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CAPITOLO 1 Rischio sismico

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Academic year: 2021

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CAPITOLO 1

Rischio sismico

1.1 Definizione

Con l’espressione rischio sismico si definisce la stima delle perdite complessive, in termini di vite umane, beni economici e volume edilizio, causate da un evento sismico che interessano, in un dato periodo di tempo, una determinata area. In altre parole, si intende la probabilità che, a causa di un evento sismico, in un prefissato intervallo di tempo, si raggiunga o venga superato un certo livello di danno o di perdita economico-sociale in un dato sito. La valutazione del rischio sismico R è strettamente legata alla stima di tre parametri sismici fondamentali: la pericolosità sismica P, la vulnerabilità sismica V e l’esposizione sismica E. La loro combinazione porta alla scrittura matematica del rischio sismico espresso tramite la relazione1:

R = P · V · E (1.1)

La pericolosità sismica, intesa come stima quantitativa dello scuotimento del terreno dovuto ad un evento sismico, è definita come la probabilità che in un dato sito ed in un certo intervallo di tempo si verifichi un terremoto che superi una prefissata soglia di intensità. Tale grandezza dipende sia dalle caratteristiche dell’evento fisico, che da quelle geologiche dell’area nella quale il sisma si manifesta. Si può infatti affermare che tanto maggiore sono la frequenza e l’intensità degli eventi che caratterizzano un’area geografica, tanto maggiore è la sua pericolosità sismica. La vulnerabilità sismica viene invece espressa come la propensione di una struttura a subire danni, sia strutturali che non strutturali; si fa quindi riferimento alle sue caratteristiche intrinseche di resistenza al sisma che contrastano l’evolversi dei danni. Analiticamente è definita come la probabilità

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4 che una struttura raggiunga un determinato livello di danno a seguito di un evento sismico caratterizzato da una data intensità. L’esposizione sismica, infine, è intesa come la valutazione probabilistica delle conseguenze sociali ed economiche prodotte dal raggiungimento di determinati livelli di danno negli elementi esposti, anche in relazione alla presenza di persone e beni. Gli elementi esposti sopra citati sono identificabili in tutto ciò la cui condizione o funzionamento è suscettibile in modo diretto o indiretto al danneggiamento, all’alterazione o alla distruzione da parte dell’evento sismico. Ci si riferisce quindi alla natura, alla quantità e al valore economico-sociale dei beni nonché alle attività presenti sul territorio quali insediamenti, edifici, infrastrutture, attività economiche-produttive, vite umane. In conclusione, valutando il carattere strettamente probabilistico dei tre parametri da cui dipende, si deduce che anche lo stesso rischio sismico è una grandezza probabilistica a causa delle numerose incertezze presenti nei diversi aspetti che lo determinano.

Attraverso l’analisi del rischio sismico si riesce a ricavare una stima dei danni e delle perdite economiche e sociali dovute a terremoti futuri. Il risultato di tale analisi prodotti prende il nome di scenario di danno sismico e costituisce un importante strumento di previsione del possibile danneggiamento e del conseguente coinvolgimento della popolazione. La produzione di tali scenari di danno, che non si limitano ad una semplice stima dell’entità dello scuotimento, ma puntano direttamente ad una valutazione immediata delle perdite, costituisce la base per la messa in atto di programmi volti alla mitigazione del rischio, e dei piani di emergenza sviluppati dal Dipartimento di Protezione Civile, in quanto forniscono informazioni necessarie all'organizzazione degli interventi di primo soccorso e al superamento dell’emergenza2.

1.2 Valutazione della pericolosità sismica

2

Gli strumenti attualmente disponibili presso il Dipartimento di Protezione Civile per la valutazione degli scenari di danno sono: Sige (Sistema Informativo per la Gestione dell'Emergenza), Quater (Quadro territoriale) e Scecom (Scenari di danno comuali).

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5 La pericolosità sismica rappresenta una misura delle potenzialità distruttive del terremoto e, come detto in precedenza, è legata ad un fenomeno naturale tipicamente aleatorio come lo è la frequenza con la quale tale fenomeno si ripete, nonché alle caratteristiche geologiche dell’area nella quale l’evento si manifesta. La conoscenza della pericolosità sismica di un sito diventa in questo modo lo strumento di previsione del grado di intensità dei terremoti attesi. Tale intensità può essere valutata attraverso scale strumentali, misurando cioè la forza oggettiva del sisma, oppure con scale macrosismiche, che si basano sugli effetti prodotti. Le prime sono strutturate su parametri meccanici relativi al moto del suolo o all’energia meccanica liberata, quali l’accelerazione di picco al suolo (Peak Ground Acceleration, PGA), la magnitudo M e la velocità spettrale, e per questo hanno il vantaggio di essere di immediato utilizzo ai fini ingegneristici, ma essendo le registrazioni strumentali di disponibilità recente, non hanno riscontro con i terremoti passati. Le seconde, pur essendo meno accurate, offrono una stima dell’intensità media partendo direttamente dal danneggiamento osservato e possono essere sfruttate anche per terremoti del passato grazie alla migliore rintracciabilità delle notizie riguardanti gli effetti prodotti.

L’approccio alla valutazione della pericolosità sismica può essere di tipo deterministico oppure probabilistico. Il metodo deterministico si basa sullo studio dei danni osservati in occasione di eventi sismici che storicamente hanno interessato un sito, ricostruendo degli scenari di danno per stabilire la frequenza con la quale si sono ripetute nel tempo scosse di uguale intensità. Tuttavia, poiché è richiesta la disponibilità di informazioni complete sulla sismicità locale per definire le amplificazioni e la possibilità di fenomeni di instabilità del terreno, dati non sempre facilmente reperibili, nelle analisi viene generalmente preferito il metodo probabilistico. Tale metodo, ricavando informazioni dalla sismicità storica del sito, esprime la pericolosità sismica come la probabilità che un evento sismico con assegnata intensità si manifesti in un determinato sito nel corso di un dato intervallo di tempo.

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6 La prima classificazione sismica del territorio italiano è basata su studi deterministici e risale al 18 Aprile 1909 quando, a seguito del catastrofico terremoto di Reggio Calabria e Messina, viene emanato il R.D. n.193 [1]. Le successive introduzioni di nuove classi e gli inserimenti di altri comuni nell’elenco seguono ancora la stessa metodologia, fino a quando, a partire dagli anni ‘90, il Gruppo Nazionale per la Difesa dai Terremoti (GNDT), nell'ambito del progetto di ricerca Pericolosità Sismica del Territorio Nazionale, si è posto l’obiettivo di ottenere una nuova stima della pericolosità sismica del territorio italiano utilizzando metodologie statistiche internazionalmente convalidate. Si è quindi privilegiato un metodo probabilistico consolidato e preso come riferimento anche da numerosi progetti internazionali, quello elaborato negli Stati Uniti da C. A. Cornell3 che si articola nelle seguenti cinque fasi:

1. Individuazione delle zone sismogenetiche. Per conoscere la sismicità storica di un determinato sito e delimitare le aree omogenee dal punto di vista della sismicità, dette zone sismogenetiche, è necessario conoscere l’andamento delle strutture geologiche superficiali e profonde, i movimenti recenti, la distribuzione degli eventi sismici e la ricostruzione del tipo di movimento che ha dato origine al terremoto. In tali aree sono definite le faglie maggiori e minori, responsabili degli eventi rispettivamente di maggiore e minore energia, ed è definita la loro cinematica, cioè il tipo di movimento legato alla tettonica dell’area. Si possono avere margini distensivi in corrispondenza dei quali le zolle si allontanano, concorrenti dove si ha un innalzamento e la formazione di corrugamenti o catene montuose, di subduzione in cui i blocchi si accavallano, o trascorrenti dove il movimento delle zolle è prevalentemente orizzontale. Qualitativamente le zone sismogenetiche possono essere caratterizzate da alcune funzioni tra cui la distribuzione di probabilità della magnitudo, definibile sulla base della relativa frequenza e del relativo periodo. Fissata una magnitudo di riferimento, queste due grandezze corrispondono rispettivamente al numero medio annuo di eventi

3

C.A. Cornell, Engineering seismic risk analysis, «Bulletin of the Seismological Society of America», v. 58 (1968), n. 5, pp. 1583-1606.

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7 con magnitudo maggiore o uguale al valore fissato che si verificano nella zona sismogenetica e l’intervallo medio di ricorrenza tra due di questi eventi. Una zona sismogenetica è quindi quella zona che si ritiene dotata di un tasso di sismicità uniforme ovvero di un’unica distribuzione di probabilità della magnitudo. In Italia le zone sismogenetiche sono state individuate dal GNDT e la più recente zonazione è quella definita dalla sigla ZS9 del 2004 costituita da 42 zone, riportata in figura 1.1.

Figura 1.1 - Zonazione sismogenetica ZS9 (GNDT)

2. Definizione di una legge di occorrenza per ogni zona. Una volta individuati gli eventi sismici per ogni zona sismogenetica, viene determinata una relazione che fornisce la frequenza dei terremoti, in termini di numero annui, in funzione della

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8 loro magnitudo, nota come Legge di occorrenza o di Gutenberg-Richter4, dal nome degli studiosi che l’hanno formulata:

log(ν) = a - bM (1.2)

dove:

ν = frequenza degli eventi sismici con magnitudo M o superiore M = magnitudo del terremoto considerato

a,b = costanti definite dal trattamento statistico dei dati provenienti dalle registrazioni dei terremoti passati

Come riportato in figura 1.2, in genere ad una frequenza maggiore, ovvero un tempo di ritorno breve, corrisponde un evento a bassa magnitudo, viceversa per frequenze minori e magnitudo alte. Tra una zona e l’altra, inoltre, la pendenza della retta che esprime la relazione Gutenberg-Richter può variare in quanto funzione della costante b, che è caratteristica di ciascuna zona sismogenetica.

Figura 1.2 - Relazione Gutenberg-Richter per tre zone simogenetiche

3. Definizione di una legge di attenuazione. Generalmente, gli effetti del terremoto diminuiscono con l’allontanarsi dall’epicentro, tuttavia, in presenza di particolari condizioni geologiche e morfologiche, definite in letteratura condizioni

4

B. Gutenberg, C.F. Richter, Seismicity of the Earth and Associated Phenomena, Princeton, Princeton University Press, 1954.

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9 locali, si possono avere fenomeni di amplificazione difficilmente rappresentabili attraverso un modello matematico. Ragionando a scala nazionale si stabilisce una relazione, valida per l’intero territorio, che meglio riproduce gli effetti realmente osservati in occasione di eventi sismici del passato. La variazione di intensità macrosismica è fornita tramite una relazione di attenuazione dell’accelerazione massima al suolo, funzione della magnitudo e della distanza del sito in esame dalla sorgente sismica. Le relazioni di attenuazione usate più frequentemente sono, in Europa, quella di Ambraseys e, in Italia, quelle di Tento e di Sabetta-Pugliese5, definita dall’espressione:

log(amax) = 1,562 + 0,306M - log(r2 + 5,82)½ + 0,169S1 + 1,173P (1.3) dove:

amax = accelerazione massima al suolo (PGA) M = magnitudo

r = distanza dalla proiezione della sorgente S1 = coefficiente funzione del suolo

P = densità di probabilità

4. Calcolo della pericolosità. Per definire la pericolosità sismica di un area è possibile utilizzare la distribuzione di probabilità di Poisson. Tale relazione esplica la probabilità che la variabile casuale discreta x, indicante il numero di volte in cui si verifica un evento in un dato intervallo di tempo, assuma il valore y. In altre parole, sapendo che mediamente in un dato intervallo di tempo Td accadono λ eventi, la probabilità che nello stesso intervallo ne avvengano y e data da:

f(y) = P(x = y) = λ

y· e- λ

y! (1.4)

dove:

λ = numero medio di eventi nell’intervallo considerato

5

F. Sabetta, A. Pugliese, Attenuation of Peak Horizontal Acceleration and Velocity from Italian

Strong-Motion Records, «Bulletin of the Seismological Society of America», v. 77 (1987), n. 5, pp.

1491-1513.

Id., Estimation of Response Spectra and Simulation of Nonstationarity Earthquake Ground

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10 Per determinare la ricorrenza temporale di un evento sismico in un periodo di tempo Td si pone:

λ = ν · Td (1.5)

dove:

ν = frequenza di ricorrenza media dei terremoti ricavabile dalla relazione (1.2) per una determinata magnitudo

Td = periodo temporale di interesse

e la probabilità che si verifichi un numero n di eventi in un periodo di tempo fissato Td a condizione che tali eventi si ripetano nel tempo con una data frequenza di ricorrenza media ν e siano indipendenti dal tempo che intercorre fra l’uno e l’altro è data da:

P(n) = Pn =

νTd n· e- νTd

n! (1.6)

Di conseguenza la probabilità che nel periodo Td si verifichi un unico evento è:

Pn=1 = Td · e- νTd (1.7)

quella che non si verifichi alcun evento:

Pn=0 = Td · e- νTd (1.8)

e la probabilità che si manifesti almeno un evento:

Pn>0 = 1 - Pn=0 = 1 - e- νTd (1.9) che prende il nome di probabilità di superamento pvr nel periodo di riferimento Td e può essere espressa per diversi periodi e diverse frequenze, ovvero, tramite la (1.2), per diverse magnitudo. Si esprime quindi la probabilità che nel tempo di riferimento si verifichi almeno un evento di una data magnitudo. È possibile inoltre definire la probabilità di superamento in funzione del tempo di ritorno Tr, inverso della frequenza di ricorrenza media ν:

Tr = - Td

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11 5. Realizzazione di una carta della pericolosità. Per ogni zona del territorio in esame si ricava la curva di pericolosità sismica che mette in relazione l’accelerazione di picco al suolo o l’ordinata spettrale in accelerazione con la probabilità di superamento che generalmente è data in un arco temporale di 50 anni. Le curve di pericolosità sono ottenute, una volta fissata la probabilità di superamento ed il periodo di riferimento, determinando il tempo di ritorno da cui si risale alla PGA tramite i database dei terremoti avvenuti in quel sito. Ogni zona territoriale, a causa della diversa storia di eventi sismici subiti nel corso degli anni, avrà quindi differenti curve di pericolosità.

Nel corso degli anni si è passati ad una classificazione sismica puntuale e il territorio italiano è stato diviso secondo una maglia quadrata 5 km di lato in 10571 punti per ognuno dei quali sono state costruite apposite carte di pericolosità sismica, fornite in termini di massima accelerazione di picco al suolo oppure di ordinata spettrale in accelerazione. Quindi per ogni sito, definita la probabilità di superamento e il periodo di riferimento, è possibile calcolare la pericolosità sismica in termini di PGA o di ordinata spettrale in accelerazione, grazie alle mappe di pericolosità rilasciate dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV). In figura 1.3 si riporta, a titolo di esempio, la mappa di pericolosità sismica in termini di PGA per una probabilità di superamento del 10% in 50 anni, utilizzata, in attuazione dell’OPCM del 28/04/2006 n.3274, per associare gli intervalli di PGA alle quattro zone sismiche secondo cui è stato diviso il territorio italiano in accordo con l’OPCM del 20/03/2003 n.3519.

È necessario sottolineare che alle fasi appena descritte è associato un certo grado di incertezza delle stime ottenute, in primis lo stesso carattere aleatorio che appartiene ai terremoti e alla loro intensità. Non è nemmeno auspicabile che la metodologia ed i modelli matematici adottati siano in grado di descrivere senza imperfezioni gli eventi considerati. L’incompletezza delle informazioni riguardo la sismicità storica e la difficoltà nell’interpretare quelle riguardanti terremoti non abbastanza recenti non migliorano la situazione. Inoltre, poiché la pericolosità sismica è valutata assumendo condizioni di sito ideale, cioè roccia

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12 con superficie orizzontale, non si tiene conto delle condizioni locali, che possono modificare anche sensibilmente il livello dei danni. Gli effetti di amplificazione locale e instabilità del terreno sono considerati attraverso studi geologici mirati all’identificazione delle caratteristiche del sottosuolo e alla determinazione della velocità delle onde di taglio, comportando però ulteriori incertezze.

Figura 1.3 - Mappa di pericolosità sismica in termini di PGA per una

(11)

13

1.3 Valutazione della vulnerabilità sismica

Facendo riferimento alla globalità del sistema, come nel caso della vulnerabilità su scala urbana, la vulnerabilità sismica è divisibile in tre componenti:

- vulnerabilità diretta, coincidente con la propensione di un singolo elemento fisico o complesso a subire danni per effetto di un terremoto;

- vulnerabilità indotta, funzione degli effetti dovuti alla crisi dell’organizzazione del territorio, derivanti da uno o più elementi che lo costituiscono;

- vulnerabilità differita, funzione degli effetti che si manifestano nelle fasi successive all'evento sismico e alla prima emergenza, tali da modificare le abitudini della popolazione presente sul territorio colpito dal sisma.

In ambito locale, ovvero focalizzando l’attenzione sul singolo edificio, si fa riferimento alla sola componente diretta ed infatti, come già definito in precedenza, la vulnerabilità sismica può essere riguardata come la propensione da parte degli edifici a subire danni a seguito di un evento sismico; si mette quindi in relazione il terremoto con i danni che questo provoca sul sistema fisico. Inoltre, la vulnerabilità sismica di un edificio può essere associata ad un’intensità macrosismica, che ha il vantaggio di essere direttamente correlabile ai danni causati attraverso diverse scale attendibili, ma, di contro, poco riconducibile a valori spettrali, più attendibili nella definizione della pericolosità sismica. Per valutazioni che si spingono a livelli più approfonditi risulta quindi conveniente utilizzare grandezze spettrali che, oltre ad essere correlate alla pericolosità, offrono la possibilità di valutare il danno in un’analisi strutturale avendo un chiaro significato meccanico.

In generale, è possibile affermare che una classificazione dei metodi di valutazione della vulnerabilità sismica non è del tutto ottenibile in modo semplice e diretto; quella che in letteratura raccoglie maggiori consensi [2] presenta la suddivisione in:

- metodi statistici; - metodi meccanici;

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14 I metodi statistici (o macrosismici) adottano un approccio molto diffuso e basato sull’analisi statistica dei danni provocati da eventi sismici precedenti. Di contro, l’accuratezza di tali metodi dipende molto dalla disponibilità dei dati, a volte insufficienti, soprattutto per quanto riguarda gli edifici storici o in cemento armato. I procedimenti così ideati si basano sulla definizione di classi caratterizzate da indicatori tipologici o funzionali, quali la tipologia costruttiva, la morfologia in pianta, l’altezza e l’anno di costruzione, alle quali è associata una matrice di probabilità di danno o una curva di vulnerabilità, ricavate dall'elaborazione statistica dei danni causati dai terremoti passati su edifici appartenenti alla tipologia in esame.

I metodi meccanici, invece, sfruttano modelli matematici virtuali che cercano di riprodurre fedelmente le caratteristiche geometriche e meccaniche degli edifici e, attraverso analisi approfondite, su di questi vengono elaborati i danni causati da terremoti simulati. Non è difficile comprendere che questi metodi forniscono risultati molto più soddisfacenti e maggiormente rappresentativi della realtà in situazioni dove si ha modo di raggiungere un buon livello di conoscenza delle caratteristiche costruttive dell'edificio e delle proprietà meccaniche dei materiali con cui è stato realizzato. Generalmente si procede con un’analisi della struttura di tipo non lineare in cui il danno è associato al raggiungimento di uno stato limite, identificato dal raggiungimento di una rotazione o spostamento limite oppure di un meccanismo di collasso della struttura, e l’azione è espressa in termini di quantità spettrali. Il punto critico degli approcci di natura meccanica è quello di trovare il giusto equilibrio tra la raffinatezza del modello meccanico e l’impegno computazionale che ne deriva.

Infine, i metodi basati sul giudizio degli esperti consentono valutazioni qualitative o quantitative dei fattori che governano la risposta sismica, come l'efficienza dei collegamenti, la resistenza dei materiali e la regolarità morfologica. Sulla base della conoscenza e dell’esperienza si arriva quindi ad attribuire ad ogni edificio un indice di vulnerabilità, successivamente associato ad una curva di vulnerabilità o ad una matrice di probabilità di danno.

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15 I risultati ottenuti dall’applicazione di questi metodi possono descrivere due tipi diversi di vulnerabilità:

- vulnerabilità relativa, che permette di ordinare le costruzioni in funzione della loro vulnerabilità sismica attraverso opportuni indici per i quali, però, non viene data una relazione diretta fra danno e intensità sismica;

- vulnerabilità assoluta, che rappresenta il danno medio o una distribuzione di probabilità di danno, in funzione dell’intensità sismica.

1.4 Valutazione dell’esposizione sismica

L’esposizione sismica di un’area è strettamente legata alla natura, alla qualità e alla quantità dei beni esposti. Pertanto, tale stima si traduce nella quantificazione dei manufatti, intesi come edifici e infrastrutture, delle funzioni e del numero di persone che saranno presumibilmente coinvolte dall’evento sismico, nonché nella valutazione della loro capacità di reazione.

Per determinare l’entità della popolazione coinvolta è necessario analizzarne la distribuzione territoriale, la struttura e le condizioni socio-economiche in modo da ricavare anche il quadro delle attività presenti e le relazioni dell’area esaminata con quelle circostanti. Si deduce come la valutazione dell’esposizione sismica risulti un processo, in genere, complesso, non eseguibile in breve tempo e costoso, motivo per cui, per definire criteri di priorità per interventi futuri, si ricorre ad analisi semplificate. Una di queste determina l’indice di esposizione Ie:

Ie = Iu · If (1.10)

dove:

Iu = indice di utenza If = indice di funzione

L’indice di utenza Iu si ottiene da dati quantitativi riguardanti il numero di utenti presenti all’interno:

(14)

16 dove:

Iev = indice di capacità di reazione degli utenti Ico = Pu · Du = indice di affollamento

dove:

Pu = periodo di utilizzazione Du = densità di utenza

L’indice di funzione If è ricavato da considerazioni qualitative riguardanti le funzioni esercitate all’interno degli edificisia nella fase di prima emergenza, che in quelle successive fino alla ricostruzione, ed è il prodotto di tre fattori:

If = Ue1 · Ue2 · Bu (1.12) dove:

Ue1 = dipende dalla destinazione d’uso dell’ edificio in prima emergenza Ue2 = dipende dalla destinazione d’uso dell’ edificio in seconda emergenza Bu = dipende dal bacino di utenza

Sulla base delle immediate esigenze della comunità colpita dall’evento sismico i vari edifici sono classificati, per la destinazione d’uso in prima emergenza, in essenziali, importanti e rilevanti, attribuendo ad ogni classe prevista valori decrescenti degli indici. Per la destinazione d’uso in seconda emergenza, invece, non si considera soltanto la destinazione d’uso originaria di un edificio, ma anche la rispettiva capacità di adattamento ad ospitare funzioni diverse e, in tal caso, si identificano solo edifici essenziali e rilevanti [3].

Riferimenti

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