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1. Dal Nulla al Qualcosa

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1. Dal Nulla al Qualcosa

1.1. La filosofia del Tutto

La Stella della Redenzione è l’opus maius di Franz Rosenzweig, definita dall’autore stesso come la somma della sua esistenza intellettuale1. Fin dall’introduzione alla Parte Prima, l’autore non esita a mostrare un preciso bersaglio polemico: la filosofia del Tutto. Essa ha radici lontane: infatti una linea sembra unire la Ionia fino a Jena, vale a dire l’intero pensiero filosofico dai presocratici a quell’inquietudine che «si chiama 1800»2, e in particolare, si vedrà, Hegel.

Bisogna però subito precisare che questo intento polemico non mira a rigettare la filosofia in generale, ma solo quella totalitaria, onnicomprensiva, che, secondo Rosenzweig, trova pieno sviluppo nell’idealismo ed in particolare nel sistema hegeliano. Questa vecchia filosofia, unidimensionale e totalizzante, ha di mira l’onnicomprensibilità del Tutto perciò ad essa Rosenzweig contrappone un nuovo pensiero. Se può sembrare pretenzioso scagliare «un guanto di sfida all’intera venerabile comunità dei filosofi»3, Rosenzweig lo argomenta nella Stella a partire dalla morte, esperienza limite dell’umanità. In particolare, è il timore della morte che la filosofia del Tutto vuole negare, perché, in quanto filosofia onnincludente, nel «Tutto nulla morirebbe»4. A questa, Rosenzweig oppone un uomo che deve rimanere ancorato alla paura, un uomo concreto che «vuol rimanere, vuole vivere»5.

1 Lettera a M. Buber riportata parzialmente da G. Bonola in, Franz Rosenzweig ai lettori della

Stella, introduzione a F. Rosenzweig, La stella della redenzione, tr. it. di G. Bonola, Vita e Pensiero, Milano, 2013, p. VIII, nota 6.

2 F. Rosenzweig, Il nuovo pensiero, tr. it. di G. Bonola, Arsenale, Venezia, 1983, p. 20. Cfr. anche F. Rosenzweig, La Scrittura, tr. it. di G. Bonola, Città Nuova, Roma, 1991, p. 242.

3 F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit., 2013, p. 12. 4 Ivi, p. 4.

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La morte allora non è un nulla, uno zero assoluto, ma è «un inesorabile, ineliminabile qualcosa»6. Ed è proprio il ruolo che la morte assume, nelle prime pagine de La Stella, a permettere a Rosenzweig di criticare quella totalità che ingloba i singoli e di rivendicare, al suo posto, la singolarità, la concretezza, l’uomo vero. Non a caso, l’introduzione alla Parte Prima della Stella della Redenzione è intitolata: Sulla possibilità di conoscere il Tutto ed in esergo si legge subito «in philosophos!», come preciso bersaglio polemico nei confronti della vecchia filosofia, il cui errore sarebbe quello, perpetrato nei secoli, che «l’unità del logos fonda l’unità del mondo come un’unica totalità»7.

L’unità di essere e pensiero è ricondotta a Talete. Infatti l’affermazione «Tutto è acqua» contiene già «il presupposto della pensabilità del mondo»8, ma è appunto il presupposto, perché la vera e propria identità si ha solo con Parmenide. Rosenzweig dichiara in riferimento alla Stella della Redenzione che «chi, come qui accade, misconosce e contesta all’essere la totalità nega dunque l’unità del pensiero»9. Ecco la sfida che viene lanciata al pensiero filosofico a partire dalla domanda che caratterizza la filosofia fin dagli albori: Che cos’è? A tale domanda, l’uomo dall’intelletto malato «inizia a pensarci sopra, allora non gli rimane altro che, lì dove si trova, penetrare a fondo nel problema, nel tema e nell’oggetto del pensiero estrapolato dal flusso della vita»10: ma appunto si trova a rimanere lì! Infatti la domanda Che cos’è? suscita immobilità, astrazione dalla realtà e dalla vita, è una «intemporalità artificiosa»11 che conduce ad un «universalissimo grigio della cosa in generale»12. Attraverso la domanda Che cos’è?, Rosenzweig può riportare l’attenzione sulla concretezza affermando che «realmente è la parola

6Ivi, pp. 4-5 (corsivo mio). 7 Ivi, p. 12.

8 Ibidem. 9 Ibidem.

10 F. Rosenzweig, Dell’intelletto comune sano e malato, tr.it. di G. Bonola, Reverdito, Trento, 1987, p. 37.

11 Ivi, p. 38. 12 Ivi, p. 39.

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della vita»13, mentre la filosofia del Tutto è alla ricerca di ciò che propriamente è qualcosa, ovvero è alla ricerca dell’essenza. La domanda Che cos’è? astrae dal flusso della vita per porre l’oggetto dello stupore fuori dal tempo in una rigidità assoluta, ma così la risposta è sempre univoca: «Alla peculiarità dell’oggetto, strappata via dallo stupore che si arresta e s’irrigidisce corrisponde l’in verità (Eigentlichkeit) dell’essenza. “Che cos’è propriamente (eigentlich)?” chiede la domanda; l’essenza vera e propria (eigentlich) risponde la risposta»14. Rosenzweig qui fa un gioco con la parola eigentlich e così richiama la staticità di tale impostazione, che attraverso il pensiero crede di poter afferrare ciò che in verità è propriamente qualcosa. Questa è la pretesa della filosofia occidentale che ha ricondotto, tramite la domanda Che cos’è?, di volta in volta tutto prima a Dio, poi al mondo, ed infine all’uomo. Questa impostazione arriva al culmine con l’idealismo, ma bisogna anche dire che «se si pongono simili domande-è (Istfragen) sul mondo o su Dio, allora non si ha il diritto di stupirsi che ne venga fuori l’io»15. Kant sembra essere all’origine «del processo idealistico di riconduzione, ma al contempo anche di riduzione, del tutto al soggetto»16. Oltre alla Critica della ragion pura, altre opere idealiste sono: la Dottrina della scienza di Fichte e il Sistema dell’idealismo trascendentale di Schelling17. Come scrive Bonola, nell’introduzione a La Scrittura: «nella sua polemica contro la metafisica statico-essenzialista degli asserti-è, Rosenzweig […] preannuncia una condizione esistenziale di cui solo i nostri occhi, consapevoli del dibattito successivo sulla crisi della soggettività nel Novecento, avvertono le più ampie implicazioni»18.

13 Ibidem. 14 Ibidem.

15 F. Rosenzweig, Il nuovo pensiero, cit., p. 47. Cfr. anche F. Rosenzweig, La Scrittura, cit., p. 262. 16 L. Bertolino, Il nulla e la filosofia. Idealismo critico ed esperienza religiosa in Franz Rosenzweig, Trauben, Torino, 2005, p. 30.

17 F. Rosenzweig, E. Rosenstock, La radice che porta. Lettere su ebraismo e cristianesimo (1916), tr. it. di G. Bonola, Marietti, Genova, 1992, p. 69.

18 G. Bonola, Franz Rosenzweig e il confine, introduzione a La scrittura. Saggi dal 1914 al 1929, tr. it. di G. Bonola, Città Nuova, Roma, 1991, p. 64.

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Il soggetto, come lo stesso Rosenzweig ammette nella sua partizione delle epoche della filosofia19, è al centro dell’età moderna, esso è «la matrice di tutto il pensabile»20, però alla fine si perde nella totalità e diventa, per usare le parole di Levinas, un Neutro Neutrale. La totalità è «un ente astratto che non soffre e nel quale si dileguano i singoli con le loro limitazioni»21, essa cancella «senza residui la “contingenza” del mondo in un sistema puramente logico che poggia su sé stesso»22. Il sistema, ed in particolare quello hegeliano, totalizzante ed onnincludente, è proprio il risultato ultimo di quell’identità tra pensiero ed essere, anzi, si potrebbe dire che il sistema hegeliano è il culmine della vecchia filosofia.

In Hegel e lo Stato Rosenzweig mostra come, già nel periodo di Francoforte, nella teoria hegeliana «si viene affermando la nuova concezione antikantiana dell’uomo come unità indivisibile»23; in generale, infatti, si può dire che Hegel compie una «riduzione di ciò che è altro dal soggetto all’identità del sé»24. Emerge fin da ora la distanza tra Hegel e Rosenzweig, poiché la filosofia del Tutto tenta di unificare ciò che è diverso. Al contrario, il pensatore di Kassel espone un pensiero non-sintetico e «al posto del pensiero ricondotto ad autocoscienza, che comprendeva il diverso solo rendendolo simile a sé, si delinea un’esperienza che è autentico incontro con l’altro considerato in quanto tale»25. Allo stesso tempo, però, si può anche scorgere in Rosenzweig la ripresa dei modi o di alcune tematiche di Hegel. Ad esempio, questo primo tentativo di unificazione in Hegel avviene attraverso il concetto di amore, ed in particolare la contrapposizione tra un amore autentico: «come viventi coloro che si amano sono un’unica cosa»26; ed

19 F. Rosenzweig, Il nuovo pensiero, cit., p. 46. Cfr. anche F. Rosenzweig, La Scrittura, cit., p. 262. 20 E. Levinas, Fuori dal soggetto. Buber, de Waelhens, Jankélévitch, Leiris, Marcel, Merleau-Ponty,

Rosenzweig, Wahl, tr. It. Di F. P. Ciglia, Marietti, Genova, 1992, p. 164.

21 R. Bodei, Introduzione a F. Rosenzweig, Hegel e lo Stato, tr. it. di A. L. Künkler Giavotto, R. Curino Cerrato, a cura di R. Bodei, Mulino, Bologna, 1976, p. XXVII.

22 Ibidem. 23Ivi, p. 93.

24 A. Fabris, Linguaggio della rivelazione. Filosofia e teologia nel pensiero di Franz Rosenzweig, Marietti, Genova, 1990, p. 17.

25 Ivi, p. 18.

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uno inautentico: «l’uomo nella sua intima natura è un opposto, un qualcosa di stante per sé, sì che per lui tutto è mondo esterno, eterno dunque tanto quanto lui»27. Proprio il tema dell’amore sarà ripreso da Rosenzweig attraverso il comandamento «Tu devi amare l’Eterno, il tuo Dio, di tutto cuore, e con tutta l’anima e con ogni tua forza»28, dove emerge la paradossalità di un comandamento che comanda di amare, spiegata da Rosenzweig con l’argomentazione che solo l’amore può comandare l’amore e solo l’io di Dio può farlo, appunto «soltanto un io e nessun ille, può pronunciare l’imperativo dell’amore, il quale deve sempre suonare: amami»29. L’amore, forte come la morte, è nell’analisi di Rosenzweig «linguaggio completamente attivo, completamente personale»30, in cui appunto i viventi che si amano non si uniscono in un’unica cosa, ma che anzi sono tali proprio nella loro diversità. La citazione hegeliana sull’amore inautentico, invece, mostra il solipsismo dell’uomo e lo vede come elemento fuori dal tempo. Questa è proprio la mossa che compie Rosenzweig nella Parte Prima della Stella in cui, allo scopo di spaccare il Tutto in pezzi, mostra Dio, Mondo e Uomo come elementi autonomi, frammentati e senza alcuna relazione tra loro. Anzi ognuno di essi è un Tutto: «ogni parte si pone monisticamente come l’intero»31, «nei tre non c’è impulso alcuno ad avvicinarsi»32, ma sembra una paradossalità avere tre Tutto. La mossa di Rosenzweig contro la storia della filosofia, la quale sembra aver innalzato, in base alle epoche, di volta in volta, uno di questi tre elementi al Tutto, è affermare che «nessuno di questi tre grandi concetti fondamentali del pensiero filosofico può essere ricondotto a uno degli altri»33. L’argomento si approfondirà meglio nei paragrafi successivi, ma basti qui sottolineare la critica e nello stesso tempo la continuità di Rosenzweig con il pensiero hegeliano. Il rischio infatti a cui

27 Ivi, p. 92.

28 F. Rosenzweig, La stella della redenzione cit., p. 181 Cfr. anche dt 6,5. 29 Ivi, p. 183.

30 Ivi, p. 208. 31 Ivi, p. 86. 32 Ivi, p. 87.

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Rosenzweig va incontro è di vedere se «in questo procedere sussiste ancora una convinzione di tipo hegeliano, anche se di segno rovesciato»34. Infatti anche La Stella della Redenzione si presenta come un sistema di filosofia35, seppur molto diverso da quello hegeliano.

Tornando a Hegel, nella Prefazione alla Fenomenologia afferma con toni dichiaratori «il vero è il Tutto»36, questo motto mostra la volontà di costruire un sistema di filosofia onnincludente, di cui la Fenomenologia è solo la prima tappa. Nel sistema, infatti, la realtà è vista come totalità ed è comprensibile per via razionale attraverso concetti; inoltre Hegel scandisce i passaggi che portano la coscienza all’Assoluto. Nella Scienza della Logica egli mostra quell’identità di soggetto e oggetto, pensiero ed essere, che si può sintetizzare nella frase famosa e famigerata37 che comparirà nella Prefazione ai Lineamenti di filosofia del diritto: «ciò che è razionale è reale, e ciò che è reale è razionale»38. Così Rosenzweig si esprime in proposito:

Solo dal momento che ciò che è razionale è divenuto reale – principio dell’azione – solo per questo ora – principio dell’indagine conoscitiva – ciò che è reale è razionale. La seconda metà della frase, che viene sempre indicata come nucleo del pensiero […] non è che la conseguenza di quanto affermato nella prima metà della frase, del pensiero, rivoluzionario nel modo più profondo, della realtà di ciò che è razionale39.

In Hegel, dunque, è pregnante quell’identità di ragione e realtà («niente è reale se non l’idea»40) ed è proprio per questo che, agli occhi di Rosenzweig, il sistema

34 A. Fabris, Linguaggio della rivelazione, cit., p. 40.

35 F. Rosenzweig, Il nuovo pensiero, cit., p.42. Cfr. anche F. Rosenzweig, La Scrittura, cit., p. 258. 36 G. W. F. Hegel, Prefazione a Fenomenologia dello spirito, tr. it. V. Cicero, Bompiani, Milano, 2004, p. 69.

37 F. Rosenzweig, Hegel e lo Stato, cit., p. 312.

38 Ibidem. Cfr. anche G. W. F. Hegel, Prefazione a Lineamenti di filosofia del diritto, Rusconi, Milano, 1996, p. 59.

39 F. Rosenzweig, Hegel e lo Stato, cit., p. 313.

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hegeliano rappresenta in modo più compiuto il culmine della filosofia totalizzante. Per converso, è proprio con Hegel che la filosofia giunge «alla conoscenza pensante del Tutto»41. L’unidimensionalità dell’idealismo il «manifestarsi, sempre molteplice, dell’essere è risolto assolutamente in quell’unità in quanto Assoluto»42. Hegel delinea anche il compito della filosofia nella Prefazione ai Lineamenti, ovvero «intendere ciò che è, poiché ciò che è, è la ragione»43. Ma se la filosofia in quanto «sapere assoluto»44, giunge alla conoscenza pensante del Tutto, allora, in quanto sapere onnicomprensivo, «non abbraccia più solo il suo oggetto, il Tutto, ma attinge esaustivamente […] anche se stesso»45. Si può parlare di una conclusione, di una meta raggiunta, perché «il pensiero pare non possa più procedere oltre il porre in evidenza se stesso»46.

«Finis philosophiae?»47, no, anzi: «proprio da questo punto, in cui la filosofia sarebbe peraltro alla fine del proprio pensare, può iniziare la filosofia esperiente (erfahrende Philosophie)»48.

Per scardinare la filosofia del Tutto, Rosenzweig cerca «un punto di Archimede esterno a quel Tutto conoscibile»49, esso viene mostrato dai pensatori posthegeliani, innanzitutto da Kierkegaard. Se per Hegel, infatti, prevaleva il «tutto sulla parte»50, con Kierkegaard, in esplicita polemica contro l’idealismo, viene valorizzato proprio il singolo:

La coscienza individuale propria di un Sören Kierkegaard (oppure una contrassegnata da qualunque altro nome e cognome), coscienza del proprio

41 F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit., p. 106. 42 Ivi, p. 107.

43 G. W. F. Hegel, Prefazione a Lineamenti di filosofia del diritto, cit., p. 61. 44 F. Rosenzweig, Hegel e lo Stato, cit., p. 221.

45 F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit., p. 6. 46 Ibidem.

47 F. Rosenzweig, Il nuovo pensiero, cit., p. 47. Cfr. anche F. Rosenzweig, La Scrittura, cit., p. 262. 48 Ibidem.

49 F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit., p. 7. 50 F. Rosenzweig, Hegel e lo Stato, cit., p. 318.

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7 peccato e della propria redenzione, non bisognosa, né suscettibile di una dissoluzione nel cosmo. A ciò essa non era disponibile perché se anche tutto di questa coscienza fosse stato traducibile in termini universali, rimaneva sempre il suo essere connessa ad un preciso nome e cognome, il suo carattere individuale nel senso più stretto e rigoroso del termine e […] era proprio tale carattere individuale che davvero contava51.

In polemica con Hegel, dunque, Rosenzweig riprende la valorizzazione del singolo, che diviene «una realtà che trascende il Tutto»52, ma allo stesso tempo «si rifà a quella prospettiva tipicamente ebraica per cui ciò che conta, di qualcosa, non è tanto il suo carattere più proprio, quanto il suo nome»53. Vedremo il ruolo importante che assumeranno, nell’analisi di Rosenzweig, il nome e il cognome, ma qui preme fare un piccolo inciso: la valorizzazione del singolo non è da intendersi affatto come una forma di relativismo.

Se con Hegel la filosofia è onninclusiva, essa non può certamente riconoscere o ammettere ciò che la trascende54, ed è per questo che Rosenzweig ricorre ad un altro importante pensatore: Schopenhauer. Da una parte Schopenhauer si distacca dalla filosofia che confuta i filosofi precedenti come fosse un delegato, perché suo intento è invece quello di «riflettere sulla vita»55; dall’altra Rosenzweig lo riprende proprio perché valorizza l’uomo concreto, vivo, al posto di un uomo inglobato nel Tutto: «il contenuto della filosofia è il pensiero con cui uno spirito individuale reagisce all’impressione che il mondo ha fatto su di lui. “Uno spirito individuale”, era dunque proprio l’uomo Arthur Schopenhauer ad assumere qui il posto che, secondo la concezione corrente del filosofare, spettava al problema»56. Una filosofia che si pone il problema del valore del mondo per l’uomo Arthur Schopenhauer, proprio per lui in quanto singolo, non sarà forse scientifica, ma è

51F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit., p. 7. 52 L. Bertolino, Il nulla e la filosofia, cit., p. 47. 53 A. Fabris, Linguaggio della rivelazione, cit., p. 17. 54 F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit., pp. 7-8. 55 Ivi, p. 8.

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umana. Così l’uno si contrappone al Tutto e si fa «beffa di ogni totalità ed universalità»57. Proprio questo uno s’incarna nella tragedia della vita di Nietzsche con il quale la rottura della totalità e, per converso, la valorizzazione dell’uomo concreto, si afferma in maniera definitiva come paradigma filosofico, a partire dalla critica che Nietzsche compie alla moralità. Così «l’uomo nella pura e semplice singolarità della sua essenza individuale, nel suo essere, contrassegnato da nome e cognome, uscì dal mondo che si sapeva accessibile al pensiero, uscì dal Tutto della filosofia»58.

Per uscire da questo cerchio che tutto ingloba – non a caso proprio il cerchio è la figura rappresentante la filosofia hegeliana - bisogna anche uscire fuori dall’etica, perché quest’ultima, in quanto concezione del mondo, viene a contrapporsi alla concezione della vita: «l’etica è e resta una parte della concezione del mondo»59. La vecchia filosofia «aveva inteso trattare e comprendere l’uomo, anche l’uomo in quanto “personalità”, nell’etica»60. L’agire infatti, per quanto fosse importante nei confronti di tutto l’essere, veniva comunque inserito nell’ambito del Tutto conoscibile61. Per evitare questo esito, Rosenzweig vede solo la possibilità di «ancorare l’agire al fondamento essenziale di un “carattere”, separato da ogni essere; solo così sarebbe stato possibile garantirlo come un mondo a sé di fronte al mondo»62. Dunque, in via preliminare, si può affermare che l’uomo non si riduce all’etica, ma che piuttosto dispone del suo ethos. Per questo Rosenzweig arriva alla formulazione del termine “meta-etico”, con il quale non s’intende una assenza di ethos, ma solo la collocazione di esso non più in una posizione imperativa, bensì passiva: «la legge è istituita per l’uomo, non l’uomo creato per la legge»63. Con il prefisso “meta-”, Rosenzweig

57 Ivi, p. 9. 58 Ivi, p. 10. 59 Ivi, p. 11. 60 Ivi, p. 10. 61 Ibidem. 62 Ibidem. 63 Ivi, p. 14.

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vuole indicare una dimensione trascendente rispetto al Tutto della filosofia idealista, perciò per l’uomo il prefisso “meta-” indica che egli non è più un oggetto dell’etica la quale poi sfocia «in una teoria della comunità intesa come una porzione di essere»64. Ora l’essere uomo, così come sarà anche per il mondo e per Dio, «eccede […] l’ambito del sapere e si configura inizialmente come una fattualità (una Tatsächlichkeit) refrattaria a venir pienamente espressa in termini concettuali»65. Il sapere «erroneamente s’illudeva di averlo […] imprigionato nei vasi della propria validità universale»66, invece l’uomo nella sua contingenza, «che s’annuncia col timore della morte»67, non si lascia imprigionare, perché la sua particolarità è la sua essenza68. È questa la «sfasatura del vivere rispetto al sapere»69. Dunque, ancora una volta in polemica nei confronti del Tutto, Rosenzweig valorizza il singolo uomo, la cui essenza risiede nella sua contingenza; proprio per questo, in quanto essere mortale, egli ha la capacità di opporsi al Tutto che invece non ammette la morte. La totalità viene scalfita e frantumata in tre pezzi. Adesso, però, l’uomo è divenuto un pezzo a sé stante70, analogamente a mondo e Dio.

Infatti anche «il mondo aveva la pretesa di essere il Tutto»71, Rosenzweig si chiede perché il mondo sia stato designato come totalità e non invece come molteplicità. La risposta torna all’identità tra pensiero ed essere perché l’unità del pensiero «difende a viva forza la sua causa contro la molteplicità del sapere affermando la totalità del mondo»72. È la logica che fonda tale unità, ma, come per l’uomo meta-etico, anche in questo caso Rosenzweig compie un rovesciamento: il

64 Ivi, p. 10.

65 A. Fabris, Esperienza e paradosso. Percorsi filosofici a confronto, FrancoAngeli, Milano, 1994, p. 130.

66 F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit., p. 65. 67 A. Fabris, Esperienza e paradosso, cit., p. 131. 68 F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit., p. 65. 69 A. Fabris, Esperienza e paradosso, cit., p. 131. 70 F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit., p. 26. 71 Ivi, p. 11.

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mondo è soltanto la patria del logos, perciò c’è una eccedenza che Rosenzweig esprime con il termine “meta-logico”. Anche in questo caso non vuol dire un’assenza di logica, ma il prefisso “meta-” indica un orientamento per il mondo rispetto al mondo oggetto della logica, detto altrimenti: il pensiero è «un “ingrediente” del mondo»73.

Anche per quanto riguarda Dio, Rosenzweig compie un rovesciamento, al pari di quello compiuto per l’uomo e per il mondo:

Come il meta-etico dell’uomo lo rende libero signore del suo ethos, al punto che è l’uomo a disporne e non ad essergli sottoposto; come il meta-logico del mondo fa del logos un “ingrediente” completamente fuso e riversato nel mondo, al punto che è il mondo a contenere il logos e non viceversa, così il metafisico di Dio fa sì che la physis sia un “ingrediente” di Dio74.

Con il termine meta-fisico, che anche in questo caso non vuol dire afisico, Rosenzweig richiama la tradizione filosofica, cercando però di dare al termine una veste nuova: Dio ha una sua natura indipendentemente dal mondo. Al contrario, la filosofia fino ad Hegel «gli ha incessantemente contestato questa sua esistenza indipendente»75 attraverso, ad esempio, la prova ontologica dell’esistenza di Dio. Se Kant critica la prova negando l’identità di pensiero ed essere, Hegel proprio per tal motivo la loda: l’identità di ragione e realtà «deve valere allo stesso titolo per Dio come per tutto il resto»76. È chiaro però che Rosenzweig non può accettare questa semplificazione perché «Dio deve avere esistenza prima di ogni identità di essere e pensiero»77.

Dio, mondo e uomo. Tre pezzi78 derivati dalla frantumazione del Tutto, di cui però «non ne sappiamo ancora proprio nulla»79.

73 Ivi, p. 14. 74 Ivi, p. 17. 75 Ibidem. 76 Ivi, p. 18. 77 Ibidem. 78 Ivi, p. 19.

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1.2. La Morte e il Nulla

La paura della morte è ciò che ricorda all’uomo la sua caducità e contingenza. Tale paura risiede nella possibilità di perdita del proprio io e nella conseguente trasformazione in un illud. Alla sola idea l’uomo, in quanto essere finito, viene sopraffatto dalla volontà di rimanere, di vivere, perché «tutto quanto è mortale vive in questa paura della morte»80. La filosofia invece fin dagli albori cerca di negare tale paura attraverso la suddivisione tra anima immortale e corpo mortale. Riponendo la fiducia nell’anima immortale e al contempo sminuendo il corpo in quanto terrestre, la filosofia sembrerebbe suggerire il suicidio, morte «assolutamente contro natura»81. Tra l’altro è l’uomo vivo a non riuscire ad accettare questa soluzione filosofica: quando è posto di fronte all’angoscia della morte l’uomo grida di voler vivere e non pensa mai alla separazione di anima e corpo.

La filosofia così nega «l’oscuro presupposto di ogni vita, cioè non consente che la morte valga come un qualcosa e la riduce ad un nulla»82 e per risolvere il problema crea il Tutto universale ed intemporale che cancella la particolarità del singolo.

Ancora una volta il bersaglio polemico è Hegel che ingloba la morte nel sistema e la rende un nulla vuoto e sterile: «la morte va a finire nell’universale, così come proviene dall’universale»83. In questo caso il nulla viene escluso dal sistema: «prima dell’unica ed universale conoscenza del Tutto vige solo il nulla unico ed universale»84. Detto in altri termini, prima che il pensiero si identificasse con l’essere, vigeva solo il nulla; allora, per converso, il nulla unico e assoluto è fuori dal sistema che, in quanto totalità, non lo ammette. Invece attraverso la morte Rosenzweig annuncia il concetto aporetico di nulla che egli fa valere come

79 Ibidem. 80 Ivi, p. 3. 81 Ivi, p. 4. 82 Ivi, p. 5.

83 F. Rosenzweig, Hegel e lo Stato, cit., p. 148. 84 F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit., p. 5.

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presupposto positivo, ovvero al nulla unico ed universale contrappone il nulla della morte come qualcosa di particolare «ed invece di un unico nulla, che sarebbe realmente nulla, stanno mille nulla»85, mille morti, che non possono essere nulla perché «ogni nuovo nulla della morte è un nuovo qualcosa, sempre nuovamente tremendo»86.

Viene così annunciata la molteplicità del nulla, ed è per questo che “nulla” risulta un concetto aporetico. Infatti a dispetto del significato che assume, tale

Contraddizione risulta evidente finché il nulla è considerato come nihil

negativum (se ci si attiene cioè davvero all’intenzione del contenuto “nulla”),

ma cade invece se ad esso viene riconosciuta una certa positività […] dovuta al suo porsi, come privazione, in rapporto ad un altro positivo. Nel caso poi che questo positivo sia la totalità degli enti, anche il nulla risulterebbe in definitiva qualcosa da ricondurre entro l’ambito onnicomprensivo delineato, riconoscendo l’insussistenza della sua pretesa “nullità”87.

Appunto il nulla non è nulla, è qualcosa. Questa è una «contraddizione reale che, annunciandosi immediatamente nell’esperienza della morte, rompe la totalità hegeliana e ne delegittima le pretese onnicomprensive»88. Dunque il nulla come nihil positivum, scaturito dall’esperienza della morte, è all’interno della totalità ed è per questo che la rompe in pezzi, così essa non è più l’intero. La totalità infatti ammette solo un unico nulla assoluto precedente al Tutto, perciò questi mille nulla particolari non sono nulla, ma qualcosa ed il loro essere qualcosa scalfisce la totalità. È per questo che proprio il nulla si pone, si vedrà, come il punto di partenza verso il qualcosa della conoscenza.

Nel percorso «dal nulla, mai però dal nulla vuoto ed universale, bensì dal nulla peculiare»89 al qualcosa Rosenzweig assume la matematica come la scienza che

85 Ibidem. 86 Ibidem.

87 A. Fabris, Linguaggio della rivelazione, cit., p. 26. 88 L. Bertolino, Il nulla e la filosofia, cit., p. 76.

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per eccellenza «insegna a conoscere nel nulla l’origine del qualcosa»90. Dunque, da una parte, non si parla di un nulla unico ed assoluto, ma di nulla particolari; dall’altra la matematica è anche la scienza che fin dalla nascita arriva fin-qui-e-non-oltre (Bishierherundnichtweiter)91, ovvero non può condurre oltre il qualcosa.

Rosenzweig assegna ad Hermann Cohen la scoperta della matematica come organon del pensare: la matematica come strumento del pensiero «costituisce il fondamento di qualsiasi conoscenza della natura»92. In particolare ciò avviene attraverso il calcolo infinitesimale e precisamente il differenziale matematico ripreso da Rosenzweig perché «assomma in sé le proprietà del nulla e del qualcosa, è un nulla che rimanda ad un qualcosa»93. La peculiarità del differenziale matematico consiste nel fatto di essere infinitamente piccolo, così piccolo che potrebbe sembrare zero, ma che non è zero perché, seppur piccolo, è sempre qualcosa: «in luogo del nulla unico ed universale che, identico allo zero, non poteva davvero essere altro che “nulla”, che la vera “non-cosa”, [Cohen] pose il nulla particolare che irrompeva fecondamente nella realtà»94. È dunque lo stesso Cohen che, per quanto fu più hegeliano di quanto volesse ammettere, si oppose all’idealismo e «riconobbe che al pensiero che mirava ad una “produzione pura” non si faceva incontro l’essere, bensì il nulla»95.

Rosenzweig delinea due vie che attraverso il differenziale conducono dal nulla al qualcosa: «la via della negazione del nulla e quella dell’affermazione di ciò che nulla non è»96. Mentre la prima pone un determinato, un finito, perché negando il nulla pone un qualcosa; la seconda, in quanto affermazione del non-nulla, pone invece un infinito.

90 Ivi, p. 21. 91 Ibidem.

92 H. Cohen, Il principio del metodo infinitesimale e la sua storia, tr. it. di N. Argentieri, Le Lettere, Firenze, 2011, p. 67.

93 F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit., p. 21. 94 Ibidem.

95 Ivi, p. 22. 96 Ivi, p. 21.

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Rosenzweig però prende in considerazione anche il processo opposto: quello che dal qualcosa conduce al nulla97, al fine di dimostrare «come nel nulla privo di determinazioni possano risiedere differenti origini del determinato»98. Anche in questo caso si delineano due vie: quella della negazione e quella dell’affermazione. Per quanto riguarda la prima, essa è intesa come negazione del qualcosa e viene espressa dai termini de-essenziamento (Verwesung) o dis-essenziamento (Entwesung), termine quest’ultimo che richiama l’ambito della mistica. La parola Verwesung infatti indica «il processo della degenerazione o della dissoluzione dell’essenza»99, ovvero una progressiva scomposizione del qualcosa fino al nulla, anzi al suo nulla. Il termine Entwesung «designa comunemente l’atto del disinfestare […] o anche l’atto del decontaminare»100, ovvero quella purificazione totale che il mistico cerca di raggiungere intesa come dissoluzione dell’essenza positiva. In definitiva, «il nulla sorge nella sua infinita indeterminatezza»101, ovvero sia la dissoluzione dell’essenza che la decontaminazione «sfociano entrambi nella notte informe del nulla»102. L’altra via è quella dell’affermazione del nulla intesa come annichilimento (Vernichtung). Questa via si incarna nella figura di Mefistofele, che «brama ardentemente il nulla»103, inteso questa volta come nulla assoluto. Rosenzweig dunque prende in considerazione questo processo opposto, ovvero dal qualcosa al nulla, per negare ancora una volta «un nulla unico ed universale poiché ci siamo liberati dal presupposto di un Tutto unico ed universale. Conosciamo solo il singolo nulla del singolo problema»104. Di conseguenza Rosenzweig sceglie il percorso che dal

97 Nel mostrare anche il passaggio opposto, ovvero quello che dal qualcosa conduce al nulla, Rosenzweig sembra fare riferimento al movimento del divenire che Hegel designa nel Cap. I, La dottrina dell’essere, in Scienza della logica, tr. it. di C. Cesa, Laterza, Bari, 1968, p. 71.

98 F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit., p. 25.

99 F. P. Ciglia, Scrutando la «Stella». Cinque studi su Rosenzweig, CEDAM, Padova, 1999, p. 141. 100 Ibidem.

101 F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit., p. 25. 102 Ibidem.

103 Ibidem. 104 Ibidem.

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nulla conduce al qualcosa, perché esso è un «nulla rispetto al sapere che si ha di qualcosa»105, ed in particolare dei tre elementi (Elemente) o fenomeni originari (Ur-phänomene): Dio, mondo, uomo. Ed in quanto nulla del sapere esso non può rimanere tale, ma può esserne solo l’inizio.

Nel paragrafo successivo si specificherà il ruolo delle parole originarie (Urworte) “si” e “no” rispettivamente come affermazione del non-nulla e negazione del nulla, unite dalla congiunzione “e”. Prima però bisogna tornare brevemente a Kant: è il pensatore di Königsberg che secondo Rosenzweig «formulò il nulla del sapere non più come unico e semplice ma come triplice»106. Infatti la cosa in sé rappresenta quell’inconoscibilità del mondo che Rosenzweig chiama meta-logico, analogamente il carattere intellegibile rappresenta quell’inconoscibilità dell’uomo che Rosenzweig chiama meta-etico. Infine quella che Kant chiama oscura radice di entrambi è rapportata al meta-fisico. I tre pezzi in cui si è frantumato il Tutto sono Dio, Mondo e Uomo, «sono i nulla a cui il Kant della dialettica trascendentale ha ridotto, criticandoli, gli oggetti delle tre “scienze razionali” del suo tempo: la teologia la cosmologia e la psicologia razionale»107 che Rosenzweig riprende al fine non di «erigerli a nuovi oggetti di scienza razionale, bensì al contrario di recuperarli come oggetti “irrazionali”»108, ovvero nella loro trascendenza. Infatti i tre elementi pre-mondani Dio, Mondo e Uomo mostrano una eccedenza «rispetto al sapere concettuale»109, che appunto Rosenzweig esprime con il prefisso “meta-”.

La peculiarità del termine “nulla” sta nel fatto che esso «contraddice la sua intenzione di contenuto»110. È un concetto aporetico e che proprio per questo «apre una breccia nella totalità delle relazioni ontologiche e costituisce il modello che permette di raggiungere quei fenomeni che sfuggono ad un approccio

105 A. Fabris, Linguaggio della rivelazione, cit., p. 33. 106 F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit., p. 22. 107 Ivi, pp. 19-20.

108 Ivi, p. 20.

109 A. Fabris, Esperienza e paradosso, cit., p. 131. 110 F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit., p. 26.

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puramente concettuale»111. In definitiva, il nulla è assunto nella sua valenza positiva in quanto concetto contraddittorio: esso non è relativo alla totalità dell’essere, ma anzi esprime una trascendenza che gli consente proprio di rompere l’identità di essere e pensiero, ovvero «il paradosso, rispetto alla concezione hegeliana, di un relativo che viene assunto e mantenuto nella sua assolutezza»112. Se si considera, infine, che tale paradosso diventa anche uno strumento «efficace per esprimere il “nuovo pensiero”»113, allora si comprende il ruolo principale che Rosenzweig gli assegna non solo per superare la vecchia filosofia, ma anche per fondare il nuovo pensiero.

1.3. Fattualità originarie

A differenza di Hegel che concepisce la totalità in termini di Uno-Tutto, Rosenzweig mostra innanzitutto che in base alle epoche la filosofia ha assunto a totalità di volta in volta uno dei tre fenomeni originari, Dio, mondo e uomo: il Mondo-Tutto è tipico dell’antichità la cui scienza è la cosmologia; mentre nel medioevo è Dio ad essere assunto come Tutto e quindi la teologia; infine l’età moderna fa del soggetto, dell’Io, il Tutto che ingloba gli altri due elementi, perciò la disciplina è l’antropologia114. Al fine di dimostrare l’esatto opposto, ovvero che nessuno di questi tre elementi può essere innalzato a Tutto, Rosenzweig compie una mossa filosofica originale: li assume come “tre Tutto”.

È possibile avere tre Tutto? La stessa parola “Tutto” può essere spartita in tre elementi nonostante la palese contraddizione con il suo significato?

Un’altra questione da sottolineare è che nel passaggio dal nulla verso il qualcosa del sapere, Rosenzweig mostra il nulla di Dio, mondo e uomo come «un nulla ipotetico, solo un nulla del sapere a partire dal quale noi attingiamo il

111 A. Fabris, Linguaggio della rivelazione, cit., p. 26. 112 Ivi, p. 29.

113 Ibidem.

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qualcosa del sapere che circoscrive il contenuto di quella credenza»115. I tre elementi rappresentano dunque per noi una credenza che «legittima il procedere del sapere»116, e anzi «diventa […] la chiave di volta nel passaggio dal nulla al qualcosa del sapere»117. Anche in questo caso la mossa che Rosenzweig compie sembra essere un distacco dalla logica che, a differenza della fede, «esamina in modo distaccato il suo oggetto e che perciò è intrisa di diffidenza»118. Inoltre i tre elementi in quanto semplici ipotesi «segnalano, in maniera critica, il limite oltre il quale il pensiero tradizionale non può più avanzare pretese, ma anche fino al quale è in grado di spingersi»119.

1.3.1. Dio

«Di Dio non sappiamo nulla»120. Così Rosenzweig ammette il nostro non sapere di Dio nell’incipit del Primo Libro della Stella. Questo non sapere però è soltanto l’inizio del nostro sapere e non, come voleva la Teologia Negativa, la fine. Quest’ultima infatti definisce Dio «unicamente nella sua totale indefinibilità»121.

Come nel caso della filosofia, Rosenzweig critica la vecchia teologia al fine di fondarne una nuova. In particolare nello scritto Teologia atea la critica si rivolge sia alla teologia storica che a quella filosofica, ma anche all’assunzione del popolo giudaico come comunità umana ideale ed infine alla mistica122. In ogni caso tutte queste forme conducono ad una teologia atea, perché «invece di mostrare […]

115 F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit., p. 42. 116 L. Bertolino, Il nulla e la filosofia, cit., p. 140. 117 Ibidem.

118 A. Fabris, Linguaggio della rivelazione, cit., p. 65. 119 L. Bertolino, Il nulla e la filosofia, cit., p. 141. 120 F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit., p. 23. 121 Ibidem.

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l’umano sottoposto alla potenza del divino, si cerca, al contrario di comprendere il divino come un’autoproiezione dell’umano sul cielo del mito»123.

Rosenzweig nella Stella riprende gli dèi dell’Olimpo mitico, ed in seguito anche il cosmo plastico e l’eroe tragico, al fine di «esemplificare la fattualità e l’isolamento di Dio, del mondo e dell’uomo»124. È funzionale per il suo intento elaborare una vera e propria filosofia del paganesimo in cui quest’ultimo «non è affatto un semplice spauracchio infantile filosofico-religioso destinato agli adulti […] bensì è nulla più e nulla meno che la verità. Ma la verità in forma elementare, invisibile, non-rivelata»125. Dunque le figure del paganesimo sono portatrici di verità, anche se si tratta di una verità primordiale e non compiuta essa sembra essere funzionale alla verità espressa dalla rivelazione. Questa verità diventa però menzogna «ogni volta che il paganesimo non vuole essere elemento componente, ma l’intero, non vuole essere invisibile, bensì figura, non vuole essere segreto, ma rivelazione»126. Dunque solo se rimane elemento componente, invisibile e segreto nel pre-mondo perenne esso è funzionale al mondo reale «giacché da esso sono stabiliti inizialmente i presupposti teologici, cosmologici e antropologici di ogni nostra esperienza»127.

Gli dèi dell’antichità sono vivi, anzi «non sono altro che vivi»128. Per preservare la loro immortalità essi non possono uscire-fuori-da-se-stessi e perciò vivono appartati tra di loro: «il mondo degli dèi rimane sempre un mondo a sé stante»129. L’intenzione di Rosenzweig è quella di cercare «Dio, ed in seguito il mondo e l’uomo, […] per sé, sul solo fondamento di se stesso, nella sua assoluta fattualità (Tatsächlichkeit)»130 e gli dèi dell’antichità sono funzionali non solo

123 F. Rosenzweig, Teologia atea, in La Scrittura, cit., pp. 234-235. 124 A. Fabris, Esperienza e paradosso, cit., p. 132.

125 F. Rosenzweig, Il nuovo pensiero, cit., p. 51. Cfr. anche F. Rosenzweig, La Scrittura, cit., p. 266. 126 Ibidem.

127 A. Fabris, Esperienza e paradosso, cit., p. 132. 128 F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit., p. 33. 129 Ivi, p. 34.

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perché essi sono appartati e a sé stanti, ma anche perché si presentano, in quanto vivi, «come archetipi della vitalità divina»131. Ma andiamo con ordine.

Torniamo al nulla del sapere di Dio. Rosenzweig parte dalle due vie: l’affermazione di ciò che nulla non è e la negazione del nulla. Adesso esse sono collegate alle parole originarie (Urworte) “sì” e “no”: «il “sì” è l’inizio. Il “no” non può essere l’inizio, poiché potrebbe essere soltanto un “no” rivolto al nulla; ciò presupporrebbe un nulla che fosse negabile, un nulla cioè che si fosse già deciso per il “sì”. Il “sì” è quindi l’inizio. E certo non può essere il “sì” del nulla»132.

Il “sì” diventa «la parola originaria del linguaggio»133: esso è «il silenzioso compagno di tutte le parti della proposizione, la conferma, il sic, l’amen che sta dietro ad ogni parola»134, perciò Rosenzweig, in riferimento a Genesi 1,1, lo pone come in principio: Ja ist im Anfang. L’affermazione di ciò che nulla non è, e dunque del “sì”, pone un infinito: «l’essenza infinita di Dio, la sua infinita fattualità, la sua physis»135. Tradotto in simboli essa è A, essere semplicemente affermato, «immoto, infinito essere»136.

Dalla negazione del nulla, espresso dalla parola altrettanto originaria “no”, si afferma invece la libertà divina. Proprio in quanto negazione essa pone un finito, un determinato: la figura finita dell’atto, che però «uscendo dalla sua origine finita può sempre riversarsi nell’infinito»137. La libertà divina è libertà per l’azione. Perciò in termini simbolici la libertà divina è A=, appunto rivolta all’infinito. Dunque mentre l’essenza divina è «simboleggiata da una semplice lettera priva del segno di uguale»138, e quindi senza una direzione, essa non è né recettiva né

131 L. Bertolino, Il nulla e la filosofia, cit., p. 126. 132 F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit., p. 26. 133 Ivi, pp. 26-27. 134 Ivi, p. 27. 135 Ivi, p. 26. 136 Ivi, p. 28. 137 Ivi, p. 30. 138 Ibidem.

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attiva, ma «muta fattualità»139; la libertà divina è invece finita, ma rivolta all’infinito e «nella misura in cui è rivolta ad un infinito essa è potenza, potenza infinita, detto brutalmente: è infinito arbitrio»140, ed è per questo che nel simbolo è presente il segno di uguale. L’essenza è inerte e nel movimento in cui la libertà divina si rivolge ad essa rischia di estinguersi perciò «noi dobbiamo cogliere la potenza prima della fine di questo movimento»141. È questo il punto che, in contrapposizione alla potenza e all’arbitrio divini, viene designato da Rosenzweig come necessità e destino: «come la libertà divina si configura in arbitrio e potenza, così l’essenza divina si configura in necessità e destino»142.

Essenza e libertà divina devono però essere collegate, emerge così la terza parola originaria: “e”. Tale collegamento dà forma alla vitalità di Dio simboleggiata questa volta da A=A appunto unione di essenza (A) e di libertà (A=). Esse però una volta giunte all’equazione A=A si confondono e non si sa più da quale delle due l’equazione sia stata costruita: «essa non lascia più riconoscere altro che la pura originarietà e l’appagamento in sé propri del Dio»143.

Gli dèi rimangono appartati tra loro per preservare la loro immortalità e perciò vivono separati dal mondo, il quale è dunque «un mondo senza dèi», essi sono invisibili. Anche Dio così descritto da Rosenzweig è senza mondo e invisibile: «quella vitalità in sé nascosta occultava anche a noi questo Dio. Colui che era divenuto diveniva nascosto. Alla domanda circa che cosa egli fosse noi avremmo onestamente potuto rispondere: nulla»144. Il Dio del pre-mondo perenne è fattualità e non realtà effettiva, egli «non si dona, non ama, […] tiene per sé la sua physis. E rimane quindi ciò che è: il meta-fisico»145.

139 Ibidem. 140 Ibidem. 141 Ivi, p. 31. 142 Ibidem. 143 Ivi, p. 33. 144 Ivi, p. 393. 145 Ivi, p. 40.

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1.3.2. Mondo

Il mondo dal punto di vista di un intelletto sano è ovvio, comprensibile-di-per-sé (selbst-verständlich), ma tale comprensibilità è stata ridotta a zero dalla filosofia che di volta in volta ha assunto «come punto di partenza del comprendere ora l’io, ora Dio»146. Ciò che ne rimane è un resto infinitamente piccolo che diventa oggetto di una cosmologia negativa. Nel passaggio dal qualcosa al nulla, il nulla rappresenterebbe il risultato, mentre Rosenzweig compie il passaggio opposto facendo del nulla il punto di partenza. Perciò analogamente a Dio, anche «del mondo non sappiamo nulla. Ed anche qui il nulla è un nulla del nostro sapere»147. Perciò Rosenzweig applica le due vie dell’affermazione di ciò che nulla non è e della negazione del nulla. A differenza di quanto accadeva nella parte dedicata a Dio, qui l’affermazione del non-nulla, il “sì” originario, non può essere «un’essenza infinitamente in quiete»148, bensì il non-nulla, a causa dell’abbondanza inesauribile dei fenomeni del mondo, il suo esser-pieno-di-figure, è «un essente “ovunque” e “sempre” perdurante»149. Dunque l’essere del mondo in quanto affermazione è infinito, però non può essere in quiete perché tale infinità è la sua universale applicabilità. Inoltre «l’essere del mondo è sempre ed ovunque soltanto nel pensiero. Il logos è l’essenza del mondo»150. Rosenzweig torna dunque al logos come ingrediente del mondo, esso è «effuso […] come un sistema pluriramificato di singole determinazioni»151. Se il logos ha un suo preciso ambito di validità, ovvero il mondo, di conseguenza viene espulso da questo ragionamento, in quanto indimostrabile, l’origine unitaria del pensiero: «solo il pensiero reale, valido per il mondo, solo questo pensiero pensa. Così l’unità del pensiero resta fuori»152. Anche in questo caso Rosenzweig segna il

146 Ivi, p. 41. 147 Ivi, p. 42. 148 Ibidem. 149 Ivi, p. 43. 150 Ibidem. 151 Ibidem. 152 Ibidem.

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limite del pensiero: la sua applicabilità entro i confini del mondo, mentre «sull’aldilà la vista gli è preclusa»153. Nonostante il logos sia ora chiuso nelle mura del mondo, ovvero quello che Rosenzweig chiama ordine mondano, all’interno di esso la sua applicabilità è universale, è appunto sempre-e-dovunque. In simboli esso è rappresentato come =A, preceduto dunque dal segno di uguaglianza per la «forza d’attrazione passiva che emana da lui»154. Rosenzweig indica questo simbolo anche come «spirito del mondo» discostandosi però subito dall’accezione hegeliana, per invece rimandare ai termini affini come «spirito della terra» o «anima del mondo» che richiamano il giovane Schelling ed in qualche misura Novalis.

Il mondo è anche natura e dunque «il suo grembo non è mai sazio di concepire, è inesauribile nel generare»155. Questa abbondanza «spezza la prigione notturna del nulla con lo spasmo incessantemente replicato del generare e del partorire; ogni nuova cosa è una nuova negazione del nulla, qualcosa che non è mai stato, un inizio a sé»156. Dunque il “no” al nulla del mondo pone un’infinita abbondanza il cui effetto però sono singoli fenomeni: «ciascuno per sé contro tutti gli altri, separato da tutti gli altri, “particolare”»157. È dunque chiaro che «l’abbondanza intramondana della particolarità si contrappone all’ordine intramondano dell’universale»158, perché come si è visto nell’universale c’è una direzione verso l’applicazione, mentre nell’abbondanza ognuna di queste particolarità è priva di direzione, esse semplicemente sono. In simbolo Rosenzweig infatti le pone come B (esse non potrebbero essere A perché alla particolarità precede sempre qualcosa): «il nudo segno della singolarità, privo di segno di uguaglianza che rimandi ad altro»159. Per la sua incessante novità, che risiede nel fatto di essere un

153 Ibidem. 154 Ivi, p. 44. 155 Ivi, pp. 44-45. 156 Ivi, p. 45. 157 Ibidem. 158 Ibidem. 159 Ibidem.

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particolare sempre nuovo, il fenomeno è sorpresa, regalo, «il miracolo del mondo dello spirito»160. Rosenzweig dunque concepisce il fenomeno come qualcosa di nuovo sotto il sole, dinamico e spontaneo a differenza dell’idealismo che non poteva considerarlo tale perché la spontaneità avrebbe comportato la negazione della supremazia del logos, dunque l’idealismo non poteva che trasformare la spumeggiante ricchezza del fenomeno a morto dato.

Rosenzweig giunge a formulare la realtà del mondo come un cadere del particolare sull’universale: «il particolare (ricordiamoci del simbolo B) è privo di direzione, l’universale (=A) è a sua volta passivo, immobile; ma in quanto esige applicazione emana da sé una forza di attrazione. Così attorno all’universale si forma un campo d’attrazione nel quale il particolare viene a cadere costretto dal suo stesso peso»161. Se in un primo momento il particolare cade cieco senza una direzione o coscienza, in seguito diviene «cosciente del proprio movimento indotto in direzione dell’universale e così gli si aprono gli occhi circa la propria natura»162. Questo particolare divenuto cosciente è individuum: un «particolare “individuale”»163, un singolo. L’altra tappa per il passaggio dal particolare all’universale è il momento in cui il particolare assume i caratteri del suo universale, del suo genere, della sua specie, pur rimanendo sempre particolare: ora è «una universalità particolare»164. È la parola originaria “e” che permette il movimento di caduta del particolare nell’universale fino a sfociare nel genere, nella specie, ma anche nella comunità, nel popolo. La relazione circolare tra nascite e accoppiamento, «tra l’individuum e il suo genus, tra l’uomo e la sua comunità»165 è l’essenza meta-logica del mondo. A livello simbolico la realtà del mondo è dunque B=A: «uguaglianza di due entità ineguali: il contenuto del mondo e la forma del mondo»166. Perché non A=B? Perché il particolare muove

160 Ivi, p. 46. 161 Ivi, p. 47. 162 Ivi, p. 48. 163 Ibidem. 164 Ibidem. 165 Ivi, p. 49. 166 Ivi, p. 50.

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verso l’universale, l’abbondanza verso l’ordine, l’individuo verso la specie. Al contrario di come le relazioni vengono concepite dall’idealismo che muovono «dalla specie agli individui, dai concetti alle cose, dalla forma al contenuto»167, ovvero A=B. Il mondo per Rosenzweig non è il Tutto dell’idealismo, «dedizione ovunque»168, ma al contrario è dotato di figura, con-figurato: mentre l’idealismo è unidimensionale perché dal Tutto vi è una sola strada che conduce ai particolari, la visione meta-logica pone per ogni individuum la sua singola via che conduce all’intero.

Rosenzweig torna alla Grecia antica: analogamente agli dèi viventi che rappresentavano il punto culminante della teologia dell’antichità, così qui il «mondo configurato segna il culmine della cosmologia antica»169. In particolare la cosmologia platonica e quella aristotelica: la prima richiama il mondo meta-logico perché le cose imitano l’idea immobile proprio come accade al fenomeno che si muove verso l’universale; mentre per quanto riguarda Aristotele, nonostante la nozione di infinito, «non riesce a liberarsi della visione meta-logica del macrocosmo come una forma plastica delimitata verso l’esterno e pienamente strutturata verso l’interno»170. Questo è ciò che Rosenzweig chiama cosmo plastico. Non è qui il caso di approfondire il rapporto tra le cosmologie antiche e il mondo meta-logico, ma è interessante riprendere, seppur brevemente, anche la concezione dell’antichità in rapporto al microcosmo, ovvero tra individuo e specie: la polis. Anch’essa presenta una «chiusura verso l’esterno e […] assolutezza verso l’interno»171 e non vi può essere rappresentanza, a differenza dello stato moderno, perché «ciascun singolo è solo se stesso, solo un individuo»172. Dunque la singolarità rimane intatta «e non diviene mai un Tutto»173.

167 Ibidem.

168 F. Rosenzweig, Il nuovo pensiero, cit., p. 27. Cfr. anche F. Rosenzweig, La Scrittura, cit., p. 248. 169 F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit., p. 53.

170 Ivi, p. 54. 171 Ivi, p. 55. 172 Ibidem. 173 Ivi, p. 56.

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Il mondo così concepito però rimane solo figura. «C’è per lui un fuori?»174, il mondo non ne sa nulla. Nel pre-mondo perenne è «ancora cieco e sordo»175, «fondato in se stesso e su se stesso»176: il mondo rimane meta-logico.

1.3.3. Uomo

Rosenzweig traccia il profilo dell’uomo meta-etico in modo perfettamente simmetrico rispetto a Dio e mondo. Perciò anche in questo caso l’intelletto comune considera l’uomo di per-se-stesso-comprensibile (selbst-verständlich), al contrario dell’intelletto malato, ovvero della filosofia, che a partire da Kant ha fatto dell’Io «il problema per eccellenza, quanto di più problematico vi sia»177, fino a costituire una psicologia negativa. «Anche dell’uomo, quindi, non sappiamo nulla. Ed anche questo nulla è solo un inizio, anzi solo l’inizio di un inizio. Anche in esso si destano le parole originarie, il “sì” che crea, il “no” che genera, l’“e” che conferisce figura. Ed anche qui il “sì” produce nell’infinito non-nulla il vero essere, l’“essenza”»178.

Qual è dunque l’essenza dell’uomo espressa dalla parola originaria “sì”? Richiamando la morte dell’incipit della Stella, risulta chiaro che l’essenza dell’uomo consiste nel suo essere contingente, mortale, perituro. La sua transitorietà lo distingue da Dio e dagli dèi; la sua peculiarità non si lascia imbrigliare dal dominio dell’universale perché essa è carattere: «ethos personale dell’uomo»179. In quanto singolarità è espressa dal simbolo matematico “B”.

La negazione del nulla, espressa dalla parola originaria “no”, determina la libertà dell’uomo. Essa è finita, non solo perché la negazione stessa pone un finito, ma anche perché questa libertà è la sua libertà, ovvero una libertà infinita

174 Ivi, p. 61. 175 Ibidem. 176 Ibidem. 177 Ivi, p. 63. 178 Ivi, p. 64. 179 Ivi, p. 65.

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ma di un essere finito: essa è «già fin dalla propria origine, un che di finito»180. Dunque «la libertà umana è finita, ma in conseguenza della sua immediata origine dal nulla negato, è incondizionata/ non-determinata-da-cose [unbe-dingte], è libertà che presuppone nulla e solo nulla»181. Proprio perché la libertà dell’uomo è finita, essa non può essere libertà per l’azione come quella divina, essa è invece libertà per il volere, espressa simbolicamente da “B=”. Rosenzweig traccia la differenza tra questa e la libertà divina “A=”:

Mentre Dio non ha volontà libera, l’uomo non ha libero potere; in Dio “essere buono” significa fare il bene, nell’uomo: volere il bene. Ed il simbolo ha forma inversa, ma lo stesso contenuto del simbolo del fenomeno mondano: nel mondo fenomenico la libertà appare come un contenuto in mezzo ad altri, ma in tale mondo essa è il “miracolo”, è diversa da tutti gli altri contenuti182.

L’affermazione che la libertà è il miracolo nel mondo dei fenomeni, fa di Kant il più grande di tutti i filosofi183: il concetto di libertà così espresso rappresenta l’unica caravella che ci permette di muovere verso il nuovo mondo della rivelazione184. Ma questo concetto ora non basta: «che cos’è la volontà libera fino a che è semplicemente orientazione ma non ha ancora un contenuto? E che cos’è la peculiarità finché si limita soltanto ad essere? Noi cerchiamo l’uomo vivo, il “sé”. Il “sé” è più che volontà, più che essere»185. Ciò che rende il “sé” tale è il suo essere un’unione tra volontà libera, che diventa caparbia e orgogliosa per perseguire il proprio oggetto, e il momento in cui la peculiarità le fa capire il suo fin-qui-e-non-oltre, ovvero il fatto che non può più procedere senza prenderla in considerazione. Il «punto in cui la peculiarità, nella sua muta, esistente fattualità,

180 Ivi, p. 67. 181 Ibidem. 182 Ibidem.

183 F. Rosenzweig, Il nuovo pensiero, cit., p. 25. Cfr. anche F. Rosenzweig, La Scrittura, cit., p. 246. 184 Ibidem. Cfr. anche Ivi, p. 247.

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viene a trovarsi sulla strada della libera volontà»186 è il carattere. Se infatti «nella peculiarità la volontà si dissolverebbe nel nulla»187 nel carattere questo annientamento non avviene, «bensì essa permane e resta ancora in tutto e per tutto caparbietà»188. La volontà trova dunque nel carattere la sua determinazione: quando «la caparbietà si ostina nel suo carattere»189 si può parlare di autoconsapevolezza dell’uomo, ovvero del “sé”. Questo “sé” radicato nel carattere è però chiuso: a differenza della personalità che si radica nelle relazioni, esso «non possiede plurale»190. Simboleggiato da “B=B”, perché la parola originaria “e” unisce volontà e carattere, il “sé” è «Adam, l’uomo stesso»191 creato ad immagine e somiglianza di Dio (A=A), solo che uno è pura finitudine, l’altro pura infinità. Analogamente al cosmo plastico e all’Olimpo mitico, anche l’eroe tragico dell’antichità incarna il “sé”. Chiuso nella sua «glaciale solitudine»192 il “sé” «è semplicemente solo»193 e dunque muto, proprio come gli eroi della tragedia di Eschilo. Questo non è un limite tecnico del dramma attico: il “sé” è costitutivamente muto proprio perché «nella misura in cui prende parte al colloquio, cessa di essere “sé”»194. Questo mutismo e dunque la solitudine del “sé” tragico fanno pensare che «l’eroe può soltanto soccombere perché il tramonto […] rende possibile la più chiusa insistenza del suo sé su se stesso. Egli anela alla solitudine del tramonto, poiché non vi è solitudine più grande di questa»195.

186 Ibidem. 187 Ibidem. 188 Ibidem. 189 Ivi, p. 69. 190 Ibidem. 191 Ibidem. 192 Ivi, p. 78. 193 Ibidem. 194 Ibidem. 195 Ivi, p. 79.

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Nonostante l’anelito verso la morte, questa gli è negata: «il “sé” eroico e immortale»196 e proprio l’immortalità è l’estrema aspirazione del “sé”.

Immortalità, mutismo, assenza di relazioni, il “sé” rimane il singolo «solo, privo di linguaggio»197. È possibile un ponte o collegamento tra i vari “sé”? Si potrebbe rispondere che un ponte è rappresentato dal contenuto comune della propria solipsisticità, ovvero il fatto che ad accomunare tutti i sé è il proprio rimanere in sé, ma questo contenuto comune non è affatto un vero e proprio ponte tra l’uomo e l’altro uomo, perché la relazione nel pre-mondo perenne non può darsi in quanto «nessuno percepiva nell’altro l’umano come tale, ciascuno lo percepiva immediatamente soltanto nel proprio “sé”»198. Il “sé” sordo, cieco e muto «vive totalmente rivolto all’interno»199, guarda ciò che è estraneo dal suo punto di vista particolare, assimila «tutti gli ordinamenti etici al proprio ethos»200 e per questo era e rimane meta-etico.

Dunque contro l’idealismo che aveva posto un Uno-Tutto onnincludente, Rosenzweig compie una «reductio ad absurdum e contemporaneamente una riabilitazione della vecchia filosofia»201 nella Parte Prima della Stella. Una volta rotta in pezzi la totalità attraverso l’esperienza della morte, si costituiscono tre fattualità originarie: Dio, mondo e uomo. Per un intelletto comune sano essi sono comprensibili-di-per-sé infatti «l’esperienza, per quanto in profondità possa penetrare, scopre nell’uomo sempre e solo l’umano, nel mondo soltanto il mondano, in Dio soltanto il divino»202, al contrario la filosofia li mette in discussione cercando l’essenza. Abbiamo già visto come la ricerca dell’essenza si

196 Ivi, p. 80. 197 Ibidem. 198 Ivi, p. 83. 199 Ibidem. 200 Ibidem.

201 F. Rosenzweig, Il nuovo pensiero, cit., p. 46. Cfr. anche F. Rosenzweig, La Scrittura, cit., p. 261. 202 Ivi, p. 47. Cfr. anche Ivi, p. 262.

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distacchi profondamente dalla realtà cercando ciò che propriamente è, e non ciò che è realmente.

Rosenzweig utilizzando il nulla come concetto metodico ausiliario muove verso il qualcosa del sapere fino a fare di Dio, mondo e uomo fattualità autonome, irriducibili l’una all’altra, strappate alla corrente ed inserite nel pre-mondo perenne. Ricordiamo infatti che gli elementi originari sono semplici ipotesi, delle credenze: «guidati dalla fede nella loro fattualità li abbiamo fatti sorgere dal nulla del sapere. Questo sorgere non è un sorgere nella realtà bensì un accedere allo spazio che precede ogni realtà»203 appunto il pre-mondo perenne. Ma questo non è sufficiente: «la semplice fattualità dell’essere non basta alla fede […] essa aspira ad una certezza inequivocabile»204 che l’essere non è in grado di offrire. La certezza, la realtà, la concretezza è invece offerta dall’esperienza: «nell’esperienza concreta e vivente dell’umanità, Dio, l’uomo ed il mondo sono in relazione»205. Una concretezza che manca agli elementi del pre-mondo perenne, in quanto mondo non reale e atemporale che l’idealismo al contrario aveva posto come reale. Rosenzweig non fa una critica tout court, ma avverte fortemente l’esigenza di riportare la filosofia all’esperienza reale quotidiana, una erfahrende Philosophie. Non basta più parlare di essenza se l’uomo «attende con timore e tremore il giorno del suo viaggio nelle tenebre»206. La vecchia filosofia risulta inadeguata. È per questo che nel mondo incessantemente rinnovato, cioè il mondo reale, Rosenzweig utilizza il linguaggio teologico. Così i risultati devono capovolgersi in origini e gli elementi prima autonomi e separati si dischiudono «l’uno all’altro in un tempo comune»207.

203 F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit., p. 89. 204 Ivi, p. 87.

205 E. Levinas, Fuori dal soggetto, cit., p. 59.

206 F. Rosenzweig, La stella della redenzione, cit., p. 4. 207 A. Fabris, Linguaggio della rivelazione, cit., p. 52.

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