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1 INDICE Introduzione 4 Capitolo 1 La pirateria marittima 1.1. Cenni storici 8

1.2.La nozione di pirateria nel diritto internazionale 14

1.3. La nozione di pirateria nel diritto interno 28

1.4. Confronto con altri fenomeni di violenza sul mare 40

Capitolo 2 La normativa e il sistema di repressione della pirateria marittima 2.1. La repressione della pirateria marittima nel diritto internazionale 45

2.2. La repressione della pirateria nel diritto interno 52

2.3. La cooperazione internazionale come strumento essenziale per il contrasto alla pirateria 62

2.3.1. L'importanza del Sea Monitoring e dell'Information Sharing 64 2.4. Le missioni navali anti-pirateria nelle acque del Corno d'Africa 66

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2 Capitolo 3

La scelta di impiego di personale armato a bordo

3.1. Vessel Protection Detachments e Private Naval Compains 75 3.2. Vessel Protection Detachments e Private Naval

Companies nei confronti del diritto internazionale 78 3.3. Legislazione dello stato di bandiera relativa alla

protezione dei mercantili 81 3.4. I diritti umani secondo il diritto internazionale 85 3.5. La Responsabilità dello Stato relativa all'impiego della

forza da parte di Vessel Protection Detachments e contractors 88 3.6. La Responsabilità dello Stato relativa alla violazione dei

diritti umani commessa da Vessel Protection Detachments

e contractors 92 3.7. Soft Law come sistema di strumenti alternativi 96 3.8. diritto internazionale applicabile a VPD e contractors 99

Capitolo 4 La normativa italiana

4.1. Legge del 2 agosto 2011, n. 130: i Nuclei Militari di

Protezione 104 4.2. Nuclei Militari di Protezione: poteri e attribuzioni 107

(3)

3 4.3.Le Guardie Giurate Particolari: il regola mento del 28 Dicembre

2012, n. 266 110

4.4. Guardie Particolari Giurate: regime giuridico e operativo 112

Capitolo 5 Il caso dell’Enrica Lexie 5.1.Enrica Lexie: la necessità di chiarire le questioni politiche e giuridiche 116

5.2.Cronologia dei fatti 118

5.3.Il problema della giurisdizione 122

5.4.La questione dell’immunità 125

5.5.Le competenze del comandante della nave e della squadra di sicurezza 129

5.6.Accordi tra Stati sulla giurisdizione 131

5.7. Il problema delle armi nelle acque territoriali altrui 133

Conclusioni 140

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4 INTRODUZIONE

Il presente elaborato intende affrontare la tematica della pirateria e si pone come obiettivo, a livello di approcci o, quello di fornire una panoramica di insieme della materia sia attraverso la normativa internazionale che la normativa interna.

La pirateria è un fenomeno che negli ultimi decenni ha visto un incremento e uno sviluppo importanti tali da divenire oggetto di interesse della letteratura giuridica internazionale.

Nel primo capitolo viene effettuato un excursus storico del fenomeno della pirateria dalle origini ai giorni nostri, specificandone l'ambito di diffusione e l'ulteriore sviluppo della stessa nel fenomeno della “guerra di corsa” evidenziandone le differenze.

Definita la pirateria come crimine internazionale, viene presa in considerazione la posizione degli Stati nei confronti di tale fenomeno con riguardo alle problematiche sorte su caratteristiche e scopi di tale crimine e con riguardo agli ambiti di intervento dei singoli Stati.

Ulteriore sviluppo dell'analisi si concretizza nella menzione delle due Convenzioni (di Ginevra e di Montego Bay) nate appositamente per affrontare la problematica.

Viene inoltre definita la “pirateria per analogia” analizzandone la natura e le caratteristiche, e di seguito vengono prese in considerazione le competenze dei tribunali nazionali e la proposta di istituire un tribunale internazionale, non contemplata dalle convenzioni che invece

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5 si richiamano alla cooperazione tra stati.

Dall'ambito internazionale si passa a considerare l'ambito dell'ordinamento italiano attraverso un attenta digressione su peculiari articoli del Codice della Navigazione, mettendo in evidenza divergenze e affinità con il diritto Internazionale. Da queste analisi emerge una nozione di pirateria divergente rispetto a quella internazionale, sebbene si possano ravvisare diversi punti di contatto.

Si conclude il primo capitolo effettuando un confronto con la pirateria e altri fenomeni di violenza sul mare, come terrorismo, movimenti di liberazione nazionale e il traffico di distruzione di massa.

Passando al capitolo secondo viene affrontato l'argomento relativo alla repressione della pirateria marittima nel diritto internazionale e nella normativa interna, riportando innanzitutto alcuni contenuti della convenzione di Montego Bay relativi alla competenza giurisdizionale degli Stati. A tale proposito è stata rilevata la difformità delle normative interne tra i vari Stati producendo un regime di contrasto scarsamente effettivo.

Per quanto riguarda le misure repressive, sia per il perseguimento che per la sanzione, adottate dallo Stato italiano, si rileva che lo stesso faccia ricorso alla normativa prevista dalle regole del codice della navigazione. Nella sostanza la legge italiana ha stabilito una riserva di giurisdizione per reati commessi nei confronti di cittadini e beni italiani, mentre non ha stabilito la stessa riserva per i danni arrecati a persone o a beni stranieri.

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6 Passando a considerare la cooperazione internazionale di contrasto alla pirateria stabilita dalle due Convenzioni, si perviene alla considerazione di questo crimine come un danno universale cercando di evitare, da parte degli Stati, la sottovalutazione del fenomeno attraverso l'adozione di azioni di contrasto comuni. Questo e` stato possibile attraverso l'istituzione di particolari strumenti fra i quali il Maritime Safety Comitee dell'IMO e il Piracy Reporting Centre dell'IMB.

Nell'ultima parte del capitolo vengono trattate le missioni navali antipirateria a largo del Corno d'Africa, dove, a causa della debolezza delle istituzioni governative somale, si è verificato un gran numero di attacchi da parte dei pirati. Per controllare questo territorio, gli Stati hanno effettuato alcune missioni per mettere in sicurezza la navigazione.

Nel terzo capitolo vengono prese in considerazione le figure di VDP e Contractors descrivendone le caratteristiche e il ruolo che ricoprono nella lotta alla pirateria.

L'analisi verte sulla regolamentazione da parte del diritto internazionale del modus operandi di questi organismi valutandone le potenzialità e i limiti e la legittimità dell'uso della forza prendendo in esame la responsabilità dello Stato relativa all'impiego di VPD e Contractors. Fra gli strumenti alternativi per regolamentare questi organismi vengono presi in considerazione i sistemi di Soft Law. In ultimo vengono messe in evidenza le modalità di applicazione del

(7)

7 diritto internazionale di VPD e Contractors.

Il quarto capitolo approfondisce la legislazione italiana in materia di pirateria basata sulla legge n. 130 del 2 Agosto 2011, inoltre viene analizzato il regime giuridico e operativo dei Nuclei Militari di Protezione e delle Guardie Particolari Giurate mettendo in rilievo le problematiche relative alla loro operatività e al loro status giuridico. Nell quinto e ultimo capitolo emergono le lacune presenti nella legislazione italiana relativamente alla disciplina dei VPD e dei Contractors nella vicenda della Enrica Lexie i cui risvolti contribuiscono a dimostrare che le normative anti-pirateria, sia sul piano interno che su quello internazionale, necessitano ad oggi di un adeguamento e di un ulteriore arricchimento attraverso nuovi strumenti. Dopo una disamina cronologica del caso, si prendono in esame i principali punti critici che mettono in ulteriore evidenza la mancanza di una normativa efficace e sottolineano la necessità di coprire gli eventuali vuoti legislativi onde evitare che altri spiacevoli episodi possano provocare ulteriori crisi diplomatiche e controversie internazionali.

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CAPITOLO 1 – La pirateria marittima

8 CAPITOLO 1

La pirateria marittima

SOMMARIO:_1.1. Cenni storici _1.2. La nozione di pirateria nel diritto internazionale _1.3. La nozione di pirateria nel diritto interno _1.4. Confronto con altri fenomeni di violenza sul mare

1.1. Cenni Storici.

La Pirateria è fenomeno che si credeva del tutto scomparso ma che, fatti di cronaca come il recente caso della Enrica Lexie del 15 Febbraio del 2012 e l'uccisione dello skipper neozelandese Peter Blake avvenuta il 6 dicembre 2001, hanno riportato all'attenzione dell’opinione pubblica.

Molte e diverse ipotesi vanno a formare parte di quello che è il quadro della pirateria moderna, dal furto di bassa entità a quelli più importanti di imbarcazioni ancorate, da attacchi a navi che viaggiano in mare aperto o in acque territoriali, al dirottamento di imbarcazioni da utilizzare come mezzi di trasporto per traffici illegali quali droga, armi e clandestini.

Al pari dell'omicidio, la pirateria è una delle più antiche manifestazioni umane criminose di cui si conservino le tracce. Sia a livello spaziale che temporale, la pirateria ha attraversato fasi ben delineabili: all’inizio gruppi di individui appartenenti alle classi sociali più povere con

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CAPITOLO 1 – La pirateria marittima

9 propri battelli, attaccano le navi mercantili scarsamente protette. Segue poi il periodo della cosiddetta organizzazione, durante la quale i pirati meno organizzati confluivano in strutture più potenti venendo costretti a far parte della loro organizzazione. Tale periodo è detto “Epoca dei Corsari Barbarossa”. Segue infine la fase nella quale i pirati potevano stringere con altri Stati alleanze reciprocamente vantaggiose ponendosi contro i loro nemici, con la conseguente trasformazione della pirateria che compiva vere e proprie azioni di guerra, dando l’avvio ad una serie di scontri navali fra nazioni nemiche con la partecipazione piena dei pirati che combattevano in nome e per conto delle stesse nazioni1. Questo fenomeno costituisce da svariati secoli una grave minaccia per la Libertà di Navigazione e per la Sicurezza di rotte e traffici commerciali.

Esempi di attività piratesca si hanno già nell'epoca classica presso i Greci, i Romani e gli Etruschi 2: Tucidide afferma: “I Greci e i barbari

delle coste di terraferma e delle isole quando cominciarono a frequentare il mare, si diedero alla pirateria (λῃστεία, πειρατής, lat. pirata, è usato solo dal sec. IV) erano guidati da capi potenti per arricchirsi sia essi stessi che per dare sostentamento ai più deboli. Gettandosi sulle popolazioni indifese e sparse in villaggi, le saccheggiavano e da questo specialmente ricavavano i mezzi per vivere; e la cosa non era vergognosa, ma onorevole”; Omero nelle sue

1

PHILIP GOSSE , Storia della Pirateria, Milano, 1957.

2

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CAPITOLO 1 – La pirateria marittima

10 opere scrive: “che i principi greci pirateggiano largamente, e che

l'esercito greco sotto Troia è mantenuto specialmente con i frutti della pirateria.”

I riferimenti alla pirateria coincidono con le prime notizie riguardanti i viaggi e il commercio, ambiti nei quali iniziarono a fare la loro comparsa individui che intercettavano i carichi di merci lungo il percorso e ne traevano profitto.3

Nell’ epoca romana la pirateria era giunta al suo massimo sviluppo e nel Mediterraneo aveva i suoi centri più importanti, soprattutto sulla costa della Cilicia, a Creta, nell'Etolia e nell'Illirico. Nel periodo delle guerre civili non fu contrastata dai Romani ma anzi, fu da questi appoggiata nell’intento di destabilizzare la situazione. A causa di questo atteggiamento benevolo i pirati riuscirono a realizzare una sorta di impero marittimo creando veri e propri stati della riviera sparsi lungo il Mediterraneo fino alle Colonne d'Ercole. Questa situazione costituì la ratio che portò i Romani a cambiare radicalmente atteggiamento nei confronti dei pirati, tanto da avviare una serie di campagne militari dirette ad eliminarli: da ricordare quella del Console Pompeo nell'anno 67 a.C. 4

Durante i primi due secoli dell’Impero, data la forte organizzazione dell’apparato statale, i pirati furono quasi totalmente confinati nel Mar Rosso e nel Ponto Eusino. Tuttavia, già agli inizi del III secolo d.C., la

3

P. GOSSE , Storia della Pirateria, Milano, 1957.

4

C. MOSCHETTI, Voce “pirateria” in Enciclopedia del Diritto., Tomo XXXIII , p. 874.

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CAPITOLO 1 – La pirateria marittima

11 pirateria ricomparve in concomitanza con la decadenza dell’Impero e, allo stesso tempo, le scorrerie dei Sarmati e dei Goti, provenienti dalle coste settentrionali del Mar Nero, preannunciarono le invasioni barbariche. 5

Nell'Alto Medioevo la pirateria ebbe un periodo di particolare fioritura nel Mediterraneo, soprattutto tra le popolazioni dell’Italia meridionale, della Francia e della Spagna lungo le coste delle quali si svolgevano traffici molto attivi con l’Oriente e con l’Africa. A partire dal secolo VIII, il fenomeno si accrebbe con le scorrerie di Arabi e Saraceni, organizzati a tal punto da effettuare vere e proprie spedizioni militari capaci di spingersi, risalendo i fiumi, addirittura al saccheggio di città dell’entroterra. Nello stesso periodo, le città costiere dell’Adriatico furono costrette a pagare tributi alle popolazioni slave fino a quando, alla fine del IX secolo, Venezia riuscì ad assicurarsi alcune rotte così dette “pulite” sulle piazze marittime della Dalmazia e dell’Adriatico stesso, senza però riuscire a debellare del tutto le incursioni saracene. Le battaglie combattute dai Crociati da una parte, contribuirono non poco alla repressione della pirateria, al fine di tutelare il commercio con le colonie del Levante e con le terre dell’Impero greco, ma dall’altra, a causa della guerra marittima che ne seguì per il predominio commerciale, provocarono il progressivo sviluppo del fenomeno che si protrasse per lungo tempo. Non è casuale la comparsa, in questo

5

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CAPITOLO 1 – La pirateria marittima

12 periodo, delle prime condanne ufficiali della pirateria da parte della Chiesa e, nonostante ciò, tale fenomeno, fino alla battaglia di Lepanto del 1571, divenne prevalentemente di stampo cristiano: infatti, senza tenere di conto dei trattati in vigore, le città di Venezia, Pisa, Genova ed altre iniziarono a inseguire non solo la flotta dei musulmani ma anche di chi poteva favorirli commerciando con essi. 6

Fu proprio in questi anni che si cominciò ad attribuire a molti pirati la cosiddetta “Patente di Corsa”, cioè una vera e propria autorizzazione che li qualificava ufficialmente come “predoni-mercenari” al servizio di qualche potente governante. Da qui nasce la differenza tra la figura del pirata e la figura del corsaro: mentre il pirata è colui che naviga per assalire e depredare le navi per fini individuali, il corsaro è colui che comanda una nave armata e, per mezzo dell'autorizzazione del proprio governo (lettere di corsa o di marca), cattura navi di nazioni nemiche. Dopo la battaglia di Lepanto la pirateria in senso stretto continuò ad essere esercitata nel Mediterraneo soprattutto da navi battenti bandiera inglese.

Tale situazione perdurò dal XVI al XIX secolo fino ad arrivare al Congresso di Vienna del 1815. In tale ambito gli Inglesi proposero di istituire una forza navale internazionale al fine di debellare il fenomeno della pirateria; tale iniziativa riscosse un ampio appoggio negli ambienti responsabili dei vari paesi ma non fu presa in

6

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CAPITOLO 1 – La pirateria marittima

13 considerazione se non con una generica approvazione da parte dei diplomatici presenti al congresso. 7

Due eventi determinanti all'interno della storia della pirateria sono stati: · l'occupazione francese di Algeri del 1830 che riuscì a far

cessare gli atti di pirateria posti in essere dalle popolazioni barbaresche;

· l'adozione della dichiarazione del 1856 nell'ambito della Conferenza di Parigi con la quale fu definitivamente abolita, da parte degli stati, la “corsa marittima”. 8

La pirateria, tuttavia, è un fenomeno ancora attuale e i pirati del Terzo Millennio non sono poi così diversi da quelli di un tempo, con la differenza che al posto delle spade e dei moschetti hanno a loro disposizione armi da fuoco tecnologiche e imbarcazioni velocissime e inoltre il loro raggio di azione non è più ristretto al bacino del Mediterraneo ma si estende lungo le rotte marittime internazionali. Sebbene si tratti di un’ attività sviluppatasi di pari passo con l’incremento dell'utilizzo delle vie marittime, la pirateria “moderna” ha ottenuto maggiore visibilità a seguito di un crescendo di assalti ai danni di mercantili di ogni nazionalità arrivando, tra il 1 gennaio e il 31 dicembre 2014, a ben 245 attacchi a navi mercantili. 9

7

S. BONO, I corsari barbareschi, Torino, 1964, p. 70 ss..

8

S. BONO, op. cit., p. 76 ss..

9

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Capitolo 1 – La pirateria marittima

14 1.2. La nozione di pirateria marittima nel diritto internazionale. La pirateria è considerata un crimine internazionale che rientra nel concetto dei cosiddetti crimina juris gentium. Secondo tale orientamento ogni Stato può sequestrare, anche in alto mare, una nave qualificata come “pirata”, qualunque sia la sua nazionalità o la cittadinanza dei pirati stessi.10 La collocazione della pirateria da crimine iuris gentium a crimine internazionale, assolve pienamente ad una funzione pratica che conferisce alla pirateria la dimensione di crimine internazionale. Difatti, un crimine internazionale si concretizza in un’attività di cui lo Stato è ritenuto responsabile, al pari dei crimini di guerra, perché trattasi di attività compiuta da individui appartenenti a quello Stato sul quale incombe, inoltre, un particolare dovere di prevenzione e repressione dei fenomeni criminosi. In realtà, il reato di pirateria, che per definizione viene compiuto da semplici individui in alto mare, è un crimine che si attua in assenza di giurisdizione di alcuno Stato11. Difatti non attribuendo allo Stato nessuna responsabilità di prevenzione e repressione nei confronti della pirateria, ne consegue che la sicurezza dei traffici marittimi, res

communes omnium, rimarrebbe priva di tutela giuridica, pertanto è

questo lo scopo per il quale la pirateria è assunta a crimine

10

Convenzione di Ginevra sull’alto mare, 1958, art. 19

Convenzione di Montego Bay, 1982, recante norme che attribuiscono agli stati i diritti e le responsabilità nell’utilizzo dei mari e degli oceani, art.105,

11

Convenzione di Ginevra, 1958, art.15 Convenzione di Montego Bay, 1982, art. 101.

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Capitolo 1 – La pirateria marittima

15 internazionale. Il pirata, considerato nemico di ogni Stato, può essere giudicato dai tribunali di ogni Paese anche in assenza di un particolare titolo di giurisdizione, eccezione non convenzionale del principio della competenza esclusiva dello Stato in alto mare su navi che battono la sua bandiera. Il reato di pirateria è tale solo se compiuto in alto mare e la ratio di tale norma appare evidente se si pensa che tale attività viene esplicata principalmente in tali spazi, al di fuori di qualsiasi controllo statale, minacciando la sicurezza dei traffici marittimi e mettendo in pericolo lo stesso principio della libertà di alto mare.

Pur riconoscendo ampi poteri in capo a qualunque Stato, prima dell’entrata in vigore della Convenzione di Ginevra del 1958, la dottrina e la giurisprudenza non erano concordi nel definire il concetto di pirateria. Motivo di discussione erano i punti che riguardavano l’autore e il luogo di commissione dell’atto, ma anche il fine dell’azione stessa. Quanto alla definizione degli autori, secondo alcuni potevano essere solo semplici individui, per altri invece tale qualifica andava riconosciuta anche agli insorti nell’ambito di uno Stato prima che fosse loro riconosciuta la belligeranza. Circa il fine, la discussione verteva sulla natura degli atti delittuosi, se dovessero avere o meno lo scopo di depredazione (c.d. animus furandi), oppure potessero perseguire anche un fine diverso. Quanto al luogo di commissione dei reati, mentre per alcuni si aveva pirateria se l’atto avveniva in alto mare, per altri l’atto poteva avvenire anche in terra nullius o addirittura nella zona di mare appartenente ad uno Stato. Ultimo problema che si

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Capitolo 1 – La pirateria marittima

16 pose e che poi fu risolto positivamente da una proposta italiana, era quello della possibile estensione del concetto di “mezzo pirata” anche agli aeromobili oltre che alle navi. Proprio per questi problemi interpretativi, la pirateria è stata per molto tempo oggetto di studi che hanno tentato di dare una sistemazione alla materia. Da segnalare, in particolare, quello della “Harvard Law School” del 1932 che giunse alla redazione di un progetto di Convenzione con relativo commento. Tale progetto fu posto alla base dei lavori della Commissione di diritto internazionale che predispose il programma di articoli sulla pirateria, sottoposto in seguito alla II Conferenza delle Nazioni Unite sul diritto del mare.12

La pirateria è oggi dettagliatamente codificata dalla Convenzione di Montego Bay del 1982, agli articoli 100 ss. che riproducono, salvo alcune varianti, gli articoli 14 ss. della Convenzione di Ginevra del 1958. Ai sensi dell’art. 15 della Convenzione di Ginevra e dell’art. 101 della Convenzione di Montego Bay si definisce pirateria:

“1) Ogni atto di violenza illegittimo di detenzione e ogni depredazione commessi dall’equipaggio o dai passeggeri di una nave o di un aeromobile privati, a scopo personale, e a danno:

a) in alto mare, di un’altra nave, altro aeromobile, o di persone o beni a bordo di questi;

12

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Capitolo 1 – La pirateria marittima

17

b) in luoghi non sottoposti alla giurisdizione di uno Stato, d’una nave, o di un aeromobile, o di persone o beni.

2) La partecipazione volontaria all’impiego d’una nave o d’un aeromobile, svolta con piena conoscenza dei fatti che conferiscono a detta nave o detto aeromobile l’attributo di pirata.

3) L’istigazione a commettere gli atti definiti ai numeri 1 e 2 come anche la facilitazione intenzionale degli stessi.”13

È interessante notare che, anche dopo l’entrata in vigore della Convenzione di Ginevra sull’alto mare del 1958, molti Stati continuarono a qualificare come pirateria azioni illegali che non rientravano nella nozione data all’art. 15 della stessa. In alcuni casi si era in presenza di veri e propri errori dei Governi, in altri, tuttavia, tale pretesa seguiva uno scopo ben preciso: ampliare la possibilità di esercitare l’uso della forza verso navi battenti bandiera estera. Un esempio in tal senso si ebbe nel caso del mercantile americano «Mayaguez» che, il 12 Maggio del 1975, fu catturato da una motovedetta Cambogiana al largo delle coste di quel paese. Inizialmente gli Stati Uniti affermarono che la loro nave era stata catturata in alto mare e che quindi la Cambogia aveva commesso un atto di pirateria. Subito dopo però, affermarono che l’atto era illegale ed ingiustificato e che costituiva una minaccia alla “pace internazionale”. Al fine di giustificare un’azione armata per liberare la

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Capitolo 1 – La pirateria marittima

18 nave e l’equipaggio, gli Americani ricorsero, quindi, alla tesi della “legittima difesa” e dell’intervento a protezione dei propri cittadini all’estero14. Il caso del «Mayaguez» non può rientrare nella fattispecie pirateria e ciò, come si può desumere dall’art. 15 di Ginevra, è dovuto sia al fatto che la cattura era stata operata da una nave da guerra, la quale può essere considerata pirata solamente se al momento della commissione dei fatti è ammutinata, sia perché nel caso concreto faceva difetto il “fine privato” che è proprio degli atti di pirateria. La proposta di considerare atti di violenza compiuti da navi da guerra come atti di pirateria è stata per lungo tempo discussa in ambito internazionale e anche all’interno della stessa Commissione di diritto internazionale che si occupò del progetto della prima Convenzione sul diritto del mare del 1958. Alla fine, però, non si vide la necessità di una tale assimilazione, dal momento che, applicando le norme internazionali sul “divieto di aggressione” o quelle sulla “rottura della pace”, tali atti illegali potevano essere perseguiti perché imputati direttamente allo Stato di appartenenza della nave da guerra. 15

Analizzando, comunque, quanto risulta dalle due Convenzioni, la qualifica di pirata è data ai membri dell’equipaggio o ai passeggeri di una nave (o aeromobile) privata o di una nave da guerra ammutinata che compiano atti di depredazione, escludendo, di fatto, navi o aeromobili da guerra poste sotto il controllo delle autorità legittime. In

14

N. RONZITTI, op. cit., p. 923.

15

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Capitolo 1 – La pirateria marittima

19 quest’ultimo caso, infatti, le attività compiute dalla nave o dall’aeromobile saranno direttamente imputabili allo Stato di appartenenza del mezzo. Il solo ammutinamento non costituisce, dal punto di vista internazionale, atto di pirateria, ma ciò non toglie che nella legislazione privata di ciascuno Stato possa essere qualificato come tale. Ne risulta che gli altri Stati non avranno motivo di intervenire a meno che non siano lesi i loro diritti. Questo concetto è accettato da vari autori, i quali riconoscono che, in tali circostanze, gli Stati stranieri debbano astenersi da qualsiasi ingerenza a meno che gli attacchi non siano perpetrati contro di essi o si verifichino nelle loro acque territoriali, nel qual caso vi sarebbe, allora, un diritto di espulsione. Quanto ora detto, vale anche nel caso di navi da guerra che si trovino nelle mani di insorti, le quali compiano azioni di guerra contro altri Stati. Al fine di permettere una risposta armata da parte di questi Stati, occorre che sia stato dato, agli insorti, il riconoscimento di comunità belligerante.16

È fondamentale anche valutare il luogo nel quale è compiuto l’atto di pirateria poiché le Convenzioni distinguono tra “atti compiuti in alto mare” e “atti compiuti in luoghi non soggetti alla giurisdizione di alcuno Stato”. Nel primo caso, gli atti criminosi devono essere compiuti nei confronti di un’altra nave oppure contro persone o beni della nave stessa (c.d. criterio delle due navi). Non è importante la

16

R. SANDIFORD, op. cit., p. 111.

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Capitolo 1 – La pirateria marittima

20 natura della nave contro cui è esercitata la violenza la quale può essere indistintamente privata o militare. Viceversa, nel luogo non soggetto alla giurisdizione di alcuno Stato, il “criterio delle due navi” non deve essere necessariamente soddisfatto e quindi gli atti possono essere compiuti anche verso persone o beni che si trovino su territorio nullius. In tal caso si è dovuto ampliare la nozione di pirateria e ricomprendervi atti delittuosi compiuti sulla terraferma dove però manchi un’autorità governativa capace di assicurare una costante prevenzione e repressione di atti delittuosi.17

Negli articoli 15 della Convenzione di Ginevra e 101 di Montego Bay si stabilisce poi che gli atti siano compiuti per “scopi personali” e alcuni autori hanno ravvisato in ciò la necessaria presenza del c.d.

animus furandi.18

Come si può ben vedere nel “Commento della Commissione di diritto internazionale” del 195619 tale elemento non è invece richiesto tanto che, la violenza, la detenzione o la depredazione possono essere commessi anche per scopi diversi dalla semplice rapina come ad esempio la vendetta. Ciò che le Convenzioni intendono escludere parlando di “scopi personali”, non è nient’altro che il fine meramente

17

N. RONZITTI, op. cit., p. 91.

18

R. SANDIFORD, op. cit., p. 110.

19

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Capitolo 1 – La pirateria marittima

21 politico degli atti delittuosi.20

Gli ultimi commi prendono in considerazione due ulteriori ipotesi: la partecipazione cosciente ad un’attività piratesca e l’istigazione o la facilitazione alla commissione di atti di pirateria. Nel primo caso, richiamando anche gli articoli 17 e 103 che definiscono il concetto di nave pirata, viene legittimato un intervento preventivo da parte degli Stati costieri che potranno operare un fermo sulla base di un semplice sospetto e senza dunque l’effettiva commissione di alcun atto da parte della nave catturata. Resta chiaro che, ai sensi degli articoli 20 e 106 delle due Convenzioni, un fermo, che risulti poi essere ingiustificato, comporterà una responsabilità nei confronti dello Stato di bandiera per qualunque danno o perdita derivanti dall’operato. Per quanto concerne l’istigazione o la facilitazione, gli Stati potranno invocare il principio della universalità di giurisdizione solo se questi atti sono avvenuti in alto mare oppure in un luogo non soggetto alla giurisdizione di alcuno Stato. 21

Dobbiamo prendere in considerazione anche la così detta “pirateria per analogia” che può sussistere sia in seguito a disposizioni d’ordine internazionale sia d’ordine interno. Per quanto riguarda queste ultime abbiamo già visto il caso dell’ammutinamento di una nave da guerra ma anche quello della pretesa di ampliare i poteri coercitivi degli Stati

20

N. RONZITTI, Diritto internazionale per gli ufficiali della Marina Militare, Roma, 1996, p. 102.

21

N. RONZITTI, Voce “pirateria”, in Enciclopedia del Diritto, , Tomo XXXIII, p. 918.

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Capitolo 1 – La pirateria marittima

22 ad azioni che vengano compiute nel mare territoriale. La caratteristica della pirateria secondo il diritto internazionale, è quella del luogo di commissione degli atti delittuosi, cioè l’alto mare. Se tali atti vengono compiuti nelle acque interne o territoriali di uno Stato, non interessa la circostanza che la posizione di norme repressive sia un’autonoma scelta statale o sia inserita all’interno della normativa internazionale. L’ordinamento interno potrà reprimere come pirateria attentati alla sicurezza della navigazione che si verifichino nelle proprie acque territoriali, al fine di evitare che lo Stato trasgredisca la norma sulla protezione degli stranieri. Anche in questo caso, comunque, i fatti delittuosi dovranno essere inseriti tra la pirateria per analogia e non in quella iuris gentium. Invece, per quel che riguarda la pirateria per

analogia nelle norme di diritto internazionale possiamo prendere in

considerazione alcuni casi concreti. Uno di questi è la “corsa irregolare”, ovvero atti compiuti da navi corsare che non si attengono alle regole di guerra. Ciò non è però accettabile perché, come abbiamo visto, il corsaro che agisce irregolarmente fa ricadere la responsabilità sullo Stato di cui batte bandiera o per il quale esso compie la corsa. Altra ipotesi era quella prevista dall’art. 3 del Trattato di Washington del 6 febbraio 1922, peraltro mai entrato in vigore, che stabiliva in tempo di guerra l’equiparazione ad atti di pirateria di azioni compiute in violazione delle regole di diritto da parte dei comandanti di un sommergibile da guerra nei confronti di navi mercantili. Il fine della disposizione, tuttavia, non era quello di ampliare il concetto di pirateria,

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Capitolo 1 – La pirateria marittima

23 ma di porre un obbligo in capo a tutti gli Stati affinché facessero rispettare le regole stabilite dal Trattato stesso, reprimendo i crimini in esso contemplati come se fossero atti di pirateria. Questo non era altro che un mezzo attraverso il quale ovviare alla mancanza del principio della universalità della giurisdizione per la repressione dei crimini di guerra.

Nell’ Accordo di Nyon, concluso il 14 Settembre 1937 al termine della guerra civile spagnola del 1937-9, si vollero considerare come pirateria le azioni compiute dai sommergibili non identificati contro navi mercantili dirette verso la Spagna. Anche in questo caso, come prima, la volontà non era quella di ampliare il concetto di pirateria, ma solo quello di trovare un escamotage attraverso il quale impedire tali azioni che pregiudicavano la libertà dell’alto mare e dei traffici marittimi22. Ultima ipotesi degna di menzione, è data da una proposta britannica del 1926, in seno alla Società delle Nazioni, tesa a qualificare la tratta degli schiavi come pirateria. Tale proposta, tuttavia, non trovò consensi e venne perciò respinta.

Quello che si deve comunque tener presente è che le disposizioni sulla

pirateria, per analogia, riguardano solamente gli Stati che sono parti

delle Convenzioni. Essa è quindi una sorta di deformazione della vera nozione di pirateria e l’assimilazione a questa ha lo scopo di sottrarre l’autore alle azioni del proprio Stato di appartenenza onde giustificare

22

(24)

Capitolo 1 – La pirateria marittima

24 un intervento da parte di qualunque Paese23.

Negli articoli 17 e 103 delle due Convenzioni si ha poi la definizione di “nave pirata”, concetto molto importante perché viene richiamato più volte anche in altri articoli:

“Una nave o un aeromobile è considerata pirata se c’è l’intenzione da parte di coloro che ne detengono il controllo di commettere atti riferibili all’art. 101 (15). Lo stesso dicasi nel caso in cui la nave o aeromobile sia stata utilizzata per il compimento di uno dei suddetti atti, a patto che sia rimasta sotto il controllo delle persone responsabili di tali azioni.”24

Si hanno, quindi, due differenti nozioni di nave (o aeromobile) pirata. Nella prima si definisce “pirata” il mezzo destinato dalle persone che ne hanno l’effettivo controllo a commettere uno degli atti di cui all’articolo 101. La nave, pertanto, anche se non ha ancora compiuto alcun delitto, è da considerarsi pirata solamente perché è armata per tale scopo. Il fatto che si richiami gli articoli 15 e 101, che qualificano un atto come pirateria solo se compiuto in alto mare o in luogo non soggetto alla giurisdizione di alcuno Stato, sembrerebbe escludere il caso in cui una nave compia un atto delittuoso nel mare territoriale di uno Stato e successivamente riesca a guadagnare l’alto mare. L’orientamento internazionale tuttavia, nonostante la dizione degli articoli, è di diverso avviso poiché, prendendo in considerazione il

23

R. SANDIFORD, op. cit., p. 113.

24

(25)

Capitolo 1 – La pirateria marittima

25 fatto che la nave sia ancora sotto il controllo delle stesse persone che hanno compiuto gli atti delittuosi, presume che la stessa continui a commettere azioni del genere anche in alto mare.25

Per quel che riguarda la seconda nozione di nave pirata, si fa riferimento al fatto che l’equipaggio abbia compiuto atti di pirateria. In questo caso, la nave non è nata per la commissione di atti pirateschi ma vi è destinata da parte di coloro che ne detengono il controllo. Questa allora sarà considerata pirata fintantoché si trovi sotto l’effettivo potere di queste persone e perderà tale qualifica nel momento in cui tale potere cesserà. Dal momento che la nave, anche se trasformata in nave pirata, non perde la sua nazionalità, le navi da guerra di altri Stati non potranno catturarla una volta che essa abbia perso la qualifica di pirata. Anche se ancora oggi sopravvivono molte dispute circa la qualifica o meno di certi atti come di pirateria, per quel che riguarda la repressione di questo reato internazionale, il diritto e la pratica sono concordi nel riconoscere alcuni importanti principi.

In base agli articoli 19 e 105 delle due Convenzioni, gli Stati hanno il potere di inseguire e far catturare dalle proprie navi da guerra o da quelle in servizio governativo, appositamente autorizzate a ciò, una nave pirata. Il diritto di visita, previsto agli articoli 22 e 110, spetta, invece, solamente alle navi da guerra e non anche a quelle in servizio

25

(26)

Capitolo 1 – La pirateria marittima

26 governativo, e la cosa appare alquanto strana perché la visita comporta un’ingerenza minore rispetto alla cattura. Una nave privata potrà difendersi da un attacco perpetrato nei suoi confronti solamente tramite la fuga, ma, una volta attaccata, potrà anche far uso della forza come legittima difesa per catturare essa stessa il pirata e condurlo al primo posto di approdo onde consegnarlo all’autorità marittima.26 Come si vede, i poteri attribuiti agli Stati sono molto ampi anche se esistono alcuni limiti. In particolare, per quanto riguarda la possibilità di esercizio di tali poteri, il primo limite, come abbiamo più volte ribadito, è quello dell’alto mare o del territorio nullius. Il secondo limite, invece, si avrà nel caso di fermo o visita fondata su sospetti poi rivelatisi infondati. Infatti, ai sensi degli articoli 20 e 22 della Convenzione di Ginevra e 106 - 110 di Montego Bay, lo Stato che ha operato il fermo sarà responsabile per gli eventuali danni arrecati alla nave. Tale responsabilità verrà però esclusa se la nave fermata ha commesso azioni atte ad ingenerare sospetti.27

Una volta che sia stata effettuata la cattura di una nave pirata, si pone il problema di quali tribunali siano competenti a giudicarla sia penalmente che civilmente. In materia penale, gli articoli 19 e 105 attribuiscono il potere ai tribunali dello Stato che effettua la cattura secondo quelle che sono le leggi nazionali. In materia civile, invece,

26

R. SANDIFORD, op. cit., p. 111.

27

(27)

Capitolo 1 – La pirateria marittima

27 sorge il problema delle regole sostanziali da applicare. Competenti saranno, infatti, gli stessi tribunali previsti dai suddetti articoli mentre, per le norme applicabili, le Convenzioni non risolvono i problemi legati alla titolarità dei diritti sulla nave e sul carico della stessa. L’unico richiamo preciso è quello alla salvaguardia dei diritti dei terzi di buona fede, lasciando i tribunali liberi di applicare la propria legislazione nazionale. Naturalmente, dal momento che ai sensi degli art. 18 e 104 la nave pirata mantiene la propria nazionalità salvo diversa disposizione da parte dello Stato di appartenenza, i suddetti tribunali potranno applicare anche le norme di un ordinamento straniero in concorso però con il principio della tutela dei terzi.

Ultimo problema da analizzare è se esista o meno un obbligo di repressione della pirateria in capo agli Stati. La risposta da dare è negativa perché le Convenzioni non impongono alcun obbligo particolarmente pregnante, ma si limitano solo ad un generico invito alla cooperazione fra Stati28. Ciò non toglie, comunque, che la pirateria sia riconosciuta come crimine internazionale e che il meccanismo per la sua repressione sia ispirato al criterio della universalità della giurisdizione.

28

Convenzione di Ginevra sull’alto mare, 1958, art. 14

Convenzione di Montego Bay, 1982, recante norme che attribuiscono agli stati i diritti e le responsabilità nell’utilizzo dei mari e degli oceani, art.100.

(28)

CAPITOLO 1 – La pirateria marittima

28 1.3. La nozione di pirateria nel diritto interno.

La pirateria viene disciplinata nel nostro Codice della Navigazione agli articoli 1135 e 1136, ovvero nella parte riguardante i delitti contro la proprietà della nave, dell’aeromobile e del carico. La particolarità dell'art 1135 è quella di unire in un'unica disposizione ciò che nel vecchio Codice della marina mercantile si trovava sparso negli articoli 320, 321 e 330. Inoltre si occupa del “reato di pirateria”:

“1. Il comandante o l'ufficiale di nave nazionale o straniera, che commette atti di depredazione in danno di una nave nazionale o straniera o del carico ovvero a scopo di depredazione commette violenza in danno di persona imbarcata su una nave nazionale o straniera, è punito con la reclusione da dieci a venti anni.

2. Per gli altri componenti dell'equipaggio la pena è diminuita in misura non eccedente un terzo; per gli estranei la pena è ridotta fino alla metà.”29

Come possiamo leggere, non è menzionata l’aggravante in caso di morte o lesioni gravi o gravissime che abbiano preceduto, accompagnato o seguito gli atti di depredazione come, invece, era previsto dal precedente art 320. Inoltre, lo scopo di depredazione è stato spostato in modo da sottolineare che questo non è richiesto nella prima ipotesi ma solamente nella seconda30.

Si può poi vedere che l'animus furandi costituisce, nel nostro

29

Codice della Navigazione, art. 1135

30

(29)

CAPITOLO 1 – La pirateria marittima

29 ordinamento, elemento imprescindibile del reato di pirateria a differenza di quanto previsto dalle Convenzioni di Ginevra e di Montego Bay. Quest'ultimo è un elemento proprio della tradizione italiana perché la dottrina ha sempre richiesto, da parte di soggetti rei l'intenzione di saccheggiare prede; infatti, anche nell'art. 320 del vecchio codice della marina mercantile si parlava di “atti di depredazione o di grave violenza”.

In conformità a quanto previsto dalla normativa a livello internazionale viene adottato il “criterio delle due navi” perché si afferma che gli atti di depredazione devono essere compiuti a danno di un’altra nave o del relativo carico, mentre gli atti di violenza a scopo di depredazione devono essere compiuti verso una persona imbarcata su un’altra nave. Dalla Relazione al Re sul Codice della Navigazione si può vedere che non viene fatta menzione del luogo di commissione del reato. Questo comporta che costituiscano pirateria gli atti elencati nella disposizione, sia che vengano commessi in acque territoriali, sia che vengano commessi in alto mare.31 Inoltre, non viene nemmeno preso in considerazione un atto di pirateria compiuto in luogo non soggetto alla giurisdizione di alcuno Stato. Ciò si spiega in quanto questo era un problema di carattere internazionale e come tale non poteva essere risolto dal diritto interno ma doveva essere oggetto di interesse di un

31

N. RONZITTI, Diritto internazionale per gli ufficiali della Marina Militare, Roma, 1996, p. 103.

(30)

CAPITOLO 1 – La pirateria marittima

30 diritto penale internazionale come avvenne successivamente32.

L'art. 1136 tratta il concetto di “presunta o sospetta pirateria”:

“1. Il comandante o l'ufficiale di nave nazionale o straniera, fornita abusivamente di armi, che naviga senza essere munita delle carte di bordo, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.

2. Si applica il secondo comma dell'articolo precedente”.33

Qui si prevede che sia posta in essere una punizione anche se non è stato ancora compiuto alcun reato. Sono i casi in cui il giudice si convinca del fatto che la nave sia destinata alla commissione di atti di pirateria, attraverso elementi come la presenza di armi o la mancanza di carte di bordo. Nella nuova legislazione è stata soppressa l'espressione “in modo da ritenersi destinata alla pirateria” perché il fatto di ritenere la nave destinata alla pirateria non costituisce un elemento esterno da cui si può conseguire un giudizio, ma rappresenta il giudizio medesimo desumibile da altri elementi come la mancanza di documenti necessari per la navigazione o la presenza di armi a bordo.34 Il termine “abusivamente” è stato poi introdotto per evitare che si qualificasse come pirata o una nave dotata di armi, o che naviga per scopi delittuosi diversi dalla pirateria, come il contrabbando, o che non sia in possesso di regolai carte di bordo a causa di eventi eccezionali.35 Il fatto che questi due articoli non facciano riferimento al luogo in cui è

32

R. SANDIFORD, p. 113.

33

Codice della Navigazione, art. 1136.

34

R. SANDIFORD, p. 113.

35

(31)

CAPITOLO 1 – La pirateria marittima

31 commesso il reato fa si che questi rientrino nelle eccezioni previste dall'ultimo inciso dell'art. 1080 in materia di sfera di attuazione delle norme penali del Codice della navigazione. La ragione di ciò sta nel fatto che questi sono dotati di un'autonoma sfera di applicazione e si ispirano al principio della universalità della giurisdizione; infatti, questo principio comporta che si abbia la persecuzione della pirateria qualunque sia il luogo in cui sia commessa e la nazionalità degli autori del reato o della nave in cui sono imbarcati36.

Occorre qui prendere in considerazione anche altri articoli del codice della navigazione sebbene non rientranti perfettamente nell'ipotesi di pirateria.

L'art. 1137 prevede il reato di “Rapina ed estorsione sul litorale della Repubblica da parte dell’equipaggio di una nave” che viene considerato come una fattispecie di pirateria per analogia.

“1. Il comandante di una nave nazionale o straniera, che sul litorale della Repubblica commette alcuno dei fatti previsti negli articoli 628, 629 del codice penale, è punito a norma dell' articolo 1135 del presente codice.

2. Si applica il secondo comma dell' articolo predetto.”37

Rispetto agli articoli 628 e 629 del Codice Penale che sono richiamati, la particolarità di tale reato sta nel fatto che gli autori, in questo caso, si servono di una nave per compiere l’impresa criminosa. Si è pensato di

36

N. RONZITTI, Voce “pirateria”, p. 928.

37

(32)

CAPITOLO 1 – La pirateria marittima

32 equipararlo, quoad poenam, alla pirateria per il fatto che tale particolarità ne rende più facile l'esecuzione e più difficile la difesa pubblica e privata.

L'art. 1138 prevede, invece, l'ipotesi di impossessamento della nave o dell'aeromobile compiuto mediante violenza o mezzi fraudolenti dai componenti dell'equipaggio.

“1. I componenti dell' equipaggio di una nave o di un aeromobile, i

quali se ne impossessano, sono puniti:

a) con la reclusione da dieci a venti anni, se il fatto è commesso mediante violenza o minaccia in danno del comandante, degli ufficiali della nave o dei graduati dell' aeromobile;

b) con la reclusione dai tre ai dodici anni, se il fatto è commesso

clandestinamente o con mezzi fraudolenti.

2. Per i promotori o per i capi la pena è aumentata fino a un terzo.

3. Se il fatto è commesso da persona estranea all' equipaggio, le pene sono ridotte di un terzo.”38

Il fatto di prevedere l'ipotesi della violenza o della frode in due numeri distinti mette in evidenza, oltre alla differenza di pena, anche la diversità negli elementi costitutivi del reato stesso.

L'art. 1139 prevede il caso dell'accordo per impossessarsi della nave o dell'aeromobile:

“1. I componenti dell' equipaggio, che in numero di tre o più si

38

(33)

CAPITOLO 1 – La pirateria marittima

33

accordano al fine di commettere il delitto previsto nell' articolo precedente, sono puniti, se il delitto non è commesso, con la reclusione fino a tre anni.

2. Per i promotori e per i capi la pena è aumentata fino a un terzo.”39

Per integrare tale fattispecie è necessario che tre o più componenti dell'equipaggio si accordino con la finalità di commettere tale reato. Una diminuzione di pena è prevista nell'ipotesi in cui l'accordo non vada a buon fine, mentre un aumento della stessa è prevista per i promotori e i capi della rivolta40.

L'Italia è parte della Convenzione di Ginevra sull'alto mare dal 1961 e ha ratificato la Convenzione di Montego Bay nel 1964. Il fatto che il nostro ordinamento prevedesse già una punizione per il delitto di pirateria, ha comportato che l'adeguamento fosse il risultato della coesistenza tra norme immesse nel nostro ordinamento tramite ordine di esecuzione e norme nazionali autonomamente emanate e contenute nel Codice della Navigazione. Possiamo notare che il nostro Codice prevede una nozione di pirateria allo stesso tempo più ampia e più ristretta di quella contenuta nelle Convenzioni;41 più ampia perché fa rientrare nella nozione di pirateria anche gli atti commessi nelle acque territoriali dello stato italiano, più ristretta perché considera, come già detto, elemento essenziale del reato l’animus furandi. Si deve a ciò aggiungere anche che il nostro Codice non prende in considerazione né

39

Codice della Navigazione, art. 1139.

40

R. SANDIFORD, p. 113.

41

(34)

CAPITOLO 1 – La pirateria marittima

34 la pirateria commessa mediante aeromobili, nonostante il fatto che la proposta di allargare l’ambito internazionale a tale ipotesi sia stata proprio italiana, né gli atti criminosi commessi dall’equipaggio o dai passeggeri di una nave contro persone o beni in territorio nullius. E’ noto che rientra nelle libertà proprie di ciascuno Stato la possibilità di punire quelle fattispecie che non sono considerate pirateria a livello internazionale, cosa che non sembra, comunque, porre problemi di incompatibilità nei confronti di entrambe le Convenzioni.

Un problema è costituito dal fatto che le norme internazionali prevedono fra le fattispecie incriminatici atti di violenza o depredazione commessi senza animus furandi, che non sono però disciplinate dal nostro ordinamento interno. Dal momento che la maggior parte della dottrina considera le norme internazionali non precettive e che l’entità della pena per tali reati non è prevista nemmeno dalle Convenzioni, ci si domanda quale sia il comportamento da tenere in questi casi. Alla luce di alcuni studi fondati su dati giurisprudenziali, si è però messo in luce come “la

disposizione pattizia...., purché sufficientemente analitica nella descrizione del comportamento vietato, possa utilizzare la parte sanzionatoria di una norma penale interna...”42

. Questo è possibile, principalmente, quando la normativa in ambito internazionale non introduce una nuova fattispecie, ma si limita ad ampliarne una già

42

L. CONDORELLI, Il giudice italiano e gli accordi internazionali. Gli accordi self-executing e non self-self-executing nell’ottica della giurisprudenza, Padova, 1974, p. 62.

(35)

CAPITOLO 1 – La pirateria marittima

35 esistente. Nel nostro caso, è ormai appurato che il giudice possa derivare la figura del reato dagli articoli 15 e 101 delle Convenzioni e la sanzione dagli articoli 1135 e 1136 del Codice della navigazione. È importante anche l’art. 1137 che, trattando i casi di rapina o estorsione commessi sul litorale del nostro Stato, sarà estensibile in modo conforme ai casi di pirateria commessa dall’equipaggio di una nave contro persone o beni in territorio nullius.

Entrambe le Convenzioni poi, concedono agli Stati il potere di intercettare una nave pirata o visitare una nave sospetta di pirateria. Tale potere di polizia in alto mare, nel nostro Codice è attribuito alle navi da guerra ai sensi dell’art. 200, e non anche a quelle in servizio governativo, ed è previsto solo nei confronti di navi nazionali. L’art. 202 poi, limita il suddetto potere solo ai casi di navi sospette di dedicarsi alla tratta degli schiavi. L’entrata in vigore delle due Convenzioni ha apportato una modifica integrativa ai suddetti articoli anche in questo caso, tanto da poter affermare con certezza che le navi da guerra italiane hanno il potere di catturare o visitare una nave pirata o anche sospettata di pirateria, sebbene questa non sia di nazionalità italiana.

Nel nostro ordinamento il crimine “pirateria” ha una rilevanza importante anche nell’ambito della disciplina dei rapporti di diritto privato, per cui a questo punto, secondo l’iter finora seguito, dovremo richiamare sia norme di diritto internazionale che norme interne.

(36)

CAPITOLO 1 – La pirateria marittima

36 Il primo aspetto da analizzare è quello in materia di nazionalità: l’art. 18 della Convenzione di Ginevra e l’art. 104 di Montego Bay stabiliscono che una nave o un aeromobile, una volta divenuti pirata, possono mantenere la propria nazionalità conformemente a quanto stabilito dalla legge dello Stato di appartenenza del mezzo. Il nostro Codice della navigazione, nella parte che tratta le varie fattispecie che comportano la perdita di nazionalità per una nave (o aeromobile), non include il reato di pirateria , da cui ne consegue che una nave (o aeromobile) pirata italiana mantiene comunque la propria nazionalità. L’ultima parte degli articoli 19 e 105 delle due Convenzioni è di importanza per l’argomento fin qui trattato: in materia di misure da prendere nei confronti del mezzo pirata e di pene da infliggere ai colpevoli, tali articoli fanno salvi i diritti dei terzi in buona fede. La disposizione è abbastanza sommaria e lascia agli Stati ampi margini di operatività. Il Codice italiano della navigazione, a differenza di quanto stabiliva il vecchio art. 334 del Codice della marina mercantile, non dispone esplicitamente la confisca di una nave che sia divenuta pirata, ma tale misura può comunque essere adottata sulla base dell’art. 240 del Codice Penale che si occupa, come sappiamo, della “confisca delle

cose che servirono o furono destinate a commettere il reato”. La

confisca sarà allora possibile se gli autori sono anche proprietari di tali cose43.

Per quel che riguarda la titolarità dei già menzionati “diritti dei terzi in

43

(37)

CAPITOLO 1 – La pirateria marittima

37 buona fede”, la disciplina da adottare è diversa a seconda che si prenda in considerazione la nave o il carico della stessa. I diritti reali sulla nave, ad esclusione del possesso, saranno disciplinati, ex art. 6 del Codice della Navigazione, dalla legge dello Stato di bandiera. Viceversa, la disciplina da applicare alle cose oggetto di depredazione che si trovano sulla nave, sarà quella del luogo in cui queste si trovano.44

Gli ultimi due articoli del Codice della Navigazione che menzionano la pirateria sono il 422, in materia di responsabilità del vettore, e il 521 relativo all’assicurazione contro i rischi della navigazione. Il primo articolo stabilisce che il vettore è responsabile della perdita o delle avarie delle cose consegnategli per il trasporto, dal momento in cui le riceve al momento in cui le riconsegna ma che, nel caso in cui i danni derivino da pirateria, debba essere dimostrata anche la colpa sua o dei dipendenti e preposti. La semplice pirateria, dunque, rientra fra i così detti “pericoli eccettuati” ed è considerata come causa di esclusione della responsabilità del vettore. L’art. 521, invece, pone a carico dell’assicuratore di una nave “...i danni e le perdite che colpiscono le

cose assicurate per cagione di....pirateria...”. A questo proposito è di

fatto sufficiente, in caso di risarcimento, il semplice atto di pirateria. Come abbiamo visto, il concetto di pirateria proprio del nostro Codice, differisce da quello internazionale, in particolare per quanto riguarda il luogo in cui vengono compiuti gli atti di depredazione. Ci si domanda

44

(38)

CAPITOLO 1 – La pirateria marittima

38 a quale dei due concetti, quello internazionale o quello proprio del nostro Codice ci si deve rifare per l’applicazione dei suddetti articoli. Secondo l’art. 422 il vettore sarà esonerato da responsabilità sia che l’atto di depredazione sia avvenuto in alto mare, sia che sia avvenuto in acque territoriali, in accordo con la nozione data dalle due Convenzioni che non ha modificato quanto stabilito dal nostro Codice. Viceversa, se si accoglie la tesi contraria, la depredazione avvenuta in acque territoriali non potrebbe valere come causa di esonero della responsabilità, tranne nel caso in cui ricadesse nei “pericoli eccettuati” elencati nel secondo comma dell’art. 422. Tra le due soluzioni la prima è da preferire, in quanto non è intenzione delle Convenzioni stravolgere la regolamentazione dei rapporti privatistici che oltretutto non regolano le fattispecie delittuose assimilabili alla pirateria che siano avvenute in acque territoriali.45

L’ipotesi dell’articolo sub art. 521 non pone problemi interpretativi nell’affermare che “sono a carico dell' assicuratore i danni e le perdite

che colpiscono le cose assicurate...per tutti gli accidenti della navigazione”.46

Ne risulta che i pericoli elencati nell’articolo sono menzionati a scopo esemplificativo e che non riveste importanza il luogo in cui avviene la depredazione, dato che l’assicurato sarà comunque coperto. Tuttavia, a livello contrattuale, le parti potranno limitare o escludere un rischio tramite l’introduzione di una clausola

45

N. RONZITTI, op. ult. cit., p. 931.

46

(39)

CAPITOLO 1 – La pirateria marittima

39 che faccia riferimento alla nozione di pirateria iuris gentium, con la conseguenza che la polizza non si farà carico dei danni scaturiti da atti

criminosi compiuti in acque territoriali. 47

47

(40)

Capitolo 1 – La pirateria marittima

40 1.4. Confronto con altri fenomeni di violenza sul mare.

La differenza fra il fenomeno della pirateria e altri casi di violenza sui mari non è sempre chiara, in quanto per la repressione della pirateria lo Stato ha la possibilità di fermare una nave in alto mare, mentre tale diritto non può essere esercitato nei confronti di altri crimini.

Le manifestazioni di violenza che si possono verificare sui mari sono: · il terrorismo.

Come analizzato precedentemente, la nozione di pirateria che si esplica con le due convenzioni (C. Di Ginevra e C. Di Montego Bay) è, per alcuni aspetti, diversa da quella del Codice della Navigazione. Innanzi tutto dobbiamo affermare che il reato di terrorismo marittimo non viene preso in considerazione né all'interno delle Convenzioni né all'interno del nostro Codice della navigazione. Questa è un'ipotesi abbastanza recente che si è posta nell'interesse della Comunità internazionale soprattutto dopo il caso dell’ “Achille Lauro” 48.

Ardua impresa è infatti recuperare una definizione di terrorismo che sia soddisfacente ed univoca in senso assoluto, data la sua ampiezza e contingenza storico – politica. Tale reato si caratterizza per una notevole libertà di forme che si manifestano in una pluralità di condotte criminose difficili da riunire nell'ambito di un'unica norma incriminatrice. Questi sono stati i motivi per i quali non è mai entrata

48

il dirottamento dell'Achille Lauro fu un atto terroristico avvenuto nel 1985 da parte di un gruppo di terroristi palestinesi che sequestrò la nave da crociera Achille Lauro. Durante il sequestro fu perpetrato l'omicidio di Leon Klinghoffer, un cittadino americano di origine ebraica.

(41)

Capitolo 1 – La pirateria marittima

41 in vigore la Convenzione di Ginevra del 16 novembre 1937 per la prevenzione e repressione del terrorismo, la quale dava una definizione tautologica del fenomeno e si limitava solo a fornire un elenco di manifestazioni terroristiche.49

A fronte di tali difficoltà si preferì seguire una diversa strategia ovvero quella dell' “approccio settoriale” al fenomeno consistente nell'emanare una serie di Convenzioni specifiche che fornissero una descrizione precisa della fattispecie nelle relative norme incriminatrici.50

Le divergenze tra il reato di pirateria e quello di terrorismo marittimo si possono individuare nei seguenti punti.

Il primo punto di divergenza consiste nel fatto che il nostro Codice della Navigazione ritenga essenziale, per il reato di pirateria, la presenza dell’elemento animus furandi. Al contrario, le Convenzioni escludono tale componente ma parlano comunque di fini privati dell’azione piratesca. Invece, un’azione terroristica, anche nell’ipotesi in cui manifesti tutti gli altri aspetti previsti dalla legislazione nazionale o internazionale in materia di pirateria, non può rientrare in tale ambito perché alla sua base ha un fine meramente politico e destabilizzante. I gruppi terroristici hanno, come finalità principale, quella di porre in essere azioni violente dirette a generare uno stato di

49

A. PANZERA, Gli accordi di Roma per la repressione di atti illeciti contro la sicurezza della navigazione marittima e delle installazioni fisse collocate sulla piattaforma continentale, in La Com. Int., 1988, p. 421.

50

(42)

Capitolo 1 – La pirateria marittima

42 panico, di timore collettivo e, allo stesso tempo, a creare una notevole sfiducia nelle capacità degli organi istituzionali a garantire l'incolumità pubblica.

Su un piano oggettivo poi, la dottrina penalistica osserva che l'atto terroristico si caratterizza per alcuni elementi peculiari riguardanti:

1. la qualità della persona offesa, che rappresenta in qualche modo le istituzioni;

2. la potenzialità dell'offesa, capace di rivolgersi a persone indeterminate e, quindi, di ingenerare timore nella collettività; 3. l'estraneità delle vittime, in quanto queste sono scelte non per i

loro individuali rapporti interpersonali con il terrorista, ma per i loro rapporti con le istituzioni o per il solo fatto di essere membri della società51.

Il secondo punto di divergenza tra i due reati è quello del rispetto o meno del coì detto criterio delle due navi ai fini della configurazione del reato accolto sia all'interno delle Convenzioni che nel nostro Codice; infatti, si prevede tale criterio stabilendo che gli atti delittuosi debbano essere diretti verso altra nave o verso merci che si trovino, comunque, su un’altra nave.52 Invece, nel caso del reato di terrorismo marittimo, gli atti delittuosi sono compiuti da persone dell’equipaggio o comunque da persone imbarcate contro la nave sulla quale si trovano

51

M. Ronco, Voce “terrorismo” in Noviss. Dig. It., Tomo VII , p. 752 ss

52

Convenzione di Ginevra, art. 15. Convenzione di Montego Bay, art 101. Codice della navigazione, art. 1135.

(43)

Capitolo 1 – La pirateria marittima

43 e non necessariamente contro altra nave. Il soggetto aggredito, dunque, per configurare il reato di pirateria, non è “esterno” ma “interno” alla stessa. Inoltre, per configurare il reato di pirateria, è necessario che la nave si trovi in alto mare e questo è un elemento che non rileva nell'azione terroristica ben potendo, la nave, trovarsi sia nel mare territoriale di uno Stato che in alto mare.

Infine da rilevare è che, come sappiamo, la pirateria, essendo crimine

juris gentium soggetto ad una giurisdizione universale, ha significato

solo se la nave pirata non si trovi sotto il controllo di qualsiasi Stato; infatti, una nave che navighi senza alcuna bandiera di appartenenza, legittima ogni Stato al suo fermo o alla sua cattura53. Viceversa, una nave che sia sottoposta ad azione terroristica non perde la sua nazionalità ma anzi la mantiene, motivo che rende legittimo un intervento da parte dello Stato di bandiera.

· I movimenti di liberazione nazionale.

Questi sono apparati politico-militari tesi all'indipendenza e alla conquista della sovranità di una minoranza etnica, possono assumere la forma di partiti, organizzazioni politico-militari, embrioni di apparati di Stato.

· Weapon of Mass Destruction.

La pirateria è fenomeno che non ha niente che vedere con il traffico di distruzione di massa, fenomeno ostacolato da un'iniziativa disciplinata

53

F. FRANCIONI, Maritime terrorism and international law: The Rome Convention of 1988, in German yearbook of international law, 1988, p. 266 ss..

(44)

Capitolo 1 – La pirateria marittima

44 da intese informali (non vincolanti) cioè la Proliferation Security Initiative (PSI). In questo caso non è consentito effettuare il fermo di una nave in alto mare a meno che lo Stato della bandiera non abbia dato il consenso54.

54

N. RONZITTI e F. CAFFIO, La pirateria: che far per sconfiggerla? , in Istituto Affari Internazionali, 2012, p. 4.

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