e in un'abitudine quotidiana, divenendo un mezzo di comunicazione insostituibile.

Con il digitale, di conseguenza, tutti sono divenuti fotografi e gli scatti sono aumentati esponenzialmente, venendosi a identificare la pratica fotografica “con la tesi secondo la quale tutto al mondo può essere reso interessante dalla macchina.”25

Anzi, si è progressivamente assistito a una sostituzione della realtà stessa con l'immagine, è “la realtà che è venuta ad assomigliare sempre più a ciò che mostrano le macchine fotografiche.”26

E in effetti, pur di fare fotografie ormai si scatta ovunque, in qualsiasi momento e senza dare, per di più, molta importanza al soggetto fotografico, invogliati sì dalla possibilità di scattare, e senza risparmiarsi, quasi a costo zero, così come dal fascino di poter rivedere immediatamente le proprie immagini e di poterle, con la stessa immediatezza, facilmente eliminare, ma e ancor più stimolati dalla possibilità offerta dai nuovi telefoni multimediali27 di avere sempre con sé uno strumento leggero, tascabile, in grado di aver sostituito quasi del tutto una fotocamera.

E di tutta questa moltitudine di scatti fotografici, alcuni interessanti, tanti inutili e privi di una storia, si è persa, poi, progressivamente l'abitudine alla stampa, riducendo così la conservazione del ricordo, non già in qualcosa di tangibile, ma in un semplice file archiviato nei nuovi dispositivi della memoria, all'interno di una cartella del computer o sul display del proprio telefonino.

Ed è così che, dopo esser venuta meno la magia della camera oscura e l'attesa per lo sviluppo, con la tecnologia digitale si sono venuti a modificare il momento e la concezione stessa della condivisione, contraddistintasi, fino a 25 Susan Sontag, Sulla fotografia. Realtà e immagine nella nostra società, cit., p. 97

26Ivi, p. 138

27“La finlandese Nokia, intanto, nel 2002 annuncia il 7650, il primo cellulare dotato di fotocamera digitale: è l'alba degli smartphone (...)” Viaggio nella storia della fotografia, a cura di Marco Rovere, www.nikonschool.it, Corsi & Tutorial

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ora, dallo sfogliare e dal rivedere, in una dimensione privata e nel contesto di relazioni umane dirette, le raccolte fotografiche.

Cambiamento al quale ha contribuito in maniera rilevante, determinando una svolta significativa, la diffusione di internet e l'evoluzione del web.

Quest'ultimo, oggi, permette una partecipazione più attiva per tutti gli utenti, e senza la necessità di possedere specifiche conoscenze tecniche, offrendo loro la possibilità di incrementare le occasioni di conversazione e condivisione, facendone una rete di persone.

Attraverso blog28 e social network29, divenuti oramai parti integranti della società moderna, ogni singolo utente ha iniziato a pubblicare le proprie immagini in modo tale da renderle immediatamente disponibili alla comunità virtuale e, annullando ogni limite spaziale e temporale, a condividere con questa aspetti della propria vita, della propria identità, i propri ricordi, attraverso una nuova forma di interazione che si riduce al “mi piace” e al “condividi”.

28 Pagina internet personale, aperta ai commenti dei lettori, di norma organizzata in ordine cronologico e arricchita con link ad altri siti, articoli, immagini, video, disponibili in rete. Il termine (contrazione di web log «diario di bordo della rete») è stato coniato nel 1997 dal blogger americano Jorn Barger. www.treccani.it 29 Servizio informatico on line che permette la realizzazione di reti sociali virtuali. Si tratta di siti o tecnologie che consentono agli utenti di condividere contenuti testuali, immagini, video e audio e di interagire tra loro. I primi social network sono nati negli Stati Uniti a metà degli anni Novanta. Il principale social network presente in internet è divenuto Facebook che, fondato nel febbraio del 2004 da Mark Zuckerberg e Dustin Moskowitz e nato come rete di interrelazione fra studenti universitari statunitensi, ha gradualmente esteso la sua utenza all'intera rete telematica. www.treccani.it

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2.5 La fotografia nello spazio domestico

Sempre più costantemente inserite nel ciclo della vita delle presone e sempre più protagoniste della loro vita quotidiana, sono le fotografie, più di ogni altro oggetto che fa da cornice allo spazio domestico, a dare espressione a quei ricordi che contribuiscono a costruire e perpetuare quella memoria familiare che tanta importanza ha assunto proprio nel momento in cui la nascente famiglia nucleare si è resa incapace di comunicare ai propri membri un senso di continuità e di appartenenza.

È, infatti, con il venir meno della famiglia concepita quale gruppo domestico e con essa di una memoria familiare che non abbisogna di essere costruita perché vissuta, frutto dell'interazione quotidiana e diretta di tutti i suoi componenti, che si è avvertita la necessità, accanto alla creazione di un tempo familiare ciclico di ricorrenza, tale da rinsaldare il legame parentale, della costruzione di una memoria culturale della famiglia che proprio negli oggetti domestici, e nelle fotografie per quel che concerne il caso specifico, ha trovato un rilevante supporto di riferimento tale da impedire di dimenticare.

Sono, in effetti, questi oggetti materiali, e ancor più in un'epoca di repentini cambiamenti quale quella attuale, caricati di valori affettivi, a rendersi capaci di riattivare in ogni momento il ricordo di persone, di avvenimenti, di luoghi, a rappresentare la storia di una famiglia e ad acquisire, così, al tempo stesso un significato sociale e un valore simbolico in relazione alla loro conservazione ed esposizione, al loro utilizzo all'interno dell'ambiente domestico.

“gli oggetti domestici … sono fatti, oltre che di materia, anche di significati, ossia di ciò che le persone vi imprimono attraverso il gesto del saper esporre, o vi depositano come memoria, come valore affettivo, come proiezione di

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rapporti sociali.”30

Nell'ambito delle abitazioni visitate, diverse sono apparse le modalità di collocazione delle fotografie, della cui organizzazione e custodia si occupano e si sono occupate, eccezion fatta per l'unico interlocutore dalla manifesta passione per la fotografia, le donne di casa.

E così, nel corso delle varie visite è stato possibile, innanzitutto, constatare come sussista nello spazio domestico un'esposizione delle fotografie attraverso cornici e come tale modalità di esposizione possa rappresentare, nei casi in questione, una tendenza sostanzialmente generale, atteso il mancato impiego di siffatta modalità espositiva da parte di una sola delle otto persone intervistate.

In particolare, si tratta di cornici in argento, o in ceramica bianca come nel caso di Renata, riunite ed esposte in soggiorno, dove vengono collocate in vista su mobili o all'interno di vetrine, oppure, come nel caso di Ilia, in cucina, ovvero in quella stanza della casa dove trascorre, ormai sola, le sue giornate e verso le quali può sempre rivolgere lo sguardo, e che inquadrano immagini che ritraggono, tutte, componenti della famiglia, e specificatamente figli e nipoti in occasione del giorno della loro unione in matrimonio, della comunione e di altri momenti ciclici e di passaggio della vita familiare, o il marito che troppo presto è venuto a mancare.

30 Pietro Meloni, La cultura materiale nella sfera domestica, in Silvia Bernardi, Fabio Dei, Pietro Meloni (a cura di), La Materia del quotidiano, Pacini Editore, Pisa, 2011, p. 196.

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Così sistemate per esprimere rapporti di parentela e reti sociali, parimenti agli altri oggetti che trovano collocazione nello spazio domestico, le fotografie permettono una messa in scena del proprio sé, di quell'immagine di noi stessi e di armonia familiare che desideriamo appaia agli altri, ancor più manifesta e intensa se si sceglie di posizionarle, come si è potuto constatare, in quell'ambiente della casa di confine tra la sfera pubblica e quella privata, quale è appunto il soggiorno, destinato tanto alla funzione sociale del ricevimento, dell'accoglienza, quanto a quella familiare dell'intrattenimento e dove, pertanto, ogni dettaglio, dall'arredo agli oggetti, tende a essere organizzato per una rappresentazione e per sé e per gli altri.

Ma vi è anche chi, come Ines, a questa disposizione delle immagini, creata e voluta nello spazio della vita quotidiana dell'abitazione e tale da offrirsi allo sguardo e all'attenzione di possibili ospiti, ha preferito e scelto uno spazio più riservato, intimo, quale quello della camera da letto, per la collocazione dei tre ritratti delle figlie che, racchiusi in semplici cornici di vetro, ha appeso alla parete.

E tra le altre interlocutrici, solo Lida ha, inoltre, privilegiato questo stesso spazio non immediatamente accessibile della casa per conservare, unicamente per sé, incastrate nella cornice dello specchio, tre fotografie dei suoi fratelli, della sua famiglia, a testimonianza ed espressione di un legame

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ancora profondo con persone ormai da tempo scomparse e verso le quali, nella propria intimità, rivolge il suo pensiero in un preciso momento della giornata.

“ Guarda dove li ho messi … così alla sera prima di dormire posso tutti salutarli...”

Unitamente a questa modalità espositiva delle fotografie, le padrone di casa sono solite conservare i propri scatti pure nei così detti album di famiglia, a loro volta collocati all'interno di armadi o cassetti, su mensole o ripiani delle librerie, al contrario della sola Ilia che conserva le proprie immagini, senza alcuna distinzione o classificazione, unicamente in una scatola di biscotti in cartone.

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È qui, in questi raccoglitori di diverse dimensioni e formati che, in un ordine più o meno cronologico, hanno raccolto e sistemato con cura tutte le fotografie, in bianco e nero, a colori, lucide e opache, nei diversi formati che si sono susseguiti nel corso dell'evoluzione tecnica, scattate non solo nei momenti più significativi della vita familiare, così da poter riscrivere attraverso le immagini una storia autobiografica.

Due modalità di conservazione delle fotografie che testimoniano, dunque, nonostante le nuove possibilità offerte dalla tecnologia digitale, una predilizione, anche per la generazione meno adulta, per la “vecchia” fotografia, per quel supporto materiale, sempre disponibile, che permette di rievocare il ricordo e favorire, attraverso il fascino del racconto, quei legami relazionali che le attuali modalità di archiviazione e condivisione hanno fatto venir meno.

“... essa saprebbe favorire la comunicazione con gli altri permettendo di rivivere in comune i momenti trascorsi o di mostrare agli altri l'interesse e l'affetto che si nutre per loro ...”31

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E così alcune delle interlocutrici

Renata - “… me le mette sul computer e rimangono lì. Il problema è

quello, invece a me piacciono più stampate comunque, perché sul computer non lo so poi è difficile che vai a rivederle...”

Ines - “preferisco le fotografie stampate, si riguardano più facilmente e in

compagnia …Spesso le ho riguardate insieme alle mie figlie ricordando gioiosamente quei momenti ...”

Vanda - “non mi piacciono mica come le fotografie, no, perché devi

essere lì o uno che c'ha l'apparecchiatura o se no non le vedi … a me mi piace l'album … ti viene un'idea, magari una volta una domenica piove sei in casa, me le tiro fuori e me le guardo”

Anna - “… le foto parlano, quando guardi bene una foto ti viene in

mente la vita di allora … Le ho guardate e continuo a guardarle con i miei figli, con i parenti quando ci si ritrova e anche con i nipoti ….“

Fotografie capaci, dunque, di suscitare emozioni e che non possono essere considerate quali semplici oggetti visuali, dimostrandosi, al contrario, in grado di poter coinvolgere più esperienze sensoriali, oltre quella visiva.

Raramente le interlocutrici hanno, infatti, parlato delle loro foto senza che queste siano toccate, accarezzate e, comunque, maneggiate, così come il loro racconto, non di rado gesticolato, si è caratterizzato da sospiri, pause, risate, tonalità differenti e ciò che ne è emerso non è stata una mera descrizione, ma un insieme di racconti di ricordi, di storie, di desideri, di sentimenti, di speranze.

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varietà delle fotografie possedute ora si associano in alcune delle abitazioni anche immagini digitali che presuppongono nuove pratiche di archiviazione e condivisione, delle quali, però, come riferito dalle interlocutrici direttamente interessate, sono le figlie ad occuparsene e loro trasformate in occasionali, passive spettatrici.

Ma c'è pure chi del tutto e per tutto si differenzia ed è il caso di Carlo. In un ambiente domestico contraddistinto dalla totale assenza di oggetti, non solo non espone alcuna fotografia, ma neppure conserva materialmente alcun album fotografico e non certo per il non riconosciuto loro valore memoriale.

Anzi, è proprio il desiderio di conservare e di tramandare la memoria familiare che ha spinto Carlo ad adottare una nuova modalità di organizzazione ed esposizione della documentazione fotografica, cosicché tutto il materiale a suo tempo stampato, e oggi conservato in scatole e trasferito in cantina, è stato per l'intero scansionato, negativi e diapositive compresi, per essere archiviato all'interno del computer, unitamente alle fotografie scattate con la tecnologia digitale, e ripresentato, seppur in maniera virtuale, ma con l'immediatezza della disponibilità, esattamente come quello tradizionalmente conservato.

“... Possiedo un computer con grande schermo, sempre accessibile, che rapidamente carica ogni foto. Così ogni familiare, in qualsiasi momento, recupera anni di storia familiare … ho digitalizzate e così ne ho anche io una copia. Così anche i miei figli, poco interessati alla fotografia in genere, potranno agevolmente sfogliarle conservandole nel tempo … e domani, magari i nipoti che sono molto informatizzati, potranno incuriosirsi”

Un ultimo e breve accenno va ad un'ulteriore e differente modalità di disposizione delle fotografie che è possibile riscontrare in quelle due famiglie

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dove vivono ancora le figlie e, più precisamente, nelle camere delle stesse, in quello spazio adolescenziale della casa che tale rimane, nonostante il passare degli anni, anche per le giovani adulte e che presenta analogie in ambedue i casi, malgrado l'appartenenza a differenti generazioni.

Così accanto a peluche tenuti sul letto, collezioni di piccoli animaletti, libri, poster, piccoli regali e ricordi d'infanzia, non mancano le fotografie poste, in un caso, in una sorta di bacheca creata nella parete e, nell'altro, in semplici cornici appese al muro alle quali si sono aggiunte progressivamente immagini tali da ridurre alcuni dei quadretti in una bacheca fotografica.

Si tratta di fotografie dalle stesse personalmente scelte, che le rappresentano in vari momenti della loro infanzia, e che, soprattutto, ciclicamente e in ogni momento possono essere cambiate o incrementate.

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2.6 Gli album di famiglia

Storia per immagini della famiglia, contenitore per eccellenza della memoria e del ricordo, è, dunque, l'album fotografico32 a rappresentare la famiglia, contribuendo a creare una sua identità e ad affermare, al tempo stesso, la sua continuità, in virtù di quelle fotografie che, scelte e con meticolosa cura qui raccolte e sistemate in maniera sequenziale, la raffigurano in tutti i momenti fondamentali e più significativi della sua esistenza.

Grazie all'album di famiglia è, così, possibile ripercorrere il cammino storico e sociale della famiglia, definirne i cambiamenti, le trasformazioni.

“(...) la pratica fotografica esiste e sussiste in virtù della funzione familiare, o meglio della funzione che le conferisce il gruppo familiare, e cioè solennizzare ed eternare i grandi momenti della vita familiare, in breve, rinsaldare l'integrazione del gruppo riaffermando il sentimento che esso ha di sé e della propria unità (...)33

La macchina fotografica ha da sempre accompagnato gran parte della vita della famiglia e sebbene gli ultimi progressi della tecnica fotografica abbiano reso ogni cosa, ogni momento fotografabile e tutti fotografi è pur vero che, nonostante il susseguirsi delle epoche, è possibile riscontrare nell'ampia gamma delle fotografie possedute dalle varie famiglie rappresentate, che coprono un arco temporale che dagli inizi del Novecento arriva ai giorni nostri, tutta una serie di immagini stereotipate, che ritornano come un 32L'album fotografico (…) conosce il suo sviluppo a partire dalla metà dell'Ottocento con la diffusione generalizzata della fotografia e la sua fruizione da parte di un pubblico sempre più vasto e dai gusti diversificati (…) Si ha un tipo di album accorpato e messo in vendita direttamente dal fotografo (…) Con la disponibilità di massa degli strumenti fotografici quale si ebbe alla fine del diciannovesimo secolo, l'album può essere realizzato dall'utente in toto – fotodilettante o fotoamatore – che ne diviene creatore e fruitore delle immagini. Con il tempo poi, la tendenza a produrre direttamente l'album fotografico si fa via via più marcata (…)“ Sandro Coppa,

L'album nella storia della fotografia. Aspetti, ruolo e funzione, AFT Rivista di Storia e Fotografia, numero 36,

Anno XVIII Dicembre 2002, p. 3, www.aft.it

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elemento costante.

Sono queste le fotografie scattate a testimonianza di quei momenti rituali di passaggio propri della vita del gruppo familiare.

E così, come è stato possibile riscontrare, se in tutte le case, fuorché in quella di Lida e Renato

“… Abbiamo sposato a Vecchietto alle cinque della mattina … In tempo di guerra, come facevamo ad averle. Ci ha sposati con le scarpe tutte rattoppate e vestì con quello che avevo addosso sotto al bombardamento ...” e di Vanda,

“ … mio marito quando due giorni prima di sposarsi c'è venuto un ascesso in bocca, aveva una faccia così, non avevan mica potuto farle le foto ... ci siamo rivestiti, le abbiamo rifatte in un secondo tempo ... non è proprio come lo stesso giorno … ce le siamo fatte fra di noi …”

non mancano le fotografie del matrimonio, e in un numero sempre più crescente per quelle cerimonie celebrate all'indomani degli anni '70 del secolo scorso con veri e propri servizi fotografici a racconto non solo dei momenti più rappresentativi e culminanti, ma dell'intera giornata dell'evento simbolo della nascente famiglia

Anna - “… Del mio matrimonio ho pochissime foto, quella di noi soli sposi,

una con i parenti e una con i genitori di entrambi ... “

certo è che l'attenzione fotografica è stata rivolta principalmente ai figli, divenuti nel corso degli anni catalizzatori dei legami familiari, attorno ai quali ruota l'organizzazione tutta della vita familiare, ragion per cui protagonisti

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indiscussi delle raccolte che ne ripercorrono le varie tappe di crescita.

Scattate da fotografi di professione all'uopo contattati e sempre più dai genitori, all'indomani di quel progresso tecnologico che ha favorito la popolarizzazione della pratica fotografica, sono immagini la cui moltitudine decresce con il progredire dell'età dei bambini e della cui disposizione all'interno degli album si sono occupate, con meticolosa cura, non tralasciando di annotare a riferimento date e luoghi, le madri, delle quali, tra l'altro, tengono a memoria la precisa e giusta collocazione e verso le quali nutrono un forte legame a sostegno di quel rapporto personale, intimo che le unisce ai figli.

Anna - “Inizialmente … erano scattate solo dai fotografi, si fotografavano

solo gli eventi più importanti per ricordarli … Poi quando abbiamo avuto una nostra macchina fotografica …”

Ines - “... sono album che ho fatto io, così come le fotografie, anche se per

quelle dei compleanni veniva il fotografo ...”

Ricorrenti in tutti gli archivi di famiglia appaiono, pertanto, le fotografie del battesimo, dei primi compleanni, della comunione, del ricordo degli anni scolastici, così come non mancano quelle delle vacanze con la famiglia, al mare o in montagna, o di brevi gite, o quelle che li ritraggono semplicemente in momenti di vita quotidiana.

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A tal riguardo, vi è chi, come Renata, per il battesimo e la comunione della figlia ha organizzato un vero e proprio servizio fotografico con tanto di fotografo professionista, oppure chi, come Ines, alla primogenita ha dedicato un vero e proprio diario fotografico ove accanto alle fotografie ha potuto annotare tutti gli eventi più importanti del primo anno di vita, o ancora chi, come Graziella, ha creato album distinti per le due figlie.

Archivi fotografici di famiglia che diventano, poi, spesso creazioni multigenerazionali, con questi stessi temi fotografici che ritornano come leitmotiv a testimoniare le vicende di più generazioni.

È così per gli album di Anna e Vanda che, proiettati verso il futuro, raccolgono quelle fotografie che documentano le vicende delle famiglie dei figli e dei nipoti,

Anna -“… ora le fotografie me le fanno avere i miei figli e sono le fotografie

dei miei nipoti …”

Vanda - “… quando si sono sposati … mio nipote ... quando le voglio rivedere

c'ho l'album” e relativamente al matrimonio del nipote “... l'album me lo sono fatto per conto mio … mi sono scelta qualcuna … mi sono fatta l'album per

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conto mio ...”,

come pure per quelli di Lida, ampliati, però, da immagini che coinvolgono una parentela più vasta – fratelli, i figli di questi, i loro diretti discendenti – e relativa alla sua famiglia d'origine.

Unico, invece, il caso di Graziella.

Accanto alla propria documentazione fotografica, arricchita già di per sé da tutta una serie di fotografie che ripercorrono nei momenti topici il cammino delle famiglie dei fratelli e dei di loro figli, nonché degli affini, possiede tutta la raccolta fotografica della madre, da quelle fotografie più “vecchie”, così come Graziella stessa definisce, a quelle che illustrano la storia della sua stessa famiglia,

“... Non presentano indicazione di anno, ma probabilmente sono del primo '900 perché non c'è mia mamma ... le aveva mia mamma. Le ho prese tutte io prima che … mi dispiaceva perderle in giro e allora le ho raccolte tutte...”

Un archivio di famiglia che permette così nella sua totalità, con una proiezione in parte nel tempo passato e in parte verso il futuro, una rappresentazione della famiglia in tutta la sua continuità.

Ma se gli archivi di famiglia, come in questo specifico caso, possono passare da una generazione all'altra, nulla esclude una loro possibile frammentazione.

Ed è quanto accaduto nel caso di Ines

“ ... nel momento in cui è mancata la mamma tutte le fotografie sono state prese, di comune accordo, da mia sorella … “

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Sono cambiate, dunque, le epoche, si è evoluta la tecnologia, si è moltiplicata la quantità degli scatti, ma nella sostanza l'album non cambia e nel “vecchio” album la famiglia continua ad autorappresentarsi.

“(...) tutti gli adulti possono oggi sapere con esattezza l'aspetto che avevano loro e i genitori e i nonni quando erano bambini, cosa che nessuno poteva sapere prima dell'invenzione della macchina fotografica (...)”34

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Bibliografia

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