V m ardi 7 ap rile - Ore 9
Discorso del prof. Giuseppe Tarozzi
11, CONTENUTO MORALE DELLA LIBERTÀ NEL NOSTRO TEMPO
t.
1. Oggetto della presente ricerca. — Parlare di un contenuto morale della libertà non significa che si voglia questa intendere come una Torma a cui una materia cor
risponda; nè che si voglia ricercare gli elementi dei quali consti, secondo il criterio della logica formale tradizionale, la comprensione del concetto di libertà. Piuttosto si tratta di stabilire se quei modi di attività umana a cui conviene il nome di libertà si possano giudicare come l’ esplicazione di tendenze morali specifiche, su cui possa cadere uno specifico giudizio ai valutazione morale. Coloro che cre
dono essere la libertà un pensiero indeterminato e vuoto la interpretano come semplice eliminazione di ostacoli e di coercizioni, che di per sé non fornisca alcuna direzione ''al bene piuttosto che al male, sia individuale sia collet
tivo. Tale concezione della libertà è meramente negativa, e sotto tale rispetto si dice talora di essa che non ha con
tenuto morale.
Occorre esaminare invece se la libertà non sia anche un indirizzo positivo psicologicamente determinabile, e giu
dicabile moralmente. Per risolvere tale questione non è necessario trattarla partitamente per ciascuna delle libertà che si riferiscono a ciascuno dei poteri sovrastanti a indi
vidui o a collettività singole, onde si distingue la libertà civile, la libertà sociale, la religiosa. La trattazione può essere unica quando ciò che occorre non è di stabilire i limiti dell’ azione del potere su chi gli è soggetto, e inver
sam ente, ma i caratteri generali dell’ azione dell’ uomo
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libero rispetto a qualsiasi potere comunque sórto e co
munque esercitato: o politicamente costituito, o social
mente organizzato od anche indistinto.
2. La libertà verso il potere e la libertà del volere..
—■ Quanto alla libertà del volere è bensì necessario distin
guere il problema che la concerne dalla trattazione di tutte le altre libertà; ma non perciò è opportuno ricacciarne lontano ogni pensiero che la riguardi e divellerlo come ingombrante ed estraneo da ogni ragionamento che si faccia intorno alla libertà verso il potere. Il problema della libertà del volere è teoretico: sia esso posto bene o male,, si tratta di sapere se la volontà ata libera o no rispetto a ciò che nell’ uomo stesso volontà non sia; invece la trat
tazione concernente le altre libertà ha pur essa una parte teoretica perchè si assume di stabilire quali siano i carat
teri dell’ azione libera rispetto al potere, ma prosegue subito come trattazione etica designando lo specifico del- r azione libera come un ottimo che può esservi e può non esservi, che quando esiste costituisce un valore, e perciò deve essere, e ingenera quindi una norma. Poste però queste differenze, non è però il caso di ripudiare ogni tri
buto che dalla prima questione venga, alla seconda, come,, quasi sdegnosamente, volle fare lo St u a r t Mill nelle prime parole della sua Libertà. Dirò di più: le connes
sioni fra il problema teoretico della libertà del volere e il problema etico del contenuto morale della libertà verso il potere possono essere tali da costituire uno dei molti ele
menti essenzialmente contemporanei della concezione della libertà.
Cento volte ripudiato, cento volte dichiarato mal posto, il problema della libertà del volere ritorna sempre, come Proteo trasfigurato, con sempre maggiore e più vasta potenza nel pensiero dell’ età moderna; il dichiararlo mal posto non è che una maniera di trattarlo sotto nuova forma, e spesso agitarlo in più larga sfera e sotto più vasto criterio. Non possiamo dissimularci che se della libertà come ideale di vita sociale e civile diminuì il fascino e la dignità durante gli ultimi decenni del secolo XIX, ciò avvenne in connessione di quel moto di critica deterministica che, assalita prima la libertà del volere introdusse poi la nozione di necessità nell’ interpretazione di fulto il divenire sociale. Non possiamo dissimularci che se ora la libertà accenna a tornare dall’ esilio, (ove era rimasta in attesa e sempre presente anche da lungi, come T Achille dell’ Iliade) e a ridiventare impulso specifico di quegli stessi moti sociali la cui dinamica pareva esclu-
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•derla affatto, ciò avviene in connessione di quel moto di pensiero per cui nelle ultime sue fasi la coscienza filosofica si Uberò dall’ aut a u i fra libero arbitrio e determinismo combattendòli entrambi e rifacendo, dopo infranto l’ ordito intellettualistico del passato, nuova base alla coscienza -della libertà. Che l’ opposizione deterministica alla libertà del volere- includa e presupponga l’ esistenza di ledim i metafisici fra fatto e fatto, riesca insufficiente a spiegare la novità e la varietà infinita di questi e sia fondata su illazioni illegittime fra campi di esperienza essenzialmente diversi à ormai convinzione di molta parte dei pensatori contemporanei di diverse scuole. Si che prima di accon
ciarsi all’ ipotesi di un determinismo universale per negare, oltreché la libertà del volere, anche il fondamento della libertà verso il potere è ormai necessario riesaminare obbiettivamente tutta la questione quale è ora nuovamente posta all’ infuori della concezione del libero arbitrio tradi
zionale.
3. Lo spirito di libertà e le istituzioni liberali. — L’ importanza della discussione intorno al contenuto morale della libertà risulta da condizioni generali dello spirito pubblico nel nostro tempo. Perchè oggi noi sentiamo che il concetto della libertà risultante dalle istituzioni liberali ottenute da più di sessant’ anni non è più sufficiente ad acquetare le insorgenze ribelli della coscienza nuova nè più si adatta alle nuove cause di questa ribellione; si che alle forme istituzionali è assegnato un valore più negativo che positivo; non si chiede più ad esse che promuovano, ma che non intralcino; e il loro merito consiste, per la coscienza degli uomini più attivi e più rappresentativi del nostro tempo nel lasciarsi ignorare, nel permettere ogni svolgimento di vita sociale senza che alcuno s’ accorga della loro esistenza. Se tante volte si ripete che il concetto di libertà è vuoto, che non significa nulla di efficace, di fattivo, di risolutivo, gli è che questo concetto di libertà -si desume dalla sola tradizione politica per cui si otten
nero le guarentigie statuarie e dal solo esercizio di queste : era, anzi tutto, come nota lo St u a r t Mill, questo non è che uno degli aspetti c dei compiti della libertà; ed inoltre, possiamo oggi aggiungere a distanza di più di cinquant'anni dalla pubblicazione del libro del filosofo inglese, tali gua
rentigie, anche se fossero state unico intento della libertà, sarebbero sempre, rispetto a noi, un fatto compiuto; e la libertà non vive di politici fatti compiuti, anche se glorio
sissimi, ma di aspirazioni morali feconde di avvenire dalle
* quali viene via via formandosi un nuovo assetto politico.
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Anche la libertà politica non è mai unicamente politica;
ha sempre, in quanto è libertà, un significato di esigenza e di innovazione' morale che non può essere soddisfatta dal solo culto delle forme del passato. Fu grave danno che T aspetto e le forme politiche della libertà fossero- sentite e pensate come unico risultato finale della storia di questa ed esplicazione intera di essa; che il liberalismo, il quale aveva condotto alle istituzioni liberali, invece di promuovere la continuazione di quello spirito di libertà da cui queste istituzioni erano state promosse ed ottenute, dopo la loro conquista credesse di poter e dover dedurre da esse il proprio suo programma nuovo: che invece di rimanere fedele al suo spirito originario considerasse le guarentigie ottenute come il principio di un nuovo periodo della storia delia libertà. Il nuovo periodo fu una devia
zione. La libertà si ispira alle sublimità dei giorni della lotta c del martirio, non alla compiacenza festosa dei fatti compiuti e dei risultati ottenuti.
La conseguenza teorica e morale di questa interruzione e deviazione fu che il contenuto politico istituzionale della libertà prevalse in modo assoluto e la storia del contenuto morale di essa improvvisamente cessò. Senouchè il conte
nuto morale era quella parte della dottrina della libertà che aveva efficienza vera nell’ educazione di ciò che si chiama il /joj>oIo\ e il solo contenuto politico sopra di questo non poteva aver direttamente alcuna potenza sug
gestiva e tanto meno fascinatrice. Tra la libertà ed il popolo si stabili quindi un dissidio profondo. La libertà fu borghese: cioè fu giudicata come il principio politico di una classe di cittadini. Ed essendo poi sorto contro di essa il determinismo collettivistico, cioè una concezione di universale necessità sociale, a questa il popolo cercò infor
mare la propria coscienza morale.
Tale situazione durò fino ad alcuni anni or sono; cioè durò tino a che la dottrina marxistica colla sua dinamica interna della collettività sociale interpretata secondo rap
porti dialettici necessari tenne il dominio nel movimento delle dottrine sociali.
Ma in questi ultimi anni il decadere della dottrina deterministica dialettica implicita nel marxismo, e il sosti
tuirsi di un movimento operaio autonomo, che vale di per sè stesso, non per il fine che gli si impone, alla rivolu
zione catastrofica collettivistica ricondusse il pensiero e le coscienze a rimeditare il valore della volontà umana nei moti sociali e nei fatti storici in genere. E nella interpre
tazione della causalité storica il valore della volontà umana
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significa libertà. Ma la libertà cosi ritornata in onore come elemento di interpretazione del dinamismo sociale è desti
nata a rinnovare la politica di tutti i partiti, anche di quelli che avevano tenuto fino ad ora il governo dell«' nazioni europee. Ed essa è tutt’ altra cosa del liberalismo di Stato dedotto dalla lettera degli Statuti e del funziona
mento delle istituzioni rappresentative: è il concetto di un esercizio autonomo della volontà singola degli individui o delle diverse collettività minori nella formazione delle nuove realtà politiche e sociali. Ê quindi la libertà in un significato più integrale, più profondo, più umano che la formale libertà politica dei governi statuari; e quantunque sia tornata dall’ esilio con molta maggiore ricchezza di contenuto, in quanto che ha seco tutta f esperienza dei moti sociali dal M anifesto dei Comunisti in poi, si capisce che se a qualche libertà del passato essa si collega, sia questa piuttosto la libertà di coloro che la pensavano come una rigenerazione umana da attuarsi nelle nazioni redente, che quella di coloro che la pensarono poi come una maniera di accomodamento fra il monarca e i sudditi ; fra il potere esecutivo e il legislativo. Non è il diritto costituzionale che può interessarla ormai, ma il diritto umano; l’ esperienza dei moti sociali ci fa pensare al primo (che pure ebbe giustamente un’ importanza si grande*
quasi come una meschinità rispetto al secondo; e dii crede di interessare gli uomini del presente o di parteci
pare alla costruzione dell’ avvenire magnificando la libertà nel senso del diritto costituzionale s’accorge infine d’ aver fatto il vuoto d’ intorno a sè medesimo, d’ essere rimasto solo nel suo anacronismo o al cospetto di qualche isolalo spettatore pietoso o beffardo. Perciò avviene che, per il bisogno di ricougiungersi ad una tradizione, il pensiero di questa rinnovata libertà si trovi continuativo piuttosto coi pensatori anteriori al costituzionalismo che a quelli che illustrarono quest’ ultimo. Il che si comprende: quei pen
satori anteriori erano più umani, questi più politici; quelli fondavano le basi di una politica liberatrice in nome del- f umanità, questi le formo di un vivere civile a sicurezza e pace dello Stato: la libertà che ora risorge dai moti sociali con contenuto sociale, al pensiero umano od uma
nitario tende a ricongiungersi non ad un pensiero statale.
Cosi si rimedita Ro u sse a u e la Dichiarazione dei D iritti dell'uomo piuttosto che Jules Simon ed Emilede Gir a r d in; e si chiede alle pagine di quello le formolo di individuali diritti potenziali umani su cui possa fondarsi con libertà un pensiero nuovo di redenzione sociale. Cosi si ritorna,
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nel campo stesso del socialismo, alla libertà di Ka n t che significa umanità in universale e si cerca di attingere in Fichte il concetto di una collettività che sia espressione concreta di libertà ideale. Cosi in Italia Giu se p p e Mazzini
è assai più vicino a noi ora di quel ' che fosse dieci o vent’ anni or sono ; e, tornata la fede in una libertà gene
ratrice del moto sociale, risentiamo il bisogno di ispirarci alle pagine in cui egli ci parla di redenzione economica, di educazione, di popolo, di progresso. Non è questo un ritorno al passato ; è semplicemente il fatto che la tradi
zione della libertà um ana si riannoda: si riannoda dopo due grandi crisi parallele e contemporanee; la crisi della politica statale che imprigionò la libertà nelle istituzioni, mentre queste dovevano esserne uno dei prodotti, non T unica esplicazione; onde sorse il costituzionalismo for
male, estraneo ed avverso alla vita sociale che si chiamò liberalismo; — la crisi del determinismo marxistico, dal quale la libertà fu rinnegata, m a dal quale essa attinge, emergendone, la sua attuale ricca esperienza sociale
Trattare adunque del contenuto morale di questa libertà è trattare del contenuto morale di quella parte della coscienza del nostro tempo che ha maggiore potenza inno
vatrice sul presente assetto politico e sociale.
4. I l liberismo economico e la libertà. — Lo svi
luppo che il pensiero sociale, morale e politico ebbe nel secolo X IX e nel primo decennio del X X è stato cosi largo e ricco che il nuovo spirito di libertà può all’ uno o all’ altro degli indirizzi e dei prodotti di esso avvicinarsi con maggiore o minore probabilità di equivoco.
Cosi avviene che nell’ opinione di molti la causa della libertà si connetta strettamente con quella del cosi detto liberalismo economico e con quello dell’ individualismo.
Alla dottrina della libertà e del suo contenuto morale la scienza economica porta elementi di confusione più che di chiarimento.
Sotto T aspetto economico, la libertà è piuttosto assog
gettamento dello spirito a leggi necessarie che autonomia di questo. Il liberismo economico nel suo significato classico e puro significa 1’ esclusione di ogni agente morale nella produzioni' e nella distribuzione della ricchezza;
cosicché il proposito, sia pure utopistitico e vano, che un uomo avesse di adoperare le proprie forze morali e di raccogliere quelle di altri per dare alla vita economica sociale un indirizzo più conforme a giustizia e dignità umana dovrebbe essere considerato sotto il rispetto eco
nomico come illiberale; il che evidentemente è un assurdo,
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poiché tale proposito è invece perfettamente naturale in tutti gli animi a cui la dignità, umana suggerisce l’ aspi
razione di autonomia sempre più perfetta,
La libertà economica è invocata contro lo stato pre
sente ed è propugnata contro ogni possibile statizzazione futura delle funzioni economiche. Nel fatto questa lotta e questa diffidenza contro l’ economia statale tendono ad assi
curare la possibilità d’ uno sviluppo massimo del com
mercio. Ora tutto sta nel dimostrare che il commercio possa caratterizzare necessariamente e universalmente . la funzione economica della società, ossia che non esista alcun possibile funzionamento economico della società se non a tipo commerciale; e dimostrato questo, conviene ancora dimostrare che la funzione economica debba essere neces
sariamente individuale affinchè l’ uomo abbia la massima autonomia; cioè che, mentre non è stato lesivo della libertà che gli uomini affidassero al potere sociale la difesa della loro integrità personale, sarebbe invece lesivo della libertà che gli uomini affidassero allo Stato la tutelà delle condizioni economiche generali della loro autonomia spirituale. Quando queste due dimostrazioni non possano farsi o non riescano persuasive, non si capisce a qual titolo il liberismo economico possa coordinarsi o pretendere di immedesimarsi colle correnti veraci del liberalismo morale, sociale, civile e politico. La libertà che il liberalismo eco
nomico vanta non è che l’ aspetto negativo di questa; e d ’ altra parte esso si riduce ad un sistema di determi
nismo utilitaristico.
È T aspetto negativo della libertà, cioè quell’ aspetto secondo il quale la libertà consisterebbe nella esclusione degli ostacoli che il potere costituito potrebbe opporre alla formazione di un’ altra potenza qualsiasi, e perciò anche nell' esclusione degli ostacoli alla formazione del diritto del più forte. Ora un sistema che vuol essere di libertà ed invoca che sia sgombra la .via alla formazione di poteri oppressivi e non include nessun principio di ribellione contro ogni oppressione possibile è una contraddizione patente : la libertà è negata fin dall’ inizio e nel primo fondamento. È ben vero che la libertà economica include l’ idea che sia data possibilità a tutti ed a ciascuno di istituirsi come potenza economica, e perciò il liberista potrebbe dire che la libertà economica non è il sistema onde si formano le potenze oppressive perchè è invece il sistema onde ciascuno, senza alcun limite e senza alcuna distinzione, può partecipare al conflitto e all’ equilibrio delle forze economiche della società. Ma il credere che
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questo estendere a ciascuno tale possibilità dia al libe
rismo economico immediatamente il carattere di libertà vera, rivela il presupposto che tutti possano e debbano avere aspirazioni economiche elevate ad intensità di bat
taglia, che T aspirazione economica sia cosi nobile fatto e cosi specificamente umano da poter giudicare che se alcuno non T abbia, quello a buon dritto debba essere reietto ed oppresso; e che i gradi di intensità di tale aspirazione corri
spondano ai gradi del più alto umano valore ; il che non può certamente essere ammesso e rivela quindi il vizio capi
tale della libertà economica. Come in ogni altra cosa, cosi anche nello sviluppo economico, amare sopra ogni cosa e contro ogni cosa un determinato oggetto è la maggior forza per conquistarlo; amare il denaro contro ogni cosa e sopra ogni cosa è la maggior forza nella lotta economica. Ha un’ apparenza di cinismo quindi la tesi della libertà econom ica,, secondo la quale tutti possono concorrervi ugualmente. È il cinismo di chi dice: am ate anche voi, come noi, il denaro sopra ogni cosa e contro ogni cosa, o del resto rassegnatevi all’ oppressione anche se vi chiamate Socrate, Cristo o Mazzini.
Fino a che il liberismo economico non avrà trovato- il modo di associarsi a qualche grande idea morale in cui veramente consista la ragione dello sviluppo delle energie liberali, esso costituirà sempre una fonte fatale di equi
voci e di deviazioni dalla via vera della libertà e sarà sempre una ragione per cui molte delle più nobili anime abbandoneranno le vie del liberalismo. Un liberalismo che si acconcia ad accettare la nozione di un determinismo sociale utilitario, che si acconcia ad accogliere come parte integrante di se medesimo una dottrina secondo la quale, per non essere oppressi, tutti dovrebbero avere la stessa anima commerciale e tutti dovrebbero colla stessa inten
sità amare la stessa cosa, il denaro; un liberalismo che in tali equivoci si impaluda, impedisce a se stesso le sue finalità fondamentali ed è ben giusto che sia abbandonato da tutti coloro, che pur non avendo tempo o modo di fare le distinzioni volute, non trovano più in esso l’ espres
sione dei propri sentimenti di libertà.
Uno dei capisaldi del liberalismo economico, quello anzi per cui apparisce più nobile e che ne costituisce il significato prevalente o almeno più frequente, è libero scambio fra le nazioni contro il protezionismo. È ovvio osservare che la nobilità di questa causa, le simpatie che essa ingenera sono di ordine umanitario e politico assai più che strettamente economico; poiché innumerevoli sono-
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coloro che si credono in dovere di far tacere quei dubbi che in casi speciali possono sorgere contro i vantaggi eco
nomici del libero scambio per la ragione più o meno esplicita o più o meno distinta nella coscienza loro che il libero scambio esprime nel campo economico una tendenza politica dei rapporti fra le nazioni a cui nessuno uomo di liberi ed umani sentimenti deve sottrarsi. La qual cosa, insieme a molte altre, dovrebbe persuadere che essendo T economia sistema di mezzi, la libertà economica non è vera libertà finché si pone come scopo e criterio a se stessa. Il liberismo economico può essere un sistema di mezzi onde si facilita l’ attuazione della libertà non eco
nòmica; ma finché non assum a la coscienza di essere mezzo e non fine, finché perciò volontariamente non si subordini ad altro che meglio esprima le aspirazioni libe
rali dello spirito umano, il tributo che esso porta alia libertà non sarà che di confusione, di depressione e di invilimento del concetto di questa. E ciò continuerà ad essere una delle ragioni per cui il liberalismo non accoglie tutti gli spiriti liberali.
5. Individualism o e libertà. — Un grave dauno alla causa della libertà nel tempo nostro deriva dalla tendenza a identificarla coll’ individualismo. Cosicché- per la posi
zione di contrasto e di lotta che l’ individualismo nelle sue varie maniere ha assunto nel nostro tempo, la libertà viene ad avere per avversari proprio tutti gli avversarii di quello. E da questa identificazione prende valore l’ opi
nione che la libertà sia concetto negativo, vuoto di con
tenuto, cioè invece di aver funzione di criterio e di ideale per cui si giudicano le varie esigenze dell’individuo rispetto al potere, essa dovrebbe consistere nel riconoscimento pra
tico di tutto ciò che è espressione dell’ individuo e solo perchè tale.
Ora qui bisogna intenderci. Vero individualismo esiste quando il valore dell’ individuo, in quanto individuo, non in quanto uomo, è contrapposto al valore della collettività e perciò il pregio della collettività, e in ispecial modo della comunanza, diminuisce di fronte al pregio det- r individuo distinto e solitario. Ma quando il pregio della collettività, invece di diminuirsi, si accresce in forza del valore assegnato all’ individuo singolo, quando cioè nella mente dello stesso pensatore l’ apprezzare l’ individuo porta per conseguenza che sia apprezzata in ragione diretta la collettività di cui questo è elemento, allora, se pure di individualismo si può ancora parlare, si tratta di un indi
vidualismo diverso affatto da quello che nel secolo XIX
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prese posizione di lotta contro il collettivismo, contro lo storicismo deterministico, contro l’ universalità delle leggi sociali e della legge morale. È appunto questa la diffe
renza radicale e profonda fra P individualismo del libera
lismo originario in Ro u sse a u e nel secolo XVIII e quello dei tempi più vicini a noi: non è lecito se non a costo di grave errore, trasferire il concetto dell’ individualismo di battaglia del secolo X IX al secolo XVIII attribuendolo a
’Ro u sse a u, ad esempio, e all’ inizio della libertà di Francia e d’ Italia. Il diritto di ciascuno era un diritto dell’ uomo, in quanto uomo; e quindi di tutti gli uomini senza diffe
renze ; e P eliminarsi di queste differenze è il tratto carat
teristico dell’ individualismo rivoluzionario di Giang iacom o: onde sorse il concetto della sovranità popolare. Perciò se col risorgere odierno della libertà apparisce determinarsi il trionfo di una forma di individualismo si tratta di una forma analoga a quella onde sorse un giorno il concetto della sovranità popolare per il culto di quell’ umanità che è in ciascuno, indistintamente.
La tesi principale sostenuta dallo St u a r t Mill nel suo libro La libertà, apparirebbe documento favorevole a coloro i quali identificano libertà con individualismo; poiché quando egli sostiene che « ognuno è il custode naturale della sua propria salute, sia fisica, sia intellettuale, e spirituale, e la specie umana guadagna di più a lasciare che ciascuno viva come meglio gli sembra, che a costringerlo a vivere come sembra meglio a tutti gli altri », P individuo apparisce so
vrano; ma sovrano per sé e sopra di sé e per ciò che unicamente lo riguarda; anche se con questa autonomia egli corre alla propria rovina. L’individuo in realtà vi è piuttosto sacrificato che privilegiato : sacrificato al vantaggio della società la quale profitta piuttosto della varietà che della uniform ità, secondo la tesi dell’ Hum boldt che il Mill accetta. Ed anche rispetto alla libertà di opinione la posizione del Mill non è diversa, poiché P utile della società, non il valore dell’ individuo; è la ragione per cui egli dice:
« Se tutta la specie umana, salvo una persona, fosse di un parere, e una persona soltanto fosse del parere contrario, la specie umana non sarebbe per nulla più giustificabile imponendo silenzio a tale persona di quello che questa lo sarebbe, se, potendo, imponesse silenzio alla specie um ana ».
Ma la ragione di questa illegittimità come è espressa dal Mi l l? Cosi: « si defrauda la specie ». Nessun uomo infatti può arrogarsi di sapere se dall’ opinione anche di un solo contro tutti non possa venir il bene di tutta la collettività piuttosto che dall’ opinione dominante. Il governo di tutti
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non si costituisce perchè i tutti gravino sopra l’ uno, bènsl,.
perchè essendo necessaria l’ autorità o il potere, 1’ uno non abbia una costrizione duplice: quella che viene dal potere in genere, e quella che vi si aggiunge quando il potere non emana, per la sua parte, da luit L’ esercizio del potere ha la sua ragione nella necessità o almeno nell’ utilità gene
rale; dove questa non vi sia, non solo non è legittima la costruzione del potere arbitrario, ma neppur quella del po
tere di tutti sull’ uno, neppur quella della sovranità popo
lare: tanto meno poi quando le forme indistinte di detta sovranità vogliono imporsi sul pensiero e sull’intimo sen
timento.
Bisogna proprio essere oggi individualisti per accettare un simile principio? A che cosa si riduce? A questo: che la sovranità popolare, come ogni altra forma di autorità collettiva è accettabile solo per quelle cose nelle quali,, diremmo noi, occorre una deliberazione universale da f a r valere praticamente. Per tutto il resto non esiste ragione alcuna di sovranità nè di unica persona, nè di pochi, nè di molti, nè di tutti sull’ uno. È lecito domandarsi se può esistere alcuno anche fra i Col le ti visti o fra gli universa
listi più rigorosi che non accetti una concezione simile; e se essa prende il nome di individualistica, ciò non avviene perchè si affermi in essa l’ individualismo come dottrina e tendenza speciale; ma perchè siamo soliti a classificare sotto questo nome ogni dottrina in cui non siati teorizzati i modi e le forme della sovranità collettiva, presa di per sè sola, ma le si aggiunga la considerazione del suo natu
rale correlativo che è l’ individuo. Cosicché se ci atteniamo alla lettera della Libertà di Stuart Mill essa non è che libertà, in genere e simpliciter, non libertà individualistica.
Ma la tendenza individualistica vera e propria comincia ad emergere quando si tratta di stabilire quali sono le cose sulle quali occorre una deliberazione universale da f a r valere praticamente per tutti. Anche qui però il criterio risultante dal concetto astratto dell’ individualismo significa ben poco, e serve pressoché a nulla, se non forse a disviare.
Poiché è chiaro che tale deliberazione universale può essere ritenuta necessaria da alcuno, per es., in tutto ciò che ri
guarda i fondamenti economici della vita; e questi potrà essere un ardentissimo individualista, iu quanto il suo ardore individualistico lo porti a volere collettivizzare la funzioni' economica della vita per assicurare il massimo sviluppo all’ individuo spirituale extra economico; da altri potrà essere ritenuta necessaria per ciò che riguarda i fondamenti della cultura, e questi potrà pure essere un ardentissimo indivi-
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-dualista m a diverso dal precedente, in quanto ritenga essere necessario assicurare colla coltura le basi comuni allo svi
luppo dell’ individuo anche economico. Individualismo non significa dunque nulla di determinato, quando lo si vuol rendere fondamento della libertà. Tanto è vero che non è -deterniinato il suo opposto. Individualismo si può opporre a solidarismo, a collettivismo, a universalismo. E prende significato diverso secondo che si oppone all’ uno e all’altro di questi concetti che sono fra di loro per molti rispetti -eterogenei.
A ciò si aggiunge un’ altra considerazione fondamentale.
Ed è questa: che dell’individuo si può avere una conce
zione o metafisica o psicologica o sociologica. Ora la con
cezione sociologica dell’ individuo può condurre a conclu
sioni opposte alle tesi polemiche dell’ individualismo odierno, sociologico, morale ed economico. La concezione sociolo
gica dell’ individuo può essere elemento di una dottrina della libertà che questa consideri come un carattere morfologico e dinamico della comunità sociale anziché come un’ oppo
sizione dell’ individuo alla comunità medesima.
Insomma 1’ avvenire della libertà consiste nel superare T antinomia presente fra individuo e collettività. La cosciènza dell’ uomo libero può anch’ essa avere per motto: « guai a
•chi è solo ». L’ opposizione persisterebbe se ammirazione ed amore, l’ una tendente a costituire il preminente diritto degli uomini superiori, l’ altra tendente a garantire il co
mune diritto degli uomini, fossero sentimenti irrimediabil
mente antinomici. Tali invece non sono poiché vi è ammi
razione della grandezza umana anche nel culto del comune diritto e nell’ accorata difesa di questo che è suggerita dei- fi amore; ed è essenzialmente amore dell’ umanità univer
sale il fondamento dell’ ammirazione dei grandi. La sen
tenza di Al e ssa n d r o Ma n z o n i: « non ci esser giusta su
periorità d’ uomo sopra gli uomini, se non in loro servizio » è più profonda e più vera di quello che forse il Manzo ni
stesso pensasse. Poiché essa non è soltanto una norma di morale cristiana, ma è una indiscutibile verità psicologica.
La superiorità d’ un uomo consiste in un superiore servigio ch’ egli rende all’ umanità universale, il qual servigio egli valuta e misura alla stregua d’un più alto concetto eh’ egli si fa di quest’ ultima — e che quest’ ultima poi, a sua volta giudica e sancisce secondo la coscienza che essa di sé stessa
va formandosi.
L’ impulso di libertà che rompe i vincoli d’ oggi in causa di un sentimento di più alta verità è il momento dinamico in cui si creano gli uomini grandi nel seno delfi umanità
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collettiva. Il contrasto fra questa e l’ individuo sarebbe vero quando essa fosse pensata staticamente; pensarla dinami
camente, ossia nella serie delle liberazioni successive, si
gnifica elidere il contrasto medesimo.
6.. La libertà nel rapporto fr a V individuo e la dina
mica sociale. — Il contrasto anzidetto non esiste più quando si consideri quale è veramente l’ opera dell’ individuo non rispetto alla società come corpo od organismo, ma alla vita sociale pensata nella sua realtà dinamica. L’ opera indivi
duale che si aggiunge, come speciale energia di impulso, al movimento complessivo della vita sociale non esclude che l’ individuo da cui essa emana sia, anche sotto altri rispetti, uno degli innumerevoli autori del movimento so
ciale complessivo. Cosicché se la società è pensata stati
camente T individuo esplica un’ azione sola, cioè l’ azione individuale sopra di questa, se è pensata dinamicamente ne esplicherebbe due, cioè 1’ opera individuale distinta e sopraggiunta e l’ opera universalizzata e commista indi
scernibilmente nell’ insieme dei moti sociali. Se da queste due azioni noi risaliamo ai loro soggetti, l’ azione distinta e sopraggiunta avrà per soggetto un distinto individuo a cui potrò dare un nome, Maometto, Cicerone, Da n t e, Napo leo ne, W ash ing ton e anche, in diversa misura, il più umile degli uomini, l’ altra avrà per soggetto la società intera. Ma per porre questa come soggetto bisogna che io riesca a pensarla come capace, nel suo insieme, di uno sforzo di mutamento entro se medesima, di porre sè innanzi a se stessa come un oggetto da mutarsi e quindi compiere il mutamento rispetto ad un fine la cui nozione si elabora durante il processo medesimo di mutazione, e lo carat
terizza.
Le difficoltà che sorgono nel pensare la società come un soggetto parvero diminuirsi quando, per mezzo di ana
logie, essa potè essere assimilata ad un organismo biolo
gico, e quando ancora fu tentato di costruire la teoria della psiche collettiva. Ma anche all’infuori dell’ una e dell’ altra di queste dottrine, la plausibilità di pensare la società come un soggetto riposa sulla natura stessa dell’ individuo che la compone. Ciascuno di quegli innumerevoli individui sin
goli dai quali può considerarsi come costituita la società nella più semplice interpretazione della natura di questa (senza complicazione delle ipotesi della società organismo e della psiche collettiva) è il risultato di un processo di universalizzazione : le idee che egli ha si sono a poco a poco elaborate in modo da acquistare, per cosi dire, un massimo valore di scambio, cioè una validità universale;
e il suo sentimento si sviluppa e si modifica in modo da poter servire come normale impulso di condotta sen2a bi
sogno che alcuno lo susciti e lo diriga; anche il suo sen
timento va assumendo il tipo ed il ritmo della normalità universale. Cosicché per ciascuno di questi innumerevoli individui singoli la libertà consiste nei momenti di pro
cesso per cui l'universalità è raggiunta; per ciascuno di questi, universalizzarsi è liberarsi in quanto è uscire dal dominio di altri singoli senza cadere in.alcun altro dominio;
T individuo si universalizza nelle* idee principali e nel ritmo dei sentimento; non è, come molti giudicano, uno schiavo che accetta da tu tti l’ impronta e il giogo che rifiuta da pochi, ma è spirito che assurge coll’ universalizzarsi alla sua propria forma di autonomia. E questa non consiste nel comprender nell' io la legge universale, come pensa e si esprime Ka n t. Si acquista invece coll’ emanciparsi da gruppi particolari di altri singoli e coll’ armonizzarsi in un più vasto ritmo dinamico entro il quale il dominio cessa; giacché il dominio è azione determinante esercitata da un alter sopra l’ io; invece qui l’ azione determinante di altri sopra l’ io non ha più luogo; non solo perchè non sia d istin ta , ma perchè realmente non avviene più; chè per contrario avviene, secondo il grande concetto di Fichte, che l’ io neghi ed infranga i suoi limiti per cui è determinato, e universalizzandosi si faccia determinante. È l’ effetto proprio della cultura nel suo più ampio significato, Dice Ka n t:
« Questa proposizione: — la volontà è in tutte le sue azioni legge a se stessa — non significa altro fuorché il prin
cipio di agire secondo una massima tale che possa avere ad oggetto se stessa come legge-universale ». Ora l’effetto proprio della coltura è che la volontà si faccia capace in ogni sua azione di conquistare la propria universalità, di
sconoscendo tanto ciò che sia fuori di sè stessa quanto ciò che, non potendo essere proprio se non del singolo e del determinato, la limiterebbe e la vincolerebbe. Cosicché se il pensiero di Kant sopra citato si dovesse intendere nel senso che l’ autonomia della volontà consista nell’ essere legge della volontà la legge morale, nel senso cioè che occorra la esistenza di questa alla libertà come suo ante
cedente logico, dalla libertà stessa rivelato, il pensiero di Kant non esprimerebbe la conquista perenne dell’ univer
salità come effetto proprio della coltura; perchè questa con
quista non ha antecedenti logici ; è ad un tempo creazione e formazione, o, corne Fichte direbbe, posizione. Se nella mente dei pensatori che trattano questo problema la con
cezione dinamica della società, come vita sociale, ha la sua
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piena /Unzione logica, deve loro apparire subito che la libertà, dei singoli non consiste nel far propria una legge data e preesistente (sia pure soltanto formalmente come in Ka n t) ma nell’ atto stesso dell’universalizzarsi dell’co, il quale universalizzandosi nel moto e non nella stasi, esprime ve
ramente il ritmo del moto stesso nel monqento medesimo che agendo lo compie. Cosicché alla questione se la società intera possa essere pensata come soggetto (senza ricorrere alle ipotesi della società-organismo e della psiche collettiva) possiamo ora rispondere affermativamente, perchè la con
sideriamo sotto il suo aspetto dinamico. La coscienza del- r io singolo comune che si produce nella coltura e colla coltura, nel suo universalizzarsi che è ad un tempo libe
razione e creazione, è la coscienza della società intera, perchè essa raggiunge tutto ciò che di questa è caratteri
stico per ogni singolo momento e per tutto il ritmo del moie. Cosicché osservando come la coscienza dell’ io sin
golo comune riesce a pensare sè stessa come un oggetto da mutarsi e quindi a compiere il mutamento rispetto a un fine la cui nozione si elabora durante il processo me
desimo di mutazione, noi osserveremo nello stesso tempo come ciò avvenga della società intera. Qualcuno potrebbe dire che anche qui si tratti eli una pura inferenza anologica dell’ io singolo alla società. Respingere questa obiezione non è cosi agevole a noi, come a chi accetti intero il pen
siero di Fichte nel suo fondamento idealistico. Certamente non è lecito a noi, come è stato lecito a Fichte, arrivare rapidamente per via gnoseologica all’ io già universale, all’ io in sè contrapposto alla cosa in sè di Ka n t: all’io in ge
nerale, Ichheit überhaupt. Noi non possiamo esimerci dal risolvere il problema del rapporto fra l’ io singolo e la so
cietà; ed anche giunti a stabilire come il primo sia un io sociale, dobbiamo addurre le ragioni per le quali possiamo considerarlo come l’ io sociale unico e generale. Ora l’ io sociale unico e generale è, come ogni singolo momento della dinamica sociale, un fa tto ; la continuità dell’ io so
ciale in generale è il ritmo dei fatti medesimi e rispetto ad esso i singoli io sociali dei singoli individui sono gli ele
menti di formazione. Cosi la nota musicale è il « fatto » che risulta dalle vibrazioni delle corde in certo ordine e proporzione; in altri termini la nota musicale è il fatto che risponde alle vibrazioni singole e che ciascuna di queste costituisce non di per sè ma solo in quanto è quel dato ordine e proporzione. Analogamente l’ io sociale in gene
rale è il « fatto » che risulta dai fatti delle singole coscienze individuali, in quell’ ordine che esse stabiliscono in quanto
Vol. III. a
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tendono a universalizzarsi. C’ è però questa differenza che la coscienza sociale generica ed unica è un processo con
tinuo e ciascun momento di questo processo caratterizza i singoli io sociali individuali; l’ analogia colla nota musi
cale sarebbe esatta se la nota fosse un continuo, e i sin
goli momenti della nota caratterizzassero le vibrazioni via via che queste costituiscono l’ ulteriore divenire della nota medesima. L’ io sociale cosi inteso può essere considerato come soggetto avendo del soggetto questi tre caratteri : unità (in questo caso, unità di fatto), pernierò (ossia le conce
zioni che risultano caratteristiche quando ogni io singolo ha coscienza di universalizzarsi nella società) e attività (in quella parte dell’ azione dei singoli che risulta armonizzata, e perciò non impedita reciprocamente, e quindi libera).
Tornando ora a quel che sopra avevamo assunto di di
mostrare, cioè che se la società è intesa nella sua realtà dinamica il conflitto fra individuo e collettività sparisce, domandiamoci se anche 1’ opera individuale distinta e se
gnalata che sopraggiunge, per mezzo degli uomini supe
riori, a dare una speciale impronta e una maggiore energia d’ impulso al moto sociale complessivo sia veramente in contrasto colla vita sociale collettiva, si chè per assicurarle libertà, convenga intendere quest’ ultima in senso accentua
tamente individualistico. La differenza fra il modo di uni
versalizzarsi dell’ individuo singolo comune e dell’individuo superiore consiste in questo che mentre il primo si uni
versalizza nella società presente, il secondo si universalizza in una società possibile ed anche fuori di essa, vale a dire in ciò che ad esso apparisce come avente in sè diritto di universalità per verità o bellezza all’ infuori di ogni san
zione effettiva. Per libertà si richiede che ciò non possa essere impedito. Impedito da chi ? Dal potere distinto nelle persone che governano o indistinto nell’ opinione e nel co
stume presente. Ora richiedere la libertà sotto il primo aspetto non è difendere l’ individualismo contro la collet
tività, bensì difendere individui contro individui giacché il potere di chi governa quando non sia esattamente una fun
zione del potere sociale indistinto non è altro che potere di individui inarmonici esercitato per mezzo di violenza transitoria. Richiedere la libertà sotto il secondo aspetto, cioè contro l’ opinione e il costume, non può significare altro se non volere che siano modificati l’ opinione e il co
stume, perchè in questo consiste il volere che essi accol
gano ciò che ora in vario modo respingono. Il che ancora significa volere che divenga collettivo ciò che ora è indi
viduale ; ora ciò non è certo l’ ufficio dell’ individualismo
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si vuole che avvenga secondo le leggi naturali della vita sociale ; e non è certo l’ ufficio della libertà, se stoltamente si vuole che avvenga per imposizione soverchiante. La causa della libertà qui suggerisce che il tributo dell'uomo supe
riore. sia accolto perchè di esço si universalizzi .quanta maggior parte è possibile, cioè quanta maggior parte è capace di effettuarsi in un’ armonia superiore. Anche sotto questo rispetto adunque libertà non è individualismo.
7. La libertà rispetto alle maggiorarne e allo Stato. — Bisogna riconoscere però che una apparenza di ragione assunse nel nostro tempo 1*identificazione dell’ individua
lismo della libertà per il fatto che la collettività esprime in un gran numero di casi il suo impero col mezzo delle maggiorarne. Ora la tesi di Stuart Mill che non è più giustificabile la specie umana nell’ imporre il silenzio all’opi
nione di una sola persona di quello che questa sarebbe imponendo silenzio alla specie, mentre apparisce stretta- mente individualistica, è certamente conforme a libertà. Si, la libertà esige che la considerazione numerica dei pochi, dei molti o dell’ uno non comprometta la valutazione nè impedisca il rispetto (con tutte le sue conseguenze pratiche e giuridiche) di un pensiero qualsiasi. Neppure il consensus om nium , nonché la maggioranza può, secondo libertà, co
stituire elemento definitivo di valutazione. Ma le maggio
ranze non sono collettività, sono agglomerati individuali^
stici. Esse costituiscono un espediente, in mancanza di meglio, per quei casi in cui- un gruppo deve agire allo stesso modo come agirebbe una persona sola. La ribellione dell’ indi
viduo alle maggioranze non è la ribellione dell’ individuo contro la collettività, ma bensì la ribellione di un indivi
dualismo generico contro un espediente individualistico di azione collettiva. Il sistema delle maggioranze ha luogo sol
tanto in un gruppo inarmonico di individui fra i quali non è ancora avvenuta, su alcuni punti che si tratta di decidere, T universalizzazione dell’ io sociale. La situazione della libertà rispetto alle maggioranze è tanto in favore quanto contro di esse. Transitoriamente le accetta, anzi le. subisce; ma agisce contro di esse in modo cosi vario che non si può assegnare nè a tendenza individualistica, nè ad alcun’ altra contraria a questa Poiché la libertà tende per ogni via e con ogni mezzo a stabilire 1’ universalità — o imponen
dola sotto forma di legge tanto ai molti quanto ai pochi ed all’ uno, curando però che a questa imposizione (che a sua volta dalle maggioranze è emersa ma in processo di tempo assunse nelle coscienze l’ impersonalità che è una prima condizione della universalità), si sottragga sempre
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più largamente quell’ attività individuale che crea l’ univer
salità per vie proprie nella propria coscienza, — o favo
rendone la formazione armonica nella collettività per le vie della ¿ottura e dell’ organizzazione. Certamente, quando noi dovessimo dire se libertà nel suo cammino si allontani dal sistema delle maggioranze o lo -confermi sempre più, noi dovremmo propendere per la prima di queste ipotesi. Ma non per ragioni individualistiche. Piuttosto perchè il sistema delle maggioranze è contrario al concetto della libertà come formatrice-dell’ unità armonica dello Stato. Ne è prova fra l’ altro la funzione che esercitano nel pensiero liberale mo
derno le concezioni politiche dell’ idealismo assoluto.
Su questo punto dobbiamo fermare la nostra attenzione in particolar modo. Il pensiero di Hegel che nello Stato sia l’ attuazione perfetta della libertà, che essa sia, come diritto, dello Stato e non dei cittadini, non risponde (è ben vero) alle tendenze politiche che nel nostro tempo hanno diritto a çhiamarsi tendenze di libertà. Ciò avviene perchè
« la sostanza dello Stato » secondo Hegel, « si m ostra come il potere in cui l’autopomia particolare dei singoli e l’ immersione di essi nell’esistenza esterna del possesso e nella vita naturale, sente la sua nullità; e come il po
tere che effettua la conservazione della sostanza universale per mezzo del sacrificio, che l’animo dei singoli compie della esistenza naturale e particolare » (Elicici, delle scienze fll. § 546. Trad. Croce). Anche da coloro che intendono appieno il processo secondo il quale avviene come esito finale che nello Stato si raccolga quella libertà « il cui progresso è la storia stessa del mondo » — anche da coloro che riconoscono i difetti e gli errori della concezione comune della libertà soggettiva dell’ attività particolare quali Hegel li designa (Ib. § 539) e soprattutto riconoscono che la giustificazione della libertà hegeliana sta in origine in quell’ autodifferenziazione dell’ io interiore onde si co
stituisce l’ autocoscienza universale; — anche da coloro che convergono col Royce nel dichiarare l’insussistenza di un io assolutamente interiore perchè il mio io interiore è già un io esterno, rivelato, espresso, e « l’unica mente, adunque, è il mondo di parecchie menti che stanno in relazione », essendo « nell’essenza della coscienza di trovare la sua in
terna realtà col perdere sè stessa in relazioni esteriori, ma spirituali » (*) ; — anche da coloro che tutto questo ricono-
(*) Boyce: Lo spirito della filosofia moderila. — Bari, Laterza.
1910, pag. 275.
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soono pon può essere accettato che, essendo la libertà azione e creazione, tutti i suoi risultati si adempiano per mezzo dello Stato ed entro l’organismo dello Stato; tanto più se di quest’ultimo è stabilita, come in Hegel, la forma e la costi
tuzione definitiva. La nostra posizione è avversa alla conce
zione politica di Hegel solo per quest’ ultima ragione. Ma d’altra parte il concepire la libertà come un privilegio ed un portato dell’individuo singolo, affermato contro tutto ciò che si può porre contro di lui e fuori di lui, è sempre più lon
tano dalle nostre vedute; e ci apparisce invece 'plausibile che essa sia non più soltanto un modo di agire dell’individuo, m a un carattere morfologico e dinamico della società intera capace di individuarsi nelle coscienze singole, appunto perchè ognuna di esse è individuo socializzato. La libertà sarebbe perciò inerente, secondo un pensiero di Fichte, ad ogni atto in cui la socializzazione si compia non in astratto cioè come fine a sè stessa, ma in concreto cioè colla co
scienza di ciò che ciascuno come individuo socializzato produce nell’atto di complicare coll’ attività degli altri l’ attività propria; cosicché l’azione collettiva che il pen
siero contemporaneo vagheggia come attuazione della li
bertà non è l’ azione della maggioranza, ma l’azione ar
monica collettiva in cui la collettività medesima agisce come uno, in quanto quest’uno si sia precedentemente formato. E ciò ottiene sia per mezzo della coltura, di cui sopra abbiamo parlato, sia per mezzo della organiz
zazione.
8. Libertà e organizzazioni. — Il fenomeno dell’orga
nizzazione contribuisce ad accrescere i dubbi che intorno alla libertà si agitano nel nostro tempo e a rendere tut- t’affatto speciale la situazione psicologica e morale delle coscienze d’oggi rispetto all’idea della libertà sociale.
Lo sviluppo delle organizzazioni apparisce a molti come un fatto contrario alla libertà per due principali ragioni:
1. ° che la disciplina interna che le informa ponga ostacolo allo sviluppo dell’attività individuale,
2. ° che esse tendano a costituire un potere statale dentro a quello già esistente, creato dalle rivoluzioni liberali delle nazioni moderne.
Quanto alla disciplina, le ripugnanze di molti liberali sembrano giustificaie dal fatto che essa si esercita inter
namente col sistema delle maggioranze nelle assemblee le quàli, oltre all’avere il difetto intrinseco delle maggio
ranze in genere; sono spesso diverse dalie maggioranze di tutti gli organizsati. Ma ciò che si è datte per le mag
gioranze statali vale a fo rtio ri per le maggioranze delle
organizzazioni: cioè che esse non sono caratteristiche di queste ma una triste necessità transitoria, il superare la quale è nello spirito stesso dell’organizzazione, anche se questo superamento dovesse permanere come finalità propria della vita interna di essa, sempre più, non mai comple
tamente attuata. È nello spirito delle organizzazioni che ciò che chiamiamo oggi disciplina non sia altro in fondo che il socializzarsi dell’azione individuale, cioè un armonia non imposta ma avvergntesi come carattere e ritmo del
l’attività dell’individuo. La disciplina imposta con sanzioni utilitarie e colla violenza è estranea alla concezione ideale della struttura organica delle associazioni di lavoro; e finché essa sussiste, significa soltanto che l’organicità ad esse necessaria ed essenziale non ha raggiunto il suo grado di formazione caratteristica. Quando adunque in nome della libertà si combattono le organizzazioni per le coazioni di
sciplinari che in esse si osservano, le si combattono non per ciò che esse abbiano di caratteristico, m a per ciò che esse hanno di eterogeneo e di transitorio, eliminabile me
diante un maggiore perfezionamento dell’attività loro propria.
Quanto al potere che le organizzazioni costituiscono dentro lo Stato, le ripugnanze di molti liberali sinceri hanno la loro base nell’abito intellettuale di intendere la libertà come rapporto dello Stato coi cittadini singoli, o isolati, o semplicemente associati, non organizzati. Fu una conquista della libertà che a ciascuno degli individui sin
goli, senza differenze, fosse conferito un diritto di critica, di consenso o di opposizione rispetto all’ azione dello Stato ; e tale diritto aveva per base il concetto che ciascuno di questi singoli fosse sufficiente a sé medesimo. Presen
tandosi però l’obiezione che lo Stato è un potere contro il quale gl’ individui isolati, presi uno per uno, non hanno forza bastevole, fu un’altra conquista della libertà il rico
noscimento del diritto di associazione. A questo punto, il còmpito della libertà parve adempiuto. Le organizazioni sopraggiunte apparvero a quegli stessi liberali come un fatto eterogeneo rispetto a quelle associazioni, il cui diritto era stato sancito negli statuti nazionali : eterogeneo perchè, mentre l’associazione ha carattere individualistico come riunione di cittadini già formati in quanto tali, l’organiz
zazione non è soltanto riunione, ma formazione, educazione, ambiente integrale; da ciò deriva che l’unità sia più ra
dicale e più intima, che le organizzazioni formino altret
tante autonomie-Sociali. Era dunque .naturale ed ovvio pei liberali il pensiero , che se: la Libertà essenzialmente con
sisteva in un rapporto, fra lo Stato e i cittadini singoli,
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rapporto a cui solo accidentalmente e per ragione di equi
librio si aggiungeva l’associazione, coll’avvento delle or
ganizzazioni si entrava in tutt’altro regime; perchè quel diritto di critica di consenso o di opposizione che la libertà conferiva a ciascuno dei cittadini, appariva non più eser
citato da essi, ma da un potere contro ad un altro potere.
Aggiungasi che l’associazione riconosciuta dagli Statuti aveva per sua ragione, o l’incremento di attività già prima riconosciute e lasciate alla pura sfera individuale, come l’arte e il sapere, o la difesa dell’ una o dell’ altra di quelle idee che già lo Stato aveva dibattuto nel süo formarsi:
onde le associazioni di monarchici e repubblicani, di con
servatori e progressisti, e cosi via: di cui poteva temere il Governo come ordine esecutivo transitorio, non lo Stato come ente ideale, in quanto che tutte quelle idee, anche fra loro opposte, allo Stato appartenevano tutte. Il liberalismo statale le riconosceva e le favoriva in quanto che, anche se temporaneamente an ti-go vernati ve, non erano extra
statali. Ma T autonomia extra-statale del funzionamento delle organizzazioni non entrava nel quadro già compiuto della libertà statale.
Senonchè è ormai tempo di esaminare filosoficamente questa posizione dei liberali. E si può dire: se nelle asso
ciazioni politiche statutarie l’individuo entra già come cit
tadino, cioè entra con una coscienza statale, come questa si è formata in lui per il passatot Come avvenne il pro
cesso di questa formazione? Il fatto che l’individuo sia diventato cittadino, non è stato che un fatto di socializza
zione della sua coscienza; è stato un suo universalizzarsi nella società politica; monarchia e repubblica, aristocrazia e democrazia, e simili sono idee universali; per che ora siano tanto individuali che l’ individuo esprima sé stesso in esse meglio che in qualsiasi particolare contingente di vita singola, bisogna che sia avvenuto in lui un processo di socializzazione. E questo suppone un’ educazione ; e quindi non la semplice associazione ma un organizzazione educativa antecedente. Infatti questo universalizzarsi della coscienza individuale, tale da superare le contingenze li- rnitatrici e diventare coscienza civica, coscienza politica è avvenuto per mezzo delle grandi organizzazioni di coltura che, anche senza la forma strettamente associativa, hanno formato nel secolo XVIII e nel secolo XIX le nostre at
titudini politiche e civili: tali l’illuminismo e il romanti
cismo tedesco, l’enciclopedismo francese, la filosofia.etico
giuridica del settecento in Italia, la gran rete del settarismo rivoluzionario nazionale ed europeo e cosi via. Erano or-
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ganizzazioni in gran parte automatiche ed a larga, spesso indistinta, ramificazione: la coscienza vi entrava informe, spesso in nessun altro modo che coll’aprire e leggere un libro; ma ne usciva informata, universalizzata, armonizzata in un ingranaggio poderosissimo di socializzazione dal quale siamo ora usciti quelli che siamo. In che cosa dif
feriscono le organizzazioni presenti ? In questo : che il processo di socializzazione si è fatto in seguito più pro
fondo; invece di implicare soltanto le idee per le quali si era costituito il potere politico ha proseguito implicando via via sempre più a fondo altre idee attinenti od altri elementi del vivere individuale e principalmente al lavoro:
una socializzazione sempre meno astratta e sempre più concreta tendente alla socializzazione integrale. E di più:
mentre all’organizzazione più larga e più indistinta da cui risultò la socializzazione statale delle nostre coscienze individuali parteciparono uomini di alcune classi soltanto, che ad essa chiedevano la soddisfazione non di tutti, ma di alcuni soltanto dei loro bisogni psichici, intellettuali e morali, le organizzazioni presenti accolgono uomini di tutte le classi e sopratutto delle meno abbienti, i cui bisogni materiali e morali sono di gran lunga maggiori, che ri
chiedono quindi all’ organizzazione un’ opera più intensa, più profonda e più radicale; il maggior numero e i mag
giori bisogni esigono la differenziazione delle organizzazioni in nuclei ristretti e compatti, e una maniera d’azione in cui l’espressione volontaria è più evidente, la cui energia quindi è più sensibile ai singoli poteri statali ed ha sopra di questi una più diretta e più evidente efficacia. Stando cosi le cose, l’ opposizione del liberalismo alle organiz
zazioni ha questo significato, che esso vuole arrestare ad un dato limite il processo di socializzazione, cioè al limite entro il quale questo forma soltanto la coscienza statale dei cittadini, perchè non discenda a più integrale e pro
fonda formazione. Ma il processo di socializzazione e di universalizzazione, a qualunque limite giunga, è sempre liberazione. Avversandolo, la libertà contraddice sè stessa.
Piuttosto si tratta di vedere quali caratteri etici possa richiedere quel «movimento verso l’ordine sociale dell’ or
ganizzazione » al quale, secondo una verace intuizione del Be r n st e in, si riduce tutto quanto il moto sociale odierno, determinando, come aggiunge il Bonomi, « tutto un nuovo orizzonte di pensiero e di azione ».
Quando nelle organizzazioni si avverino queste due con
dizioni: che la disciplina interna abbandoni sempre di più il carattere impressole dal sistema transitorio e ad esse
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eterogeneo delle maggioranze, di imposizione utilitaria e forzata — e che la solidarietà loro abbia per oggetto la formazione integrale dell’ individuo etico non solo nella lotta economica ma anche oltre ad essa, nulla manca peché la libertà non si educhi nelle organizzazioni e per mezzo di esse. Si tratterà solo di vedere che cosa debba essere la libertà come spirito di educazione organizzata, in altri termini di analizzare i momenti del processo etico di liberazione.
A tale indagine da me intrapresa il processo etico della libertà nel nostro tempo apparve non identico ma continuo con quello che portò al trionfo gli ideali di giu
stizia um ana nell’ animo e nella mente degli assertori e dei martiri della libertà nella prima metà del secolo X IX , anche anteriormente alla conquista delle guarentigie sta
tutarie. Il che sarà argomento della seconda parte del presente lavoro.
II.
1. Libertà e dignità umana. — La libertà era sentita dai massimi apostoli di essa, più ancora che come esigenza di istituzioni politiche liberali, come un’ esigenza di dignità umana. Dignità di uomini, non in quanto individui, ma in quanto uomini, anche quando l’ individualismo sembra esserne la molla nascosta. « La libertà è sacra come V in
dividuo, del quale essa rappresenta la vita » dice Giuseppe Mazzini nei Doveri dell’ uomo (Cap. Vili). Ma il periodo immediatamente anteriore suona cosi: « Senza libertà non esiste società vera, perchè tra liberi e schiavi non può esistere associazione, m a solamente dominio degli uni sugli altri ». La libertà rappresenta adunque l’individuo, non in quanto afferma sè stesso nella concentrazione so
litaria e nel dominio, ma in* quanto si associa e in quanto sviluppa ciò che in lui vi è. non di particolare, ma di universale. « Lasciando che la sua libertà sia violata, r uomo tradisce la propria natura e si ribella contro i decreti di Dio ». Cost V individuale raggiunge nel pensiero di Giuseppe Mazzini 1’ umano: lo raggiunge per mezzo di due processi affatto diversi; il processo esteriore di socia
lizzazione, il processo interno di universalizzazione. Quando entrambi questi processi sono compiuti, l 'idealità che agisce nella dottrina e che impera nella coscienza non è più l’in
dividuo, è l’ uomo; e all’individuo è concessa la parola solo in quanto esprima ed esplichi le esigenze dell’uomo.