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Capitolo 3 Esperienze di emigrazione femminile ricostruite attraverso le testimonianze orali della famiglia Mastorci

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Capitolo 3

Esperienze di emigrazione femminile ricostruite attraverso le

testimonianze orali della famiglia Mastorci

3.1 La vita di Antonietta Marchi prima di partire per il baliatico

La storia della famiglia Mastorci, riassunta attraverso le interviste effettuate ai discendenti di Antonietta Marchi, consente di approfondire varie problematiche dell’emigrazione indipendente della donna (quindi non legata alle partenze maschili) durante la prima metà del Novecento, sia per le balie da latte al servizio delle famiglie benestanti, sia per le domestiche, queste ultime impegnate in un ruolo meno gratificante da un punto di vista della posizione sociale. Il complesso quadro che è stato possibile delineare non solo ha confermato, almeno per quanto interessava le scelte delle emigranti e delle famiglie che richiedevano la loro collaborazione, le informazioni che solitamente vengono riportate dalla abbastanza estesa bibliografia scritta sull’argomento, ma sono emersi anche comportamenti sociali inaspettati meritevoli di essere attentamente analizzati tenendo presenti proprio le nozioni generali della ricerca storica.570

Antonietta Marchi nacque a Monzone il 25 marzo 1911 da una famiglia di agricoltori; il padre, Leopoldo Marchi, oltre a occuparsi della lavorazione di alcuni piccoli terreni di sua proprietà e dell’allevamento del bestiame, era impiegato come dipendente nelle cave di marmo presso la località “Al sagro”, non molto distante dalla città di Carrara.571 Dovendo rimanere fino al sabato lontano da casa per la sua professione, lasciava che fossero la moglie Rachele Penucci e i figli Dionella, Rinaldo e Antonietta a occuparsi della terra e del

570 Per l’utilizzo delle fonti orali nella ricerca storica cfr. G. CONTINI e A. MARTINI, Verba manent. L’uso

delle fonti orali per la storia contemporanea, Roma, Carrocci Editore, 1993.

571 Le informazioni sulla gioventù di Antonietta Marchi sono state raccolte durante l’intervista eseguita il 16

maggio 2011 a Monzone alla discendente Andreina Mastorci, primogenita dell’emigrata, che ha potuto ricostruire la vita di quest’ultima anche attraverso quanto le era stato raccontato da piccola dai parenti. Al tempo del primo baliatico di Antonietta la figlia aveva circa sei o sette anni, ma ha conservato una memoria chiara di quel duro periodo dell’infanzia a causa delle privazioni che dovette sopportare.

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bestiame in sua assenza, caricando la famiglia di grosse responsabilità tenendo conto che il suo sostentamento dipendeva in parte dalla riuscita del raccolto. Come accadeva nella maggior parte dei terreni dei pochi piccoli proprietari della Lunigiana, anche i Marchi producevano varie colture allo scopo di rendersi autosufficienti almeno a livello alimentare. Nella loro tenuta ai cerali, in particolare grano e granturco, e ai vari ortaggi (seminati nei campi adiacenti ai corsi d’acqua per permettere l’irrigazione) si affiancavano l’ulivo, la vite, e, inevitabilmente essendo un luogo di montagna, una buona porzione di terreno era occupata dal castagneto.572

La presenza della moglie e delle figlie nell’attività agricola familiare dimostra come di frequente la donna potesse essere responsabilizzata dal capofamiglia anche senza che quest’ultimo si trasferisse in un luogo distante. Infatti nel caso di Leopoldo Marchi non si può assolutamente parlare di emigrazione, ma solo di una condizione simile a quella di un moderno lavoratore pendolare, eppure le sue brevi assenze dall’abitazione erano sufficienti per richiedere da parte dei familiari almeno una certa autonomia nel lavorare la terra. Ciò avveniva perché quasi mai quest’ultima era sufficiente a fornire il sostentamento, condizione che costringeva il marito e i figli maschi in età da lavoro a svolgere altri mestieri nel settore primario e nell’artigianato per integrare le limitate possibilità economiche delle comunità rurali.573

Antonietta, benché fosse la più piccola dei tre figli, fin da giovanissima manifestò un carattere e una forza fisica simili a quelli di un uomo, che non solo la aiutarono a lavorare con profitto come contadina, ma le furono utili anche in seguito, quando fu costretta a emigrare per svolgere la professione di balia.574 La domenica sera in previsione della sua partenza Leopoldo lasciava detto alla

572 I criteri di Leopoldo nell’amministrare la sua piccola proprietà agricola sono stati illustrati dal discendente

Piero Mastorci, che oggi coltiva le terre ereditate dalla sua famiglia, intervistato a Monzone il 23 maggio 2011.

573 La capacità della società rurale di integrare l’attività agricola con lavori artigianali e commerciali, anche

svolti durante le migrazioni, di modo che i paesi montani non apparivano popolati solo da contadini strettamente legati al loro lavoro, viene ribadita anche in P. BEVILACQUA, Società rurale e emigrazione, in AA. VV.,

Storia dell’emigrazione italiana, cit., p. 96.

574 Andreina ha insistito sulla personalità particolarmente forte della madre e sulla sua robusta costituzione fisica,

perché non solo furono importanti per le sue professioni di balia e di contadina, ma anche per la decisione di non rinnegare le abitudini ereditate dalla società rurale nel periodo di emigrazione.

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figlia quali erano i lavori da eseguire nel castagneto, sicuramente la parte della piccola tenuta Marchi di maggiore rilievo per il sostentamento della famiglia, quali insetticidi o concimanti dare alle viti e come curare il resto della coltivazione, e sia la madre, sia Dionella e Rinaldo riconoscevano nella sorella un punto di riferimento per la buona riuscita dei raccolti. Era lei a impegnarsi maggiormente nei lavori più faticosi e urgenti, ma sempre seguendo le direttive del padre, che non permetteva ai familiari di prendere decisioni, perché mai avrebbe sopportato che la moglie o i figli non rispettassero la gerarchia prevista nelle comunità rurali, dove il capofamiglia aveva non solo il dovere ma anche il diritto di imporre la sua volontà.575

Il 1 maggio 1932 Antonietta si sposò con Emiliano Mastorci,576 un giovane che svolgeva la stessa professione di suo padre e che era proprietario di un piccolo appezzamento di terreno situato sempre nel paese di Monzone. Erano gli anni della piena affermazione del fascismo e della crisi economica seguita al crollo della borsa di Wall Street, che nelle frazioni di montagna fece sentire i suoi effetti negativi sull’economica rurale in modo maggiore rispetto a quanto accadde nelle aree pianeggianti.577 Emiliano, poiché aveva rifiutato di piegarsi al regime e fare la tessera del partito, non trovava più lavoro nei pressi del paese di origine e per mantenere la sua famiglia doveva recarsi in bicicletta a Pontremoli, dove aveva avuto un impiego presso un cantiere per la costruzione di un’arteria stradale. La sera di solito non poteva fare ritorno alla sua abitazione per l’eccessiva distanza da percorrere, così insieme ai compagni di lavoro accettava l’ospitalità dei contadini del posto, che permettevano alla manovalanza di alloggiare nelle loro capanne.

575 Piero ricorda che gli zii Rinaldo e Dionella si sono sempre dimostrati fieri delle costanza nel lavorare la terra

della sorella Antonietta.

576 Una fotomontaggio degli anni quaranta, catalogato con il codice 708 (MEGT), unisce due immagini di

Emiliano e Antonietta all’età del matrimonio.

577 A. DADÀ, Migrazioni interne / migrazioni estere: Bagnone, Lunigiana, 1840-1940, in L’Italia in

movimento…cit., pp. 235-236: l’autrice spiega come durante l’età contemporanea la popolazione della montagna

toscana abbia perso la possibilità di trarre guadagno dai traffici commerciali che si erano istaurati tra i paesi appenninici e l’area pianeggiante nei secoli XVII e XVIII per il rifornimento di carne e legname, con un aumento delle migrazioni.

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Emiliano avrebbe sicuramente avuto una sistemazione lavorativa migliore se avesse ceduto alle richieste dei rappresentati locali del partito fascista, ma né lui né il suocero e il cognato vollero rinnegare i loro ideali politici, anche se non misero mai in pratica il loro antifascismo contrastando con proteste o sabotaggi il regime. Leopoldo e Rinaldo, infatti, ricevettero più volte la visita nelle tarde ore della sera di personaggi influenti della sezione di Pontremoli, che però si limitarono sempre a un’opera di persuasione, senza mai azzardarsi a punire i Marchi e i Mastorci in modo violento.578

La possibilità di disporre di terreni propri dove produrre le colture diffuse

nell’economia rurale della Lunigiana permise alle due famiglie di evitare la partenza degli uomini, che ritenevano assai più conveniente alternare l’attività di dipendente con un’accurata gestione della loro attività agricola, invece di andare in cerca di opportunità di guadagno all’estero. Come spesso accadeva nelle località poste tra le Alpi e gli Appennini, l’emigrazione era finalizzata al risparmio del denaro sufficiente ad acquistare un limitato appezzamento di terra, ma quando già si aveva una proprietà agricola lasciare il luogo di origine, almeno per la manodopera non qualificata, perdeva significato.579 Diversa era la condizione dei braccianti monzonesi senza terra impegnati nelle tenute dei Giannetti, dei Bernardini e degli Angeli, che trattenevano ai loro sottoposti oltre metà del raccolto come previsto ormai per consuetudine secolare dal contratto mezzadrile; le persone costrette a sopportare le imposizioni dei signori speravano di rendersi indipendenti con l’investimento delle rimesse.580

3.2 La prima esperienza come balia di latte.

Quando l’uomo si dedicava alla coltivazione del proprio appezzamento di terreno era possibile che fosse la donna, in relazione alle sue capacità, a rendersi

578 Antonietta Marchi raccontava alle figlie le visite serali degli esponenti locali del partito fascista, sottolineando

come rappresentassero motivo di grande fastidio per il padre, il fratello e il marito, che le sopportavano solo per non tradire i propri ideali politici.

579 Come è già stato dimostrato nei capitoli precedenti, solo gli emigranti interessati ad accrescere le loro

capacità lavorative perché in possesso di particolari qualifiche professionali potevano decidere di partire anche se nel luogo di origine avevano già i mezzi di sostentamento sufficienti.

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disponibile a lavorare per un periodo di solito di breve durata lontano dal luogo di origine, decisione che di frequente veniva presa in seguito alle pressioni dei familiari del marito; erano queste le condizioni che determinavano la partenza della maggior parte delle balie da latte.

Antonietta Marchi dovette prendere in considerazione la possibilità di partire quando la sua famiglia si trovò nell’indigenza con la chiusura del cantiere in cui lavorava Emiliano, che fu costretto a limitarsi alla coltivazione dei campi, e la nascita del terzogenito Piero nel 1938, preceduto da Andreina e da Giovanni nati rispettivamente nel 1932 e nel 1935, a cui seguirono Emiliana nel 1941, Maria nel 1944, Rina nel 1947 e Ada nel 1949581. Ma per il suo carattere forte la giovane madre volle assolutamente prendere questa decisione, fondamentale per il futuro dei suoi figli, in modo autonomo, valutando tutti gli aspetti che presentava il problema.

A convocarla fu una donna conosciuta presso la popolazione di Monzone come la rossa582 (forse per il colore dei capelli), che rimase colpita dalla robustezza e dalla salute di Antonietta, doti importanti per una puerpera disposta a dare il suo latte al figlio di una famiglia benestante dietro compenso. La contadina accettò di emigrare a Genova presso la famiglia del signor Mario Mazzola, proprietario dell’azienda che tutt’oggi produce il tonno Maruzzella, per allevare il secondogenito Bruno, compito che in base alle regole stabilite dalla signora Livia, moglie dell’imprenditore, doveva impiegare Antonietta a tempo pieno, senza che la balia fosse costretta a dedicarsi ad alcun tipo di lavoro domestico. A spingere verso tale decisione per la seconda volta la ricca signora,

elencano le cause che determinarono le partenze dalle aree montuose, sul contratto mezzadrile si specifica che su un quintale di raccolto il signore ne tratteneva il sessanta per cento come pagamento dell’affitto del terreno. Ma ancora peggiori erano le condizioni economiche dei braccianti agricoli, che non avevano alcun modo di contrattare il loro salario, fissato a un massimo di una lira al giorno; l’unica possibilità che i proprietari terrieri concedevano loro era di lavorare molti giorni all’anno, in modo da accumulare un guadagno mensile sufficiente a soddisfare almeno le necessità alimentari.

581 In un’immagine presa dall’Archivio della famiglia Mastorci datata 20 luglio 1952 compaiono Emiliano e

Antonietta con i loro sette figli presso l’abitazione di Monzone.

582 Questa donna, dopo aver lavorato per alcune famiglie aristocratiche genovesi, svolgeva il ruolo di agente per

procacciare impiego alle balie, attività conosciuta in alcuni paesi di montagna con il termine di metti nene, usato anche in A. M. BAZOLLE, Il possidente bellunese, ristampato a cura di Daniela Perco, Feltre, Tip. Bernardino, 1986-1987, p.251, dove si ricorda che di solito era il capofamiglia a raccomandarsi affinché la giovane madre avesse una collocazione.

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che aveva affidato anche il primogenito Igino583 a una ragazza rimasta nella sua abitazione dopo lo svezzamento, era stata la necessità, diffusa tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento presso le famiglie borghesi, di curare i rapporti sociali e la propria immagine di donna benestante senza i limiti che prevedeva accudire un neonato. Tale mentalità Livia la aveva ereditata dai suoi genitori, che malgrado appartenessero a una famiglia aristocratica decaduta, non avevano mai rinunciato ai privilegi previsti dalla loro posizione sociale. Antonietta non era la prima donna della famiglia Marchi che partiva per allevare un neonato di una signora benestante: era stata preceduta due anni prima dalla sorella Dionella, che aveva lavorato sempre a Genova come balia asciutta presso una famiglia di origine elvetica, quindi sapeva bene che emigrando avrebbe dovuto sopportare il dolore di abbandonare i propri figli, in particolare di non poter allattare il piccolo Piero.584

Inizialmente quest’ultimo fu affidato a una balia residente a Monte dei Bianchi, un paese non distante da Monzone, con l’accordo che la donna per il suo servizio avrebbe percepito una percentuale dei guadagni della Mastorci; era una delle contadine che, come accadeva di frequente nelle località di montagna, una volta partorito sostenevano di essere abbastanza robuste per provvedere al nutrimento di altri bambini oltre al proprio. Secondo Adriana Dadà585 la possibilità di svolgere il lavoro di balia tra le mura domestiche consentiva alla puerpera di non separarsi dal proprio bambino, anche se portava un guadagno limitato, meno di un terzo di quanto si poteva avere partendo, di conseguenza le donne che sceglievano questa soluzione dovevano, anche attraverso mezzi illeciti, cercare di accrescere i loro introiti.

583 Nel sito www.tonnomaruzzella.it Igino Mazzola viene citato come successore di Mario nella società per azioni

derivata dall’azienda del padre. Anche Bruno Mazzola ha probabilmente sempre lavorato nella ditta, ma Andreina non è stata in grado di affermarlo con certezza, perché quando si impiegò diversi anni dopo il baliatico della madre come domestica presso la signora Livia i sottoposti non si permettevano di chiedere ai padroni quali erano i loro impegni e anche la figlia di Andreina non era a conoscenza delle attività che svolgevano i membri della famiglia genovese.

584 Andreina ha sottolineato nella sua intervista che fino a tarda età l’unico rimpianto della madre rimase sempre

aver dovuto abbandonare i figli per fare la balia, dispiacere condiviso con le donne che emigrando avevano fatto la sua stessa professione.

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Sicuri di affidare Piero a una persona competente, Emiliano e i nonni inizialmente decisero di non controllare la puerpera per non mettere in dubbio le sue capacità, ma quando, un mese dopo il collocamento del neonato, andarono a visitarlo lo trovarono in un avanzato stato di denutrizione.586 Se il padre non lo avesse ripreso, le scarse cure della donna, che si approfittava della lontananza della madre per trarre il maggior beneficio dalla propria professione, avrebbero causato il decesso del bambino, che aveva contratto una gastroenterite. 587 L’agricoltore acquistò una mucca per poter nutrire il piccolo con il latte dell’animale, ritenuto più adatto a livello nutritivo del latte di pecora di cui la famiglia Mastorci già disponeva in buone quantità, e fu solo grazie a tale espediente che Piero poté sopravvivere. Anche Andreina e Giovanni soffrirono molto per la mancanza della madre, malgrado le zie e le nonne facessero quanto era loro possibile per aiutare Emiliano ad allevare i bambini e comprendessero che la partenza di Antonietta era stata l’unica soluzione possibile ai due sposi per affrontare un momento economico estremamente difficile.588 La primogenita racconta che si vergognava perfino di frequentare la scuola perché non poteva presentarsi in ordine come era necessario essere.

Durante una breve visita a Monzone, rivedendo i suoi figli, la prima preoccupazione di Antonietta fu quella di adoperarsi per sistemarli in modo adeguato, esternando in quell’occasione, come fece varie altre volte fino a tarda età, il grande dolore che si prova a lasciare i propri bambini per andare ad accudire quelli di una nobildonna con cui non si ha nemmeno un rapporto di parentela. Fu l’unico soggiorno breve della balia nel luogo di origine per il periodo in cui rimase a servizio presso la famiglia Mazzola, che sosteneva di non poter fare a meno della Mastorci, tanto che Livia riuscì a impedire la sua

586 Il signor Giovanni Arcangeli, legato da una vecchia amicizia alla famiglia Mastorci, ha specificato

nell’intervista realizzata a Monzone il 16 maggio 2011 che la storia del piccolo Piero è ricordata dagli abitanti del paese come una vicenda particolarmente grave.

587 Il problema delle Killers-nurses viene citato nel quinto capitolo della prima parte e dall’intervista ad Andreina

emerge che questo genere di balie erano presenti anche nei paesi della montagna toscana.

588 Nella sua intervista il signor Arcangeli ha spiegato che la necessità delle giovani madri di partire per il

baliatico al fine di incrementare le scarse risorse economiche delle famiglie rurali di Monzone era nota a tutta la popolazione e per tale motivo questo genere di emigrazione non era oggetto di alcun tipo di critiche o accuse da parte dei moralisti.

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partenza anche quando Emiliano fu chiamato dall’esercito e per un breve periodo ci fu il rischio, poi scongiurato dal ritardo con cui l’Italia entrò nella seconda guerra mondiale, che dovesse andare a combattere.589

Malgrado la difficoltà nell’accettare la condizione di balia, Antonietta riuscì a inserirsi nella famiglia genovese che fece di tutto per rendere il soggiorno della contadina toscana piacevole, sia per quanto riguardavano i livelli alimentari, sia nell’offrirle la possibilità di provare gli agi previsti dal rango sociale a cui la signora Livia apparteneva. Sicuramente i coniugi Mazzola ritenevano fondamentale che la balia fosse emotivamente serena, dando credito alla convinzione diffusa presso le famiglie borghesi del tempo che il latte di una donna depressa era molto meno nutritivo. Alcune volte però, malgrado tutti i riguardi, i genitori di Bruno mettevano alla prova la loro sottoposta, come quando, al ritorno dalla passeggiata nel corso, svegliavano di proposito il neonato coricato accanto alla balia che, sempre in stato di dormiveglia, per dimostrare la sua dedizione al lavoro iniziava immediatamente a dondolare la culla per calmare il piccolo.590

La professionalità con cui Antonietta svolgeva il suo lavoro spingeva anche il primogenito Igino ad avvicinarsi a lei, con dispiacere di Angela, la balia asciutta proveniente da un paese vicino a Monzone incaricata di allevare il bambino, che capiva di essere meno apprezzata dal suo assistito rispetto alla collega.

La Marchi, come spesso accadeva alle ragazze che si trovavano nella sua condizione, rimase colpita dal tenore di vita dei Mazzola, non solo per la grande ricchezza, dimostrata dai tantissimi fiori che adornavano la loro abitazione, per la qualità dell’alimentazione e per l’eleganza degli abiti, ma anche per l’apertura mentale. Malgrado ciò, in più occasioni provò una forte avversione per il modo con cui i padroni ostentavano il loro benessere. La signora Livia e la sua

589 Andreina ha spiegato che la necessità della signora Livia di avere sempre Antonietta a disposizione era,

secondo i membri della famiglia Mastorci, una prova della buona qualità del servizio che la balia offriva ai suoi datori di lavoro.

590 Andreina ricorda che quando lei e le sorelle decisero di partire per andare a fare le donne di servizio la madre

fece loro alcune raccomandazioni perché, per quanto sosteneva Antonietta, ci voleva professionalità per essere benvolute dalle famiglie benestanti, abituate alle prestazioni migliori quando si trattava delle balie e della servitù.

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famiglia sembravano provare disprezzo per la povertà, come se quest’ultima fosse una colpa delle persone umili e non una difficoltà, e rifiutavano ogni forma di filantropia. A pranzo e a cena si servivano solo pietanze appena cucinate, ma i resti del pasto venivano ogni volta gettati via, senza pensare che in città c’erano tante famiglie bisognose che avrebbero giovato di quegli avanzi.

Per i vari comportamenti che mettevano in evidenza il disinteresse dei Mazzola verso i problemi del popolo e per il solido legame con le sue abitudini, la Marchi stabilì con la signora Livia che non avrebbe mutato il suo stile di vita e, una volta finito il servizio presso il figlio Bruno, sarebbe tornata a Monzone. La determinazione nel non perdere il contatto con le proprie radici culturali rappresenta una reazione abbastanza inusuale per la storia del baliatico. Di solito le emigrate creavano notevoli problemi alle loro famiglie quando, una volta di ritorno, dovevano riadattarsi alla povertà della società rurale,591 ma non sempre si manifestavano tali difficoltà e lo dimostra la naturalezza con cui la Marchi riprese l’attività agricola il giorno dopo aver abbandonato la casa dei Mazzola, dove rimase circa un anno, senza provare alcun genere di rimorso.

Antonietta fece ritorno a Monzone negli ultimi mesi del 1939.

3.3 La partenza per il Piemonte

I bassi livelli alimentari e le molte privazioni della popolazione montana alla fine degli anni trenta dimostravano che nelle aree svantaggiate la crisi economica non era mai stata superata; eppure in una situazione talmente critica la famiglia Mastorci riuscì a sopravvivere per oltre due anni dopo il ritorno di Antonietta da Genova, facendo ancora affidamento alle risorse che Emiliano poteva ricavare dalla coltivazione dei suoi terreni.592 Ma nel 1941 la Marchi rimase di nuovo in stato interessante. Partorì Emiliana il 19 ottobre di ritorno dal castagneto, ma inizialmente cercò di evitare di ripetere l’esperienza del baliatico,

591 Arcangeli ha sostenuto che anche a Monzone, malgrado il solido attaccamento delle ragazze alla cultura

locale, alcune balie e domestiche vissute presso famiglie borghesi al loro ritorno ebbero difficoltà a riadattarsi ai ritmi della società rurale.

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tanto era stato difficile per lei accettare due anni prima la lontananza dai suoi bambini; a spingerla verso questa decisione fu anche la certezza che Emiliano, in base alle normative dell’esercito, non sarebbe dovuto andare in guerra perché padre di quattro figli.593 Dopo otto mesi, malgrado Antonietta non avesse mutato i suoi sentimenti, fu però costretta dalle necessità economiche ad accettare una nuova proposta della rossa, che continuava a svolgere l’attività di agente per le famiglie benestanti interessate a usufruire del buon latte delle balie luniginesi. Proprio perché la qualità del latte era la caratteristica fondamentale che doveva dimostrare di avere una balia, la contadina non disse alla famiglia con cui la rossa aveva preso contatti in sua vece di aver partorito già da alcuni mesi, temendo di essere scartata perché in un caso del genere era lecito sospettare che il latte non avesse più le proprietà nutritive richieste.594

Nel secondo soggiorno lontano da Monzone la Marchi prese accordi con una famiglia benestante piemontese di origini nobiliari per allattare una bambina di nome Ilaria. I Passalacqua erano residenti nel paese di San Giuliano e potevano vantare un tenore di vita talmente elevato da permettersi di trascorrere l’estate in Italia e l’inverno nel continente americano, per godere sempre dei benefici di un clima caldo, e alla partenza erano soliti portarsi appresso tutti i loro servitori. Lavorare con la signora, una donna con una elevata istruzione, non era facile per il suo carattere autoritario, che la rendeva molto esigente. Vestiva in modo estremamente elegante, ma non era solita far pesare alle persone la sua alta condizione sociale e da questo punto di vista teneva un comportamento completamente diverso dal capofamiglia, il conte Guido Passalacqua, con cui la Marchi ebbe sempre delle difficoltà a livello relazionale. Quest’ultimo manifestava in modo ancora più accentuato i difetti che in passato la balia aveva ravvisato nei membri della famiglia Mazzola, perché non nascondeva dietro un

conflitto mondiale sono state descritte da Andreina durante l’intervista effettuata a Monzone il 6 giugno del 2011.

593 L’immagine della madre che fino a poche ore prima di partorire aveva atteso ai suoi doveri di contadina è

rimasta impressa nella memoria di Andreina, che al tempo era ormai una bambina di circa dieci anni.

594 Il comportamento di Antonietta lascia intuire che le ragazze monzonesi avevano la stessa mentalità di

qualunque balia proveniente da una delle tante località in cui questa attività era diffusa per l’emigrazione femminile.

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atteggiamento ipocrita il suo disinteresse per le altre persone; anche Passalacqua nutriva una forte avversione per la povertà e non avrebbe mai concesso ai bisognosi un aiuto, tanto che gettava via ogni genere alimentare superfluo ricavato dalla sua grande tenuta per non fare un po’ di beneficenza. Quando il conte non era presente, la servitù, se aveva il permesso dalla signora, dava ai contadini un po’ di cibo destinato a essere sprecato, ma cameriere e cuoche dovevano fare attenzione a non essere scoperte dal padrone, che in caso contrario le avrebbe punite severamente.595

L’insensibilità del conte era particolarmente fastidiosa agli occhi di Antonietta quando dava ordine di pulire la grande vasca dei pesci: anche se le trote che nel cambiamento dell’acqua morivano erano tanto numerose da essere impossibile per la famiglia e i domestici mangiarle tutte, il padrone pur di non donarle alle persone bisognose le faceva gettare.596

L’aspro carattere dei Passalacqua non impedì alla Marchi di ricevere anche a San Giuliano tutte le attenzioni che le famiglie benestanti erano solite concedere alle loro balie, a cominciare da un ottimo livello alimentare, a dimostrazione che tale consuetudine, al di là dei rapporti personali, era rispettata ovunque perché ritenuta una sorta di investimento per la famiglia ospitante, che aveva tutto l’interesse a mettere il bambino nella condizione di crescesse sano e forte e, in mancanza di adeguate conoscenze mediche, le convinzioni popolari, pur sempre fondate su esperienze pratiche, trovavano largo seguito.597

I due figli più grandi del conte avevano un precettore sia per le materie scientifiche e letterarie, sia per l’insegnamento delle lingue straniere, oltre ad aver goduto da piccoli di una balia come Ilaria. Quest’ultima impegnava tutta la giornata di Antonietta, fin dalla mattina quando doveva farle il bagnetto,

595 L’esempio negativo dato dal conte Passalacqua colpì a tal punto Antonietta che ne continuò a parlare a lungo

negli anni che seguirono alla partenza da San Giuliano; ne ha memoria anche la figlia Ada nata solo nel 1949, intervistata a Monzone il 13 giugno 2011.

596 A raccontare l’aneddoto della pulitura della vasca delle trote è stato Piero Mastorci, che considera questa

storia una delle vicende più significative del periodo in cui la madre lavorò in qualità di balia in Piemonte.

597 In base a quanto ha raccontato Andreina la madre apprese dalle colleghe che in tutte le località alpine e

appenniniche da cui erano solite partire le balie era diffusa la convinzione che il latte della donna può subire delle alterazioni in relazione al suo stato d’animo. Per uno studio sull’argomento vedere E. PONZO

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allattarla e portarla in giro ai giardinetti; verso mezzogiorno la Marchi doveva pranzare prima dei familiari, che di solito non avevano un orario ben preciso a causa dei loro impegni, mentre la regolarità dell’alimentazione, oltre alla sua qualità, era ritenuta fondamentale per rendere nutriente il latte della puerpera. Nel pomeriggio, mentre la bambina faceva il pisolino, la balia lavava i suoi vestiti e gli abiti personali, poi andava di nuovo con la piccola a fare una passeggiata nel parco fino alla sera. Come già era accaduto a casa Mazzola, Antonietta aveva il compito di dedicarsi esclusivamente alla sua assistita, per allevarla in modo adeguato, e non le era consentito di ricevere visite.598

Con i primi bombardamenti la Marchi tornò nel luogo di origine quando il conte Guido si decise a partire per il continente americano allo scopo di proteggere la sua famiglia e, anche se insistette molto affinché la balia lo seguisse, lei non fu disposta a compiere un viaggio oltreoceano. La migrante non ebbe più notizie dei Passalacqua, mentre mantenne contatti costanti con i Mazzola, che tennero sempre con lei una fitta corrispondenza e mandavano a Monzone ogni Natale panettoni e dolci, invitandola spesso a tornare a Genova, anche se Antonietta ebbe la possibilità di rivederli raramente a causa degli impegni con la famiglia e il lavoro nei campi. Tornò dai Mazzola solo in due occasioni: nel 1959 con il marito e le figlie Andreina ed Emiliana, quando quest’ultima dovette subire un intervento ai reni all’ospedale di Genova, e a metà degli anni sessanta per vedere le gemelle di Bruno,599 che aveva conservato quel solido legame affettivo frequente tra le persone appartenenti alle famiglie benestanti per le loro balie.600

Problematica psicologica dell’allattamento normale, in AA. VV, Pediatria biologica e psicologia. Atti del symposium sui rapporti tra psicologia e pediatria, Roma 3-6 novembre 1962, Milano, Editrice Vita e pensiero,

1962, pp. 160-167.

598 I ritmi di lavoro di Antonietta, raccontati da Ada, seguivano il modello che di solito veniva imposto alle

ragazze impegnate nel mestiere di balia.

599 Delle due visite di Antonietta presso i Mazzola rimane una foto nell’archivio della famiglia Mastorci datata

1965 in cui la balia tiene in braccio le due gemelle figlie di Bruno a Santa Margherita Ligure, dove i signori genovesi possedevano la residenza estiva al mare.

600 Numerose sono le fonti epistolari e iconografiche in cui si dimostra il legame che spesso univa i figli delle

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3.4 Le scelte migratorie delle figlie di Antonietta

Alla fine della seconda guerra mondiale Monzone era completamente distrutto a causa di un grande incendio appiccato dai nazi-fascisti il 24 agosto 1944 nella parte elevata del paese, dove negli ultimi mesi del conflitto si trovava il rifugio di un gruppo di partigiani accusati di aver ucciso un ufficiale tedesco.601 Il giorno seguente la furia dei carnefici non risparmiò nemmeno il vicino paese di Vinca, a sua volta incendiato, dove furono uccisi 171 abitanti tra vecchi, donne e bambini, mentre a Monzone era stato eliminato solo un uomo uscito di casa per comprare le medicine alla moglie, che si era sfortunatamente imbattuto nei soldati della spedizione punitiva.

Nei mesi che seguirono all’arrivo degli alleati le donne della famiglia Mastorci erano prive di ogni mezzo di sostentamento, talmente povere da non poter nemmeno pensare di emigrare come aveva fatto in passato Antonietta perché non avrebbero avuto nemmeno abiti decenti da indossare. La loro era una condizione ricorrente tra le famiglie monzonesi, dove quasi tutti gli uomini in età da lavoro non disponevano dei mezzi per potersi pagare il viaggio verso una destinazione all’estero. Fu quando iniziarono ad arrivare in paese vestiti e altri generi di primaria necessità che Andreina e le sue sorelle presero in seria considerazione la possibilità di dedicarsi al lavoro di domestica in una località lontana dal luogo di origine. Da questo momento le ragazze ricominciarono a vivere dignitosamente, ma erano ancora costrette a fare dei sacrifici, come quando andavano a ballare percorrendo la strada scalze con le scarpe in mano per non consumarle, e si deve considerare che i Mastorci grazie ai loro terreni avevano limiti economici minori rispetto ad altre famiglie del luogo, a cui mancavano i beni di sostentamento più elementari.602

Dopo vari mesi dall’incendio di Monzone e Vinca, Emiliano comprò una nuova abitazione vendendo gran parte del vino dell’annata, che consisteva in

601 Fu durante questo incendio che andarono persi i documenti sottoforma di fotografie e di lettere che avrebbero

permesso di creare un archivio familiare molto più esteso di quello esistente con i ricordi di Antonietta durante i suoi baliatici.

602 Il consorte di Andreina, Tesio Rossi, intervistato a Monzone il 30 maggio 2011, ha descritto l’estrema

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cinque damigiane, a cui dovette aggiungere altrettante pecore per avere il denaro necessario; l’acquisto doveva evitare nuove emigrazioni nella sua famiglia, ma il sacrificio economico dell’agricoltore non fu sufficiente e, appena possibile, le figlie furono costrette a seguire l’esempio della madre.

Andreina partì per il primo incarico come domestica a Genova il 3 novembre 1946 assunta presso i Mazzola, favorita chiaramente dal legame che sussisteva tra Bruno e la sua vecchia balia, ma rimase a lavorare presso la famiglia ligure solo per un mese, perché il livello dei servizi che veniva richiesto era troppo elevato per una ragazza di un paese di montagna alla sua prima esperienza da emigrante. Di quella meravigliosa abitazione Andreina ricorda la costante presenza di fiori in ogni angolo della casa, come simbolo di un alto tenore di vita, e un episodio che non è mai riuscita a dimenticare. Un pomeriggio si mise a piangere di fronte al sugo dell’arrosto e quando la signora Livia le chiese se stava male, lei timidamente rispose che si era commossa perché a sua madre mancavano anche questi piccoli piacere dati dal cibo.603

Per merito dell’intercessione di Mario Mazzola Andreina, dopo essere rimasta disoccupata, fu assunta dal signor Carmelo Arpa, la cui consorte Anna rispetto a Livia era disposta a far lavorare nella sua abitazione anche ragazze non esperte per avere la possibilità di istruire la servitù personalmente, evitando in questo modo che le sue sottoposte preservassero abitudini ereditate da incarichi precedenti. Ma il livello del servizio richiesto rimaneva comunque elevato e la Mastorci ricorda di aver dovuto faticare molto per imparare il mestiere durante i primi mesi. La signora Anna controllava costantemente le domestiche, come del resto facevano tutte le donne delle famiglie borghesi, e le poteva essere sufficiente trovare anche solo un po’ di polvere nell’angolo di una finestra per richiamare le sue dipendenti ad avere una maggiore attenzione nello svolgimento delle proprie mansioni di lavoro.

603 Anche questo aneddoto è stato raccontato da Tesio, che a sua volta lo apprese dalla moglie durante una delle

sue brevi visite nel luogo di origine: come molte ragazze partite per fare la domestica, Andreina si dispiaceva nel rendersi conto che il suo tenore di vita sarebbe rimasto sempre di livello assai inferiore rispetto a quello delle famiglie abituate a fare affidamento sul personale di servizio.

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Andreina ricorda un buffo aneddoto in casa Mazzola che può dare una chiara impressione di come la richiesta di ottime prestazioni da parte delle signore benestanti a volte potesse arrivare a sfiorare il ridicolo. Alla giovane domestica Giovanni, l’autista della famiglia, raccontava che quando ne aveva bisogno la signora lo mandava a comprare i gancini per il suo reggiseno, mettendolo in estremo imbarazzo. Tale comportamento era dovuto all’abitudine di considerare i servitori persone sempre disponibili a provvedere non solo alle necessità, ma anche a soddisfare i più piccoli capricci.604

I domestici, per una retribuzione fissata intorno alle 4.000 Lire mensili, dovevano lavorare tutto il giorno senza allontanarsi mai dall’abitazione, dalla preparazione della colazione alla sera, poco prima di coricarsi, quando dovevano sistemare i letti con la borsa dell’acqua calda e le lenzuola pulite. Alle ragazze questi orari eccessivi venivano imposti anche per impedire loro di avvicinarsi agli uomini, occasione che non si sarebbero lasciate sfuggire se avessero potuto uscire dall’abitazione quando volevano, mettendo in cattiva luce con un comportamento spregiudicato le famiglie presso cui lavoravano.605

I divieti, però, venivano estesi anche alle donne sposate, che nelle case in cui svolgevano servizio non potevano nemmeno ricevere la visita dei mariti. Quando durante il primo baliatico di Antonietta il signor Mazzola, notando la serietà con cui la contadina si impegnava nel curare la salute del piccolo Bruno, per alcune volte concesse al marito Emiliano di farle visita, la collega Angela montò su tutte le furie, anche se non poteva protestare apertamente presso il padrone per non rischiare di perdere il posto, perché a lei non era mai stato concesso un tale privilegio.606

Le domestiche avevano la possibilità di uscire a passeggio senza essere controllate dai signori soltanto la domenica pomeriggio (una sorta di libera

604 L’interessante episodio è stato raccontato da Maria Mastorci, che lo aveva appreso da piccola dalla sorella

Andreina: la discendente è stata intervistata a Monzone il 23 giugno del 2011.

605 Gli obblighi e i divieti a cui erano sottoposte le domestiche sono stati elencati da Ada Mastorci, che essendo

l’ultima figlia di Emiliano ha avuto la possibilità, attraverso le testimonianze ascoltate fin da giovanissima dalle sorelle, di conoscere gli aspetti più importanti della vita condotta dalle donne di servizio.

606 Anche questo aneddoto è noto a tutti i componenti della famiglia Mastorci perché Antonietta ed Emiliano lo

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uscita, come viene consentita ai militari), quando si ritrovavano con le colleghe provenienti dallo stesso paese per trascorrere due o al massimo tre ore di relax. L’incontro con le amiche era favorito dalla concentrazione nei vari luoghi di destinazione di emigrate che provenivano dalla stessa località in seguito agli effetti delle catene migratorie.607

Nell’abitazione di Carmelo Arpa Andreina venne impiegata nel lavoro di cuoca, ruolo in cui dovette faticare molto per imparare la cucina della signora Anna, che a differenza della signora Livia, che lasciava libere le domestiche purché non facessero gli stessi piatti dei giorni precedenti, seguiva la preparazione dei pranzi e voleva fare personalmente la spesa. Le sue dipendenti, spesso provenienti da località di montagna dove tutti i giorni si mangiavano polenta e necci fatti con la farina di castagne, dovevano imparare a cucinare pietanze ricercate, seguendo le direttive della padrona, che anche in tale contesto poteva riprenderle per piccoli errori.

Andreina rimase a servizio della famiglia Arpa fino agli ultimi mesi del 1947, quando nacque la sorella Rina. La sua esperienza comparata a quella della madre consente di capire le differenze tra i mestieri di balia e di domestica: sicuramente il secondo era un ruolo molto più ingrato. Fare la balia, al di là del migliore trattamento, era per certi aspetti più semplice, perché l’emigrata doveva svolgere una mansione per una donna di estrema naturalezza, per l’appunto allevare un bambino; tutto questo non toglie che dai paesi dove tale professione era ricorrente giungessero ragazze in grado di svolgere al meglio il loro compito. Sulle finalità delle due professioni, nel caso delle donne della famiglia Mastorci viene meno un comportamento ricorrente ricordato spesso dalla bibliografia sull’emigrazione femminile, ma che non è una costante storico-sociale: le domestiche, specialmente se giovani e non sposate, cercavano di rendersi indipendenti economicamente e di liberalizzarsi durante il periodo

607 Andreina ricorda che da Monzone le ragazze tendevano a collocarsi a servizio presso le ricche famiglie

genovesi e milanesi, che conoscevano l’efficienza di queste contadine già sperimentate attraverso i baliatici, mentre dal paese di Vinca le donne preferivano emigrare a Pisa e a Firenze.

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dell’emigrazione,608 mentre le balie erano destinate a un’esperienza limitata nel tempo, per poi tornare al loro consueto stile di vita al ritorno nel luogo di origine. Al contrario non solo Antonietta, ma anche le figlie partirono al solo scopo di guadagnare il denaro indispensabile a integrare le scarse risorse economiche della loro famiglia; le ragazze, nelle specifico, cercavano di mettere da parte il necessario per comprare un corredo e potersi sposare. Andreina non tratteneva per sé nemmeno una parte della retribuzione che gli Arpa le davano e quando le venivano offerti un po’ di soldi oltre al salario per andare al parco a prendersi il gelato, preferiva risparmiare anche questo denaro.609

Anche le figlie di Antonietta subivano il fascino della grande città e della ricchezza ostentata dalle famiglie che le avevano assunte e, probabilmente, considerando che erano ancora giovani e libere da legami matrimoniali, avevano preso la decisione di emigrare non solo per le difficoltà economiche, ma anche dopo aver sentito a lungo parlare della bella vita di città dalla madre e dalle migranti di Monzone tornate da Genova e da Milano. Eppure, malgrado la curiosità di provare quel modo di vivere così diverso dal modello sociale imposto dalla comunità rurale, le Mastorci, legate all’esempio di Antonietta, non vollero mai rinnegare le loro origini culturali.

Le sorelle e i fratelli di Andreina partirono a metà degli anni cinquanta; la prima ad abbandonare Monzone per andare a Milano fu Emiliana, seguita dopo alcuni anni da Rina.610 Le due ragazze si impiegarono in qualità di domestiche presso l’abitazione di un industriale milanese proprietario di un’azienda adibita alla costruzione di coperture per edifici, dove grazie a Emiliana dopo un po’ di tempo trovarono lavoro anche Giovanni e Piero.

608 Sul peso che ha avuto l’emigrazione femminile nel processo di liberalizzazione della donna si rimanda al

volume di C. GRANDI, Donne fuori posto, cit., in cui l’autrice affronta ogni aspetto economico, sociale e culturale legato all’argomento.

609 Andreina ricorda di aver avvertito un forte senso di responsabilità nei confronti delle sorelle e dei fratelli, a

cui aveva in parte fatto da madre a causa degli impegni di Antonietta, sia come balia, sia nel lavoro agricolo.

610 Nell’archivio della famiglia Mastorci rimangono due foto di Rina del periodo in cui emigrò a Milano durante

l’uscita della domenica pomeriggio: nella prima immagine l’emigrata compare in compagnia dell’amica Maura, anche quest’ultima proveniente da Monzone, mentre nella seconda fonte si fa fotografare ai parchi accanto a un grande albero.

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Quest’ultimo si fece raggiungere dalla moglie Giuseppina, anche lei originaria di Monzone, mentre il fratello si legò a una domestica di origine piacentina di nome Maria, conosciuta durante le passeggiate della domenica pomeriggio.611 Per fare in modo di ricavare il maggiore beneficio dall’emigrazione, i due fratelli andarono a vivere in un quartiere umile, dove in un monolocale avevano ricavato la cucina e la camera da letto dividendo lo spazio con una grossa tenda, mentre per il bagno erano costretti ad adattarsi ai servizi in comune utilizzati da tutti gli abitanti del condominio.

Rina fu incaricata, oltre all’esecuzione dei lavori casalinghi, anche di badare alle due bambine della signora, ricoprendo un ruolo che stava a metà strada tra la donna di servizio e la balia asciutta, con un carico di responsabilità superiore rispetto a quanto era richiesto alle semplici domestiche. Era una condizione in realtà ricorrente e permetteva alle famiglie benestanti di impiegare le emigrate in un’ampia varietà di utilizzi, anche al fine di risparmiare il denaro necessario per assumere più dipendenti. Rina doveva sopportare i dispetti delle due bambine, che se vedevano la madre smettevano di mangiare, così quest’ultima non entrava in sala fino a che la domestica non aveva provveduto al pranzo delle figlie.612 Trovò un’occupazione a Milano anche Ada, ma quest’ultima rispetto alle sorelle dovette affrontare un’esperienza più traumatica: infatti l’emigrata non solo si trovò a lavorare in una famiglia che la impegnava tutto il giorno, ma doveva anche accontentarsi di una scarsa alimentazione.613 Si tratta di una delle tante storie di emigrazione che provano fino a quale punto le ragazze disposte a fare le donne di servizio, a differenza delle balie, dovessero a volte sopportare privazioni e umiliazioni per poter mettere da parte il denaro sufficiente a migliorare anche lievemente la loro condizione. Emiliano per evitare difficoltà del genere, quando era stato in grado di farlo, aveva cercato di collocare le figlie

611 Dei due sposi rimane una foto del periodo in cui vissero a Milano nell’archivio della famiglia Mastorci. 612 L’aneddoto delle due bambine e le condizioni di lavoro di Rina venivano raccontate dall’emigrata alla sorella

Andreina quando aveva la possibilità di tornare per pochi giorni a Monzone. Delle figlie dei signori milanesi rimane una foto nell’archivio della famiglia Mastorci.

613 Ada ha raccontato la sua dura esperienza di domestica durante la già citata intervista del 16 maggio 2011 a

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presso famiglie da lui conosciute e residenti in città non troppo distanti dalla Lunigiana (Maria e inizialmente Emiliana, prima di partire per Milano, trovarono occupazione a Carrara alle dipendenze rispettivamente del dottor Grassi e dei signori Luchetti), o nel caso di Andreina il padre aveva scelto di affidarsi all’intercessione dei Mazzola per consentire alla figlia di avere un’esperienza da migrante che fosse la meno dolorosa possibile. Ma, al di là delle buone intenzioni di Mastorci, per le figlie lavorare a Milano aveva rappresentato un’opportunità troppo importante, nella speranza di un consistente ritorno economico, così le ragazze si erano decise a rischiare un viaggio più lungo, come facevano tante loro coetanee.

Emiliano Mastorci e Antonietta Marchi sono morti rispettivamente il 24

novembre 2001 e il 25 dicembre 2008. I figli sono tutt’ora vivi, tranne il secondogenito Giovanni deceduto il 12 marzo del 2004.

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