4
Capitolo
1
Il Rischio Sismico
1.1- Introduzione al concetto di rischio
Il concetto di rischio sismico è più complesso rispetto a quello di cui è mediamente consapevole l’opinione pubblica, tanto che è errore comune, quanto grossolano, il volerne dare una rappre-sentazione intuitiva in termini di massima magnitudo Richter registrata durante gli eventi sismi-ci occorsi in passato in un dato luogo.
In realtà, com’è ormai ben noto alla comunità scientifica, parlare di rischio sismico significa prendere in considerazione numerosi fattori, legati non solo alle caratteristiche del moto del suolo, ma anche, ed in larga misura, ad aspetti del tutto diversi, quali il tipo di costruzioni esi-stenti, la loro età e stato di manutenzione, le funzioni cui essi assolvono, la densità e la distribu-zione della popoladistribu-zione, la sua struttura socio-economica, la conoscenza del fenomeno, le mi-sure preventive e la capacità di gestione dell’emergenza... solo per citarne i più rilevanti.
In Italia, il patrimonio edilizio esistente è attualmente costituito, in larga maggioranza, da im-mobili vecchi o addirittura antichi. Consultando, a titolo di esempio, i dati emersi dal 14° censi-mento ISTAT1 riguardanti l’epoca di costruzione degli edifici ad uso residenziale, è facile
calcola-re che più dell’80% degli stessi è anteriocalcola-re al 1981, e solo il 7% è posteriocalcola-re al 1991. Edifici ad uso abitativo per epoca di costruzione e tipo di materiale in Italia - Censimento ISTAT 2001.
EPOCA DI COSTRUZIONE
Tipo di materiale
Muratura portante Calcestruzzo armato Altro Totale
Prima del 1919 2 026 538 0 123 721 2 150 259
Dal 1919 al 1945 1 183 869 83 413 116 533 1 383 815
Dal 1946 al 1961 1 166 107 288 784 204 938 1 659 829
Dal 1962 al 1971 1 056 383 591 702 319 872 1 967 957
5
Dal 1972 al 1981 823 523 789 163 370 520 1 983 206
Dal 1982 al 1991 418 914 620 698 250 890 1 290 502
Dopo il 1991 228 648 394 445 167 934 791 027
Totale 6 903 982 2 768 205 1 554 408 11 226 595
Essendo la normativa antisismica molto più giovane, non stupisce allora la stima del Direttore del Centro Ricerche ENEA di Bologna, Ing. Alessandro Martelli2, secondo cui il 70% del costruito
italiano non sarebbe in grado di resistere ai terremoti a cui potrebbe in futuro essere esposto. Ciò è sicuramente imputabile alle carenze, se non all’assenza, di una specifica normativa antisi-smica nel passato: prima dell’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri (OPCM) n° 3274 del 2003, solo il 45% del territorio italiano era considerato “zona sismica”, e la percentua-le scende al 25% prima del 1980.
Dunque le lezioni sulla realizzazione di edifici sismoresistenti venivano impartite, a caro prezzo, solamente dai terremoti che nel tempo producevano vittime e danni materiali. Erano lezioni che riguardavano la localizzazione delle costruzioni (terreni vicini ma di diversa natura sono soggetti a differenti effetti di amplificazione locale), l’uso di buoni materiali e di efficaci accor-gimenti costruttivi. Purtroppo, la memoria dei terremoti si affievoliva nel tempo, e progressi-vamente, nell’arco di due o tre generazioni, si abbandonavano quelle precauzioni ed attenzioni nel costruire in grado di ridurre gli effetti del sisma. Ecco quindi che gli immobili italiani risultno particolarmente vulnerabili, senza poi considerare che anche gli edifici progettati per le a-zioni sismiche risultano talora viziati da difetti di realizzazione, dall’azione degradante del tem-po e dallo scadente stato di manutenzione.
La conseguenza di tale fragilità del costruito italiano è che anche un terremoto di magnitudo medio-bassa può avere degli effetti di gravità non indifferente, e provocare danni rilevanti sia agli edifici sia, di conseguenza, alle persone: si ricordi che non è il sisma in sé, ad uccidere, bensì i crolli di ciò che l’uomo ha costruito su un territorio a rischio. Ecco dunque che l’Italia, con una sismicità medio-alta rispetto al resto d’Europa, ma sicuramente inferiore rispetto ad altri paesi come gli Stati Uniti o il Giappone, può considerarsi comunque uno degli Stati industrializzati a maggior rischio simico a livello mondiale.
Ulteriori considerazioni sul rischio sismico possono esser formulate analizzando gli effetti che terremoti simili hanno provocato, non già in Stati lontani e diversi per storia e cultura, bensì nella stessa Italia: in proposito, uno studio condotto da Dolce-Di Bucci3 evidenzia similitudini e
differenze relative ai tre maggiori eventi sismici italiani degli ultimi anni, cioè quelli di Umbria e Marche nel 1997, Abruzzo nel 2009, Emilia-Romagna nel 2012.
In tutti e tre i casi si trattava di sciami sismici composti da 2 o 3 scosse principali (mainshocks) e numerose altre minori. La seguente tabella, tratta dall’articolo citato, permette di confrontare i principali dati relativi alle tre sequenze considerate:
2 MARTELLI A., (2012), Camera dei deputati, Commissione VIII, Ambiente, Territorio e Lavori Pubblici, Indagine
Co-noscitiva sullo Stato della Sicurezza Sismica in Italia, audizione della seduta del 13 settembre, in COLOMBINI S., (2014), Vulnerabilità sismica di edifici esistenti in cemento armato e in muratura. Dalle indagini sui materiali alle analisi numeriche: background scientifico, indicazioni normative ed applicazioni pratiche, EPC Editore, p.14.
3 DOLCE M., DI BUCCI D. (2015), Comparing recent Italian earthquakes in Bulletin of Earthquake Engineering, pp.
6 Umbria-Marche 1997 Abruzzo 2009 Emilia 2012
1° mainshock 26/09/1997,
h 00:33 (UTC) 06/04/2009, h 01:32 (UTC) 20/05/2012, h 02:03 (UTC) Magnitudo locale (ML);
Profondità ipocentrale (km) 5.6 3.8 5.9 8.8 5.9 6.3
Magnitudo momento (Mw) 5.7 6.3 5.86
Max PGA orizzontale (cm/s2) 486 644 260
Distanza epicentrale (km) 13.1 4.9 12.0
2° mainshock 26/09/1997,
h 09:40 (UTC) 07/04/2009, h 17:47 (UTC) 29/05/2012, h 07:00 (UTC) Magnitudo locale (ML)
Profondità ipocentrale (km) 5.9 6.5 5.3 15.1 5.8 10.2
Magnitudo momento (Mw) 6.01 5.6 5.66
Max PGA orizzontale (cm/s2) 492 144 290
Distanza epicentrale (km) 12.1 15.1 4 3° mainshock 14/10/1997, h 15:23 (UTC) 09/04/2009, h 00:53 (UTC) Magnitudo locale (ML) Profondità ipocentrale (km) 5.6 4.9 5.1 15.4 Magnitudo momento (Mw) 5.65 5.4
Max PGA orizzontale (cm/s2) 175 177
Distanza epicentrale (km) 11.8 16.1
Max intensità macrosismica (MCS) IX-X IX-X VII-VIII
N° di vittime 11 308 26
Dal confronto, nonché da ulteriori e approfondite analisi condotte in merito a numerosi aspetti, tra cui la sismogenesi, la vulnerabilità dell’edificato, le attività coinvolte nei crolli, ecc, gli Autori hanno desunto le seguenti analogie:
è stata registrata la stessa magnitudo locale massima (5.9) e distanze ipocentrali simili (comprese tra 5 e 15 km);
le sequenze sono caratterizzate da più di una scossa principale, generate da più faglie, e dunque le aree colpite dai danni sono più vaste rispetto a quanto ci si potrebbe aspetta-re considerando solo la massima magnitudo aspetta-registrata;
le zone coinvolte hanno subìto danni ingenti in ragione di elevate vulnerabilità ed espo-sizione4 del patrimonio edilizio, in particolare dei centri storici;
in tutti e tre i casi, sono stati riscontrati danni lievi alle linee di comunicazione, dunque non è stato compromesso l’arrivo dei soccorsi;
la prima scossa è avvenuta in orario notturno, casualità che ha provocato un elevato numero di vittime nelle abitazioni nel terremoto del 2009.
Di contro, sono state evidenziate le seguenti differenze:
la massima energia rilasciata durante il terremoto in Abruzzo (MW pari a 6.3) è circa
quattro volte maggiore rispetto all’evento in Emilia (MW pari a 5.86), differenza che però
da sola non basta a spiegare i diversi livelli di danno riscontrati, dovuti alla presenza del-la città di L’Aquidel-la, altamente vulnerabile, sul tetto di faglia;
la cinematica delle faglie è distensiva per Umbria-Marche e Abruzzo, compressiva per l’Emilia.
In generale, dunque, i tre eventi sismici potrebbero apparire, a prima vista, abbastanza simili, addirittura identici se si considerasse solo la magnitudo locale. In realtà, gli effetti che essi ha no provocato sono stati molto diversi, infatti:
il numero di vittime è difici ad uso abitativo;
il coinvolgimento delle attività produttive industriali e agricole è
te per il terremoto in Emilia, dove le perdite dirette di attrezzature, prodotti immagazz nati e materiali hanno
perché nell’area epicentrale operavano più di 47
Ciò nondimeno, le perdite totali stimate a posteriori risultano abbastanza simili, 12-15 miliardi di euro (attualizzando i costi del 1997). Esse pe
stanzialmente diversa: il seguente singole tipologie di edifici danneggiati
Fig. 1. 1 Incidenza, sul totale delle perdite, dei danni per categorie di edifici, relativi ai terremoti di Emilia 2012, Abruzzo
Le osservazioni ed i dati proposti vogliono schio, dovuta alla grande quantità di dei terremoti, e alla conseguente accinga ad effettuare un’analisi mente, avrà valore limitato e cative e su riduttive modellazioni
5 I dati rappresentati, da considerarsi approssimativi, sono stati desunti da DOLCE
0% Umbria-Marche 1997
Abruzzo 2009 Emilia 2012
In generale, dunque, i tre eventi sismici potrebbero apparire, a prima vista, abbastanza simili, ra identici se si considerasse solo la magnitudo locale. In realtà, gli effetti che essi ha no provocato sono stati molto diversi, infatti:
stato molto maggiore in Abruzzo, dove sono crollati moltissimi coinvolgimento delle attività produttive industriali e agricole è stato
te per il terremoto in Emilia, dove le perdite dirette di attrezzature, prodotti immagazz nno un’incidenza di più del 40% delle perdite dirette tota
perché nell’area epicentrale operavano più di 47.000 imprese e 187
Ciò nondimeno, le perdite totali stimate a posteriori risultano abbastanza simili, 15 miliardi di euro (attualizzando i costi del 1997). Esse però sono distribuite
il seguente grafico rappresenta, per ciascun evento singole tipologie di edifici danneggiati sul totale delle perdite5.
delle perdite, dei danni per categorie di edifici, relativi ai terremoti di Emilia 2012, Abruzzo 2009, Umbria-Marche 1997.
e osservazioni ed i dati proposti vogliono rendere l’idea della complessità
grande quantità di fattori che possono influire, in misura variabile, sugli effetti conseguente vastità degli aspetti da tenere in considerazione
un’analisi del rischio sismico. Analisi che, inevitabilmente e consapev mente, avrà valore limitato e orientativo, dovendo necessariamente basarsi su ipotesi
riduttive modellazioni.
ati, da considerarsi approssimativi, sono stati desunti da DOLCE M., DI BUCCI
20% 40% 60% 80% 100%
7 In generale, dunque, i tre eventi sismici potrebbero apparire, a prima vista, abbastanza simili, ra identici se si considerasse solo la magnitudo locale. In realtà, gli effetti che essi
han-dove sono crollati moltissimi e-stato molto più rilevan-te per il rilevan-terremoto in Emilia, dove le perdirilevan-te diretrilevan-te di attrezzature, prodotti immagazzi-un’incidenza di più del 40% delle perdite dirette totali: questo
000 imprese e 187.000 lavoratori. Ciò nondimeno, le perdite totali stimate a posteriori risultano abbastanza simili, dell’ordine di
rò sono distribuite in maniera so-ciascun evento, l’incidenza delle
delle perdite, dei danni per categorie di edifici, relativi ai terremoti di Emilia 2012, Abruzzo
complessità del concetto di ri-fattori che possono influire, in misura variabile, sugli effetti vastità degli aspetti da tenere in considerazione qualora ci si del rischio sismico. Analisi che, inevitabilmente e
consapevol-tivo, dovendo necessariamente basarsi su ipotesi
semplifi-DI BUCCI D. (2015), op. cit.
Edifici privati Edifici pubblici e infrastrutture Edifici di interesse storico/artistico Attività produttive Altro
8
1.2- Definizione del rischio sismico
Si definisce rischio sismico l'insieme dei possibili effetti che un terremoto di riferimento può durre in un determinato intervallo di tempo, in una determinata area, in relazione alla sua pro-babilità di accadimento ed al relativo grado di intensità (severità del terremoto).6
In altre parole, si tratta di una misura probabilistica degli effetti (morti, feriti, danni alle proprie-tà e perturbazioni alle attiviproprie-tà economiche) che i terremoti in una data zona determinano sugli elementi esposti.
Solitamente il rischio viene espresso in termini di perdite attese in un anno (EALs: Expected
An-nual Losses), le quali, seppur quantificate in un valore monetario, comprendono in realtà non solo i danni materiali agli immobili o ai beni fisici in generale, ma anche i danni immateriali, comprese le vite umane e le eredità culturali e monumentali.
Più precisamente, è possibile distinguere le perdite dirette, cioè i costi direttamente legati alla riparazione dei danni agli edifici ed alle infrastrutture, dalle perdite indirette, che comprendono sia le perdite economiche legate ai contenuti e/o all'interruzione della produttività delle costru-zioni, sia le perdite sociali in termini di vite umane, beni culturali, etc. In tal senso, la quantifica-zione adottata segue la falsariga delle stime comunemente operate in ambito assicurativo. Si noti che, in base alla definizione sopra data, il rischio è una grandezza da valutarsi su scala territoriale: si è parlato infatti degli effetti del terremoto “in una determinata area”. Un approc-cio puntuale è parimenti possibile, restringendo il campo d’indagine ad un solo edifiapproc-cio, per il quale le perdite annue attese vengono spesso normalizzate rispetto al costo di ricostruzione, e quindi espresse in percentuale. La differenza tra una scala e l’altra determina, ovviamente, l’utilizzo di metodologie differenti, soprattutto nello studio delle caratteristiche degli edifici (nel primo caso, sarà più indicato ragionare per tipologie edilizie, evitando di scendere troppo nel dettaglio della singola struttura, mentre nel secondo caso è opportuna una più approfondita conoscenza del fabbricato in esame) e nell’analisi dei valori esposti (le conseguenze socio-economiche saranno diverse in relazione alla vastità dell’area considerata). D’altra parte, sono diversi anche gli obiettivi che giustificano la scelta della scala da prendere in esame: un’analisi su base territoriale risulta particolarmente utile ai fini della protezione civile, o all’elaborazione di strategie di mitigazione del rischio da parte delle pubbliche amministrazioni; invece una valu-tazione puntuale, relativa ad un singolo fabbricato, sarebbe sicuramente utile al proprietario dell’immobile (privato o pubblico), ma solitamente implica oneri di studio giustificabili solo per edifici strategici, o di elevato interesse storico/artistico/monumentale, o ancora per scopi di ri-cerca. Ad esempio, lo studio dettagliato di una singola struttura può essere utilizzato qualora essa possa considerarsi rappresentativa di una più generica tipologia7: in tale circostanza,
l’approfondimento del singolo caso-studio può divenire un anello di congiunzione molto utile per il passaggio dalla scala puntuale a quella territoriale, ma la scelta del livello di dettaglio sarà ancora più delicata, perché bisognerà tenere in considerazioni solo gli elementi effettivamente rappresentativi della categoria che si vuole descrivere.
6 http://www.regione.toscana.it/speciali/rischio-sismico/fattori-di-rischio
7 Si veda, ad esempio, IERVOLINO I., MANFREDI G., POLESE M., VERDERAME G. M., FABBROCINO G., (2007), Rischio
9 Ancora, è bene evidenziare che il rischio sismico non è una grandezza stazionaria: al contrario, esso si modifica nel tempo, come si può facilmente intuire pensando alle trasformazioni cui so-no soggetti i vari fattori antropici che concorroso-no a produrlo, dunque qualunque stima del ri-schio deve intendersi come una rappresentazione istantanea di un sistema in continua evolu-zione.
Infine, il rischio sismico deve essere sempre considerato una grandezza probabilistica, dal mo-mento che esso deve necessariamente riferirsi ad altre grandezze caratterizzate da forte alea-torietà, quali l’occorrenza dei terremoti, le caratteristiche costruttive degli edifici, la previsione del danno correlato alla severità del terremoto: dunque, per quanto le procedure di calcolo possano essere sviluppate e perfezionate in maniera rigorosa, l’incertezza epistemica è conna-turata alla valutazione del rischio sismico, nella misura in cui esso dipende da parametri non perfettamente conoscibili.
Questo finora anticipato risulterà evidente una volta chiarito, in maniera più puntuale, il signifi-cato di ciascuno dei parametri in gioco.
1.3- Parametri che influenzano il rischio
Il rischio sismico gravante su un territorio, o al limite su una singola struttura, è funzione di tre fattori distinti, talvolta erroneamente confusi tra loro: la pericolosità, l’esposizione e la vulnera-bilità.
La pericolosità sismica è una misura della probabilità che in un certo periodo di tempo e in un dato luogo si verifichi un evento sismico di una certa intensità, mentre l’esposizione è dovuta alle caratteristiche (consistenza, valore, posizione) degli elementi a rischio, che possono essere influenzati direttamente o indirettamente da un terremoto. Invece la vulnerabilità può essere interpretata come la probabilità, o il grado di danno, di un dato elemento a rischio (sia esso un immobile, una persona, un’attività) al verificarsi di un determinato evento sismico.
Definizioni più precise ed esaustive sono date nei paragrafi seguenti.
1.3.1- La Pericolosità
La pericolosità sismica è calcolata in base alla probabilità che si verifichi un terremoto di una certa intensità in un dato luogo ed in un intervallo di tempo finito. La stima della pericolosità su tutto il suolo nazionale è il risultato raggiunto dal Gruppo Nazionale per la Difesa dai Terremoti (GNDT) nell’ambito del progetto di ricerca “Pericolosità Sismica del Territorio Nazionale” inizia-to negli anni ’90: grazie all’utilizzo del meinizia-todo probabilistico elaborainizia-to da Cornell nel 1968, ba-sato sulla legge statistica di Gutenberg-Richter e sulla densità di probabilità di Poisson, sono state redatte le attuali mappe di pericolosità, pubblicate a partire dal 2004. Esse rappresentano un decisivo traguardo nell’ambito del processo avviato in Italia con l’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n°3274 del 2003 (GU n°108 dell’8/05/2003), cui è seguita un’iniziativa scientifica promossa dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, e che ha coinvolto an-che altri centri di ricerca.
La Mappa di Pericolosità Sismica 2004 (MPS04) descrive la pericolosità sismica attraverso il pa-rametro dell'accelerazione massima attesa, con una probabilità di eccedenza del 10% in 50
an-10 ni, su suolo rigido e pianeggiante. Dopo l'approvazione da parte della Commissione Grandi Ri-schi del Dipartimento della Protezione Civile nella seduta del 6 aprile 2004, la mappa MPS04 è diventata ufficialmente la mappa di riferimento per il territorio nazionale con l'emanazione dell'Ordinanza PCM 3519/2006 (G.U. n.105 dell'11 maggio 2006).
Successivamente, nell'ambito del progetto INGV-DPC S1 (2005-2007), sono state rilasciate una serie di mappe di pericolosità sismica per diverse probabilità di eccedenza in 50 anni, basate sullo stesso impianto metodologico e sugli stessi dati di input della MPS04. Per ogni punto della griglia di calcolo (che ha una densità di 20 punti per grado, circa un punto ogni 5 km) sono oltre 2200 i parametri che ne descrivono la pericolosità sismica.
Questa mole di dati ha reso possibile l’approccio della attuali Norme Tecniche per le Costruzioni (NTC08), emanate dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici con il D.M. del 14/01/2008 (G.U. n.29 del 04/02/2008), nelle quali l'azione sismica di riferimento per la progettazione è valutata punto per punto e non più solo per quattro zone sismiche: in proposito, si propone un breve riepilogo relativo all’evoluzione della zonazione sismica nazionale.
Dal 1927 la mappa sismica italiana non era altro che la lista di Comuni colpiti da terremoti dopo il 1908 (anno dell’evento distruttivo di Reggio Calabria e Messina), distinti in due categorie. La lista veniva ripetutamente aggiornata, semplicemente aggiungendo i Comuni gravemente dan-neggiati a ogni nuovo evento sismico.8
Solo dopo gli studi di carattere sismologico effettuati all’indomani del terremoto del Friuli Ve-nezia Giulia del 1976 e di quello dell’Irpinia del 1980, l’aumento delle conoscenze consentì la formulazione di una proposta di classificazione sismica presentata dal CNR al Governo, e poi tradotta in una serie di decreti del Ministero dei Lavori Pubblici approvati tra il 1980 ed il 1984 (tra essi il D.M. 7 marzo 1981, il D.M. 3 giugno 1981 ed il D.M. 29 febbraio 1984)9. Questa
classi-ficazione comprendeva tre Categorie sismiche, con pericolosità decrescente dalla prima alla terza, ma non era ancora estesa all’intera superficie nazionale.
Con l’OPCM n°3274 del 20/03/2003 (che ha portato, peraltro, significative modifiche anche nel-le metodologie di calcolo, rendendo obbligatorio il metodo agli stati limite, e nei dettagli co-struttivi, finalizzati al raggiungimento di un maggior grado di duttilità), si è giunti infine all’introduzione di una quarta Zona, e alla copertura completa del territorio italiano.
Le figure che seguono mostrano un confronto tra la classificazione sismica al 1984 (Fig. 1.2 a si-nistra) e la zonazione del 2003 (Fig.1.2 a destra), mentre la Fig. 1.3 rappresenta la mappa di pricolosità sismica del territorio nazionale (riferita all’OPCM N°3519 del 28/04/2006, all.1b.) e-spressa in termini di accelerazione massima di suolo rigido con probabilità di eccedenza del 10% in 50 anni.10
8 BARBERI F., BERTOLASO G., BOSCHI E., (2007), Difendersi dai terremoti: la prevenzione sismica in Italia, in
BARBE-RI F. (a cura di), Dall’emergenza alla ricostruzione, ed. 4M – Protezione Civile, Regione Umbria.
9 CAMERA DEI DEPUTATI DELLA REPUBBLICA ITALIANA, Norme antisimiche – L’evoluzione normativa, in:
http://legxv.camera.it/cartellecomuni/leg14/RapportoAttivitaCommissioni/testi/08/08_cap15_sch01.htm
11
Fig. 1. 2 Confronto tra la classificazione sismica del 1984 (a sinistra) e la zonazione del 2003 (a destra)
Fig. 1. 3 Mappa di pericolosità sismica del territorio nazionale (riferita all’OPCM N°3519 del 28/04/2006, all.1b.) espressa in termini di accelerazione massima di suolo rigido con probabilità di eccedenza del 10% in 50 anni
12
1.3.2- La Vulnerabilità
La vulnerabilità sismica è la suscettibilità delle strutture a subire un danneggiamento più o meno elevato, delle attività a subire danni o interruzioni, e delle persone ad essere ferite più o meno gravemente, per causa di un evento sismico.
La vulnerabilità del costruito italiano è molto alta, per la sua vetustà e per le vicissitudini susse-guitesi nel processo di classificazione sismica del territorio nazionale.
È interessante aggiungere, in proposito, un’ulteriore considerazione di carattere storico: prima dell’OPCM 3274/2003, i progetti delle costruzioni che prevedevano l’uso di tecnologie non con-venzionali per la riduzione della risposta sismica dovevano essere valutati direttamente dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, mancando a riguardo una specifica normativa di riferi-mento. Di conseguenza, il complesso iter burocratico e il derivante allungamento dei tempi di realizzazione, hanno agito da freno alla diffusione di quelle strategie di protezione che nel frat-tempo venivano studiate e messe a punto, e che si sarebbero oggi rivelate provvidenziali se fos-sero state applicate già negli anni Novanta.
In tema di vulnerabilità delle strutture, e in osservanza all’Ordinanza citata, la Regione Tosca-na11 ha disposto dei programmi regionali di valutazione e verifica per gli edifici strategici
(Valu-tazione delle Verifiche Sismiche negli Edifici Strategici e Rilevanti, VVSESeR), per gli edifici in muratura (Vulnerabilità Sismica edifici in Muratura, VSM) e per gli edifici in cemento armato (Vulnerabilità Sismica edifici in Cemento Armato, VSCA).
Quest’ultimo fissa i criteri per lo svolgimento delle indagini diagnostiche finalizzate alla valuta-zione della resistenza del calcestruzzo gettato in opera per edifici esistenti in cemento armato. Prevede, in particolare, lo sviluppo delle conoscenze sulla qualità dei materiali attraverso l'ese-cuzione di prove sperimentali in situ ed in laboratorio, di tipo sia non distruttivo (metodo Son-reb) che distruttivo (carotaggi); fornisce le istruzioni tecniche per lo svolgimento delle stesse e i modelli di calcolo da utilizzare per l’elaborazione dei dati.
I programmi regionali citati hanno come scopo la valutazione della cosiddetta vulnerabilità di-retta, ovvero la propensione del singolo edificio o aggregato strutturale a subire danneggia-menti; nell’ottica di un’analisi più vasta è possibile definire anche la vulnerabilità indotta, in rapporto agli effetti di crisi dell’organizzazione del territorio generati dal danneggiamen-to/collasso di uno degli elementi fisici (ad esempio la crisi del sistema dei trasporti indotta dall’inagibilità di una strada o di un ponte, o più in generale l’interruzione puntuale di un siste-ma a rete), ed infine la vulnerabilità differita, riguardante gli effetti che si siste-manifestano successi-vamente all’eventuale terremoto, tali da modificare significatisuccessi-vamente il comportamento delle collettività insediate (ad esempio la riduzione dei posti di lavoro per danni causati ad un’industria importante).
13
1.3.3- L’Esposizione
L’esposizione è legata alla dislocazione sul territorio di beni di valore, di aree densamente popo-late e di attività produttive che possono essere influenzate più o meno pesantemente da un e-vento sismico.
Una rapida serie di esempi può essere utile per una più immediata comprensione: si pensi ad edifici che ospitino persone anziane, bambini o disabili, che in caso di terremoto avrebbero mi-nore capacità di reazione e fuga; oppure a sedi di attività industriali che utilizzino sostanze peri-colose per l’uomo o per l’ambiente; o ancora a musei ed eccellenze architettoniche, che custo-discono o sono di per sé opere d’arte uniche e non replicabili.
È chiaro poi che un quartiere cittadino densamente abitato dovrà avere un indice di esposizione più alto rispetto ad un’area rurale, magari più vasta ma solo raramente interessata da presenze umane, e quindi entrano in gioco fattori come il numero delle persone che giornalmente popo-lano un certo edificio e il numero di ore al giorno in cui l’edificio risulta occupato da persone. Ancora, va considerato il livello di informazione della popolazione, sia in termini di consapevo-lezza del rischio, sia di conoscenza dei comportamenti più efficaci da perseguire in caso di ter-remoto: paradossale l’episodio verificatosi il 26 settembre 1997 durante la seconda scossa dello sciame sismico umbro-marchigiano, quando gli insegnanti fuggirono dalle aule scolastiche la-sciando incustoditi gli alunni. Al contrario, già nel 1989 in occasione del più violento sisma di Loma Prieta, decine di migliaia di persone che assistevano alla partita finale del campionato di baseball fra le squadre di San Francisco e di Oakland avevano evacuato lo stadio con calma, senza che si verificasse nessuna perdita di vite umane.12
Ma non è solo il numero di vittime attese a determinare il livello di esposizione. Si è già accen-nato al pericolo connesso alla presenza di aree industriali in cui si utilizzino stanze nocive per l’ambiente. Anche in assenza di sostanze del genere va comunque tenuto di conto l’assetto so-cio-economico di grandi aree, la cui crisi potrebbe avere conseguenze persino sull’intera eco-nomia mondiale. Ad esempio, il sisma che colpì Izmit in Turchia nell’agosto del 1999 causò l’incendio del più grande impianto petrolchimico turco, creando difficoltà nell’approvvigionamento di combustibile per il trasporto, oltre che inquinamento ambientale.13
Un altro esempio, meno eclatante ma a noi più vicino, è il terremoto del 2012 in Emilia: esso ha colpito un’area produttiva che aveva fruttato, solo l’anno prima, esportazioni per un valore su-periore a dodici miliardi di euro14.
Infine, un elevato indice di esposizione riguarda le strutture strategiche, che dovrebbero neces-sariamente restare operative durante e dopo il sisma, quali ospedali, caserme, scuole, impianti elettrici e telefonici, ponti e viadotti: l’integrità di queste strutture risulta fondamentale per una efficace gestione dell’emergenza, dunque devono rispettare requisiti di sicurezza più stringenti, e il rischio ad esse correlato è maggiore.
Un’accurata valutazione dell’esposizione su scala territoriale dovrebbe tener conto in qualche modo di tutte le eventualità sopra citate, e quindi prendere in esame la distribuzione, la
12 DOLCE M., MARTELLI A., PANZA G., (2005), Moderni metodi di protezione dagli effetti del terremoto, Editore
21mo secolo, Milano, p.113.
13 DOLCE M., MARTELLI A., PANZA G., (2005), op.cit., p.117. 14 DOLCE M., DI BUCCI D. (2015), op. cit.
14 tura sociale e le condizioni economiche della popolazione insediata, la quantità e le funzioni del patrimonio edilizio pubblico, privato e produttivo, il sistema delle infrastrutture, l’insieme delle attività economiche presenti e le interazioni dell’area esaminata con quelle circostanti. Una procedura del genere sarebbe evidentemente molto lunga, complessa e laboriosa, dunque soli-tamente si ripartisce l’esposto in categorie, a ciascuna delle quali corrispondono diverse com-ponenti fisiche, per poter valutare l’entità e la tipologia delle perdite complessive attese, a pari-tà di danno fisico occorso.15
La combinazione di pericolosità, vulnerabilità ed esposizione fornisce una stima del rischio si-smico, ma potrebbe esser preso in considerazione anche un altro elemento, ovvero la resilien-za, intesa come la capacità della comunità di reagire all’evento, in termini di ripresa delle attivi-tà economiche e sociali16. Rientrano in questo ambito: la conoscenza di tecniche speditive di
va-lutazione dell’agibilità delle costruzioni danneggiate; la capacità di realizzare opere provvisionali in tempi rapidi per rendere fruibili le infrastrutture e gli edifici, e per mettere in sicurezza i beni culturali; l’efficienza delle istituzioni nel garantire alla popolazione colpita una qualità della vita paragonabile a quella precedente al terremoto.
Attualmente, non è disponibile un approccio efficace per quantificare la resilienza, dunque essa non figura solitamente tra i parametri poi effettivamente utilizzati nella stima del rischio: sono auspicabili futuri sviluppi in tal senso, utili sia a raffinare l’analisi di rischio, sia a migliorare le misure per la gestione dell’emergenza. Ai fini della valutazione del rischio, comunque, si po-trebbe pensare di inglobare un indice di resilienza come “fattore correttivo” nella stima dell’esposizione.
Per quanto concerne invece gli altri parametri di rischio sopra trattati, è evidente che la perico-losità sismica del territorio è un fattore non modificabile, mentre la diminuzione dell’esposizione costituisce un’operazione molto difficile perché comporterebbe un trasferi-mento di attività, persone e beni di difficilissima od impossibile attuazione, se non in rarissimi casi.
Ne segue che la possibilità più concreta di mitigare il rischio sismico agendo in maniera preven-tiva è di intervenire sulla vulnerabilità dell’edificato esistente, mettendo in atto una laboriosa e impegnativa, quanto necessaria, campagna di analisi e valutazioni dell’attuale patrimonio co-struito, e adottando opportune strategie di adeguamento.
15 REGIONE LIGURIA, Linee guida per la sensibilizzazione sulle problematiche relative al rischio sismico e alla
gestio-ne dell’emergenza, Progetto RINAMED, in: http://www.rinamed.gestio-net/docs/result/lg_It.pdf
16 MARTELLI L., BORGHESI A., PASSARELLA V., ROMANI M., (2013), Rischio sismico, in ARPA EMILIA-ROMAGNA (a
cura di), La qualità dell’ambiente in Emilia-Romagna. Annuario dei dati ambientali 2011, cap. 9b, http://www.arpa.emr.it/cms3/documenti/_cerca_doc/stato_ambiente/annuario2011/cap_09b_11.pdf
15
1.4- Metodi di valutazione del rischio sismico
La definizione di un metodo per la valutazione del rischio sismico è tuttora oggetto di ricerca, dal momento che nella letteratura di settore (e nella normativa tecnica) non è attualmente di-sponibile un approccio globale e univoco per tener conto di tutti i parametri che concorrono a definire il rischio, nello specifico l’esposizione, la pericolosità e la vulnerabilità.
Come già anticipato, i metodi correntemente adottati misurano il rischio in termini di perdite attese annue (EALs: Expected Annual Losses); prima di introdurre gli sviluppi più recenti, si
ritie-ne utile ripercorrere cronologicamente l’evoluzioritie-ne della ricerca, e quindi descrivere lo stato dell’arte, nell’ambito della stima dei danni e delle perdite da terremoto.
È opportuna qualche osservazione preliminare: parlare di stima dei danni focalizza già l’attenzione su uno dei tre fattori che influenzano il rischio, e cioè la vulnerabilità dell’edificato, la cui valutazione è un passo fondamentale nelle analisi di rischio al punto che talvolta si con-fondono i due termini. È bene invece sottolineare la distinzione tra i due concetti, dal momento che l’analisi di rischio sismico comprende sì la valutazione di vulnerabilità, ma non si esaurisce con essa, prendendo in considerazione anche gli altri fattori citati e cioè l’esposizione e la peri-colosità. Restando dunque ben intesa tale fondamentale distinzione, è comunque vero che la valutazione della vulnerabilità è stata una delle prime questioni da risolvere dal punto di vista della ricerca metodologica, e sono già notevoli gli studi ed i risultati ottenuti in tal senso, men-tre la definizione di un algoritmo univoco per la stima del rischio costituisce un filone di ricerca più recente, tanto che i risultati attuali non sono ancora confluiti in uno strumento normativo ufficiale.
Infine, è bene ribadire il carattere intrinsecamente evolutivo del rischio, dovuto a diverse ragio-ni, tra cui:
la vulnerabilità dell’edificato varia nel tempo, sia in maniera favorevole (grazie all’introduzione di nuove normative e alla diffusione delle conoscenze in materia di pro-gettazione antisismica), sia sfavorevole (oltre al naturale degrado, hanno un peso note-vole i danni prodotti dai terremoti che man mano si verificano);
l’assetto socio-economico del territorio muta secondo dinamiche complesse e disparate, ad esempio con l’insediamento di nuove attività produttive importanti, l’attuazione di differenti politiche di sviluppo o il significativo potenziamento delle vie di comunicazio-ne; ciò influenza, essendone reciprocamente condizionato, cambiamenti demografici sia nella densità sia nella distribuzione della popolazione, e il risultato complessivo è l’evoluzione dell’esposizione.
Per quanto riguarda la pericolosità, se è vero che essa è una caratteristica insita del territorio, e quindi non è condizionata dalle trasformazioni del sistema antropico, è pur vero che la cono-scenza della pericolosità migliora nel tempo grazie al progredire della ricerca, dunque ci si può aspettare che in futuro saranno disponibili studi e aggiornamenti di volta in volta più precisi, da utilizzare come nuovi dati di input nella procedura di calcolo di un indice di rischio: in questo caso l’aspetto evolutivo non riguarda il rischio in sé, ma la precisione con cui si riesce a stimarlo, dunque le stesse considerazioni valgono per i progressi nell’elaborazione di un metodo affidabi-le.
In definitiva, una volta scelta la scala su cui si opera (territoriale o puntuale), esaminati e para-metrizzati opportunamente i fattori in gioco, trovata una idonea procedura per il calcolo di un
16 indice di rischio, il risultato che si ottiene non è altro che una stima istantanea e approssimata; ciò nondimeno, si tratta di uno strumento indispensabile al fine della difesa dai terremoti.
1.4.1- Stato dell’arte
1.4.1.1- I primi studi sulla previsione delle perdite
Già nel 1932 John Freeman17 pubblicava la sua opera Earthquake Damage and Earthquake
Insu-rance, il cui titolo è indicativo del fatto che, inizialmente, le stime delle perdite erano finalizzate all’utilizzo da parte delle attività assicurative. In quanto tali, esse miravano alla previsione non del danno fisico, quanto piuttosto del costo di riparazione del danno.18
Secondo Whitman et al.19, la prima stima vera e propria delle perdite per causa di eventi sismici fu invece lo studio condotto nel 197220 dalla NOAA (National Oceanic and Atmospheric
Admini-stration) per l’area di San Francisco, seguito da più di trenta ulteriori studi per circa una dozzina di aree metropolitane degli Stati Uniti d’America.
L’anno dopo, nel 1973, Whitman21 introdusse lo strumento concettuale ancora oggi più
utilizza-to per mettere in relazione il moutilizza-to del terreno con le probabilità di danno attese: si trattava della Matrice di Probabilità di Danno (DPM), cioè una matrice in cui ogni elemento rappresenta la probabilità condizionata che si verifichi il livello di danno Dk data l’intensità Ij e la classe
tipo-logica Ti. Tale probabilità è esprimibile sinteticamente con l’espressione:
p[Dk|Ij,Ti]
ed equivale, evidentemente, alla percentuale di edifici di categoria Ti che subiscono il livello di
danno Dk a causa di un evento sismico di intensità Ij.
Il formato generale di una DPM è mostrato nella seguente tabella, e parte della sua importanza storica risiede anche nel fatto che, dal momento in cui fu introdotta, la natura probabilistica del fenomeno è divenuta una consapevolezza non più ignorabile.
17 FREEMAN, J. R., (1932), Earthquake Damage and Earthquake Insurance: Studies of A Rational Basis for
Earthqua-ke Insurance, also studies of Engineering Data for EarthquaEarthqua-ke-Resisting Construction, McGraw-Hill, New York.
18 KIRCHER, C. A., REITHERMAN, R. K., WHITMAN, R. V., ARNOLD, C. (1997), Estimation of earthquake losses to
buildings in Earthquake spectra, 13(4), pp. 703-720.
19 WHITMAN, R.V., ANAGNOS, T., KIRCHER, C.A., LAGORIO, H.J., LAWSON, R.S., SCHNEIDER, P. (1997). Development
of a National Earthquake Loss Estimation Methodology, in Earthquake Spectra 13(4): pp. 643–661.
20 ALGERMISSEN, S.T., RINEHART, W.A., DEWEY, J., STEINBRUGGE, K.V., DEGENKOLB, H.J., CLUFF, L.S., MCCLURE,
F.E., GORDON, R.F., SCOTT, S., LAGORIO, H.J. (1972). A study of earthquake losses in the San Francisco Bay Area: data and analysis, Washington, D.C.: Office of Emergency Preparedness and National Oceanic and Atmospheric Administration.
21 WHITMAN, R. V., REED J. W.,. HONG S. T, (1973). Earthquake Damage Probability Matrices, Proceedings of the
17 Formato generale della Matrice di Probabilità di Danno per la generica classe tipologica Ti
INTENSITÀ
MA-CROSISMICA 0 … LIVELLO DI DANNO … Dk … DMAX
I1 …% …% …% …% …% …%
… …% …% …% …% …% …%
IJ …% …% …% p[Dk|Ij,Ti] …% …%
… …% …% …% …% …% …%
IMAX …% …% …% …% …% …%
Nel 1985, l’Applied Technology Council pose la matrice di probabilità di danno di Whitman alla base del suo influente lavoro intitolato Earthquake Damage Evaluation Data for California22,
comunemente noto come “ATC-13”, ed introdusse alcuni aspetti rilevanti quali l’utilizzo docu-mentato e sistematico delle opinioni di esperti, e la correlazione tra danni per tipologie struttu-rali e intensità macrosismica.
Va notato, infatti, che il parametro tradizionalmente adoperato per caratterizzare i terremoti nelle stime delle perdite attese è proprio il livello d’intensità macrosismica, misurato inizial-mente mediante la scala MSK (Medvedev – Sponheuer – Karnik).23
Tale scala, proposta per la prima volta nel 1964 e poi modificata nella versione del ’76, oltre a definire dodici gradi di intensità (indicati con numeri romani), forniva anche una prima classifi-cazione degli edifici in base alla loro vulnerabilità (suddividendoli in tre classi denominate A, B e C, con vulnerabilità decrescente) e definiva sei livelli di danno numerati da 0 (nessun danno) a 6 (danno totale: collasso), di seguito descritti:
LIVELLO DI DANNO DESCRIZIONE
0 Nessun danno
1 Danno lieve: sottili fessure e caduta di piccole parti dell’intonaco.
2 Danno moderato: piccole lesioni nelle pareti, caduta di grandi pezzi di intonaco, ca-duta di tegole, lesioni dei comignoli, caca-duta di parti dei comignoli.
3 Danno forte: lesioni ampie e profonde nelle pareti; caduta dei comignoli.
4 Distruzione: lesioni ampie e profonde nelle pareti, crolli di parti di edifici e dei muri interni, le parti dell’organismo strutturale perdono unione.
5 Danno totale: collasso totale dell’edificio.
Per ciascuna classe, e ciascun grado di intensità dal V al X, il numero di edifici interessati da un certo livello di danno era espresso in maniera alquanto vaga, o meglio semi-quantitativa, utiliz-zando i termini “Pochi” (“Some”), “Molti” (“Many”), “la Maggior Parte” (“Most”), corrispon-denti rispettivamente alle percentuali di circa il 5, il 50 e il 75% degli edifici indagati. Di fatto, la scala MSK 76 rappresenta la prima forma, sia pur incompleta, di matrice di probabilità di danno, ed è scandita così come rappresentato nella seguente tabella:
22 APPLIED TECHNOLOGY COUNCIL, (1985), Earthquake Damage Evaluation Data for California (ATC-13), Redwood
City.
23 MEDVEDEV S.V. (1977), Seismic Intensity Scale M.S.K. 76, Institut of Geophisics, Polish Academy of Sciences, A-6
18 INTENSITÀ
MACROSI-SMICA CLASSE DI VULNERABILI-TÀ “A” CLASSE DI VULNERABILI-TÀ “B” CLASSE DI VULNERABILI-TÀ “C”
V Danno 1 per Pochi edifici -- --
VI Danno 2 per Pochi edifici
Danno 1 per Molti edifici Danno 1 per Pochi edifici --
VII Danno 4 per Pochi edifici
Danno 3 per Molti edifici Danno 3 per Pochi edifici Danno 2 per Molti edifici Danno 2 per Pochi edifici Danno 1 per Molti edifici VIII Danno 5 per Pochi edifici
Danno 4 per Molti edifici Danno 4 per Pochi edifici Danno 3 per Molti edifici Danno 3 per Pochi edifici Danno 2 per Molti edifici IX Danno 5 per Molti edifici Danno 5 per Pochi edifici
Danno 4 per Molti edifici Danno 4 per Pochi edifici Danno 3 per Molti edifici Se, da un lato, la scala MSK presentava il vantaggio di non essere legata ad una specifica realtà territoriale, dall’altro è immediato rilevarne i limiti24:
i criteri di attribuzione alle tre classi si basavano esclusivamente sul materiale da costru-zione: classe A per le costruzioni in pietrame, classe B per quelle in mattoni e classe C per quelle armate. Tale classificazione, oltre a risultare troppo grossolana, non prendeva in considerazione i materiali più moderni come l’acciaio, né la possibile esistenza di strutture progettate secondo criteri antisismici;
le percentuali di edifici danneggiati erano troppo vaghe e approssimate;
la scala non era completa, in quanto non era articolata su tutti i livelli di danno per le va-rie intensità.
In seguito ad alcuni significativi eventi sismici verificatisi in Italia negli anni ’80, in particolare il terremoto del 1980 nell’Italia meridionale (Campania, Basilicata, Puglia) e quello del 1984 in Ita-lia centrale (Abruzzo, Molise), furono condotte analisi statistiche sulle costruzioni danneggiate, coinvolgendo rispettivamente 36.000 e 15.000 edifici, pubblicate in due successivi studi25 di
Braga, Dolce, Liberatore26.
La maggior parte degli edifici indagati era in muratura di differenti tipi, e alcune migliaia di strutture erano in cemento armato. Dall’elaborazione dei dati scaturirono due importanti di-screpanze con la scala MSK: le distribuzioni di frequenza dei danni presentavano una dispersio-ne molto elevata, e le correlazioni tra livelli di danno di differenti classi non erano più verificate. Per queste ragioni, fu proposto un metodo statistico che forniva, sulla base dell’intensità ma-crosismica verificatasi in ciascuna area e della classificazione delle tipologie edilizie in tre classi di vulnerabilità, le relative DPM. Alle distribuzioni di probabilità di danno vennero imposti dei vincoli per ottenere una coerenza con la scala MSK: ad esempio, il termine “molti edifici” fu in-terpretato come la moda della distribuzione. I risultati conseguiti rappresentavano così un mo-dello statistico della scala MSK (modificata), costituendone al contempo un aggiornamento e un completamento: venivano infatti ridefinite le tre classi di vulnerabilità inglobando tredici
24 POLESE M., (2002), Un approccio a doppio livello per la valutazione della vulnerabilità sismica delle strutture in
C.A., Tesi di Dottorato di Ricerca in Ingegneria delle Strutture, Università degli Studi di Napoli Federico II.
25 BRAGA, F., DOLCE, M., LIBERATORE D., (1982), A statistical study on damaged buildings and an ensuing review of
the M.S.K.-76 scale, VII European Conference on Earthquake Engineering, Atene.
26 BRAGA, F., DOLCE, M., LIBERATORE D., (1986), Assessment of the relationship between macroseismic intensity,
type of building and damage, based on the recent italy earthquake data, VIII European Conference on Earthquake Engineering, Lisbona.
19 logie costruttive, e le probabilità di danno venivano estese, per ogni classe di edifici e grado di intensità, a tutti e sei i livelli.
La seguente tabella illustra le tredici tipologie strutturali. Prendendo inizialmente in considera-zione una serie di fattori significativi, quali le altezze degli edifici, la tipologia dei tetti, il numero di pareti in comune con gli edifici adiacenti, l’età dei fabbricati ecc., ed analizzando i danni subì-ti, gli autori riscontrarono che i parametri più influenti nella resistenza degli edifici fossero la ti-pologia di orizzontamenti (volte, solai in legno, solai con putrelle, solai in c.a.) e il materiale uti-lizzato per le strutture verticali. La varia combinazione dei due fattori principali (orizzontamenti e strutture verticali) dava luogo alle tredici tipologie strutturali come di seguito rappresentate:
Identificazione delle tipologie strutturali di Braga-Dolce-Liberatore STRUTTURE
ORIZ-ZONTALI MATERIALE PER LE STRUTTURE VERTICALI Muratura in
pietra-me non squadrato Muratura in pietra-me sbozzato Muratura in mattoni o blocchi Cemento armato
Volte Tipologia 1 Tipologia 5 Tipologia 9 --
Solai in legno Tipologia 2 Tipologia 6 Tipologia 10 -- Solai con putrelle Tipologia 3 Tipologia 7 Tipologia 11 --
Solai in c.a. Tipologia 4 Tipologia 8 Tipologia 12 Tipologia 13
Tali tipologie edilizie furono poi riaggregate nelle tre classi di vulnerabilità A, B e C, imponendo la massima verosimiglianza tra le matrici DPM generate per ciascuna di esse e le matrici genera-te per le classi A, B e C, di seguito riportagenera-te:
Matrice di Probabilità di Danno di Braga-Dolce-Liberatore per la Classe di Vulnerabilità “A” INTENSITÀ
MA-CROSISMICA 0 1 2 LIVELLO DI DANNO 3 4 5
VI 0.188 0.373 0.296 0.117 0.023 0.002
VII 0.064 0.234 0.344 0.252 0.092 0.014
VIII 0.002 0.020 0.108 0.287 0.381 0.202
IX 0.0 0.001 0.017 0.111 0.372 0.498
X 0.0 0.0 0.002 0.030 0.234 0.734
Matrice di Probabilità di Danno di Braga-Dolce-Liberatore per la Classe di Vulnerabilità “B” INTENSITÀ
MA-CROSISMICA 0 1 2 LIVELLO DI DANNO 3 4 5
VI 0.36 0.408 0.185 0.042 0.005 0.0
VII 0.188 0.373 0.296 0.117 0.023 0.002
VIII 0.031 0.155 0.312 0.313 0.157 0.032
IX 0.002 0.022 0.114 0.293 0.376 0.193
X 0.0 0.001 0.017 0.111 0.372 0.498
Matrice di Probabilità di Danno di Braga-Dolce-Liberatore per la Classe di Vulnerabilità “C” INTENSITÀ
MA-CROSISMICA 0 1 2 LIVELLO DI DANNO 3 4 5
VI 0.715 0.248 0.035 0.002 0.0 0.0
VII 0.401 0.402 0.161 0.032 0.003 0.0
VIII 0.131 0.329 0.330 0.165 0.041 0.004
IX 0.050 0.206 0.337 0.276 0.113 0.018
20 In tal modo fu instaurata la seguente corrispondenza:
Corrispondenza tra le 13 tipologie edilizie di Braga-Dolce-Liberatore e le Classi di Vulnerabilità “A”,”B”,”C”. STRUTTURE
ORIZ-ZONTALI MATERIALE PER LE STRUTTURE VERTICALI Muratura in
pietra-me non squadrato Muratura in pietra-me sbozzato Muratura in mattoni o blocchi Cemento armato
Volte A A A --
Solai in legno A A C --
Solai con putrelle B B C --
Solai in c.a. C C C C
1.4.1.2- La Scala Macrosismica Europea
Negli anni ’90 un decisivo passo in avanti si è compiuto con la definizione di una nuova scala, che è quella attualmente utilizzata come riferimento fondamentale a livello internazionale: la European Macroseismic Scale27, in particolare nella versione del 1998 (EMS-98) redatta dal
Working Group Macroseismic Scales of the European Seismological Commission. La EMS-98 mi-gliorava le attribuzioni di classe degli edifici tradizionali, evidenziandone comunque le inevitabili incertezze, ma la più importante innovazione è stata l’introduzione di tre classi di vulnerabilità aggiuntive, per consentire l’inserimento degli edifici in cemento armato progettati seguendo, almeno parzialmente, dei criteri anti-sismici (ERD: Earthquake Resistant Design).
Nella nuova scala si hanno dunque le categorie “D”, “E” ed “F” che corrispondono rispettiva-mente ai livelli “minimo”, “intermedio” ed “elevato” di progettazione anti-sismica. In particola-re un livello di ERD minimo equivale alla capacità di sopportaparticola-re forze orizzontali pari al 24% dei carichi verticali; un livello intermedio al 57%, un livello elevato all’ 812%.
Gli edifici in c.a. progettati senza ERD avrebbero invece un comportamento simile a quelli in muratura con solai in c.a., o leggermente migliore, dunque trovano posto in classe “C”.
Ciò suggerisce il fatto che il tipo di struttura orizzontale è un parametro da considerarsi preva-lente rispetto agli altri in caso di dubbi nell’attribuzione della classe ad un edificio: questo per-ché la rigidezza degli orizzontamenti gioca un ruolo-chiave nel comportamento sismico di una struttura.28 L’estensione della classificazione volta a comprendere gli edifici più recenti, oltre ad
essere “naturale” e necessaria per il crescente numero di edifici anti-sismici costruiti, ha aperto una serie di interessanti possibilità alla ricerca, per due ordini di motivi. In primo luogo, perché gli edifici in cemento armato costituiscono un indicatore più affidabile del grado di scuotimento del suolo rispetto agli edifici tradizionali in muratura, essendo migliore l’affidabilità dei modelli di comportamento meccanico del materiale. Inoltre, gli edifici in cemento armato presentano una maggiore standardizzazione nei vari paesi, e quindi possono essere utilizzati in maniera più efficace per affinare le relazioni tra i parametri descrittivi del moto del suolo e i livelli di danno. Essendo, la EMS-98, la scala più recente e quindi il punto di riferimento ora fondamentale per la ricerca, si ritiene utile soffermarsi a riportarne i punti salienti.
27 CONSEIL DE L’EUROPE, (1998), European Macroseismic Scale 1998, in Cahiers du Centre Européen de
Géodyna-mique et de Séismologie, Vol. 15: pp.1-99, Editor G. Grünthal, Luxembourg.
28 LIBERATORE D., (1992), Statistical models of damage to buildings and the MSK scale, X World Conference on
21 I gradi di intensità macrosismica sono espressi da numeri romani, da I a XII, e distinti tramite l’individuazione degli effetti tipici, come riportato nella seguente tabella tratta direttamente dal testo della EMS-98:
I livelli di danno sono descritti con l’ausilio di illustrazioni, distinte per edifici in muratu-ra e in cemento armato, come segue:
23 Le quantità (percentuali) di edifici interessati dai vari livelli di danno sono espresse
24 approssimati) a tre intervalli continui, definiti in maniera volutamente29 vaga e
indicati-va tramite lo schema seguente:
La classificazione delle tipologie strutturali avviene tramite la seguente “Tabella di Vul-nerabilità”:
La correlazione tra livelli di danno per percentuali di edifici, classi di vulnerabilità e livel-li di intensità macrosismica è descritta in maniera puntuale ma discorsiva. Per comodità,
29 “This has been presented, very deliberately, in graphical format to emphasise the way these numerical categories
are blurred rather than sharply defined”: “Ciò è stato presentato, deliberatamente, in forma grafica per sottolinea-re il fatto che queste categorie numeriche sono sfocate e non bruscamente definite” (n.d.r), in CONSEIL DE L’EUROPE, (1998), European Macroseismic Scale 1998, in Cahiers du Centre Européen de Géodynamique et de Séi-smologie, Vol. 15, Editor G. Grünthal, Luxembourg, p.26.
25 se ne riporta una sintesi nella seguente tabella30, che di fatto costituisce una forma di
DPM:
Livelli di danno Classi di vulnerabilità
A B C D E F
Danno di livello 1 per alcuni edifici V V VI VII -- -- Danno di livello 2 per alcuni edifici
Danno di livello 1 per molti edifici VI VI VII VIII IX X Danno di livello 3 per alcuni edifici
Danno di livello 2 per molti edifici -- VII VIII IX X XI Danno di livello 4 per alcuni edifici
Danno di livello 3 per molti edifici VII VIII IX X XI XII Danno di livello 5 per alcuni edifici
Danno di livello 4 per molti edifici VIII IX X XI XII -- Danno di livello 5 per molti edifici IX X XI XII -- -- Danno di livello 5 per la maggior parte degli edifici X XI XII -- -- -- Nonostante i miglioramenti raggiunti con la scala EMS-98, è ancora una volta necessario rile-varne i limiti:
rimangono ancora ampi i margini di giudizio nell’attribuzione dei singoli edifici, o meglio delle tipologie strutturali, alle varie classi: tali incertezze sono strettamente legate, da un lato, alla generalità di una scala macrosismica internazionale, che deve valere in am-biti territoriali anche profondamente lontani e diversi; dall’altro alle finalità della defini-zione delle classi, connesse alle valutazioni macrosismiche dell’intensità di un terremo-to31;
il criterio di classificazione degli edifici, sulla base del tipo di strutture verticali e orizzon-tali, non prende in considerazione il numero di piani, aspetto che potrebbe invece rive-larsi non trascurabile32;
l’articolazione delle distribuzioni di danno risulta ancora alquanto grossolana ai fini delle valutazioni del rischio sismico;
la natura discreta dei gradi di intensità ne rende talvolta difficile l’utilizzo analitico. A ciò vanno aggiunte delle considerazioni, in merito non alla scala in sé quanto piuttosto in ge-nerale all’approccio empirico basato sulle DPM, e cioè:
le informazioni sui danni registrati a causa di terremoti passati possono risultare insuffi-cienti per una efficace elaborazione statistica, e sono spesso limitati ad uno o due gradi di intensità per sito; inoltre per i gradi più bassi (minori di V) non viene prodotto alcun danno, e quindi non esistono dati. Di conseguenza, è necessario integrare le
30 BRAGA F., MORELLI F., SALVATORE W. (2015), A Macroseismic Approach for the Evaluation of Seismic Risk, in
KRUIS, TSOMPANAKIS, TOPPING (a cura di), Proceedings of the XV International Conference on Civil, Structural and Environmental Engineering Computing, Civil-Comp Press, Stirlingshire, Scotland, Paper 91.
31 AA.VV., (2000), Lavori Socialmente Utili - Censimento di vulnerabilità a campione dell’edilizia corrente dei Centri
abitati, nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia e Sicilia, Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, Dipartimento della Protezione Civile, Gruppo Nazionale per la Difesa dai Terremoti – C.N.R, Stampa: CUP s.r.l., Roma.
32 LANG D. H., (2012), Earthquake Damage and Loss Assessment – Predicting the Unpredictable, Dissertation for
26 ni con dati relativi ad altri terremoti e/o paesi, introducendo ulteriori incertezze, o rifarsi ad opinioni di esperti;
gli effetti del tipo di suolo e delle condizioni di sito non possono essere direttamente e-splicitati, dal momento che l’intensità macrosismica è una misura degli effetti del terre-moto, e risulta dalla combinazione di fattori diversi quali i parametri fisici del moto si-smico, gli effetti di amplificazione locali, e la vulnerabilità dell’edificato. In proposito si legge nella EMS-98: “The increase in shaking due to soil amplification or topographical conditions is part of the effects that intensity is a record of, and part of the hazard to which the built environment is exposed. (…) Any other approach contradicts the basic na-ture of intensity as a measure of the observed effects of an earthquake”33;
analogamente, l’intensità macrosismica non esplicita alcuna informazione sul contenuto in frequenza del moto sismico, dunque non possono essere evidenziati fenomeni come ad esempio la “doppia risonanza”, che si ha quando il periodo proprio del terreno è si-mile a quello degli edifici;
infine l’intensità macrosismica è un parametro non misurabile sperimentalmente, quindi il suo utilizzo può risultare problematico, come si vedrà meglio nel paragrafo successivo. Per i motivi su esposti, nel corso degli anni sono stati pubblicati algoritmi e giudizi esperti34 per
l’attribuzione delle classi di vulnerabilità alle tipologie edilizie tipiche del patrimonio italiano. Allo stesso tempo, si è cercato di migliorare la definizione delle leggi di distribuzione del danno, sulla base delle informazioni registrate in seguito a terremoti violenti35. Ovviamente tali
valuta-zioni dovevano prendere come riferimento fondamentale le distribuvaluta-zioni indicate nelle scale macrosismiche, rispetto alle quali tendevano a definire meglio la forma della distribuzione, la-sciando inalterata la posizione della moda.
Le distribuzioni più utilizzate in tal senso sono: la distribuzione binomiale, che ha la capacità di adattarsi, variando un solo parametro, alle diverse situazioni riscontrate nei terremoti del 1980 e del 1984, e la distribuzione beta, che rispetto alla precedente fornirebbe una migliore ap-prossimazione delle matrici di probabilità di danno direttamente deducibili dalle definizioni del-la EMS-98.36
1.4.1.3- I modelli analitici: le curve di fragilità
Con la diffusione delle analisi statiche non lineari (Pushover), l’introduzione del metodo dello spettro di capacità (CSM: Capacity Spectrum Method) e del metodo del coefficiente di sposta-mento (DCM: Displacement Coefficient Method), tali strumenti analitici sono stati sempre più utilizzati per la costruzione di curve di fragilità, ossia relazioni che forniscono il valor medio del
33 CONSEIL DE L’EUROPE, (1998), European Macroseismic Scale 1998 cit., p.29.
34 BRAMERINI, F., DI PASQUALE, G., ORSINI, A., PUGLIESE, A., ROMEO, R., SABETTA, F. (1995), Rischio sismico del
territorio italiano. Proposta per una metodologia e risultati preliminari. Rapporto tecnico del Servizio Sismico Na-zionale, SSN/RT/95/01, Roma.
35 BRAGA, F., DOLCE, M., LIBERATORE, D. (1982), A statistical study on damaged buildings and an ensuing review of
the MSK-76 scale, Proceedings of the 7th European Conference on Earthquake Engineering, Vol. 7, pp. 431-450, Atene.
36 BERNARDINI A., GIOVINAZZI S., LAGOMARSINO S., PARODI S., (2007), Matrici di probabilità di danno implicite
27 danno (atteso) in una costruzione in funzione di un parametro di intensità del moto, ovvero la probabilità di superamento di un certo livello di danno al variare dell’input.
Recentemente, è stato studiato a tal proposito anche l’impiego di analisi dinamiche non linea-ri.37
Tutti questi approcci analitici, talvolta definiti “teoretici”, possono anche usare parametri di de-scrizione del moto del suolo di tipo fisico, come l’accelerazione spettrale, lo spostamento spet-trale, o l’accelerazione di picco al suolo (PGA: Pick Ground Acceleration), e non sono mancati tentativi in tal senso. Tuttavia i parametri fisici non sono immediatamente correlati al livello di danno causato dal sisma, e dunque si prestano peggio all’utilizzo nelle stime di vulnerabilità e di rischio rispetto all’intensità macrosismica, tradizionalmente impiegata.
Di contro l’intensità macrosismica è, come già accennato, una grandezza non misurabile per via strumentale, dunque implica un certo livello di incertezza intrinsecamente legato al rilievo dei danni; per di più la sua articolazione per gradi discreti può causare difficoltà qualora si cerchi di utilizzarla per scopi estimativi basati su modelli matematici.
Uno dei vantaggi dell’impiego di metodi analitici è il fatto che possono essere applicati anche a regioni di bassa sismicità, dove i dati dei danni registrati sono scarsi. D’altra parte, gli oneri computazionali possono talvolta risultare proibitivi, se si pensa alla necessità di costruire mo-delli strutturali affidabili su cui eseguire analisi non lineari per ricavare curve di capacità, il che rimanda ad ulteriori e disparati problemi, quali la modellazione del comportamento meccanico dei materiali, o il caso di edifici in cui il primo modo di vibrare non può considerarsi prevalente. In generale, comunque, gli approcci analitici forniscono una valida alternativa ai metodi tradi-zionali (indagini post-sisma ed elaborazione dei dati) nei numerosi casi di assenza di informa-zioni statistiche sufficienti, e sono stati spesso utilizzati anche in parallelo all’impiego di opinioni autorevoli, conducendo così alla nascita di approcci ibridi, che combinano dati empirici e risul-tati numerici.
In questo tipo di studi, spesso i dati empirici disponibili vengono usati per calibrare le funzioni di fragilità; in altri casi invece sono state costruite parti di DPM sulla base delle informazioni dei danni registrati, e poi i risultati di analisi non lineari sono stati utilizzati per completare le parti delle DPM rimanenti. Ad ogni modo, l’aspetto più delicato è la ricerca di una correlazione affi-dabile tra i due approcci.
1.4.1.4- Dalla vulnerabilità al rischio
Qualunque siano i metodi scelti per la valutazione della vulnerabilità, una volta nota la Classe di Vulnerabilità o la Curva di Fragilità di un edificio, è necessario procedere alla valutazione del parametro EALS, descrittivo del rischio, mediante dei metodi che tengano conto anche della
pe-ricolosità del sito, nonché dell’esposizione.
Come anticipato già all’inizio del paragrafo, non è attualmente disponibile un algoritmo “ufficia-le” o “universalmente” condiviso per la valutazione del rischio, dunque l’elaborazione e l’affinamento di una procedura idonea, che si presti inoltre ad un utilizzo diffuso su scala
37 MASI A., VONA M., DIGRISOLO A,(2009),Costruzione di curve di fragilità di alcune tipologie strutturali
rappre-sentative di edifici esistenti in c.a. mediante analisi dinamiche non lineari, Atti del XIII Congresso Nazionale “L’Ingegneria Sismica in Italia”, Bologna.
28 nale e/o internazionale, finalizzato alla mappatura del rischio sismico del territorio, rappresenta attualmente sia il fulcro più delicato sia l’obiettivo più importante della ricerca.
In Italia due tentativi, rispettivamente del 1996 e del 2001, hanno prodotto delle Carte del Ri-schio sismico del territorio nazionale, tuttavia esse non costituiscono ad oggi uno strumento aggiornato, per i motivi che saranno tra breve chiariti.
Le carte del ’96 furono elaborate da un apposito gruppo di lavoro istituito dal Dipartimento per la Protezione Civile e costituito da membri del Gruppo Nazionale per la Difesa dai Terremoti, del Servizio Sismico Nazionale e dell’allora Istituto Nazionale di Geofisica. Si trattava dunque del primo approccio italiano a scala nazionale, ed era riportato per ciascun comune e su base an-nua l’ammontare atteso dei danni relativi al patrimonio edilizio abitativo e il numero medio del-le persone coinvolte nei crolli deldel-le abitazioni.
In particolare, il danno complessivo agli edifici atteso annualmente in conseguenza di terremoti era espresso in termini di metri quadrati equivalenti di superficie: associando a questa misura il costo di ricostruzione medio valido per ciascun comune (pesato in base al livello di danno), si perveniva ad una stima del danno economico totale atteso. La stima però non comprendeva l’incidenza di beni diversi dalle abitazioni (infrastrutture, sistemi a rete, opere strategiche, indu-strie, beni culturali, etc.), né dei fenomeni indotti (incendi, frane, liquefazioni), né delle perdite indirette (blocco temporaneo di attività produttive, ricoveri di emergenza, etc.).
Le perdite alla popolazione erano espresse in termini di abitanti coinvolti annualmente in crolli di edifici, introducendo l’ipotesi (scaturita dalle esperienze di terremoti precedenti) che il nu-mero delle vittime potesse ritenersi pari a circa il 30% delle persone coinvolte in crolli, dal mo-mento che diversi fattori influenzano la possibilità che un residente in un’abitazione crollata possa sopravvivere (l’ora dell’evento, l’attività prevalente degli abitanti, il tipo di strutture, la rapidità dei soccorsi, etc).38
Nel 2001 un articolo39 pubblicato sulla rivista “Ingegneria sismica” presentava nuove carte di
pericolosità, con una conseguente proposta di classificazione sismica, e ancora delle nuove car-te di rischio, che in sostanza aggiornavano quelle del 1996 in base alla nuova pericolosità intro-dotta, alle DPM del ’99 di Di Pasquale-Orsini-Romeo40, e a nuove curve di fragilità41, sia in ter-mini di intensità macrosismica che di parametri di moto del terreno (PGA).
I valori dei diversi livelli di danno, da 0 a 5, erano calcolati a partire da un indice medio di danno utilizzando una distribuzione binomiale. Tale indice, espresso in metri quadri equivalenti, era la media (pesata tramite i “fattori di danno”) delle superfici interessate dai relativi livelli di danno, essendo i fattori di danno dati dal rapporto fra il costo stimato del danno e il costo della rico-struzione totale dell’edificio.
38 MARTINI M.G. –SSN, Rischio sismico (Stato delle analisi a carattere nazionale), in:
http://www.mit.gov.it/mit/sites/seveso2/pages/documents/cd_libro/PARTE_SECONDA/CAPITOLO_9/SSN_Allegat o.DOC
39 LUCANTONI A., BOSI V., BRAMERINI F., DE MARCO R., LO PRESTI T., NASO G., SABETTA F. (2001). Il rischio sismico
in Italia, in Ingegneria Sismica, 1(2001), pp. 5-36.
40 DI PASQUALE G., ORSINI G., ROMEO R., (2000), Sensitivity analysis in seismic risk assessment. Sixth International
Conference on Seismic Zonation, Palm Springs, CA, USA.
41 SABETTA F., GORETTI A., LUCANTONI A., (1998), Empirical fragility curves from damage surveys and estimated
29 Inoltre veniva calcolato un indice della popolazione coinvolta in crolli, come prodotto delle abi-tazioni crollate per il numero medio di abitanti per abitazione. Infine per ciascun comune era ottenuto l’indice di rischio globale, come media pesata dei valori (normalizzati rispetto al valo-re massimo) del danno medio totale (peso 1/3) e della popolazione coinvolta in crolli (peso 2/3). Peraltro tale indice era già uno dei parametri utilizzati nell’Ordinanza del Ministero dell’Interno n°2788 del 1997, per l’individuazione dei comuni “ad elevato rischio sismico”. Di seguito sono riportate le carte che rappresentano rispettivamente il valore atteso della po-polazione coinvolta in crolli per comune (percentuale media in 100 anni) e il valore atteso di superficie abitativa danneggiata per comune (percentuale media annua).
Fig. 1. 4 Carta del Rischio Sismico italiano in termini di popolazione coinvolta in crolli, in LUCANTONI - BOSI - BRAMERINI - DE MARCO-LO PRESTI-NASO-SABETTA (2001)
30
Fig. 1. 5 Carta del Rischio Sismico italiano in termini di superficie abitativa danneggiata, in LUCANTONI - BOSI - BRAMERINI - DE MARCO-LO PRESTI-NASO-SABETTA (2001)
Inoltre la seguente tabella riporta i dati sintetici ottenuti dal calcolo del rischio su tutto il terri-torio, in termini di valori annui attesi: