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BOLLETTINO PASTORALE PARROCCHIA DI SAN TOMASO DI CANTERBURY - GAIARINE DIOCESI DI VITTORIO VENETO DOMENICA 6 SETTEMBRE 2020

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B B O L L E T T I N O O L L E T T I N O O L L E T T I N O O L L E T T I N O O L L E T T I N O P P P P P A S T O R A L E A S T O R A L E A S T O R A L E A S T O R A L E A S T O R A L E

Anno XXVIII - Numero 36

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Messa del giorno: 1a lett.: Ezechiele 33,1.7-9- Salmo: 94 - 2a lett.: Romani 13,8-10- Vangelo: Matteo 18,15-20 Liturgia della Settimana

D

OMENICA

6 S

ETTEMBRE

2020

Scaricabile dal sito Web Unità Pastorale Gaiarine https://www.upgaiarine.it (sezione: Bollettino di Gaiarine)

n n n n

n Domenica 6 Settembre - XXIII del Tempo Ordinario ore 08.00 S. Messa festiva -

In suffragio: def.ti Segatto Simone Pietro e Dolores;

def.ti Rosolen Pietro, Elena e Carmen; def.ti Feletto Giacomo e Rosa; def.to Carnelos Gabriele; def.ti Casetta Silvestro, Rosolen Cesena e Elide; def.ti Luisotto Sante, Angela e Paola

ore 11.00 S. Messa festiva - per la parrocchia

In ringraziamento per il 25° anniversario di matri- monio di Dal Cin Daniele e Bragato Paola ore 19.00 S. Messa festiva - Natività della B.V. Maria

Non ci sarà la tradizionale processione con la statua della Madonna, ma un atto di venerazione alla fine della Messa.

In suffragio: def.ti Covre Luigi e Tardivo Irma; def.ti Fantuz Sergio, Casagrande Pia, Fantuz Iginio, Angelo e genitori

n n n n

n Lunedì 7 Settembre

ore 09.00 S. Messa - In suffragio: def.ti Riva Maria e Da Ros Luigi; def.to Zorzetto Giuseppe; def.to Alpago Avellino; def.ti De Faveri Bruno e Anita

n n n n

n Martedì 8 Settembre - Natività della B.V. Maria ore 09.00 S. Messa - In suffragio: def.ti Caneppele Guido e

Longhi Pierina; def.ta Piovesana Ofelia; def.ti Piovesana Ofelia e Sonego Samuele; def.ti Segatto Agnese e Fantuz Antonio; def.ta Bressan Floridia;

alla Madonna per nipote Thomas e famigliari

n nn n

n Mercoledì 9 Settembre

ore 09.00 S. Messa - In suffragio: def.to padre Aurelio Maschio; def.to Bolzan Giuseppe

n n n n

n Giovedì 10 Settembre

ore 09.00 S. Messa - In suffragio: def.to Cappellotto Angelo;

def.to Chiaradia Angelo; def.ta Andreetta Clotilde

n n n n

n Venerdì 11 Settembre

ore 9.00 S. Messa - In suffragio: def.to Favero Giovanni;

def.ta Luisotto Paola

n n n n

n Sabato 12 Settembre - SS.mo nome di Maria ore 19.00 S. Messa festiva -

In suffragio: def.ti morti in guerra; def.ta Luisotto Paola (ord. amici). In ringraziamento alla Madonna per una famiglia devota

n nn n

n Domenica 13 Settembre - XXIV del Tempo Ordinario - Esaltazione della S. Croce

ore 08.00 S. Messa festiva -

In suffragio: def.ti De Marchi Ida e Attilio; def.to Baggio Giovanni

ore 11.00 S. Messa festiva - per la parrocchia ore 19.00 S. Messa festiva -

in ringraziamento per 45° anniversario di matrimo- nio di Fantuz Valerio e Santina. Alla Madonna per famiglia di Fantuz Valerio e Santina

In suffragio: per tutti i def.ti di Da Dalto Santina;

def.ti Da Dalto Vincenzo, Augusta e Antonio;

def.to Teo Giordano.

Offerte della Settimana

Per la parrocchia: Nn • 100 - Nn 10 - Nn 20 - Nn 10 -Nn 10 Orario S.Messe festive nell’Unità Pastorale

Campomolino - vigilie ore 17.30 - festive ore 9.30 Albina

- vigilie ore 19.00 - festive ore 10.00

Il vescovo Corrado incontrerà i moderatori e aiuto moderatori delle unità pastorali, venerdì 11 settembre alle 20, nell’aula magna del Seminario, a Vittorio Veneto.

All’ordine del giorno le proposte per il nuovo anno pastorale e la presentazione dell’iniziativa dell’incontro del vescovo con le unità pastorali della diocesi nel periordo tra metà ottobre e fine aprile 2021.

Veglia di preghiera di inizio anno pastorale Venerdì 25 settembre - alle 20.30,

in Cattedrale, a Vittorio Veneto:

Nell’occasione sarà presentate la Lettera-guida per l’anno pastorale 2020-2021.

L’avvio dell’anno pastorale in diocesi

(2)

Papa Francesco all’Angelus di domenica 30 agosto 2020

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

L’odierno brano evangelico (Mt 16,21-27) è collegato a quello di domenica scorsa (Mt 16,13-20). Dopo che Pietro, a nome anche degli altri discepoli, ha professato la fede in Gesù come Messia e Figlio di Dio, Gesù stesso incomincia a parlare loro della sua passione. Lungo il cammino verso Gerusalemme, spiega apertamente ai suoi amici ciò che lo attende alla fine nella città santa: preannuncia il suo mistero di morte e di risurrezione, di umiliazione e di gloria. Dice che dovrà «soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno» (Mt 16,21). Ma le sue parole non sono comprese, perché i discepoli hanno una fede ancora immatura e troppo legata alla mentalità di questo mondo (Rm 12,2). Loro pensano a una vittoria troppo terrena, e per questo non capiscono il linguaggio della croce.

Di fronte alla prospettiva che Gesù possa fallire e morire in croce, lo stesso Pietro si ribella e gli dice: «Dio non voglia, Signore;

questo non ti accadrà mai!» (v. 22). Crede in Gesù - Pietro è così - ha fede, crede in Gesù, crede; lo vuole seguire, ma non accetta che la sua gloria passi attraverso la passione. Per Pietro e gli altri discepoli - ma anche per noi! - la croce è una cosa scomoda, la croce è uno “scandalo”, mentre Gesù considera “scandalo” il fuggire dalla croce, che vorrebbe dire sottrarsi alla volontà del Padre, alla missione che Lui gli ha affidato per la nostra salvezza. Per questo Gesù risponde a Pietro: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!» (v. 23). Dieci minuti prima, Gesù ha lodato Pietro, gli ha promesso di essere la base della sua Chiesa, il fondamento; dieci minuti dopo gli dice “Satana”. Come mai si capisce questo? Succede a tutti noi! Nei momenti di devozione, di fervore, di buona volontà, di vicinanza al prossimo, guardiamo Gesù e andiamo avanti; ma nei momenti in cui viene incontro la croce, fuggiamo. Il diavolo, Satana - come dice Gesù a Pietro - ci tenta. È proprio del cattivo spirito, è proprio del diavolo allontanarci dalla croce, dalla croce di Gesù.

Rivolgendosi poi a tutti, Gesù aggiunge: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua» (v. 24). In questo modo Egli indica la via del vero discepolo, mostrando due atteggiamenti. Il primo è «rinunciare a sé stessi», che non significa un cambiamento superficiale, ma una conversione, un capovolgimento di mentalità e di valori. L’altro atteggiamento è quello di prendere la propria croce. Non si tratta solo di sopportare con pazienza le tribolazioni quotidiane, ma di portare con fede e responsabilità quella parte di fatica, quella parte di sofferenza che la lotta contro il male comporta. La vita dei cristiani è sempre una lotta. La Bibbia dice che la vita del credente è una milizia: lottare contro il cattivo spirito, lottare contro il Male.

Così l’impegno di “prendere la croce” diventa partecipazione con Cristo alla salvezza del mondo. Pensando a questo, facciamo in modo che la croce appesa alla parete di casa, o quella piccola che portiamo al collo, sia segno del nostro desiderio di unirci a Cristo nel servire con amore i fratelli, specialmente i più piccoli e fragili. La croce è segno santo dell’Amore di Dio, è segno del Sacrificio di Gesù, e non va ridotta a oggetto scaramantico oppure a monile ornamentale. Ogni volta che fissiamo lo sguardo sull’immagine di Cristo crocifisso, pensiamo che Lui, come vero Servo del Signore,ha realizzato la sua missione dando la vita, versando il suo sangue per la remissione dei peccati. E non lasciamoci portare dall’altra parte, nella tentazione del Maligno. Di conseguenza, se vogliamo essere suoi discepoli, siamo chiamati a imitarlo, spendendo senza riserve la nostra vita per amore di Dio e del prossimo.

La Vergine Maria, unita al suo Figlio fino al calvario, ci aiuti a non indietreggiare di fronte alle prove e alle sofferenze che la testimonianza del Vangelo comporta per tutti noi.

Dopo l’Angelus

Dopodomani, primo settembre, ricorre la Giornata Mondiale di Preghiera per la Cura del Creato. Da questa data, fino al 4 ottobre, celebreremo con i nostri fratelli cristiani di varie Chiese e tradizioni il “Giubileo della Terra”, per ricordare l’istituzione, 50 anni fa, della Giornata della Terra. Saluto le diverse iniziative promosse in ogni parte del mondo e, tra queste, il Concerto che si svolge oggi nella cattedrale di Port-Louis, capitale di Mauritius, dove purtroppo si è verificato recentemente un disastro ambientale.

Seguo con preoccupazione le tensioni nella zona del Mediterraneo orientale, insidiata da vari focolai di instabilità. Per favore, faccio appello al dialogo costruttivo e al rispetto della legalità internazionale per risolvere i conflitti che minacciano la pace dei popoli di quella regione.

A tutti auguro una buona domenica. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!

Con la veglia presieduta il 1º settembre – Giornata per la cura e la custodia del creato – dal vescovo Corrado nella chiesa di Sant’Andrea a Vittorio Veneto è iniziato il Mese del creato.

Accogliendo l’appello di papa Francesco nell’enciclica ‘Laudato si’, la commissione diocesana Nuovi stili di vita ha organizzato vari appuntamenti per tutto il mese di settembre. Eccoli:

- sabato 5 settembre, alle 21, sulle frequenze della Tenda Tv “Il Diario di don Marco”, con don Marco Dal Magro in collegamento dal Brasile e don Nicivaldo Evangelista presente in studio;

- domenica 13 settembre passeggiata meditata a Santa Augusta con partenza alle 9 dalla scalinata e alle 11 messa in Santuario, segue pic-nic (ognuno porta il proprio pranzo);

- sabato 19 settembre alle 18 al Collegio Balbi-Valier di Pieve di Soligo “E Dio disse: è cosa molto buona”, percorso musicale con il gruppo Naam;

- le domeniche 6, 13, 20 settembre, dalle 15.30 alle 18.30, in Seminario vescovile, apertura e visita guidata gratuita al Museo di scienze naturali “A.De Nardi”

LA TERRA CHIAMA - Iniziative nel mese del Creato in Diocesi

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La Parola in Famiglia - 24a Domenica del Tempo Ordinario - 13 settembre 2020 - anno A Mettiamoci attorno alla Parola di Dio come discepoli del Signore. Genitori e figli sono tutti ascoltatori di questa parola che è Gesù. Ci si sente uniti e incamminati sulla stessa strada verso un’unica meta: la perfezione nell’amore. In un mondo di tanta confusione, Gesù è la luce che illumina la strada.

Allora dedicate 10-15 minuti spesso, se non ogni giorno, ad ascoltare insieme la Parola di Dio, utilizzando questo piccolo strumento che ci propone la lettura e la riflessione su Gesù e sulla nostra vita secondo il vangelo di Matteo 18,24-35 che sarà letto domenica prossima.

Le altre letture della Messa: 1a lett.: Libro del Siracide 27,33-28,9 - Salmo: 102 - 2a lett.: lettera ai Romani 14,7-9

I

NVOCARE

O Dio di giustizia e di amore, che perdoni a noi se perdoniamo ai nostri fratelli, crea in noi un cuore nuovo a immagine del tuo Figlio, un cuore sempre più grande di ogni offesa, per ricordare al mondo come tu ci ami. Per Cristo nostro Signore. Amen.

M

ESSAGGIODELLA

P

AROLADI

D

IO

della 24° domenica del tempo ordinario Vivere e condividere il perdono di Dio.

La legge del taglione, «occhio per occhio e dente per dente» (Es 21,24), poneva una perfetta corrispondenza fra il danno causato e la pena inflitta. Dio, però, esige molto di più dal credente: egli deve imitare il comportamento di Dio e imparare ad aprire il cuore al perdono. L’esperienza ha insegnato a Yehoshua Ben Sira che la vendetta, le liti e i risentimenti rovinano i buoni rapporti tra gli uomini ed esorta perciò a vincerli con il perdono (prima lettura).

Con la sua morte e risurrezione, Cristo ha stabilito il suo dominio su tutti gli uomini. Abbiamo il dovere di riconoscerlo come nostra guida, modello da imitare, termine ultimo della nostra speranza. Siamo i servi del suo amore, e nei riguardi dei fratelli non dobbiamo comportarci con severità e durezza, ma imitarlo nella dolcezza e nella misericordia, astenendoci soprattutto dal giudicare i fratelli e condannarli senza appello (seconda lettura).

La misericordia di Dio è senza limiti e il suo giudizio verso i peccatori è sempre un giudizio di perdono. Da questo atteggiamento di Dio nasce per il cristiano l’esigenza di perdonare il prossimo con la stessa larghezza e misericordia con la quale lui stesso è perdonato da Dio (vangelo).

Dal libro del Siracide 27,33-28,9

Il rancore e l’ira sono un abominio, il peccatore li possiede. Chi si vendica avrà la vendetta dal Signore ed egli terrà sempre presenti i suoi peccati. Perdona l’offesa al tuo prossimo e allora per la tua preghiera ti saranno rimessi i peccati.

Se qualcuno conserva la collera verso un altro uomo come oserà chiedere la guarigione al Signore? Egli non ha misericordia per l’uomo suo simile, e osa pregare per i suoi peccati? Egli, che è soltanto carne, conserva rancore; chi perdonerà i suoi peccati? Ricordati della tua fine e smetti di odiare ricordati della dissoluzione e della morte e resta fedele ai comandamenti.

Ricordati dei comandamenti e non aver rancore verso il prossimo, ricordati dell’alleanza con l’Altissimo e non far conto dell’offesa subita.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani 14,7-9

Fratelli, nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore; se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore. Per questo infatti Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi.

Dal vangelo secondo Matteo 18,21-35

21Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli?

Fino a sette volte?». 22 E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.

23 Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. 24 Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. 25 Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. 26 Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: «Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa». 27II padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito. 28 Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: «Restituisci quello che devi!». 29 II suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo:

«Abbi pazienza con me e ti restituirò». 30 Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito. 31 Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. 32 Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: «Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. 33 Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?». 34 Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. 35 Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».

Silenzio meditativo ripetendo mentalmente il testo cercando di ricordare quanto letto o ascoltato

(4)

C

APIRE

Il Vangelo di oggi ci parla della necessità del perdono. Non è facile perdonare, perché certi magoni continuano a bruciare il cuore. Ci sono persone che dicono: “Perdono, ma non dimentico!” Rancore, tensioni, opinioni diverse, affronti, offese, provocazioni, tutto questo rende difficile il perdono e la riconciliazione.

Cerchiamo di meditare le parole di Gesù che parlano di riconciliazione (Mt 18,21-22) e che ci parlano della parabola del perdono senza limiti (Mt 18,23-35).

Il testo fa da cerniera al brano della domenica scorsa sulla correzione fraterna. Questa domenica, riprendendo il discorso, l’evangelista presenta la Parabola del servo spietato, cercando di mettere in evidenza che, come il Padre perdona gli uomini, così anch’essi devono perdonarsi gli uni gli altri. In questa parabola Gesù non suggerisce solo di perdonare infinite volte, ma semplicemente di comprendere e giustificare con sincerità, sull’esempio del Padre che sempre perdona.

La parabola si articola in tre scene: il primo debitore, la sua supplica, e il condono del suo debito; il secondo debitore, la sua supplica e la risposta spietata del primo debitore; il meritato castigo del primo debitore.

M

EDITARE

vv. 21-22: Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.

Questo atteggiamento sembra quasi contraddire alla «correzione fraterna». Lì si trattava di “rimprovero” giusto, severo, con una nota giudiziaria. Qui della spontaneità del cuore. I due fatti si conciliano. Il perdono non esclude la correzione previa e conseguente, e questa esige comunque e sempre il perdono.

Pietro qui, come sempre, è abbastanza sprovveduto quando chiede al Signore quante volte si debba esercitare l’arte difficile del perdono del fratello che a sua volta offende il fratello con il suo peccato (ancora il verbo hamartànó, “sbagliare il bersaglio”,

“errare”, “commettere mancanza”, “fare peccato”). E azzarda la cifra simbolica, che indica una forte quantità: 7 volte.

C’è qui l’eco di un noto passo dell’A.T.”: “Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamech settanta volte sette” (Gen 4, 24); la cifra 70x7, esorbitante, ha valore simbolico per dire un numero illimitato di volte: nell’A.T. indicava l’apice dell’odio e della vendetta, mentre nelle parole di Gesù afferma che fra i cristiani non possono esserci limiti alla misericordia e al perdono. Per questo l’evangelista presenta subito dopo una parabola, da cui si evince la motivazione che può rendere attuabile la richiesta di Gesù.

v. 23: Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi.

Questo è il versetto iniziale della parabola, il suo esordio, dove si descrive il mistero del Regno sotto l’aspetto di un giudizio;

si dice che il re volle fare i conti con i suoi servi, ma non viene specificato che egli faccia i conti solo con i servi che gli sono debitori; si tratta di un’omissione di grande significato, che porta il lettore a identificare la condizione di servo con la condizione del debitore. Il re chiamato successivamente «Signore» (Kyrios) simboleggia chiaramente Dio. I suoi servi non sono certamente dei semplici servitori, ma dei collaboratori ad alto livello, come apparirà subito dal primo e unico che è stato chiamato a rapporto.

Essere servi è dunque lo stesso che essere debitori, ossia essere uomini è lo stesso che essere peccatori, e quindi necessariamente bisognosi del perdono di Dio.

Il verbo synàirò, che noi traduciamo con “regolare i conti” trova il suo senso in 25,19, la parabola dei talenti; in Lc 16,6 la parabola del fattore disonesto; Lc 19,15, la parabola delle mine, Mt 24,46-47, la parabola del servo fedele e sapiente. Il rendiconto finale è conosciuto ed è per tutti; ciascuno è chiamato ad assumersi personalmente le sue responsabilità.

v. 24: Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti

Il talento è una misura molto grande che corrisponde a 36 Kg circa di oro, figuriamoci diecimila. Diecimila talenti è una cifra sproporzionata che solo un re può possedere. Un debito che uno dovrebbe lavorare circa 200.000 anni senza mangiare per poterlo pagare.

Questa è la cifra che ciascuno di noi ha da Dio. La cifra, esagerata, è in realtà una pallida idea di ciò che Dio mi ha dato. Mi ha creato suo figlio, a sua immagine e somiglianza; quando ho tradito il dono, mi ha perdonato dandomi molto di più: il suo medesimo Figlio.

Non ci rendiamo conto di quanto sia grande il nostro debito verso Dio, che tuttavia ci viene condonato, mentre il debito che a noi sembra grandissimo è solo quello che scriviamo sul nostro registro delle offese.

Con Dio ho il debito di me stesso e di lui stesso! Solo che non è un debito ma un dono infinito che lui ha fatto, senza calcolare.

Infatti l’unica misura dell’amore è il non aver misura. Noi al contrario continuiamo a calcolare con lui e con tutti!

v. 25: Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito.

Questa decisione non è una cattiveria, ma era il diritto dell’epoca (cfr. 2 Re 4,1; Is 50,1; Ne 5,5). Quindi il re prende l’iniziativa, vede che costui non ha da restituirgli il debito e si rivolge alla prassi normale, quella che è la giustizia.

Chi stabilisce con Dio un rapporto di giustizia, resta sempre insolvente, chiuso nella gabbia dei suoi debiti. La legge, giusta, non fa altro che farlo sentire in colpa.

v. 26: Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: «Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa».

Il versetto si può dividere in due parti: la preghiera e l’illusione. La preghiera è quella del debitore. La legge, che ci accusa, ci porta a invocare la magnanimità di Dio. L’illusione è quella di chi crede di poter saldare il suo debito. Finché non scopre la

(5)

v. 27: II padrone ebbe compassione di quel servo

II verbo “compassione” splanchnìzomai = “ebbe viscere di misericordia”, è un verbo proprio di Dio (cfr. Mt 9,35-38). Sono le viscere materne, modo figurato per indicare la divina Misericordia. La Sacra Scrittura ci ricorda che come una madre è intimamente legata al figlio che le sue viscere hanno generato così Dio è legato all’uomo anzi «egli ti amerà più di tua madre»

(cfr. Sir 4,10); «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai» (cfr. Is 49,15). Nel N.T. il verbo si trova solo nei sinottici, quasi sempre riferito a Gesù, per indicare il moto divino di pietà per i sofferenti. La nostra condizione commuove il Signore: ne muove le viscere materne. Gli facciamo una pena infinita con i nostri sensi di colpa e di espiazione. La sua passione si fa compassione.

..lo lasciò andare e gli condonò il debito.

Il Signore del servo è «longanime e misericordioso (cfr. Sal 7,11; 85,15; 102,8; 144,8; Es 34,6) compie il giubileo biblico della totale remissione dei debiti (Lv 25,8-22). Il verbo aphiemi - rimettere, lasciare- con l’indicativo all’aoristo dice che l’azione si compie una volta per tutte.

Il Signore libera, cancella il debito. Egli è Colui che mi ha amato e ha dato se stesso per me (Gal 2,20), liberandomi da ogni colpa e peccato. L’Alto ha compassione della pochezza del basso, lo restituisce alla sua dignità e lo reintegra alla sua famiglia. Mi vuol far capire che il mio rapporto con lui non è di schiavo/padrone, ma di figlio/padre. Il credente si sa amato e perdonato gratuitamente da Dio, che lo considera figlio. Lo Spirito glielo testimonia , facendogli gridare: “Abbà”. Non è in debito, ma in credito nei confronti di Dio; gli è Padre infatti, ed è con lui in debito del suo amore.

v. 28: Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari.

I cento danari di cui si parla, sono altrettante giornate lavorative (cfr. Mt 20,2). Cifra discreta, ma trascurabile, rispetto al debito appena condonato.

Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: «Restituisci quello che devi!».

Il Signore si commuove, lo libera e gli condona il debito; lui invece afferra il suo compagno, lo soffoca e vuole che lo paghi. Ci sta nella parabola del padre misericordioso una scena simile: il padre che va incontro al figlio gettandosi al collo, lo abbraccia e lo baciò (cfr. Le 15, 20) e il Rembrandt lo descrive nell’atteggiamento di padre e madre.

Il confronto è questo: quanto Dio è magnanimo con noi, altrettanto noi siamo meschini con gli altri. Come pensiamo di dover restituire al Padre, così pensiamo che i fratelli devono restituire a noi. Con l’altro viviamo lo stesso rapporto che abbiamo con il primo Altro, e viceversa. L’Apostolo Paolo esorta la comunità cristiana ad imitare Cristo nell’atteggiamento di accoglienza, a partire dall’accoglienza personalmente sperimentata presso dì Lui: “Accoglietevi gli uni gli altri come Cristo vi ha accolto”

(Rm 15,7). A partire dall’esperienza di perdono e di accoglienza, che il cristiano sperimenta nel sentirsi amato da Dio, si fonda l’offerta di un amore modellato su quello di Cristo.

vv. 29-30: II suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: «Abbi pazienza con me e ti restituirò». Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.

Il parallelismo tra le due scene è interrotto solo perché il servo a cui era stato condonato il debito non accoglie la supplica, ma fa gettare il debitore in carcere finché non avesse pagato il dovuto. Il fratello gli fa la stessa preghiera che lui ha fatto al Signore.

Lo chiama ad avere nei suoi confronti gli stessi sentimenti del suo Signore. Ma egli al suo compagno fa il contrario di quanto il suo Signore ha fatto con lui. Alla pazienza del re segue la cattiveria del primo servo che non ha imparato l’umiltà e la misericordia da quello che gli era accaduto.

v. 31: Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto.

Chiunque è spettatore di ciò rimane dispiaciuto, addolorato, indignato, triste. Non ci sta la capacità di entrare nel mistero del misero. Non si pensa che si può vivere la stessa sorte, essere quel debitore. Diversamente faccio valere i miei diritti quando non sono toccato in prima persona.

L’essere dispiaciuti comporta il vivere secondo il pensiero del padrone, di Dio. Comporta di andare a riferirlo a lui, di mettere tutto nella sua misericordia.

v. 32: Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: «Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato.

Il padrone dà del malvagio, del maligno. Un termine molto importante perché è lo stesso che si ritrova al termine del Padre Nostro, quando Gesù invita a chiedere “liberaci dal maligno”. Il maligno è colui che è incapace di perdonare. E chi è incapace di perdonare può seminare solo morte. La malvagità del servo non consiste nel debito che aveva, ma nel credito che realmente ha e fa valere! Il peccato più grave è sempre quello di non perdonare il fratello: è l’unico che esclude dal Padre, perché distrugge il mio essere figlio. Se non perdono, ritorno alla logica del debito: non accetto il perdono. Se caccio in prigione l’altro, caccio in prigione me.

v. 33: Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?».

Questo versetto è l’apice della parabola. Ho pietà del mio simile perché il Signore ha pietà di me. Solo così ho gli stessi sentimenti del Padre e divento suo figlio. Se non perdono, muore in me il perdono che ho ricevuto: non ne vivo!

La comunità fraterna nasce dal perdono reciproco: ognuno perdona come è perdonato. L’unico debito che abbiamo gli uni verso gli altri è l’amore vicendevole (cf. Rm 13,8), Come il mio peccato mi fa conoscere il Padre e mi fa nascere come figlio, così il peccato del fratello, nel mio perdono, mi fa vivere da figlio simile al Padre! Se non vivo da figlio, sono morto. Per questo

“perdonare è un miracolo più grande che risuscitare un morto”. Pensare al proprio debito condonato, non solo rende tolleranti

(6)

verso gli altri, ma addirittura magnanimi. In genere però non accettiamo davvero il perdono; infatti non perdoniamo a noi stessi, e abbiamo sempre stizza, rancore e vergogna dei nostri peccati.

v. 34: Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto.

Chi non perdona non è perdonato. Infatti il Padre ci perdona come noi perdoniamo. Per questo la riconciliazione col fratello è più importante di ogni culto. Senza di essa finiamo in prigione noi stessi, pagando fino all’ultimo spicciolo. L’insegnamento di Mt 7 ci dice che questa misura predeterminata, che noi applichiamo agli altri, rappresenta il criterio del giudizio della retribuzione divina quando, scaduto il tempo della pazienza, subentrerà il tempo della giustizia. In sostanza, il giudizio di Dio, per valutare noi, prenderà in prestito il criterio che noi stessi abbiamo applicato per valutare gli altri, come si vede in Mt 7,1-2: “con la misura con la quale misurate sarete misurati”.

v. 35: Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».

È la conclusione dell’esortazione al perdono. Il peccato dei peccati è il non perdono: è uccidere in me e negli altri l’amore del Padre. Nel perdono salvo il fratello offrendogli l’amore del Padre e salvo me stesso, vivendo di questo amore. Al di fuori di questo amore ricevuto e donato - che è lo Spirito Santo - non c’è che la morte.

L’evangelista Luca ci aiuta meglio a capire il particolare: “Se un tuo fratello pecca, rimproveralo: ma se si pente, perdonagli. E se pecca sette volte al giorno contro di te e sette volte ti dice ‘Mi pento’, tu gli perdonerai” (Lc 17,3-4). L’esperienza di riconciliazione, sia che riguardi l’uomo sia che riguardi Dio, rimane, comunque, una strada impraticabile, quando l’offensore non si pente del suo sbaglio e ritiene ostinatamente di essere nel giusto.

L’evangelista sottolinea che perdonare è un fatto di cuore. È non ricordare, non tenere nel cuore il male del fratello, ricordando invece l’amore che il Padre ha per me e per lui. Se continuamente ricordo all’altro il suo errore, il perdono è davvero la peggior vendetta. Se il Signore ricorda le colpe, chi potrebbe più respirare (Sal 130,3)? Se non riesco a perdonare, cosa devo fare?

Invece di prendermela con l’altro, considero che è un peccato mio di cui chiedo perdono a Dio. Sapere questo cambia già il mio atteggiamento con l’altro: penso ai miei 10.000 talenti di debito di cui Dio mi fa grazia, non ai 100 danari che l’altro mi deve.

L

A

P

AROLAILLUMINALAVITA

Perché trovo difficile perdonare? Cosa mi impedisce di perdonare?

Ti è successo nella tua vita di perdonare a qualcuno o di essere perdonato/a? Vale la pena perdonare?

La mia comunità è luogo di incontro con il Signore o luogo di condanna?

Comprendiamo molto bene la rabbia divina e giustifichiamo che Dio si penta, quando trova che la sua misericordia non è stata efficace e che il suo perdono non è stato utile. Non ci rendiamo conto che, dando per logica la reazione divina, ci stiamo già condannando senza remissione noi che non riusciamo a perdonare al prossimo nonostante essere stati, tante volte, perdonati dal nostro Dio. Dovremmo prendere più sul serio l’avvertenza di Gesù: non basta convertirsi a Dio e chiedere il suo perdono; se il nostro prossimo, che ci ha offesi, non ci trova disposti a perdonarlo, Dio ritirerà da noi il perdono concesso. Dio non si dimostra Padre, se noi suoi figli non ci trattiamo come fratelli.

È quello che, sfortunatamente, sta succedendo spesso nelle nostre vite. Nonostante tanti sforzi di conversione a Dio, dietro tanta domanda di perdono, dopo avere perfino ottenuto la sua misericordia, perdiamo la sua amicizia ed il suo perdono per non volerlo dare a chi ce lo ha chiesto o, senza chiederlo, aveva bisogno di esso. Trasformiamo Dio in nostro nemico, come il servo della parabola fece col suo re, perché non riusciamo a trasformarci in amici dei nostri debitori. La nostra mancanza di perdono al fratello è più grave delle mancanze che commettiamo contro Dio: queste contano sulla sua misericordia, ma i nostri peccati ricadranno su di noi se ci rifiutiamo di perdonare colui che ci ha offesi.

Se desideriamo il perdono di Dio, dobbiamo chiederlo perdonando chi ci ha offeso. Questo è precisamente quello che pretendeva Gesù, quando ci insegnò a chiedere a Dio il perdono, dichiarandoci disposti a perdonare. Sapremo solo con certezza che il nostro debito con Dio fu saldato, quando di cuore saldiamo i debiti che gli altri hanno contratto con noi. Dio vuole che il perdono che Egli è disposto a concederci, generi in noi perdono e dimenticanza delle offese; perdonare non è dimenticare l’offesa, bensì considerarla non avuta. Senza produrre quello che da, il perdono di Dio diventa inefficace; Dio non sopporta chi non impara dalla sua generosità e chi pensa unicamente a ricevere ma si rifiuta di dare. Dio, perdonandoci, vuole liberarci dal peccato e convertirci al perdono. Dio e la sua capacità di perdonare falliscono, quando Egli perdona a chi non perdona. Dio non dà il suo perdono a chi non si converte alla sua generosità.

Dopo avere dato alla comunità dei discepoli il potere, e l’ordine, di perdonare ed avere indicato loro il modo di farlo, Pietro interrompe Gesù (Mt 18,21) con una domanda che introduce una nuova problematica: fino a dove arriva l’obbligo di perdonare.

Bisogna perdonare, bene, ma quante volte? Perdonare il fratello apre e chiude il periodo (Mt 18,21.35); questa inclusione verbale sottolinea il nuovo tema: dalla correzione al trasgressore si passa al perdono fraterno; da quello che bisogna fare a ciò che non si può negare. La risposta di Gesù che si articola in due momenti, va oltre la questione del suo discepolo. In primo luogo, Gesù stabilisce un perdono senza limiti (Mt 18,21-22); dopo, lo motiva con la parabola del signore che aveva debitori (Mt 18,23-35). Il cristiano è sempre in debito di perdono.

Mt 18,21-22 impone il dovere di perdonare il fratello senza limiti. A prima vista, l’episodio non sembra quadrare bene con l’anteriore, dove si prescriveva un procedimento disciplinare che contemplasse la scomunica del peccatore. Bene inteso, non è così: la correzione fraterna che cerca il fratello che pecca, è guidata dall’amore al peccatore (cf. Lv 19,17-18). Chi esercita la disciplina nella comunità deve sapere perdonare, quando non hanno successo i suoi sforzi. Con tutto ciò, il perdono al

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fratello, nota Gesù, non deve compararsi col disprezzo del peccatore nella comunità; questa, che è il posto della presenza del Risuscitato, deve vivere secondo la volontà del suo Signore e non del suo proprio arbitrio.

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TTUALIZZAZIONE Solo chi capisce, perdona

Quella di oggi può sembrare una parabola esagerata, inverosimile. Ma la lezione è fin troppo trasparente! Ognuno di noi, nei riguardi di Dio, è debitore insolvibile. Se Lui non interviene con il suo perdono gratuito, da soli con i nostri sforzi, difficilmente raggiungeremmo la salvezza. La salvezza è grazia. Non ci si salva da soli.

E un’altra lezione ci ricorda questo brano: i debiti che gli altri hanno nei nostri riguardi, sono quisquilie in confronto ai nostri debiti verso Dio. E, allora, quando dimentichiamo questa sproporzione, il nostro comportamento diventa meschino. Proprio come quello del servo del Vangelo.

Recita un proverbio: “Chi non perdona gli altri distrugge il ponte sul quale dovrà passare”. Invece i nostri conti li sappiamo tenere bene: torti, offese, sgarbi, indelicatezze. Sempre pronti a rendere “occhio per occhio e dente per dente”. Insomma:

bravi cristiani, ma capaci di odiare. Praticanti, ma che rifiutano di perdonare. Operatori di buone azioni, meno quella di dimenticare i torti. Va a Messa tutte le domeniche, ha educato cristianamente i figli, fa molte elemosine, ma... da anni non parla più con il fratello. Vanno in chiesa, ma non si salutano... Partecipano alla stessa riunione di condominio, ma si ignorano.

E poi recitiamo nel ‘Padre nostro’: “rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori... “. Non ci accorgiamo, così, che autorizziamo Dio a trattarci come noi trattiamo gli altri!

Eppure dovremmo convincerci che la vita è un inferno, per chi non perdona. A nessun cristiano è permesso di odiare il prossimo. Dovremmo convincerci che perdonare non è un’operazione straordinaria, ma rientra nella normalità della vita cristiana.

Uno che perdona non è un eroe, e nemmeno il primo della classe. È semplicemente un cristiano! Uno che ha fatto... il minimo indispensabile. Uno che ha appena imparato l’ABC del Vangelo.

“Se non perdonerete di cuore al vostro fratello... “. Solo chi ama riesce a perdonare. Solo chi capisce, perdona. Il perdono è il sorriso di Dio”. Ricordiamo: saremo misurati con la stessa misura con cui avremo misurato gli altri. Certo, è più facile ricambiare il male con il male e il bene con il bene. Lo fanno tutti. Ma non certo quelli fedeli all’insegnamento di Cristo.

Troppe volte anche noi dimentichiamo che il perdono che riceviamo da Dio va donato, condiviso con gli altri. Come cambierebbe il mondo! Il perdono uccide il male e fa trionfare il bene. È una virtù difficile, ma è la virtù dei forti.

Non importa se gli altri hanno peccato contro di noi. Noi seminiamo amore, e raccoglieremo amore. Il San Luigi Orione diceva:

“Fate del bene sempre, del bene a tutti, del male mai, a nessuno”.

Ricordiamo spesso la Parola di Dio ascoltata oggi. “Nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso” (2a lettura). “Chi si vendica avrà la vendetta dal Signore... Ricordati della tua fine e smetti di odiare” (1a lettura). “Non ti dico di perdonare sette volte, ma fino a settanta volte sette” (Vangelo).

Viviamo, soprattutto, la legge del perdono. E, se volete, aggiungete questo pensiero: “Chi sa perdonare, si e vendicato abbastanza” (proverbio svedese).

Pentimento e perdono

Purtroppo quel re compassionevole si era sbagliato sul conto del servo. La sua richiesta di perdono non era affatto sincera, era solo un abile recita. Il raccontino che riporto rende bene l’idea di un pentimento falso e solo apparente.

Un lupo, preso un giorno dal rimorso, entrò in una chiesetta di montagna e disse al parroco: «Vorrei confessarmi». «Sei sicuro?», chiese il parroco. “ Certo te lo assicuro io vorrei confessarmi»! «Entra nel confessionale». «Non hai idea» cominciò il lupo «di quante pecorelle ho sgozzato, povere bestie, dormivano tranquille e io le ho mangiate». Il lupo singhiozzava: «Ho attaccato anche un pastore. Sono un peccatore scellerato e abietto». Il prete lo ascoltava, ma si accorse che il lupo era inquieto e si contorceva come non vedesse l’ora di andarsene. Un po’ infastidito il parroco gli disse: “ Insomma mentre confessi i tuoi peccati, stai un momento tranquillo!”. «Non ti inquietare, padre mio, ma se tu potessi sbrigarti un po’ di più!».

«Ma perché?». «Perché sento suonare la campanella delle pecore!».

Arrivare al pentimento sincero, all’effettivo profondo dispiacere per i peccati compiuti, è tutt’altro che facile. Anche in questo caso mi pare istruttivo il racconto che riporto.

C’era una volta un cavaliere che aveva valorosamente combattuto in tutti gli angoli del Regno. Finché un giorno, durante una scaramuccia, un colpo di balestra gli aveva trapassato una gamba e quasi messo fine ai suoi giorni. Mentre giaceva ferito, il cavaliere aveva intravisto il Paradiso, ma molto lontano e fuori della sua portata. Mentre l’inferno gli era apparso molto vicino.

Aveva da tempo infatti calpestato tutte le promesse e le regole della cavalleria e si era trasformato in un soldataccio impenitente, che ammazzava senza rimorsi il suo prossimo, razziava e commetteva ogni sorta di violenze. Pieno di spavento salutare, gettò elmo, spada e armatura e si diresse a piedi verso la caverna di un santo eremita. «Padre mio, vorrei ricevere il perdono delle mie colpe, perché nutro una gran paura per la salvezza dell’anima mia. Farò qualunque penitenza». «Bene, figliolo - rispose l’eremita -. Fa’ soltanto una cosa: vammi a riempire d’acqua questo barilotto e poi riportamelo». Prese il barilotto sotto il braccio e brontolando si diresse verso il fiume. Immerse il barilotto nell’acqua, ma quello rifiutò di riempirsi. Si diresse verso una sorgente: il barilotto rimase ostinatamente vuoto. Furibondo, si precipitò al pozzo del villaggio. Fatica sprecata! Un anno dopo, il vecchio eremita vide arrivare un povero straccione dai piedi sanguinanti e con un barilotto vuoto sotto il braccio.

«Padre mio - disse il cavaliere - ho girato tutti i fiumi e le fonti del Regno. Non ho potuto riempire il barilotto... Ora so che i miei

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Un testimone

S. Antonio Abate venne a sapere che, nella ricca e corrotta città d’Alessandria d’Egitto, viveva un umile calzolaio considerato santo. Desideroso dì migliorare, lo va a trovare per conoscere il segreto della santità. Gli domanda: “Cosa fai per camminare così bene nella via di Dio?”. Gli risponde: “Faccio solo scarpe”. “Come passi le tue giornate?”, incalzò Antonio. “Le divido in tre parti: otto ore di lavoro, otto di preghiera, otto di sonno”. “Ma qual è il segreto della tua santità? Forse la tua povertà?”. L’umile calzolaio risponde: “No, anche qui faccio tre parti dei soldi che ho: una per i poveri, per la Chiesa, e per me”. S. Antonio, che aveva dato tutto per i poveri e aveva seguito Dio, continua: “Come fai a vivere in una città così corrotta e piena di gente malvagia?”. E il calzolaio con semplicità: “Confesso che spesso non mi trovo bene in questa città. A volte la notte non dormo nel vedere tanto male, e piango. Ma prego sempre così: Signore, questi peccatori sono miei fratelli. Non condannarli, condanna me al posto loro, perché anch’io sono peccatore. Salvali”.

Capì allora S. Antonio che il segreto della vera santità, che ci fa simili al Padre che sta nei cieli, consiste nella misericordia e nel perdono.

PICCOLE STORIE PER L’ANIMA - La tentazione

In una giornata estiva molto calda, un bracciante agricolo ricevette l’ordine di vangare il giardino del suo padrone. Si mise al lavoro di malavoglia, e cominciò ad inveire contro Adamo che, a suo parere, era l’unico responsabile di ogni sfruttamento. Le sue bestemmie e imprecazioni giunsero all’orecchio del padrone. Il quale gli si avvicinò e gli disse: «Ma perché inveisci contro Adamo? Scommetto che al suo posto avresti fatto la stessa cosa». «No di certo», rispose il bracciante, «io avrei resistito alla tentazione!».«Vedremo!» disse il padrone e lo invitò a pranzo.

All’ora stabilita, il badilante si presentò in casa del padrone e questi lo introdusse in una saletta dove c’era una tavola imbandita con ogni ben di Dio.

«Puoi mangiare tutto quanto vuoi» disse l’uomo al suo dipendente. «Soltanto la zuppiera coperta al centro della tavola non la devi toccare finché non torno».

Il badilante non aspettò neppure un minuto: si sedette al tavolo e con il suo formidabile appetito cominciò ad assaggiare una dopo l’altra le leccornie che gli venivano servite. Alla fine il suo sguardo fu magnetizzato dalla zuppiera.

La curiosità lo fece quasi ammattire, tanto che alla fine non resistette più e, con la massima circospezione, sollevò appena appena il coperchio che copriva la zuppiera. Saltò fuori un sorcio. Il badilante fece l’atto di acciuffarlo, ma il topo gli sgusciò di mano. Iniziò la caccia, mentre il giovane rovesciava tavoli e sedie. Il gran baccano richiamò il padrone.

«Hai visto?» chiese, e ridendo lo minacciò: «Al tuo posto, in futuro, non imprecherei più a voce alta contro Adamo e il suo errore!».

«Ma io no! Io sono diverso! Io non mi sarei certamente comportato così!».

«Quanto sei stato stupido! Dovevi fare così e così...».

Quanti modi per puntare il dito contro gli altri. Ma chi punta il dito contro un altro ne punta tre contro se stesso.

Un discepolo parlava con disprezzo dell’avidità e della violenza della gente «fuori nel mondo». Il maestro disse: «Mi ricordi quel lupo che stava attraversando una fase di bontà. Quando vide un gatto che dava la caccia a un topo, si girò verso un lupo peccati non saranno perdonati. Sarò dannato per l’eternità! Ah, i miei peccati, i miei peccati così pesanti... Troppo tardi mi sono pentito». Le lacrime scorrevano sul suo volto scavato. Una lacrima, scivolando sulla folta barba, finì nel barilotto. Di colpo il barilotto si riempì fino all’orlo dell’acqua più pura, fresca e buona che mai si fosse vista. Una sola piccola lacrima di pentimento....

Come possiamo essere certi della sincerità del nostro pentimento?

O, per stare alla metafora del racconto, come riuscire a riempire d’acqua il nostro barilotto? Certo è importante il fermo proposito di non ricadere nel peccato. Dobbiamo anche cercare di rendere buono il cuore perché impari ad abbandonare qualsiasi affetto per il peccato

Il papa Giovanni Paolo II

I cronisti parlarono di un colloquio tra il papa e l’attentatore avvenuto, confidenzialmente, alla pari. Il Papa non era sul trono, ma allo stesso piano dell’uomo perdonato. E, uscendo dalla cella di Rebibbia, Giovanni Paolo II ha detto fra l’altro, parlando del suo attentatore: «lo ho fiducia in lui». Espressione che traduce uno degli aspetti più originali del perdono cristiano: non si perdona per vincere, ma per affermare la fiducia. L’altro è mio fratello.

La madre di s. Maria Goretti

La madre di S. Maria Goretti confidava di aver trovato nella S. Comunione la forza d’animo necessaria a dimenticare l’offesa terribile, l’atroce delitto, consumato da Alessandro Serenelli, l’assassino di sua figlia. Quando costui, trent’anni dopo aver scontata la pena, le ricomparve a chiederle perdono, essa rispose: «E come volete che non vi perdoni, se vi ha perdonato Marietta prima di morire?».

E il mattino seguente andarono insieme in chiesa e, inginocchiati uno vicino all’altra ricevettero l’Eucaristia.

L’Eucaristia è la celebrazione della nostra riconciliazione in Cristo e nel suo Spirito.

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